lunedì 25 maggio 2009

Elisir d'amore per .........."un cielo capovolto".



CANI CON LE VENE PIENE DI ORTICHE:
di franco arminio

Sui fili dei nervi per anni come una rondine. Ho vissuto dentro un cielo capovolto, sempre qui e sempre lontano, sempre altrove. Non ho mai veramente messo piede in questo paese, non ci sono mai stato. Sui fili dei nervi ad osservare le grandi nuvole che arrivano da oriente. Paese a bocca aperta contro il vento, con il cuore pieno di neve. La stessa nuvola che dimora qui di pomeriggio nel mattino era a Sarajevo. Appennino senza alberi, terra di grano che cresce sulle frane. La piazza è la stessa ma non ci sono più le coppole e le mantelle nere. Macchine parcheggiate, mezze anime contorte e verbose rigano le sere coi loro graffi di saliva. Qui di giorno e di notte mi luccicava dentro la paura della morte, con lei mi sono arrampicato a vedere i vermi che hanno bucato l’anima delle cose. Adesso è tutto come sfiatato, perfino l’inclemenza dura poco. Quello che ho scritto non potrei più scriverlo, non posso infilare il fiato e dare voce a corpi inerti, non posso dare il battito a cuori di paglia. Non posso ascoltare altre parole da questi cervelli pieni di fumo. Tra me e il mio paese è finita per sempre. Non abbiamo più niente da dirci. È finito il dialogo e anche il monologo. Ho parlato a tutti e mi accorgo di non aver mai parlato a nessuno. Mi hanno parlato tutti e non mi ha mai parlato nessuno. Forse capita anche altrove, non so, io so dire solo di questa storia qui, fatta di vento e neve, fatta di un muro. Pavese diceva che un paese ci vuole, ma io questo paese non l’ho mai avuto, non mi ha mai dato una mezz’ora in cui mi ha tenuto tra le sue braccia. La poesia è nata da qui, da questi alberi storti, da questa torre disertata ormai pure dai corvi. A vent’anni mi sentivo in un ossario, apparecchiavo le giornate con le ossa. Poi sulla tavola non è rimasto più niente. Vermi senza dimora, senza un corpo da divorare, vermi all’aria aperta.Oggi c’è una bella luce, ma proprio oggi sento un buco, sento che non c’è modo di raccogliere questi cani con le vene piene di ortiche. Vado per la mia strada, per la mia strada che non c’è. Ho dato fondo a ogni amarezza, ma non mi basta, non mi basta ancora. Voglio consumare l’interno universo, bucarlo in questo punto, nel punto suo più duro. Lo so, sotto non c’è niente, né dio e neppure i morti, non c’è neppure il niente a cui sembriamo appesi. È veramente tutta apparenza, chi parla, chi tace, chi sente.

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