martedì 26 giugno 2012

Elisir d'amore per la .....politica e la poesia

di franco arminio
Sono partito dalla percezione del corpo, perché il corpo mi dava pensieri, il corpo faceva salire alla testa pensieri più che sensazioni. Queste pensieri si posizionano in un’area della testa che potremmo definire area dell’apprensione. Nel mio caso il disperare del mio corpo, il sentirlo incapace di avvenire. Ogni corpo ha una sua idea di avvenire. Nel mio caso era un’idea bruciante, pochi mesi, pochi giorni, poche ore. Questa immaginaria salute precaria s’incrocia con le reale salute precaria dei luoghi in cui vivo. E allora la ricognizione dei luoghi è il frutto di uno spostamento d’attenzione, dal sintomo del corpo al sintomo del luogo, dall’ipocondria alla desolazione. Facendo uno spostamento ulteriore, mettendo sul palmo della mano il mondo intero, vengono fuori altre parole: sfinimento, autismo corale. La mia scrittura non ha il rigore della scienza, non vuole e non può essere attendibile. Il primato della percezione sul concetto, del particolare sull’astrazione. Questo non deve trarre in inganno, la mira è comunque altissima e non ho bisogno di concordare con nessuno il bersaglio. La paesologia non vuole fare riassunti o postille al lavoro altrui. In un certo senso è una disciplina indisciplinata, raccoglie le voci del mondo, sente quel che vuol sentire, dice quel che vuole dire. Un lavoro provvisorio, umorale. Un lavoro letterario. La vicenda si complica quando si pronuncia la parola politica. In questo caso la fragilità non è più una forza ma un qualcosa che dà i nervi. Perché la politica è o dovrebbe essere un’elaborazione collettiva. Il problema e l’opportunità è che al punto in cui siamo arrivati anche la politica appartiene alle discipline dell’immaginario. Non si sa che strada prendere e allora si fanno arabeschi, congetture. La modernità finisce ogni giorno e ogni giorno prolunga la sua esistenza con una magia collettiva che occulta ciò che è in piena evidenza: non crediamo più alla nostra avventura su questo pianeta. Non abbiamo nessuna religione che ci tiene assieme, nessun progetto da condividere. La paesologia denuncia l’imbroglio della modernità, il suo aver portato l’umano dalla civiltà del segno alla civiltà del pegno. Navighiamo in un mare di merci, e intorno a noi è tutto un panorama di navi incagliate: le nazioni, gli individui, le idee, tutto è come bloccato in un presente che non sa rivolgersi la sua fronte né avanti né indietro. In uno scenario del genere l’unica politica possibile è la poesia. La poesia non è il fiore all’occhiello, ma è l’unico abito che possiamo indossare, ma prima di indossarlo dobbiamo cucirlo e prima di cucirlo dobbiamo procurarci la stoffa. La poesia ci può permettere di navigare nel mare delle merci lasciandoci un residuo di anima, la poesia è la realtà più reale, è il nesso più potente tra le parole e le cose. Quando riusciamo a radunare in noi questa forza possiamo rivolgerci serenamente agli altri, possiamo scrivere, possiamo fare l’oste o il parlamentare, non cambia molto. Quello che conta è sentire che la modernità è una baracca da smontare, e una volta che la baracca è smontata mettersi a guardare la terra che c’è sotto e costruire in ogni luogo non altre baracche, ma case senza muri e senza tetto, costruire non la crescita, non lo sviluppo, costruire il senso di stare da qualche parte nel tempo che passa, un senso intimamente politico e poetico, un senso che ci fa viaggiare più lietamente verso la morte. Adesso si muore a marcia indietro, si muore dopo mille peripezie per schivarla o per cercarla la fine. E invece c’è solo il respiro, forse ce n’è uno solo per tutti e per tutto. Spartirsi serenamente questo respiro è l’arte della vita. Altro che moderno o postmoderno, altro che localismo o globalità. La faccenda è teologica. Abbiamo bisogno di politica e di economia, ma ci vuole una politica e un’economia del sacro. Ci vuole la poesia.
risposta a “prima bozza di una nota d’avvio a un libro prossimo venturo” .Il modo comunitario della “paesologia” di mettersi in campo per definirsi e radicarsi è rivoluzionario in senso nuovo.Essa è radicale nel cercare e vivere la sua strada nei sentieri interrotti della poesia e della politica con la percezione che non è solo il moderno in discussione ma addiorittura tutta la tradizione occidentale di pensiero. sin dai suoi albori ebraico-semitico- greco-latino. Lerrore è compiuto dagli ebrei, greci e latini che “sbagliano per grandezza” (Heidegger e Nietzsche)Non basta come per noi “filosofi” ritornare agli inizi per ricominciare e dare senso alla strada per inventare nuovi valori e fini.Per noi la strada è già definita e completa …i valori e i fini sono sti travisati e abusati .Per la “paesologia” non basta ripensare esattamente l’inizio,il momento aurorale,che precede la luce.La cultura occidentale è impoetica e antipoetica, impolitica ,è antipolitica nella sua essenza. La filosofia politica è proprio la negazione della politca.La politica non ha nulla a che fare con il pensare la politica La poesia non ha nulla ache fare con il pensare alla poesia.Il pensare e l’essere politici o poeti non è la stessa cosa. L’errore è far riferimento alla “natura ” dell’uomo : determinare che cosa sia per natura l’uomo o quale sia la natura dell’uomo. La domanda giusta è : quali sono le condizioni dell’uomo,non la sua natura, quali sono le condizioni che rendono l’uomo ,uomo. Per la filosofia moderna (Cartesio) l’uomo è essenzialmente incondizionato, ma come il soggetto che pone le condizioni alle cose e al mondo esterno.E le sue condizioni sono il suo pensiero. La filosofia politica moderna come qualsiasi estetica parte dall’assunto che l’uomo deve liberarsi da ogni condizionamento per poter essere effettivamente libero..L’uomo libero è colui che non è condizionato da nulla.Può volere ciò che vuole e se ha i mezzi ,ottenere ciò che vuole. Per la paesologia l’uomo è un essere finito provviosrio,condizionato,inoperosoi.la politica o la poesia possono nascere solo nella fase aurorale, solo quando prende atto di questa limitatezza,inoperosità,provviosrietà;la politica come la poesia scompare quando l’uomo appare come incondizionato.E ‘ la singolarità che interessa . “L’uomo sembra posseduto da una sorta di ribellione contro l’esistenza che gli è data, e che desidera scambiare con una esistenza che sia sia fatta da lui stessso” A. Arendt. mauro orlando

giovedì 21 giugno 2012

Elisir d'amore per .......la leggerezza......

Oggi sento una esigenza di “leggerezza” allo stesso modo di quando mi sveglio di notte per un cucchiaio di ‘nutella’….sento l’esigenza di una capacità dello sguardo sul mondo che sappia ridare la dignità alla parola che lo esprime come esperienza fondamentale della persona .Nei momenti in cui le parole si irrigidiscono come pietre anche nella loro superficiale espressività mi invito sempre ad un “esercizio di silenzio” nella speranza che si apra in me “un passaggio” (questo è l’ascolto”) attraverso il quale transita il “doppio mondo delle parole-persone e delle persone-parole”. La ricerca di una possibile vita comunitaria di clowns,angeli-demoni, ha bisogna delle parole che la potenzino, la innalzino,la rischiarano facendole da specchio. E allora cerchiamo il senso della parola che rinuncia a qualsiasi ipotesi di “proprietà-potere” nel suo darsi dando per inteso che quanti le ricevono vi resteranno sottomessi ma che recuperi il suo senso di “dono”, di “cura di sè” e “cura degli altri”…sapersi pensare “..solo rami e fronde e nodi e nidi…..” Diamo alla parola la forza di una “rivelazione” piuttosto che il suo senso strettamente “naturale” e “tecnico”….del comunicare e interpretare. Scriveva Marìa Zambrano ”Se la parola funzionasse esclusivamente come linguaggi all’interno del linguaggio,non costituirebbe altro che la perfezione del naturale. Una perfezione raggiunta soltanto attraverso la vessazione di quella porosità,germe irriducibile di trascendenza,contenuta in ogni parola…” tutto il resto non aiuta il sogno ma predispone all’incubo……

Elisir d'amore per .......la bellezza e la felicità

Dobbiamo pensare per non disperare che possa esistere o essere pensata una possibile nuovo modo di fare economia.Si parla di economia ‘noetica’. Una possibile nuova situazione in cui le visioni, i miraggi, le speranze segrete e inconfessab...ili, le introflessioni integrali, i mutismi e gli arresti incondizionati, le resistenze estreme e l’estrema inarticolazione dell’inoperoso diventano la prassi possibile per vivere e pensare “i piccoli paesi” dell’abbandono, e dei “terremoti”,delle emergenze o delle urgenze naturali o meccaniche. Essa, grazie alla sua razionalità metapoietica, fa dell’inespresso,del fantasioso,del sogno e del non pianificabile il suo oggetto perspicuo, che non lega le proprie sortie le sue finalità alla esplosione consumistica e sublimazione riproduttiva .


 

La bellezza e la felicità non sono parole indispensabili al vocabolario economico.......alla nostra vita: SI.



Elisir d'amore per ..........l'Irpinia che amiamo

di mauro orlando.

 Oggi tra gli analisti del territorio tradizionali o dei “paesologhi” in modo paradossale si parla di “non luoghi”riferendosi a spazi metropolitani privi di identità e di memoria ma soprattutto scarsi di relazioni.Dove vive una “collettività senza festa” e si soffre la “solitudine senza l’isolamento”. Si vive in un epoca del “tempo veloce, accelerato”.Il futuro è sempre più alle nostre spalle, in soggezione ad un presente che ci sommerge e ci virtualizza .E persino la storia è diventata un fatto mediatico.Il futuro non solo sembra senza senso e fine ma ci carica sopratutto di ‘paure’ e nel suo orizzonte esclude le categorie di ‘progetto’ e ‘speranza’.Paure economiche, sociali,ecologiche e perfino ‘metafisiche’ dove le Chiese si limitano a cercare convertibili o arruolabili alle giuste o ideologiche cause. L’avvenire è rubato soprattutto ai più giovani. Con la fine delle ideologie che pure ci rassicuravano, oltre che impigrirci intellettualmente ci viene imposto prepotentemente ancora una volta una nuova e complessa concezione di individuo e della sua libertà.Le diseguaglianze economiche ,la precarizzazione del lavoro, l’aumento dei costi e dei bisogni ci sta portando drammaticamente alla società postborghese senza passare da una “rivoluzione proletaria”( di cui non si sente la necessità) o semplicemente umanistica. Una nuova rivoluzione scientifica e tecnologica toglie potere e crea esclusione in quelli che non si ritrovano in questi poli.La rivoluzione informatica aiuta e favorisce i meglio tecnologizzati e i già informati o i ‘giàformati’. All’interno di questro quadro analitico e concettuale con originalità e profondità si sono poste le proposte poetiche e le provocazioni culturali e politiche di Franco Armino negli ultimi interventi sul Blog…..tra la “paesologia” e la proposta della “comunità provvisoria” in Irpinia oggi propone alle nostre orecchie incerate un diverso senso di umanesimo che spazia dal rapporto filiale dentro di noi e all’impegno politico fuori di noi. Sarebbe utile e necessario ritornarci su questi ultimi scritti dopo una lettura più generosa, meditata e analitica; non per una ulteriore recensione o testimonianza di affetto e amicizia ma per rilevare la sua originalità e profondità di proporre categorie conoscitive,poetiche , antropologiche e politiche che ci possono essere utili non solo per capire il nostro territorio irpino e “i piccoli paesi dalla grande vita”,ma soprattutto come “cura” di noi stessi e per un possibile e necessario.progetto di cambiamento simbiotico di noi e delle nostre comunità. Ma la babele delle livorose e astiose repliche sui giornalisti locali di canovacci di una storia pubblica incivile, incattivita e volgare da parte della nostra livida e grigia sedicente intellettualità locale ci impone non solo il dantesco “non ti curar di lor ma guarda e passa” ma un ulteriore impegno a cotruire individualità comunitarie e paesologiche promuovendo liberalità e immunizzando patologie ( Com-munis….Im-munis). Il nostro “io” occidentale e moderno è costretto a cimentarsi con i pieni dei poteri economici e culturali a cui ci eravamo abituati dall’Illuminismo in poi e i vuoti della cultura . La sua ragione o si fa “luce” e si fà ‘compassionevole’ e ‘fraterna’ in un colloquio doloroso e difficile con le “ombre”, con l’assenza, col mistero, con il sacro, con gli esclusi , gli sconfitti con i luoghi abbandonati o lontani o” non è e non è dicibile” come L’Essere di Parmenide. Il suo compito precipuo e costruttivo è non solo capire e dare un nome alle cose e alle persone ma di suggerire altro.Creare aspettative e possibilità è già costruire presente e precostituire futuro.Ripropone una caratura politica molto complicata,complessa e sottile che va al di là del sociologismo astratto e il meridionalismo di maniera se pur nobile(De Sanctis,Croce,Dorso….Levi) . Scrivendo ciò io non penso alle “sufficienti spallucce” o alle comode pigrizie livorose di una certa intellettualità meridionale, cittadina,provinciale e periferica, ma anche ai circoli sociologici e intellettuali,a destra come a sinistra, che imperversano nel “profondo Nord” arrovellati sul nuovo primato della “questione settentrionale” “totus aeconomicus” che fanno tabula rasa con spocchia e leggerezza anche del possibile “bambino insieme all’acqua sporca”.Tuttavia nel caso Di Franco Arminio e il suo emblematico,lacerato e complesso rapporto con le vecchie e nuove “èlites” intellettuali e politiche irpine non è il ruolo e lo “stile” ,se pur nuovo e personale, che mi interessa rilevare all’interno di una moderna e possibile collocazione o riscrittura del quadro letterario del Novecento italiano ed europeo con riferimento alla letteratura antiretorica ,alla cultura ‘flaneur’, o quella ‘vociana’ dei ‘frammenti’ più che a quella ‘crepuscolare’ o ‘futurista’ o ‘simbolista’ o “dadaista” .Insomma mi interessa questo superamento ,filosofico e poetico direi, dell’Illuminismo non ideologico e dottrinale dove il rifiuto delle “magnifiche sorti e progressive”, delle utopie astratte e ideologiche e delle speranze universali e necessarie nel futuro ci impone una idea più che di recupero o di salvezza delle persone ,delle cose e della natura, di amore di esse ma non più per il loro possibile futuro ma per il loro presente reale e in un passato che non passa e non ritorna e che ci chiude nella morsa di un “autismo personale o peggio corale”.Puntando soprattutto a far crescere una capacità personale di guardare le cose e amarle disinteressatamente in sè stesse e per sé stesse.Una riproposizione vitale e attiva della ’modernità’ non necessariamente contrapposta alla ‘antichità’ ma nella sua capacità intellettuale ed umana di vivere l’antico,il tradizionale, il periferico,l’emarginato, l’escluso.l’altro da sé insomma come un possibile “inizio” non mitico o etnico e meno che meno ideologico.Curando una massima consonanza,intimità con i luoghi, le cose e le persone insieme alla massima lontananza e alterità non solo nella cura e il rispetto della lingua. E se tutto ciò vi sembra poco, irrilevante e inutile , tentare un nuovo “inizio” non solo per l’Irpinia con i suoi atavici e nuovi problemi e tabu e un piccolo segno anche per cominciare a definire nuove categorie mentali per una possibile agenda culturale e politica dell’intera ’intera comunità nazionale , anche nell’ultima proposta di una possibile partecipazione diretta e attiva nella politica nazionale si sono evidenziati i vecchi difetti miopi e rancorosi di una intellettualità marginale e autoreferenziale nella sua inutilità e marginalità.Sopraffatti da una sorta di masochismo che li gratifica nel flagellarsi e ad annoiarsi nelle lamentazioni poetiche e letterarie, un po’ snob e socialmente inutili e complementari ai poteri locali, democristiane e postdemocristiane ,o nei labirinti della maledizione ancestrale e atavica della sinistra locale e regionale all’ombra dei mutamenti antropologici dell’età berlusconiana…..e la morsa metastatizzata della malavita camorristica. Mauro Orlando