domenica 31 gennaio 2010

Elisir d'amore per ........i nostri "posti delle fragole"

......alla nostra età tra i tanti volgari rumori di fondo non solo della politica spettacolare e padronale che distraggono e offendono non solo la memoria ....ci restano i "nostri intimi e segreti posti delle fragole" con la loro forza di cose e persone vissute nei sogni a contrario....



Crediamo di conoscere la giovinezza e saper evitare la vecchiaia.....ma la maturità- la lunga e fugacissima età di mezzo, alla quale dovremmo affidare la parte migliore di noi- continua rimanerci incomprensibile e poco spendibile.
La maturità è un culmine.Qualcosa di gracile si colma e diventa perfetto: resta per qualche anno in questa condizione, prima di decadere lentamente, come se la maturità fosse una stasi tra una crescita e una decadenza.
La maturità può essere :la perdita di una incertezza, di un’illusione, di uno slancio,di un vagabbondaggio, di un dubbio.E' insieme una conquista e una rinuncia. Mentre lo sguardo apprende a vedere,l’intelligenza a cogliere il nucleo delle cose, il cuore a sopportare le cose tollerabili e intollerabili.E' il momento in cui anche "i sogni al contrario".... la nostalgia e la solitudine possono diventare un momento di vita autentica e profonda con il proprio "io" e una capacità di cura degli altri e delle cose naturali e artificiali nel loro giusto valore e fine e mai come mezzi......

sabato 30 gennaio 2010

Elisir d'amore per ......la "Fratta" di Grottaminarda


......La Fratta..... il borgo medioevale di Grottaminarda (av) a riddosso del recuperato Castello D'Aquino nelle memoria fotografica resta l'esempio dell'incuria nel tempo civile e della negligenza abitudinaria amministrativa nella consapevolezza che questi sentimenti non solo sono tardivi ed inutili ma che ci obbligano ad una rimessa in mora di una cultura meri...dionalista degna ma inappropriata per ridare o far riemergere dall'abbandono" la grande vita" dei "piccoli paesi "




1.

Scrivo sperando che le parole producano un’alterazione della loro stessa natura e si facciano lievito, carne, corpo, fiato che posso respirare insieme agli altri. Faccio questo parlando della paura della morte (niente di più privato, niente di più comune) e dell’agonia dei paesi. Parlo di questa terra-carne che continua a ferirmi, parlo di questo muro contro cui ogni giorno sbatto la testa.

Le strade, le piazze che attraverso sono camere ardenti. Raccolgo ormai da anni il lamento funebre sul paese che non c’è più. Sono il cronista di un funerale senza fine, perché la salma del paese non si può inumare. Anzi, assisto a varie operazioni di maquillage dell’abbandono, di restauro della cenere. Ogni giorno faccio l’autopsia dal vivo, come se vivere fosse solo un modo di esplorare la morte della vita.

2.

Per vivere in un paese devi dismettere ogni arroganza. Non importa se la nascondi o la fai fluire. L’arroganza si sente, agisce come un acido che corrode i tuoi legami con gli altri. Il paese è una creatura che ti chiede misericordia. Devi sentirti come un cane bastonato. Non devi sentirti uno che ha qualcosa da insegnare, uno che vuole cambiare la sua vita e quella degli altri. Il paese ti chiede di amare quello che sei e quello che il paese è. Non devi fare altro.
Sono infinitamente stupidi i cittadini che quando arrivano in un paese fanno sempre la solita domanda: ma qui di cosa si vive? È la domanda di chi pensa di essere in piedi, in sella al cavallo del mondo e di poter andare alla conquista di chissà che. Il paese, se accogli la sua lingua, ti dice che sei un cane, che devi dismettere l’arroganza di chi pensa di essere il padrone della terra.
Il paese è una creatura che sgretola qualunque narcisismo, per questo le vetrine sono sempre un po’ fuori posto (il paese è una creatura intimamente puberale e se gli metti il doppiopetto diventa ridicolo).
L’uomo che va in giro per i paesi, il paesologo, in realtà è un cane, ha il punto di vista del cane. La sua è una scrittura sgretolata, ha la postura accasciata di chi è stato colpito da un male fraternamente incurabile e non può che congedarsi dalla letteratura come prova titanica di un autore che pretende di spiegare il mondo.
Non ci si arrende solo rispetto all’idea di inseguire il mito dello sviluppo, ci si arrende all’idea di essere qualcosa o qualcuno. Per uscire dall’autismo corale ci vogliono posture nuove. È tempo di tornare a una fisiologia meno velleitaria, a un quieto vagabondare nel mondo che gira, nell’aria che non sta mai ferma, nella polvere in cui luccichiamo ad occhi aperti insieme al sole e alle stelle.

3.

La paesologia è una disciplina fondata sulla terra e sulla carne. Una forma d’attenzione fluttuante, in cui l’osservatore e l’oggetto dell’osservazione arrivano spesso a cambiare ruolo. Allora è la terra a indagare gli umori di chi la guarda.
Ci vuole un’idea di sé scucita dagli abitini classici e rassicuranti dell’ego cartesiano. Noi siamo materia esposta alle intemperie esattamente come un albero, come una casa cantoniera. Non siamo una fortezza da cui spiare l’infantile disastro del mondo.
Un amico architetto mi diceva che lui vorrebbe qualificarsi come paesologo. Mi diceva che l’ottica paesologica contiene in sé tutto quello che lui fa e non gli dà molto piacere definirsi architetto. È lo stesso motivo per cui non mi sento a mio agio a sentirmi definire scrittore o anche poeta. Mi sembrano parole che parlano di esperienze troppo diverse. Con la paesologia io me ne vado da un’altra parte, definisco un territorio fatto di volpi e di poiane, di lampioni rotti, di cani randagi, di gatti, di vecchi sulle panchine, di vecchine che girano per strada con una busta in mano. Questo territorio è la goccia di sangue sotto il vetrino. Ma non c’è bisogno di microscopio. La vista è dilatata dall’ansia, dal tremore di stare nel cratere del proprio corpo, un cratere che trema, trema da sempre.
La paesologia non è una nuova scienza umana, è una forma d’attenzione verso il fuori, attenzione intensa perché provvisoria, perché il paesologo parte dagli abissi del suo corpo e ci torna continuamente. Il suo guardare è un tentativo perenne di venire al mondo che pare non riesca mai a compiersi del tutto. Ma proprio qui si avverte la grazia, il vorticare confuso delle cose che stanno fuori, la distesa immensa delle creature deposte nel lieto inferno della terra tonda.
Per me oggi non ha senso essere scrittori, sociologi, architetti. Forse non ha senso neppure definirsi umani. Siamo chiamati ad ascoltare l’aria e l’aria ci dice che i nostri saperi sono chiodi di gesso a cui non possiamo appendere niente. La paesologia è una disciplina inerme, ma non arresa. Non partecipa alle marcette e alla marchette accademiche. Allinea dettagli, avanza, indietreggia, inciampa e forse è con questo inciampare che riesce a essere più dentro, più vicina alle cose.

Il paesologo non ha in programma la salvezza dei paesi, non tutela i campanili, i dialetti, le manfrine del rancore, la fregola delle confidenze e dello stare vicini. A volte combatte, s’indigna, chiede tutela per gli esseri e le cose che stanno in alto, lontane dai vaneggiamenti delle pianure, ma questo filo di ardore subito s’intreccia al filo della mestizia. Il paesologo va nei paesi a pescare lo sconforto e si ritrova tra le mani un poco di beatitudine: può essere uno scalino, una casa nuova o antica, può essere la visione di un castello o di un albero di noci, può essere una piazza vuota o un vicolo col ronzio di un televisore.

La paesologia non dà ricette per curare, ma si prende cura di guardare, di aggirarsi senza meta, di indugiare o anche di andare via alla svelta. Non ci sono regole, questionari da riempire, non c’è un formulario da approntare. Si esce per poche ore oltre la prigione domestica, oltre la prigione della propria professione, si va nei luoghi più nascosti e affranti e sempre si trova qualcosa, ci si riempie perché il mondo ha più senso dov’è più vuoto, il mondo è sopportabile solo nelle sue fessure, negli spazi trascurati, nei luoghi dove il rullo del consumare e del produrre ha trovato qualche sasso che non si lascia sbriciolare.
Non sarà sempre così. La paesologia è una scienza a tempo. Non poteva esistere cento anni fa e non potrà esistere fra cento anni. Fra un secolo i paesi avranno una piega più chiara, saranno morti o saranno vivi e vegeti e allora non avranno più questo crepuscolo che li rende così particolari. Si è aperta una piccola finestra e da questa finestra il paese ci fa vedere il delirio e la gloria di stare al mondo
Andate nei paesi allora, andate dove non c’è nessuno in giro. Abbiate cura di credere alla bellezza sprecata del paesaggio, portate il vostro fiato alle sperdute fontanelle del respiro.

4.

Ci sono giorni in cui sento che è impossibile scrivere versi. Non c’è musica nella testa, non c’è ritmo. Il respiro nasce da luoghi sparsi, la vita è un peso sullo stomaco, niente di più. In giorni come questi la scrittura prende necessariamente la via della prosa. Per lunghi anni ho conosciuto la fermentazione che trasforma la testa in una fabbrica di versi. Adesso sono sempre più frequenti le giornate in cui mi è possibile solo la prosa. Sono le giornate in cui vado nei paesi e mi affido a loro, uso i luoghi come pinze per tirare fuori le parole infilzate nel mio corpo. La paesologia non è una nuova disciplina, non è una scienza, è semplicemente la scrittura che viene dopo aver bagnato il corpo nella luce di un luogo. È una scrittura che viene da fuori e che passa dentro solo per tornare fuori.

La paesologia è il mio modo di non arrendermi all’universale sfiatamento degli esseri e delle cose. Una forma di resistenza dunque, morale e civile, una resistenza mestamente privata ma non per questo priva di una sua venatura politica. Al paesologo non bisogna chiedere cosa fare per impedire la morte dei paesi, ma come usare questa morte per dare un senso alla nostra, per renderla meno insignificante. Qui ormai non è in gioco la lietezza e neppure sorti magnifiche, in gioco è la capacità di dare un colore più vivo alla propria fine e a quella delle cose che ci circondano. In certi paesi le giornate sono fatte solo di epiloghi, ogni persona, ogni avvenimento sembra ruotare intorno alla dismissione, alla resa, al fallimento. Forse c’è un solo modo per non cadere nella disperazione: svolgere una serena obiezione all’esistente, immaginare che dai paesi più vuoti può venire uno sguardo che risana, perché quando si è in pochi nessun cuore è acqua piovana.

di franco arminio

giovedì 28 gennaio 2010

Elisir d'amore per .......un recupero "paesologico"


.....la "paesologia" èun nuovo modo di guardare,pensare e preservare le pesone,le cose naturali e artificiali che l'uomo ha lasciato sui nostri territori.Anche il recupero architettonico rientra nel suo spazio conoscitivo......Un esempio è il recupero di questo spazio spirituale irpino ....il Goleto





armin

Non godevo della fiducia dei miei genitori e quando sono uscito di casa non ho goduto della fiducia del mio paese, ovviamente. I miei amici non mi hanno curato come avrei voluto, né io mi sono preso cura di loro come avrebbero voluto. Accade così in un paese manicomio, accade che le amicizie sono luoghi di incuria. Mi ha fatto molto male questo perenne embargo emotivo verso la mia natura più vera. Piano piano mi ha disposto a ritirare nel profondo le mie parti molli e a esibire in superficie una sorta di fantoccio che poteva essere colpito a piacimento. Forse sono stato sfortunato, forse a un certo punto ho trovato conveniente questa situazione perché mi permetteva di scrivere. Uscivo e mi umiliavo, tornavo a casa e scrivevo.

Ho già raccontato questa storia, questa mia vita nel paese della cicuta, forse dovrei raccontare meglio quello che mi accade adesso coi nuovi amici. È ancora e sempre una guerra affidata alle parole. Tutta la mia vita è segnata dalle parole, quelle che scrivo, quelle che mi rivolgono le persone. I miei genitori mi ritenevano pazzo, per i miei amici ero un egocentrico e un narcisista. Siamo sempre nella sfera del patologico. Quando da noi la gente si aspetta il peggio, inevitabilmente è il peggio che riusciamo a dare. Canetti diceva che si tratta solo di capire per chi ci scambiano. Declinando in chiave paesologica questo pensiero si può dire che in paese l’equivoco avviene sempre al ribasso. E qui è il punto. Io sono un egocentrico strano, uno che tende ad attribuire agli altri un valore più grande di quello effettivo. Le mie relazioni con gli altri sono pertanto sempre inquinate da un senso di delusione e recriminazione. Ho passato la vita a recriminare, a pensare che gli altri non mi hanno mai raggiunto dove li aspettavo. Capita anche adesso quando esce un libro, quando pubblico un articolo in rete o su un giornale. Direi che questo mio ossessivo scrivere e parlare, che viene facilmente rubricato come una prova di egocentrismo, sia invece dovuto a una costante attesa dell’altro, a una perenne tensione a un’amicizia, a un amore più grande.

Anche il mio costante pensiero della morte non è la paura di non esserci, ma la paura di andarmene senza avere avuto risposte. Continuo a produrre domande o forse continuo a fare sempre la stessa domanda, pensando che ci sia qualcuno da qualche parte che possa ascoltarmi. La mia è una ribellione all’autismo corale, una ribellione al quieto vivere, al traccheggio, all’indugio. Mi piace la presa diretta, mi piace chi vaga per il mondo a viso scoperto. E invece è tutto un ballo in maschera. La società della comunicazione induce a smerciare parole a cui non si crede. Sono anni che vagheggio di murarmi in un silenzio impenetrabile, sono anni che vagheggio di sottrarmi ad ogni forma di commercio, ma ho bisogno di parole perfino per chiarirmi questo sentimento. Oggi anche il silenzio è colmo di parole. In principio fu il verbo e doveva servire a dare luce alle cose che portiamo dentro. Oggi il verbo è al principio e alla fine. Nasciamo e moriamo in un pulviscolo di parole, non c’è modo di uscirne. Siamo estenuati dal nostro stesso parlare e da chi ci parla. L’amicizia e l’inimicizia si nutrono delle stesse parole. La verità e la menzogna viaggiano con gli stessi aggettivi. L’altro è scomparso, ma siamo scomparsi pure noi, annegati in un mare di parole. Gli altri non avvistano noi ma le nostre parole. Noi non avvistiamo gli altri, ma le loro parole.

In effetti è il mondo che parla, è una fisarmonica squarciata che suona anche se non la tocca nessuno. Ed è un suono che confonde tutto. In questo frastuono è difficile capire cosa stiamo diventando, cosa vogliamo essere, cosa vogliamo dare. Io chiamo guerra una situazione del genere e ci sono morti e feriti, come in tutte le guerre. Ci sono generali, colonnelli e soldati semplici. Il fronte non è lontano, è dietro la nostra fronte, è nei neuroni intossicati della nostra coscienza.

Elisir d'amore per .........l'irpinia comunitaria e paesologica



Non più gattopardi, ma nemmeno sciacalli o iene….lupi semmai!


“Sul serio lei si rifiuta di fare il possibile per alleviare lo stato di povertà materiale e di cieca miseria morale in cui versa il suo popolo?”. “Siamo vecchi,Chevalier,sono almeno 25 secoli che portiamo sulle spalle il peso di magnifiche e eterogenee civiltà tutte venute da fuori.Nessuna fatta da noi.Nessuna che sia nata qui.Da 2500 anni non siamo nient’altro che una colonia. Oh non lo dico per lagnarmi.E’ colpa nostra .Siamo molto stanchi svuotati,spenti” Così il Principe di Lampedusa, in altra epoca e con altra storia, si aggrappava alle sue aristocratiche e ”orgogliose verità” piuttosto che che ascoltare la sua semplice e responsabile coscienza civile. Non è un periodo facile per un campano al Nord …..L’Irpinia nella smemorata ignoranza padana non è neanche una spocchiosa “espressione geografica”!Dopo i giorni della “monnezza” elettorale ……giorni inquieti e dolorosi per ogni meridionale, e per un campano in particolare,stimolato da saccenti neopolitologi ‘padani’ e turbati e infiacchiti intellettuali napoletani , avevo ripreso in mano “Il mare non bagna Napoli” di A.M.Olcese e sono stato coinvolto in un atavico e rimosso sentimento di “spaesamento”. Un vecchio stato d’animo di impotenza e di rabbia che mi poteva portare -come per la Olcese- ad una vera “nevrosi” con “un che di esaltato ,di febbrile, che tende ai toni alti , dà nell’allucinato”. Il secondo sentimento che mi aveva colpito impietosamente è un senso di colpa per una mia coltivata propensione alla fuga e al nomadismo snob non solo dallo spazio ma anche nel tempo: dallo spazio degradato campano per la moderna,illuminista e comoda Lombardia e dall’appagante e caldo “idealismo” crociano o gentiliano alla fredda “metafisica” della pragmatica e positivistica padania….. Come la Olcese mi ero rifugiato in un comodo e distaccato isolamento e “da molto ,moltissimo tempo, io detestavo con tutte le mie forze, senza quasi saperlo, la cosiddetta ‘realtà’: il meccanismo delle cose che sorgono nel tempo, e dal tempo sono distrutte. Questa realtà era per me incomprensibile e allucinante” Altro sentimento da aggiungere al “catalogo” era stato un fastidio leggero ma profondo e… lasciare o dimenticare ancora una volta Napoli. Infine un ‘ritorno” senza passione” e debilitato …”rivederla e compiangerla non bastava. Qualcuno aveva scritto che questa Napoli rifletteva una lacera condizione universale. Ero d’accordo, ma non sull’accettazione (implicita) di questo male. E se all’origine di tale lacera condizione, vi era appunto la infinita cecità del vivere, ebbene, era questo vivere , e la sua oscura sostanza, che io chiamavo in causa”. Ma tutto ciò non bastava. Come non bastava ripetere con narcisismo letterario con il Principe: “Un sonno ,un lungo sonno questo è quello che i siciliani (i napoletani) vogliono e odieranno sempre quelli che – a turno- vorranno svegliarci…” e non ci basta più ricordargli che “….I siciliani (i napoletani) non vorranno migliorare perché si considerano “perfetti”. La vanità è il loro miglior difetto”. E allora- fuori metafora e falsa coscienza letteraria – bisogna ancora una volta “gridare” la nostra possibile “nevrosi” e rifiutare il rifugio o l’elogio della “fuga” dalla realtà e da Napoli. E come la Olcese riconoscere che “Napoli era città sterminata,( e che) godeva di infinite risorse nella sua grazia naturale, nel suo vivere piena di radici”. E noi dobbiamo riprenderci Napoli sopratutto per riprendeci le nostre radici e farle germogliare rigogliose anche in territori lacerati e devastati da più profonde ferite civili e disastri ambientali che hanno infettato più subdolamente il cuore e la mente, padana o europea,in nome di una modernità senza anima e di uno sviluppo senza progresso o , peggio senza radici. Noi non saremmo e non “fummo i gattopardi ,i leoni” E “chi ci sostituirà (non) saranno gli sciacalli e le iene. E tutti quanti gattopardi,leoni ,sciacalli e iene (non) saranno (mai) il sale della terra”. E non vorremmo neanche che “da noi ogni manifetazione, anche la più violenta , è una spirazione all’oblio” ma un responsabile esercizio democratico di diritto di cittadinanza libera, consapevole ed attiva come scritto nella nostra Carta Costituzionale……..Poi il ritorno in Irpinia ,l’inadeguatezza delle consumate risposte meridionaliste, la Comunità provvisoria e il nuovo viaggio conoscitivo e teoretico della “paesologia” …….nuova storia e nuove storie!
Mauro Orlando

mercoledì 27 gennaio 2010

Elisir d'amore per .......la "paesologia"



.....ancora nel viaggio verso la "paesologia"


“La paesologia è l’illusione di trovare anime mute, anime sconvolte dal clamore di un attimo qualsiasi e non dagli spettacolini del tubo catodico o del pianeta google.”Quanto lavoro ancora bisogna fare soprattutto sulle nostre coscienze vittime e carnefici di una libertà in “una società di oppressi.La libertà positiva è la libertà come autonomia …..pimaditutto libertà “di”e “per”più difficile della praticata libertà “da” .Anche da tutte le nuove situazioni di sudditanza che tu così efficacemente descrivi.Io avvertivo da tempo le tue stesse preoccupate sensazioni riguardo il degrado o l’uso degradato che si fa delle parole.Anch’io ho dichiarato guerra ma ho scelto per me il classico campo di battaglia che meglio conosco:la mia turbata e esacerbata anima. Tu hai scelto un campo più vasto,ricco ma anche più insidioso.Io mentalmente avevo limitato il senso ermeneuitico della tua analisi a ciò che dinamicamente si sviluppa nel nostro Blog e nella intera Comunità provvisoria ( o almeno in quello che ognuno di noi pensa di essa).Ho notato spesso ….”guerre di parole”, la “pratica della maldicenza” ad uso interno ed autoreferenziale e del “vittimismo e lamenti “su bersagli prossimi senza fini degni. Ecco allora …. e ne sono convinto che bisogna darsi obiettivi limitati ma definiti …..per ora “La paesologia è in guerra con le parole, è in guerra con le astrazioni.” Concentriamoci sulla tua diagnosi…”Io so che la parola ormai è come infiammata, non è più il distillato verbale della carne, non è la meraviglia con cui possiamo dire il mondo, ma un’affezione, una sorta di tubercolosi elettronica che ci fa tossire nell’aria verbi inutili e aggettivi che non spiegano niente. È una malattia che cresce consumandosi, più parliamo e più la nostra mente diventa un luogo intossicato”.Ma noi che sentiamo l’urgenza liquida del pensiero e il richiamo solido di una realtà ‘effettuale’ abbiamo il dovere di soppesare e chiarire bene prima di tutto a noi stesso la necessità di una ‘terapia’ e il suo senso nel nostro territorio e con i nostri uomini con le loro storie non sempre libere ed encomiabili. Perchè a noi non basta “il mondo”(“astrazione”) perché abbiamo scelto per amore “una terra” come esercizio di pensiero,di azione e di vita che per ora chiamiamo “Comunità provvisoria” con diritto di interpretazione e di definizione.Paesi insomma “che sono rattrappiti o quelli che crescendosi si sono perduti” e “ forme di esistenza in cui qualcuno sappia dare un filo di beatitudine al proprio fallimento”.Oggi la “nottola di Minerva” ci avverte con il linguaggio allusivo della favola della Volpe e del Riccio….La volpe rappresenta quelli che perseguono molti fini spesso disgiunti e contraddittori…è comunque pluralista e libera.Il Riccio riferisce tutto ad una visione unica e centrale ,onnicomprensiva col rischio del fondamentalismo,del fanatismo e della chiusura. La volpe sa molte cose ma il Riccio ne sa una grande!Monismo o pluralismo …..questo è il problema. Il monismo crea problemi che il pluralismo comunque cerca di evitare……E’ meglio seguire le volpi …sapendo che mentono bene e diffidare sospettare del Riccio anche quando si veste e ammanta di democrazia e di tolleranza.Ma in fin dei conti il problema non ci riguarda ……..noi siamo “Lupi” e abbiamo ben altre e profonde qualità consapevoli di tutti i difetti che tu ben descrivi ed affronti nei tuoi scritti anche come avvertimento per la nostra vita personale e pubblica.I tuoi scritti non sono solo un dovere verso te stesso e autentico e “puro dstillato di carne” ma un obbligo affettuoso , amichevole e politico verso di noi..E non possiamo che ringraziartene comunque……di questa fantastica esperienza…..provvisoria!
mauro orlando

la guerra del fiato sprecato/2

seconda parte

franco arminio

Mi è capitato spesso di infilarmi in un vicolo di un paese sperduto alle sette di sera, mi è capitato spesso di vedere una vecchia che si muoveva in una stanza, di vedere un pezzo di pane e una mela sul tavolo, di sentire la televisione accesa. La televisione parla dove il paese ha perso le parole, è un rubinetto rotto che da cinquant’anni perde parole, ci ha riempito le teste e le case.

Il modello televisivo è presente ovunque, anche nei blog. Basta che due persone si mettono a litigare ed ecco che l’audience aumenta, sia della televisione, sia del blog. È la guerra delle parole. Ai maldicenti di paese che non trovano più gente in piazza da azzannare la televisione offre il surrogato delle maldicenze praticate da un po’ di gentaglia plastificata sui divani.

All’ora del pranzo domenicale la tv di stato offre agli italiani un programma di litigi. Alessandra Mussolini è molto più conosciuta di Andrea Zanzotto. Capita in ogni parte del mondo che la società dello spettacolo abbia scelto i suoi campioni, ma in Italia la dittatura del nulla sta diventando asfissiante. L’unico movimento sembra il litigio. La lotta di classe ci dicono che non ha più senso, non c’è spazio per veri conflitti, i dominati sono i migliori alleati dei dominanti, lo spazio per la verità è sempre più esiguo, ma le porte sono sempre spalancate quando qualcuno sparla di un altro, quando si tratta di agitare vittimismi e lamenti senza bersaglio. La cosa viene giustificata con la libertà. Il cosiddetto pensiero libero sta costruendo una società di oppressi. Non siamo oppressi dai galantuomini come una volta avveniva ai cafoni. Siamo oppressi dai nostri vicini, da chi finge di starci accanto.

Nel paese questa situazione è molto evidente. Un uomo di cinquant’anni che abbia un poco di sensibilità e cultura non ha molti luoghi da frequentare. I bar sono per lo più presidiati dagli alcolisti e dagli accidiosi. Le sezioni di partito sono alloggi per i ragni e aprono solo per la messinscena delle elezioni. I circoli sanno di muffa. La piazza è un parcheggio per le macchine. Il paese c’è, ma lo spazio esterno è abolito. Vivi in paese, ma sei costretto a stare a casa. E a casa se scarti la televisione ti resta il computer. Ci sono le mail, ci sono i blog, c’è face book. Ancora una volta sei davanti a rubinetti che perdono parole, un mare di parole in cui annega la vita delle persone, in cui le verità e le menzogne stanno sullo stesso piano: i cinici recitano la parte degli incantati e gli incantati non hanno di che incantarsi.

La paesologia è in guerra con le parole, è in guerra con le astrazioni. È quella che faccio girando da solo per i paesi, non è l’intervista, non è il commento che scrivo su un blog, non è la mail in cui mi lamento, non la frasetta che metto ogni tanto anch’io su face book. La paesologia viene quando penso alla morte in mezzo a una strada vuota, quando sto col vento in faccia, quando do un pezzo del mio panino a un cane.

La paesologia è l’illusione di trovare anime mute, anime sconvolte dal clamore di un attimo qualsiasi e non dagli spettacolini del tubo catodico o del pianeta google.

Io so che la parola ormai è come infiammata, non è più il distillato verbale della carne, non è la meraviglia con cui possiamo dire il mondo, ma un’affezione, una sorta di tubercolosi elettronica che ci fa tossire nell’aria verbi inutili e aggettivi che non spiegano niente. È una malattia che cresce consumandosi, più parliamo e più la nostra mente diventa un luogo intossicato. Con la paesologia provo a offrire, a offrirmi un rimedio. È la farmacia dell’andare fuori, lontano dagli schermi, è il passare sui marciapiedi dove non passa nessuno, è il sedersi dove non si siede nessuno. Il paesologo quando sta bene dialoga con le porte chiuse, coi gatti, con quelli che non sono al passo coi tempi.

Cerco i paesi che sono rattrappiti o quelli che crescendosi si sono perduti. Cerco sempre e comunque forme di esistenza in cui qualcuno sappia dare un filo di beatitudine al proprio fallimento.

Elisir d'amore per ......per un amore dolorante......



Ogni mattina il mio stelo vorrebbe levarsi nel vento
soffiato ebrietudine di vita,
ma qualcosa lo tiene a terra,
una lunga pesante catena d'angoscia
che non si dissolve.
Allora mi alzo dal letto
e cerco un riquadro di vento
e trovo uno scacco di sole
entro il quale poggio i piedi nudi.
Di questa grazia segreta
dopo non avrò memoria
perché anche la malattia ha un senso
una dismisura, un passo,
anche la malattia è matrice di vita.
Ecco, sto qui in ginocchio
aspettando che un angelo mi sfiori
leggermente con grazia,
e intanto accarezzo i miei piedi pallidi
con le dita vogliose di amore.
di alda merini

martedì 26 gennaio 2010

Elisir d'amore ......ancora per "la paesologia" e la comunità provvisoria


................in cammino con Franco Arminio per le antiche e impervie strade della "P A E S O L O G I A"


LA GUERRA DEL FIATO SPRECATO

questo testo forse sarà l’introduzione al prossimo libro paesologico............
armin
***
Ho vissuto mezzo secolo in un paese e ci vivrò per il resto della mia vita. Su questo non ho dubbi. E penso che resterò in mezzo alle alture di questo sud freddo e insolente.
Da qui adesso mi muovo spesso e guardo l’Italia, non solo i suoi paesi. L’Italia congiunta dai treni veloci mi pare un luogo sfiatato, senza la pressione della miseria, senza la pressione di voler cambiare le cose. Vivo in una nazione rassegnata e stanca, inerte, mossa solo da uno scontento sciatto e inconcludente.
Vivere in un paese non significa prendere una porzione minore di questo dividendo di miseria spirituale che la bancarotta morale dell’Italia impone. Vivere in un paese significa semplicemente stare su una giostra arrugginita, significa che il tuo cavalluccio devi spingertelo da solo, non c’è corrente.
La conosco bene la giostra dell’accidia, ne ho parlato fin troppo, ma ho sempre parlato dei miei luoghi. Adesso ho un po’ allungato il passo, ho un po’ allargato il giro. È sempre un andare per paesi, ma senza la museruola del panico, ci vado coi nervi meno accesi. Forse dipende dal fatto che mi sono affrancato dall’infiammazione della residenza, non esco la domenica mattina quando i rancorosi mettono l’abito della festa, non partecipo più al carnevale della maldicenza.
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mercoledì 20 gennaio 2010

Elisir d'amore per.......un dialogo immaginifico


...continua il dialogo immaginifico tra il clown "nanosecondo" e l'angelo "mercuzio"




L'onda Lunga.....
Ieri c'era un onda lunga. Il mare era stupendo. Un solo stanco in una luce meravigliosa si preparava per la notte ad accompagnare tutti i nostri sogni.I gabbiani facevano serf con saraghi ed alici. Io, in compagnia del mio angelo custode Mercuzio e della (sua) cherubina Edda ci siamo stesi sulle sdraio sul molo del porto di Acciaroli a goderci tutti insieme questo spettacolo infinito. Gocce di sorriso ogni tanto si infrangevano anche sul nostro viso, nel mentre l'onda lunga del mare era lì, che ci cullava.Un dolce tepore pervase i nostri corpi eterei. E, così ci siamo addormentati, seduti li ai confini del mondo. Io, ed Edda abbiamo visto Mercuzio che volava con i gabbiani divertendosi un mondo anche lui a giocare con i saraghi e le alici.Poi da lontano ho visto Caramella che giocava con i suoi bambini sulla spiaggia. E, quando mi ha visto arrivare con al mio filo attccato Mercurzio che come un aquilone faceva acrobazie sull'acqua del mare, mi ha detto: "bello quest'aquilone sembra un angelo che vola sull'acqua leggero. Sai Nanos non posso proprio venire a Squola di Clown perchè qui ho un sacco di impegni di mamma, anch'io devo costruire castelli di sabbia..."."Figurati!!!.........." - gli ho risposto io - "....questo è la migliore Squola che puoi frequentare adesso. I bambini ti mettono alla prova. E, sono tosti loro. Non hanno mezze misure, so anche un po bastardi. E' una buona squola per il tuo clown. Bisogna stare lì a "prendersi cura" ma allo stesso tempo disciplinano la serenità del nostro clown"."Sai Caramella..." - gli ho detto: "... i migliori laboratori di clown li ho fatti con i miei figli ed ultimamente anche con mio nipote di tre anni Antonio.. e poi c'era Mr Lapo lui mi ha insegnato un sacco di Magie Gentili anche lui aveva tre anni, ma era un pozzo di scienza immaginifica. Con Antonio poi è stato un corso specialissimo. Stavamo in spiaggia, proprio sulla riva del mare....dove finisce ... la terra; io, costruivo un castello di sabbia e lui me lo buttava giù, io lo ricostruivo e lui me lo buttava giù ..siamo andati avanti per più di un'ora così.....ma sai? E' proprio nell'inutilità del gioco che c'è la vera essenza del clown - il nostro bambino interiore - che si confronta con gli altri bambini.....e non hai idea di quante cose ti possono insegnare li devi solo saper ascoltare... "E' cosi ho svegliato Edda che nel frattempo stava sognava di diventare un fiore di giardino e per prendersi le misure giuste si era andata a farsi fotografare insieme ad un fiore. E, così gli ho chiesto: "Edda, ..visto che tu sei mamma esperta, e compagna, e moglie, e anche clown che ha grandi esperienza per aver cresciuto dei bellissimi figli, ed ora sei diventata esperta anche di nipotine e nipotini tutti specialissimi, ci puoi dare una mano a costruire questa comunità di clown ed un castello di sabbia colorata dei colori dei fiori e delle piume d'uccello di paradiso? Insomma vuoi diventare anche tu fondatrice di questa "Comunità di Clown Dottori... per prenderci insieme cura prima di noi stessi e poi di tutti i mali del mondo? "
Lei non se l'è fatto dire due volte. Mi ha sbaciucchiato tutto ....sotto lo sguardo un pò sornione di Mercuzio ...e mi ha chiesto ma che devo fare? "Niente di più di quello che già stai facendo" gli ho risposto io....: "Ecco, semmai qualche volta ti possiamo scocciare un pò e chiamarti per darci utili consigli per tutti i nostri figli, i nipoti, i bambini, i cugini, i fratelli, insomma "tutt'a razza nosta" per vivere meglio in questa nostra nuova comunità di clown dottori."Nuova razza o nuova specie di essere uomani? Boh! Mio padre che faceva l'autista di camion mi diceva sempre: "se c'è l'onda lunga non viaggiare sulla litoranea che il mare ti può prendere." Io questa volta però ho fatto il viaggio per la litoranea e sono arrivato fin qui e vedi che ho trovato (?).Ecco non mi sono perso ma se pure potremmo perderci nel deserto e oltre a perderci nel mare, ci potremmo perdere nel bosco, beh in questo caso, tu Edda insieme a Mercurzio - angelo onorario della nostra Comunità di Clown ... ci potete mettere in contatto sia con il padre che con la mamma e con tutti quelli che ci vogliono dare una mano. Insomma, Edda ci mettiamo in contatto anche i figli di tua figlia (tua nipote) che è un genio ed un pozzo di scienziamento, come tutti i bambini oggi sotto i dieci anni.Ad esempio se siamo preoccupati per nostra figlia o altri noi ti telefoniamo Edda e tu parli con tua nipote e ci fai dare le giuste diritte per come uscire ad esempio dal bosco o quant'altro. Insomma abbiamo un sacco di nuovi esperti e credo che ci potranno aiutare tutti in questo nostro viaggio.
Edda ha accettato di diventare anch'essa insieme a Goccia socia/o-fondatori della nostra comunità di clown.Lei mi ha detto: "ma io non sono clown, però?" ......Io gli ho risposto che per stare a fianco all'angelo Mercuzio deve essere per forza anche lei già clown.Ecco l'onda lunga è arrivata e si è infranta sulla barriera di scogli del porto. Ci ha bagnati un pò, ma porta fortuna.E, così ci siamo svegliati dal sogno mentre Mercuzio ci diceva con le ali infracidite dall'acqua di mare.....

"Vi ho lasciato teneramente e dolcemente dormire te e la Edda sgombrandovi la strada dai brutti e freddi pensieri e predisporvi per sogni colorati e leggeri come le nuvole di primavera e….tu clown-bambino hai voluto raccontarli a tutti e hai parlato anche di me di quello che potevi umanamente immaginare di me.
Tu non potevi vedere ad esempio il mio incontro sulle spiaggia di Acciaroli con un mio assistito da lungo tempo. Un ormai non più giovane poeta e cantautore che mi racconta spesso ha cantato di te, “donne cannone” e umanità varia di sognatori anche non pratici……di angeli che girano senza spada e un cuore pieno di ricordi e fantasie. Di clowns con nella faccia un principio di tristezza a consolare le prime rughe dell’anima e di altre indaffarate tra sogno, piatti da lavare, camice da stirare e figli da custodire….
Mi ha detto che ti aveva appena lasciato libero nel sogno e che ti aveva visto leggero e libero volare in un quadro dell’angelo che si fa chiamare Chagal mentre cercavi di allontanare le nuvole nere lanciando nell’aria sorrisi di aquiloni colorati e …ballare come una baccante invasata dal dio Dioniso a gara con gabbiani e con saraghi e alici volanti sulle onde del mare anche tu ci hai giocato non solo io....
Ti teneva d’occhio e d’orecchio mentre ti distraevi attirato dal canto amoroso delle sirene e dalle parole fangose delle girine…..e parlavi infervorato del sogno, dei colori ,della luce del sole e del mare…..
Mi ha raccontato di te ….uomo di passaggio che insiste a volare alto nel cielo nuvoloso e nero di Napoli in cerca della tua Partenope del cuore, geloso della tua libera e dolce curiosità, incurante del tempo che passa disegnando spirali con io trasformato in un tuo aquilone, proprio come il volo dei gabbiani senza compassi e squadre per ritornare eterno come le rondini a fuggire i freddi dei gelidi inverni degli uomini e dell’anima......per farci la sua quadratura....e raggiungere il paradiso(!?)...
Mi ha raccontato quanta fatica ha fatto a insegnarti a ridere e non solo sorridere (di te) come sanno fare gli uomini oggi ma sopratutto a non piangere come sanno fare solo gli angeli....
Ti ha consigliato di preservare gli occhi dalle fuliggini e le orecchie dai rumori e dagli inciampi di una ragione troppo possessiva ,prescrittiva ed autoritaria. Vi volavamo intorno leggeri ,silenziosi ed invisibili con alle spalle un tiepido tramonto napoletano accompagnato dai zeffiri sereni. Nel frattempo ci ha raggiunto per vie traverse e opposte un bel gruppetto di personaggi ben assortiti e impegnati in discorsi oscuri ma leggeri: due vecchi proto-filosofi Parmenide e Zenone e un giovane poeta-cantore siciliano in perenne ricerca di un centro di gravità permanente …
Anche lui stufo di stare in una trincea di lusso a Lentini o ad Velia, la vecchia Elea a costruire o archi rosa o scuole di pensiero da espandere in tutto il mondo greco occidentale e a curare lo sviluppo delle scienze mediche e matematiche.....
I due vecchi sapienti accalorati raccontavano al giovane e attento ascoltatore di come a fatica dotarono la città di “buone leggi” grazie alle quali gli Eleati riuscirono a contrastare gli attacchi della vicina e turistica Poseidonia (Paestum)….
E, dicevano di venire direttamente dal nostro padrone e signore con il compito pedagogico di contaminare i tuoi sogni perché si dimenavano come anime malnate tra fredde leggi,codicilli,statuti e che stavi rischiando molto in leggerezza ,rapidità,esattezza ,visibilità e molteplicità che pure un altro angelo ti avevano da molto tempo raccomandate come statuto dell’anima per il nuovo millennio che avete appena cominciato..
E, mi hanno detto di prendersi (sopratutto) “cura" di te ....
Di insegnarti a proteggerti dalle paure dell’ipocondria e dalle tristezze della solitudine..dai turbamenti che incontrerai per la tua via, dalle ingiustizie, dagli inganni e dai poteri, dai fallimenti che per tua natura attirerai, dai dolori a dagli sbalzi di umore e di amore, dalle incomprensioni delle umane malie, dalle ossessioni e dalle umane manie, dalle dolci e insidiose malinconie, dalla voglia e abbaglio di superare con il pensiero le correnti gravitazionali e le maree del cuore, ad ascoltare il racconto di un altro angelo di nome Renatino che vi spiega la quadratura del cerchio nei “cerchi caldi” delle passioni addomesticate e dei sentimenti freddi, umani troppo umani, di volare sopra gli spazi e la luce che non fanno invecchiare, a guarire tutte le malattie come esseri speciali con la semplice e difficile “cura di sé”.
Mi dicevano che volevano addirittura insegnarti col pensiero ad esser più leggero e veloce delle aquile e nel frattempo volevi prendere lezioni da Jhonatan, un gabbiano super veloce, per attraversare il mare e saper ritornare come le rondini, nel silenzio e la pazienza per percorrere con gli uomini le vie che portano all’Essenza, dove i profumi d’amore inebriano le menti, i cuori ed i corpi per affrontare anche le bonacce d’agosto e gli zeffiri ruffiani che pretendono di saper calmare e frenare i sensi....il paradiso?
Certo i gabbiani sono gli unici che ti insegneranno a conoscere le leggi del mondo, a rispettare gli “archè” naturali …acqua, terra, aria e fuoco …che fanno il mondo in un indicibile gioco di luci riflesse e…le trame del canto e della poesia, e i passi armoniosi di danza in volo……insomma ad essere uomo tra gli uomini e basta……. Mentre tra di noi parlavamo di tutto questo un po’ animatamente ….. vi siete svegliati e vi abbiamo visto e sentito parlare di macchina, di tempo ,di cena e viaggio di ritorno in compagnia ed un certo umano Mauro che tra di voi si spaccia per essere un angelo e si fa chiamare ….Mercuzio…….a griato ....: "
ahooooo...."ma vi siete addormentati,....incantati dallo specchio del mare?" - grido loro l'angelo Mercuzio.....E, così siamo volati via tutti insieme nel castello di Edda, mentre una goccia di mare ci regalava il suo sorriso ed il filo del mio aquilone si era incastrato tra gli scaffali di una biblioteca dove un sacco di libroni parlavano tra loro di antiche storie dell'animo umano e lo stesso Mauro aveva sognato di diventare il loro custode.
(Dialogo immaginifico tra il Clown Nanosecondo, la Cherubina Edda, l'angelo Mercuzio, Mauro Orlando e la Clown Caramella)

Elisir d'amore per .....la "paesologia" e la "lirica" della Bellezza.

Una lettura "paesologica" e una "lirica" delle bellezza edi Venezia .....
mi stimola un’impellenza tutta ‘irpina’ di “esercizi di esodo” non per approdare a forme di afasia politica o a semplici racconti estetizzanti ,ma per ripensare seriamente la distizione filosofica tra “i luoghi comuni ” e “i luoghi speciali” non solo nei discorsi e la portata etica del “futuro anteriore”.Sarà l’età che avanza ma io sento sempre più la necessità di un pensiero critico che possa contare su una idea di “tradizione” tutt’altro che estenuata o residuale.La tradizione di cui parlo non può essere maldetramente e incautamente contrapposta in modo manicheo e ideologico al una modernità senza progresso. E’ quello sia Vecchioni che Arminio cantano e raccontano in modo sempre chiaro e diretto…..”La verità delle cose è nella letizia e nella lotta per dare luce alle capitali dello sconforto, ai luoghi dismessi, agli spiriti sconvolti, più che allinearsi alla gigantesca impresa di pompe funebri a cui si riduce la civiltà degli adusi al consumo e all’autoconsumo, irretiti dal miraggio di salvarsi ognuno per sé (e in questo sforzo non ci lasciano sogni, compassione ed alcunché)”.Io mi aggrappo alle eredità avendo verificato nel cosro della vita attiva e pensante che ” Notre hèritage n’è precedè d’aucun testament”. Non ci sono notai coscenziosi….forse qualche poeta….. che ce la notificheranno con un atto formale.E’ dispersa, frammista a ogni sorta di materiali spuri ,antinomici e contraddittoriche vengono non solo dai riti,miti del passato ma anche da quelli del futuro tecnologico senza anima. La poesia e solo la poesia può oggi insegnare a porci di fronte a questa cassaforte di cose e di persone con occhio ed orecchio originale raccontandoci la combinazione per aprirla…..certo a volte ci consiglia anche di scassinarla ma il più delle volte ci incita con dolcezza a curare gli occhhi,le orecchie e sopratutto lo spirito della compassione,del sogno ,del cuore.
Rispettare una tradizione non è darsi delle arie….è un gesto di modestia. Certo una tradizione situa e ,perciò stesso, circoscrive e condizione ma non chiude.Orienta la vista e le orecchie per selezionare domande mai da “ultimo grido di dolore che arriva da tante parti….” cercando con modestia e intransigenza solo di indicare una direzione lungo la quale vale la pena di esprsi e massimamente rischiare. Questa è la mia Comunità provvisoria è questa è la “paesologia” o la "lirica" che ho sentito nei racconti di Grottaminarada e nelle canzone di Roberto. Mi preme oggi curare un pensiero nè interstiziale,retorico nè rancoroso ma capace di un “oltrepassamento” non condizionato dalle sirene di un postmodrnismo acritico senza……gratitudine e ,peggio, …..devozione ad idee e persone.Le idee come le persone si rispettano confutandole e cambandole non cotruendogli altari o cattedrali.

mauro orlando




L’altro ieri camminavo per Venezia. La città era un fuoco morto, a parte la scintilla ferma del commercio. Dalla stazione a San Marco, in tanti fanno questa via aspettando che la spenta meraviglia si ravvivi. Intanto è tutto un negozietto da cui entrare e uscire fino a quando la piazza ti accoglie come una camera ardente dove i piccioni beccano la carne del turista nel suo inutile vagare in questo tempo maciullato.Io mi chiedevo mentre camminavo se è ancora qui che si deve venire oppure c’è da andare altrove. Penso a Mastralessio, alla prua della desolazione conficcata tra le zolle della Daunia, penso al luogo indenne dalla peste degli sguardi fatui, luogo edificato da chi vive altrove e ha lasciato a sentinelle i vecchi, gli zoppi, i cani. Non so spiegare come sia lì la mia Venezia, come ogni città sia sprofondata, sciolta nel niente del suo voler sembrare attiva, divertente. I luoghi di cui scrivo non hanno ragioni né torti, sono come una refurtiva abbandonata, un referto sintetico della vasta malattia allegata alla terra tonda. Allora io non giro per svagarmi e forse neppure per vedere. Quello che faccio è leggere la carne non morsa dai cannibali, la terra scampata alla tabula rasa del progresso che rende in apparenza Mastralessio scorza o guscio vuoto. La verità delle cose è nella letizia e nella lotta per dare luce alle capitali dello sconforto, ai luoghi dismessi, agli spiriti sconvolti, più che allinearsi alla gigantesca impresa di pompe funebri a cui si riduce la civiltà degli adusi al consumo e all’autoconsumo, irretiti dal miraggio di salvarsi ognuno per sé (e in questo sforzo non ci lasciano sogni, compassione ed alcunché).

franco arminio, dal paese della cicuta, 19-01-2010

sabato 16 gennaio 2010

Elisir d'amore per ......"le visioni di un paese".

VISIONE DI PAESE IN PAESE........
GIOVEDI’ 21 GENNAIO ALLE ORE 19 al TRIP di Napoli,sito in Via Martucci N° 69, La Stagione della Fotografia apre le porte alla Comunità Provvisoria con una mostra di fotografia di Salvatore di Vilio e Federico Iadarola La serata prevede una presentazione dell’ultimo libro di Franco Arminio: “Nevica e ho le prove” Ed. Laterza.” ad opera dell’autore e di Francesco Durante. Sarà presente una delegazione della Comunità Provvisoria.






Dai pensieri di Franco Arminio alle sue fotografie ed a quelle di Federico Iadarola e Salvatore Di Vilio Esperienze visive della Comunità provvisoria A cura di Federica Cerami

Quando le parole riescono ad essere molto evocative avviene una magia; ad occhi aperti ogni parola si trasforma in immagine ed all’improvviso ci ritroviamo tutti dentro ai racconti che stiamo leggendo. Credo che questo evento magico sia accaduto a tutti i lettori degli scritti di Franco Arminio. Non lasciamocele scappare queste occasioni: guardare con gli occhi di un altro che poi diventano i nostri è un esercizio utile ad affinare la nostra sensibilità. Leggere le parole e ascoltare i suoni di chi te le legge e poi lentamente guardare, con i nostri occhi di dentro, gli occhi di un nostro io spesso trascurato, le immagini che piano piano vengono fuori: ecco è questo il percorso da compiere. Mi ritorna in mente una frase di Mimmo Jodice: “Le fotografie più belle spesso le ho fatte solo con gli occhi”. Osserviamo allora il mondo con occhi liberi ed impariamo da quanto abbiamo visto tenendo sempre a mente quanto ci ha colpiti. Sono per la lentezza di uno sguardo che solo con tempi lunghi può lasciare filtrare la bellezza da tutto ciò che ha davanti a se. Per essere noi stessi, senza inutili barriere e preconcetti c’è solo la lentezza, che ci garantisce tutto il tempo necessario per interrogarci e capire cosa stiamo provando rispetto a quanto ci viene mostrato, una lentezza che ci permette di fotografare mentalmente il nostro pensiero e di tradurlo in immagini utili per trasmettere un messaggio. “La comunità provvisoria” è un gruppo assolutamente eterogeneo che nasce da un invito di Franco Arminio a produrre bellezza o a tutelare la bellezza esistente nel territorio Irpino, inteso come opera d’arte. Nella comunità si lavora sui temi della paesologia, una scienza nuove che affonda, in questa nuova esperienza, le sue radici. “La paesologia si occupa di guardare, di aggirarsi senza meta, di indugiare o anche di andare via alla svelta. Si esce, si esce per poche ore e sempre si trova qualcosa, ci si riempie perché il mondo ha senso solo dov’è più vuoto, il mondo è sopportabile solo nelle sue fessure, negli spazi trascurati, nei luoghi dove il rullo del consumare e del produrre ha trovato qualche sasso che non si lascia sbriciolare. La paesologia è una scienza a tempo. Fra un secolo i paesi avranno una piega più chiara, saranno morti o saranno vivi e vegeti e allora non avranno più questo crepuscolo che li rende così particolari. Abbiate cura di credere alla bellezza sprecata del paesaggio, portate il vostro fiato alle sperdute fontanelle del respiro”. Dopo aver sentito tutto quello che c’era da sentire di questa storia, dopo aver immaginato tutto quello che questa storia ha provato a raccontarci passiamo i nostri occhi sulle tre sequenze di immagini presenti in questo lavoro e lasciamoci trasportare dai pensieri; non meravigliatevi se vi potrà capitare di sentivi fuori posto, troppo legati ad una idea di paesaggio metropolitano congestionato ed asfittico che mal si coniuga con i silenzi ed i vuoti presenti in questo racconto visivo. Non c’è nessuna smania in queste immagini di coprire i vuoti o di cancellare i silenzi presenti nei paesaggi: Franco, Federico e Salvatore hanno camminato a lungo in queste terre che ben conoscono e con una evidente consapevolezza della poesia e che li circonda spesso anche con lo strumento dell’ironia hanno contestualmente raccontato a tutti anche la loro bellezza interiore. Siamo tutti figli della stessa terra ma, vivendo distrattamente, spesso lo dimentichiamo. Ricominciamo daccapo.

venerdì 15 gennaio 2010

Elisir d'amore per ........le vittime inconsapevoli di tutti i "terremoti"


......per tutti i "terremotati" nei corpi, nelle cose e...... nell'anime.

l’inferno esiste

e gira per il mondo.

adesso è fermo ad haiti

dove è già stato molte volte.

scavate pure, non troverete niente

in quel che avete sotto.

dove non c’è l’inferno

il mondo è morto.

franco arminio



Tutti i sentimenti sono apprezzabili come stile di vita e di pensiero personale ma la nostra vita sociale e storicamente determinata ci obbliga a ben altre considerazioni che non possono essere ingabbiate nella forbice cinismo-compassione.Alla ‘compassione’ preferisco il’dono’: chi dona ha quel ri tegnno umile e forte che manca a chi compatisce e a chi silascia compatire.Così infatti in modo radicale e ingeneroso dice Zarathustra: ” davvero non li sopporto i misericordiosi che sono beati nella loro compassione…” rilevando in modo paradossale ma significativo una possibile duplice indecenza del sentimento di compassione: chi la provoca anche se non per sua scelta rischia di mancare di dignità e di pudorenei confronti delproprio dolore, chi la elargisce con ostentazione e ipocrisia manaca di rispetto vero e continuato del dolore degli altri.I paradossi sono forme di esagerazioni logiche ma spesso nella realta delle cose ci azzeccano e ci aiutano. Resta impressa nella mia memoria la grande dignità e compostezza nel dolore nelle facce e negli occhi dei contadini poveri ed abbandonati nelle camapagne di Lioni o S.Angelo dopo il terremoto e le facce dei miei concittadini che già anticipavano nelle loro maschere servili e ciniche che si predisponevano nella tragedia alla allettante farsa della ‘ricostruzione’.
amuro orlando

"Se questa è (era) la vita, mi chiedo se sia poi tanto peggio la morte. Ma soprattutto mi chiedo perché la loro morte mi sconvolga tanto, mentre della loro vita non mi è mai importato un granché. So bene che non possiamo dilaniarci per tutto il dolore del mondo e che persino i santi sono costretti a selezionare i loro slanci di compassione. Eppure non posso fare a meno di riflettere sull'incongruenza di una situazione che - complice la potenza evocativa delle immagini - mi induce a piangere per un bambino sepolto sotto i detriti, senza pensare che si tratta dello stesso bambino affamato che aveva trascorso le ultime settimane a morire a rate su quella stessa strada. Così mi viene il sospetto che a straziarmi il cuore non sia la sofferenza degli haitiani, che esisteva già prima, ma il timore che una catastrofe del genere possa un giorno colpire anche qui. Non la solidarietà rispetto alle condizioni allucinanti del loro vivere, ma la paura che possa toccare anche a me il loro morire".
Massimo Gramellini

lunedì 11 gennaio 2010

Elisir d'amore per .......la "cura" verso la "paesologia"

La "cura" che Battiato dedica al rapporto amoroso è della stessa intensità e importanza di quella che noi dobbiamo coltivare nell nostro sentimento e passione "paesologica" come Franco ci suggerisce poeticamente.......” Per vivere in un paese - scrive Franco Arminio - devi dismettere ogni arroganza. Non importa se la...... nascondi o la fai fluire. L’arroganza si sente, agisce come un acido che corrode i tuoi legami con gli altri. Il paese è una creatura che ti chiede misericordia. Devi sentirti come un cane bastonato. Non devi sentirti uno che ha qualcosa da insegnare, uno che vuole cambiare la sua vita e quella degli altri. Il paese ti chiede di amare quello che sei e quello che il paese è. Non devi fare altro”.

.......Per questo nuovo viaggio dell”io” e per l”io” occorre precisare il significato della “cura”. In Heidegger la ricerca del senso dell’essere in accezione esistenziale lo conduce a trovare un originale tema speculativo: la Cura (Sorge). L'antica parola latina cura indica due termini apparentemente lontanissimi, come angoscia e protezione; “cura” potrebbe essere reso nella nostra lingua anche con l’espressione pre-occupazione, che indica appunto sia l’atto del preoccuparsi, del prendersi cura, che una situazione preoccupante, carica di inquietanti interrogativi. La cura (Sorge) indica quel fenomeno esistenziale che Heidegger definisce anche Besorgen, “prendersi-cura”. Ci si prende cura non solo di un esser-ci, di una singola esistenza, ma in generale dei diversi enti intramondani, cioè le varie cose che incontriamo nel commercio-ambientale con il mondo in cui già ci troviamo. Pre-occupandoci per ‘paura’ della cosa che ci viene incontro, per Heidegger noi sperimentiamo una sorta di apprensione indeterminata, dalla quale non possiamo sottrarci. Non si capisce però perché il rapporto con gli enti ,uomini e cose, dovrebbe causare apprensione o timore, mentre in realtà l’insicurezza impedisce di fatto qualsiasi rapporto di conoscenza. Privilegiare la “cura” rispetto ad altre situazioni emotive segnala di una concezione dell’esistenza che rivela con chiarezza l’assenza di risposte reali all’esigenza spirituale dell’uomo, descritto dal primo Heidegger come preda dell’angoscia, e in qualche modo ostaggio delle sue paure, che non lo abbandonano mai. Il “nichilismo” regressivo,estetizzante e freddo contrapposto ad un “nihilismo” propulsivo,caldo e critico (dalla relazione all'incontro di Grottaminarda sulla "paesologia")
mauro orlando

domenica 10 gennaio 2010

Elisir d'amore per ........"i piccoli paesi....grande vita"

...... La costruzione libera di case in proprietà procede dall’apertura o dalla chiusura (dentro-fuori) che è l’altro nome della proprietà impropria e della propria improprietà. Su queste basi e su queste categorie mentali si edifica la città del tempo, la città della gioia,del dolore, la città del paradiso-inferno ,la città dentro-sicurezza, fuori-paura. La città dei mortali è perseguita dai mortali stessi, cha assomigliano la loro vita alla necessità di un suo rifugio provvisorio nella caverna.Ma nella caverna ha fiorito anche l’albero della mente esercitata a comunicare con 'segni' iconografici, a proseguire nella costruzione del logos-parola ,degli "eidoi" idee,della immaginazione,della fantasia e del sogno, o semplicemente della conoscenza del bene e del male,del giusto o ingiusto,del vero e del finto,del superficiale e del profondo,della luce e dell'ombra, della "doxa"(opinione) e della "eletheia" (verità).Nella caverna è nata la necsssità per l'uomo dell'occasum (tramonto)della possibilità di liberazione dalle ....catene e della necessità (ananke)di intraprendere il viaggio esistenziale,complesso e difficile per potere ritornare a "rivedere le stelle e .....gli uomini liberi e mortali per costruire "comunità-polis" senza alibi o invenzioni metafisiche o confusioni e aspettative immortali ma per praticare convivenza e rapporti.L’essere per la morte è fiducia nell’uomo, visione della morte, ovvero assenza di fede e fiducia e snellimento e alleggerimento della "ragione" che ci educa a vivere e conoscere il territorio che ci ha generato e che abbiamo in custodia e in uso. . Nella speranza che vede e prevede e che ha la testa rivolta al passato, come l’angelo di Klee, ma per poter continuare a vivere e costruire futuro. E il passato è perduto altrimenti e può farti morire vivendo prima del tempo e la scadenza naturale. “Non c’è paradiso che non sia perduto” . Appunto, abitare la terra , ovvero l’inferno ,il purgatorio o il paradiso è una nostra predisposizione o occasione mentale .Perciò la "terra" è sopratutto "il piccolo paese" ,da preservare ma anche da ricostruire come un "dopoterremoto perenne" ,inteso come spazio fisico limitato ma aperto a una tua possibile "grande vita" che è conoscitiva, poetica, professionale purchè pensata e vissuto al "meglio" della sua possibilità.




Intervista A Franco Arminio su "Ottopagine"....... dopo Grottaminarda.....



Mi pare che per te questo sia un periodo particolarmente attivo. Si è appena svolto a Grottaminarda il primo Seminario nazionale di Paesologia. Com’è andato?

Non spetta a me dirlo. Bisognerebbe chiederlo alle molte persone che hanno parlato e a quelle, ugualmente numerose, che sono venute solo per ascoltare. Penso che bisognerà aspettare i prossimi giorni e i prossimi mesi per vedere che frutti ci saranno. Di sicuro ripeteremo questa esperienza ogni anno. È un necessario approfondimento teorico per il gruppo della Comunità Provvisoria. Facciamo tante cose, ma la principale è sicuramente Cairano7x. Abbiamo cominciato benissimo l’anno scorso, adesso si tratta solo di proseguire.

Ci puoi già dire come sarà la prossima edizione?

Abbiamo deciso di selezionare ancora di più gli ospiti e gli eventi, vogliamo che i giorni di Cairano siano all’insegna di uno scambio fattivo e reale tra tutti coloro che saranno con noi. Ognuno degli ospiti potrà vivere il paese e lasciare in esso una traccia tangibile della sua presenza. Comunque il protagonista più grande sarà sempre Cairano, la sua rupe, le sue grotte, il suo vento.



E’ un periodo di grande fervore per te, come riesci a conciliare tutto?

Il tempo si trova, quando si vuole. E poi bisogna fare delle rinunce. Per fare il paesologo non bisogna pensare al portafogli. Ma sono contento così. Sto incontrando, in Irpinia e fuori, tante belle realtà, è questo il mio stipendio, il fatto di trovare persone che ancora credono in qualcuno, in qualcosa. Devo anche dire che mi occupo molto meno del mio paese. E non mi era mai capitato. Quando sto a Bisaccia praticamente non esco. Resto a casa a scrivere e a studiare

E il Formicoso?Pericolo sventato?

Per ora pare di si. Quella è una faccenda su cui ho speso tante energie e se il pericolo dovesse ripresentarsi non mi farò certo pregare. Posso dire di essere uno dei pochi utenti del Formicoso. Ci vado appena posso. Adesso lì si stanno svolgendo i lavori per una grossa centrale elettrica, spero che tutto sia sotto controllo. Quando si sbanca la terra in luoghi così isolati può esserci sempre qualche tentazione criminosa.

Come giudichi la politica nella nostra provincia?

È un’altra delle cose di cui ho deciso di non occuparmi. Il Partito Radicale mi ha chiesto di candidarmi alle Regionali e forse me lo chiederanno altri partiti. Penso che non accetterò, in questo momento mi interessano di più il furore e la passione che vedo nelle persone che mi stanno intorno e che credono insieme a me nella paesologia. E’ un modo diverso di fare politica, un’azione più profonda, tesa a cambiare l’ethos della nostra terra.

Del PD cosa pensi?

Penso che candidarmi con questo partito al Senato sia stato un errore. Rispetto alcune persone che vi militano, ma nel complesso mi pare una creatura sterile, capace solo di accapigliarsi per definire e ridefinire continuamente gruppi dirigenti che in realtà non dirigono un bel niente.

E la tua attività letteraria?

È singolare che mi venga fatta questa domanda dopo quella sulla politica. Io in effetti non ho fatto altro che scrivere. Sono più di trent’anni che lavoro a testa bassa. Negli ultimi anni sono arrivate molte soddisfazioni, ma, per chi scrive, non conta mai quello che hai fatto, sei sempre proiettato in quello che stai facendo o che vorresti fare.

Nei prossimi giorni invierò le mie “Cartoline dai morti”. Si tratta di un libretto che uscirà in primavera per Nottetempo, un editore piccolo ma molto prestigioso. Intanto sto lavorando al mio nuovo libro paesologico. Dovrebbe uscire all’inizio del 2011. Poi ci sono tante altre iniziative. Da un po’ di tempo alla scrittura affianco l’attività di documentarista. Girerò un documentario sul paesaggio irpino e continuerò i miei giri paesologici per l’Italia. Andrò a parlare, oltre che dei miei libri, anche del film che Andrea D’Ambrosio, il regista di “Biutiful country”, ha girato su di me. S’intitola “Di mestiere faccio il paesologo”.

Tutto questo attivismo sorprende in una persona che spesso viene accusata di pessimismo, non credi?

Il mio è un dolore che combatte. Vivere in Irpinia addolora e poi c’è il sottofondo mai estinto della cultura contadina che da queste parti è stata sempre una cultura un po’ cupa. Certo per loro i pericoli erano tanti, bastava che morisse un maiale e l’annata diventava un disastro. Adesso spesso si soffre per le emozioni che non arrivano. Siamo circondati da un’umanità che vive per proteggersi dalla vita più che tuffarsi in essa. E non credo che astenersi dalla vita sia la cura per guarire dal pessimismo.

È l’umanità che descrivi nei tuoi libri? Possibile che ci sia solo questa gente in giro?

Mi è capitato di scrivere che i buoni ci sono ancora, ma sono attori non protagonisti. Io sto cercando di raccogliere le persone che stimo, sto cercando di farle interagire. La Comunità Provvisoria esiste ormai da due anni, ed è più viva che mai. Il seminario di ieri è stato la traccia di un solco che può fondare un’altra Irpinia, meno vittimista e più immaginativa, meno legata ai divi della politica e più propensa a tirare fuori i propri talenti.

Mi pare di intravedere un Arminio nuovo, o almeno diverso, in queste parole…

Non so, io sono uno che oscilla, ho grandi ardori civili, ma anche grandi mestizie. L’unica cosa certa è che qui non mi sento solo come in passato. Ho trovato interlocutori importanti. Posso lavorare con piacere con un fotografo irpino e con uno di Berlino, posso frequentare gli anziani di Andretta e i docenti del Politecnico di Milano. Mi pare un buon modo di abitare questa terra. Nei paesi c’è più intensità che nelle città, l’importante è non vivere la provincia come una prigione. L’importante è andare e venire. Avere relazioni qui e altrove.



Basta questo per stare bene?

No, è chiaro che non basta. Ci vuole una dedizione profonda ai luoghi e alle creature che li abitano. E bisogna pensare di appartenere a una specie, quella umana, che ha creato molti guai al pianeta e se non cambia radicalmente atteggiamento nel giro di breve tempo farà danni irreversibili. Mi piace perfezionare la mia voce di scrittore, mi piace riuscire a dire sempre meglio le cose che voglio dire, considero comunque che l’essere vale più del dire. Una giornata come quella di ieri a Grottaminarda vale assai più di un premio Strega. Oltre le attività specifiche di ognuno, è fondamentale trovare una nuova spinta collettiva, ideale e sentimentale, per far fronte al coma morale in cui pare caduto tutto l’occidente. C’è da inventare un nuovo umanesimo e forse nelle montagne questa invenzione è più facile. Bisogna esporsi, essere coraggiosi e anche un po’ folli. È il momento di osare, di scatenare l’immaginazione. Quest’epoca ha tanti difetti, ma almeno ti chiama a inventarti la giornata senza passare in piste predefinite. La strada è lunga, l’importante è partire da se stessi, proteggere le proprie verità, non partecipare alla quotidiana pagliacciata delle finzioni a cui ci ha abituato la società dello spettacolo.

Elisir d'amore per .....il giorno dopo il "sabato paesologico"

L'incontro di grottaminarda sulla paesologia è stato come nelle attese bellissimo,libero come tutte le persone,i volti,i cuori,le menti che erano peresenti vivi e leggeri.
Una esperienza emozionale e mentale che resterà a lungo "nei nostri cuori esuli a conforto........

alcune considerazioni poetiche e insonni di Franco......dopo :



tutto questo mio scrivere a oltranza
tutto un puntare il mondo con il fucile
delle parole
per frantumarlo con l’ampia rosa degli aggettivi
per tenere a mente i vivi ai morti e i morti
ai vivi
e sentirti alla fine
dagli altri assai lontano
specialmente quando arrivano
a portata di mano.

Arminio

10 Gennaio 2010 alle 12:36 am
lo sapevo che per me il convegno
sarebbe cominciato dalla fine
forse perchè amo parlare
quando resto solo
quando sono a terra
e ogni amico, ogni nemico





.......la prima parte del mio intervento che non ho letto ma ho interpretato a braccio

“….mi sono spiato illudermi e fallire
abortire i figli come i sogni
mi sono guardato piangere in uno specchio di neve
mi sono visto che ridevo
mi sono visto di spalle che partivo
ti saluto dai paesi di domani
che sono visioni di anime contadine
in volo per il mondo
mille anni al mondo mille ancora
che bell'inganno sei anima mia
e che grande questo tempo che solitudine
che bella compagnia”.
Anime salve , F. De Andrè



Anche noi “anime salve”,cerebrali per vocazione e amanti della filosofia per scelta dovremmo farlo oggi incamminandoci in questo ulteriore viaggio esistenziale non sapienziale , viaggio sempre vivo e vivificante che abbiamo voluto chiamare “paesologia”. Ognuno lo intraprenda rimettendo ordine nella propria casa-anima e scegliendo gli strumenti conoscitivi ed emozionali che gli faranno compagnia. La mia casa-anima si è costruita intorno alla filosofia poetica di un esitenzialismo critico e antimetafisico che tiene in buon conto e a bada , senza demonizzarlo o assolutizzarlo, lo spettro del ‘nichilismo’ che ama attanagliare l‘ “io” moderno nella sua morsa avvolgente e dolorante.Ancora “un esercizio di esodo” da una ragione cartesiana verso una ragione poetica del cuore. Cosapevoli che «Nei tempi moderni, la desolazione è venuta dalla filosofia, e la consolazione dalla poesia»( M. Zambrano)
La questione di base è per ‘il soggetto”, oggi come per il passato, come abitare e pensare la terra. Un pensare che significa decifrare ciò che si sente, con un linguaggio rinnovato che mette in discussione tutte le certezze, creando un sapere che favorisce l'autonomia, libera dai condizionamenti, che permette di comprendere meglio la propria condizione di uomini e donne. E l’analisi del “come”, della “terra” e delle “abitare” è quanto c’è di più interessante per impegnarsi in un lavoro anche conoscitivo oltre che estetico, esistenziale, etico o politico . Riguardo all’“abitare” bisogna riconoscere un debito alla teorizzazione filosofica di Heidegger al riguardo, al punto che la questione diventa quella di leggere Heidegger con occhi meno condizionati e preconcetti. La radice di abitare è quella del verbo avere. Avere la terra. Possedere la terra. Dominare la terra. Padroneggiare la terra. Controllare la terra. Tenere la terra. Prendere la terra. Occupare la terra. Appropriarsi della terra. Ognuno s’accorge di questo immediatamente. Di fatto bisogna riconoscere che l’ordine sociale e culturale espelle la natura in cui esso originariamente si è costituito. Tale trionfo dell’artificio e della tecnica nella modernità coincide con il dominio quasi assoluto dell’intelligenza meccanizzata sugli enti intramondani siano esseri umani, oggetti e manufatti o prodotti naturali? O questo trionfo è dovuto anche alla delega che la filosofia o il pensiero in generale attualmente hanno concesso alla “tecnica”, fino al punto paradossale e tragico nella storia del secolo passato di nascondere la mano dell’uomo che ha trasformato i forni da pane in forni crematori degli umani? La filosofia e il pensiero umano hanno ancora il compito precipuo di espandersi o allocarsi nel tempo e nello spazio che agiscono sulla terra? La filosofia comunque non è mai una disciplina accademica ma un modo di essere …. un corridoio aperto attraverso cui la persona ricerca la verità di sè e del mondo che la circonda. Per amarlo e migliorarlo.
Per parlare di una formulazione alta e profondo sulla “terra” dobbiamo necessariamente in ambito filosofico parlare di Heidegger( Essere e tempo) e Schmitt (Il nomos della terra). Non per salmodiare in modo rituale da allievi fedeli e proni ma per individuare un nuovo modo e un nuovo ‘nomos’ per pensare e vivere “il proprio territorio” in una epoca postfilosofica, postmetafica, postpolitca e soprattutto postideologica. Occorre intendere che l’abitare la terra di Heidegger, come quello di Schmitt è comunque nel circolo. L’uno sprona e l’altro frena, il tempo. E nessuno vanifica l’ipotesi del cerchio magico e ipnotico. La contemporaneità con gli inevitabili strascici del moderno , la tirannia del postmoderno tecnologico con gli echi mai sopiti del classico ,ci impone un orizzonte del pensiero, dove gli strumenti della ragione sono coniugati necessariamente assieme quelli della passione ,del sentimento ,del cuore ,consapevoli che gli orizzonti si allontanano tanto quanto ci avviciniamo. Perchè come ricorda la poetessa Marina Cveteva, “ Il pensiero è una freccia. Il sentimento –un cerchio”. Bisogna ,quindi, riprendere il cammino dal pensiero di Heidegger, integrandolo con la nostra esperienza dell’abitare quotidiano felice o infelice, che arricchisce di nuove considerazioni un nuovo modo di pensare , fare e utilizzare al meglio “una critica severa della condizione in cui si trova lo svolgimento della nostra esistenza”,evidenziando che non si tratta di tornare al passato mitico o edenico di “paradisi perduti”o “isole felici” da rincorrere, ma di pensare,vedere , vivere e raccontare “i piccoli paesi” gli oggetti,le piante e gli uomini che li abitano concretamente con nuovi occhi e anche con nuove parole.” Per vivere in un paese - scrive Franco Arminio - devi dismettere ogni arroganza. Non importa se la nascondi o la fai fluire. L’arroganza si sente, agisce come un acido che corrode i tuoi legami con gli altri. Il paese è una creatura che ti chiede misericordia. Devi sentirti come un cane bastonato. Non devi sentirti uno che ha qualcosa da insegnare, uno che vuole cambiare la sua vita e quella degli altri. Il paese ti chiede di amare quello che sei e quello che il paese è. Non devi fare altro”.. La terra è lo stesso luogo, quello che appare a Heidegger, come a Hegel, quello ipotizzato nel IV sec a.Ch. da Platone con il mito della caverna per evitare che i sensi diventassero catene costrittive e imparare a usarli per poter “ritornare a riveder le stelle”. Il luogo dell’essere umano nella sua essenza ideale è nel suo “esserci” gettato nel mondo e predisposto alla morte come fatto naturale e razionale. La vita è lineare, quindi si tratta di “tornare al passato” per essere capaci di pensare e lanciarsi nel futuro. “Il futuro – scrive M. Zambrano - ci si presenta anzitutto come ciò che sta per arrivare… il futuro lo sentiamo arrivare, sopraggiunge in maniera inevitabile”…….continua
Mauro Orlando


venerdì 8 gennaio 2010

Elisir d'amore per .......il giono della paesologia.


sabato 9 GENNAIO 2010
la COMUNITA’ PROVVISORIA terrà il 1° SEMINARIO di PAESOLOGIA nel Castello d’Aquino a Grottaminarda (avellino), uscita sulla A16 Napoli-Bari.




Il giorno della paesologia

Credo sia la prima volta che in Irpinia si faccia un incontro in cui si discute intorno a un’idea nata e cresciuta qui. Pensare i paesi coi nostri pensieri e non con quelli degli altri, questo è il punto di partenza.
Mentre scrivo questo articolo, sul blog della Comunità Provvisoria ci sono quasi duecento commenti intorno al seminario di domani. Considero che siano pochissimi. Io sono sempre portato a dare attenzione a chi non c’è. Si parla di paesi, ma forse domani non avremo nessuno che viene da Monteverde o da Bagnoli, da Solofra o da Fontanarosa. Noi parliamo di montagne, pensiamo a una regione che vada dal Pollino alla Maiella, ma il guaio è che le montagne non si guardano tra loro. Dai paesi non si guarda agli altri paesi, si guarda lontano o alle pianure. Ed ecco che a un ragazzo di Gesualdo che commenta i post di Grillo non gli sembra il caso di fare lo stesso con un blog fatto in Irpinia, oppure si va a passare il capodanno a Parigi e ci si vergogna di averlo passato a Trevico.
Gli irpini mitizzano solo la politica. Qui un bravo scrittore non diventa mai un personaggio pubblico. E lo stesso accade per un bravo giornalista, un bravo imprenditore, un bravo architetto.
Il convegno di domani è organizzato senza finanziamenti. Questo è un primo punto importante. Secondo punto: non abbiamo invitato persone famose, magari provenienti da fuori. Chi voleva partecipare si è liberamente prenotato sul blog e domani avrà la parola. Noi crediamo in questa terra. Sappiamo anche che un meccanismo così libero lascia spazio a un po’ di confusione e a qualche nota stonata, ma nel complesso ci stiamo accordando, stiamo diventando un coro. Mi pare un miracolo che questo accada in un momento in cui l’occidente viene definito la società degli individui, (io preferisco parlare di autismo corale), ed è ancora più difficile se si considera che l’Irpinia è una terra dove la gente da sempre tende a dividersi più che associarsi.
Confesso una cosa: l’idea del convegno mi è venuta questa estate quando in Abbruzzo, a Celano, sono stato invitato a un convegno internazionale di paesologia. Così recitava la locandina. Mi sono stupito che qualcuno avesse pensato di utilizzare una parola che credevo facesse parte solo del mio laboratorio di scrittura. Alla fine il convegno non è stato così ampio come nei propositi dell’organizzatore. Mi sono ritrovato sul palco insieme a Dacia Maraini e altre due persone. Dei trenta sindaci che avevano aderito ne ho visti solo cinque. In Abruzzo ci riproveranno l’anno prossimo. Intanto noi ci proviamo qui. Ma lo spirito è completamente diverso. A Grotta verrà chi è stato a giugno a Cairano. Verranno dal casertano e dal Sannio, verranno molti amici napoletani e anche dal Cilento. Insomma, avremo molte Campanie domani mattina nel centro dell’Irpinia.
Cosa vogliamo fare? Cosa vogliamo dire? Intanto vogliamo mettere insieme delle persone e non solo per un giorno e poi tutti a casa, il nostro è un tentativo di unire persone che non si sarebbero mai incontrate.
Il seminario di domani è singolare anche perché ci saranno molti interventi scritti, lungamente ponderati e che confluiranno in un almanacco di paesologia, prima sul Web e poi, forse, anche su carta. Non sarà la solita adunata lamentosa in cui girano i soliti concetti bagnati nel vittimismo e nel rancore. Vorrei sentire un’Irpinia addolorata ma serena, consapevole di stare in questa epoca senza avere nessuno davanti e nessuno dietro. Ogni luogo è disteso sul panno del mondo e ogni luogo è chiamato a inventarsi, se non una sua economia, almeno un suo modo peculiare di stare nel mondo globalizzato.
Bisogna smuovere le passioni che ci sono, bisogna mettere al lavoro le intelligenze che ancora non sono fuggite. Non abbiamo traiettorie precise e definite, procediamo senza un disegno strategico, ma con una forte spinta sentimentale, non abbiamo la pretesa di insegnare chissà che e neppure vogliamo piacere a tutti.
Parleremo di paesi e di montagne. Non per promettere leggi di sostegno come fanno quelli dei partiti, leggi che non sono mai state fatte. Non abbiamo invitato sindaci e altri politici, ma se verranno ne avremo piacere e potranno parlare come gli altri, non abbiamo limiti di tempo. Si comincia alle nove e mezza e possiamo finire anche a mezzanotte. Non saranno solo ragionamenti, ci saranno proiezioni video, letture, perfomance teatrali. La paesologia raccoglie il lavoro di fotografi e architetti, di archeologi e musicisti, di poeti e scrittori, registi di cinema e di teatro, fornai, insegnanti, impiegati, contadini. Tutte queste persone non vengono a Grotta per illustrare la loro bravura, ma per sporgersi fuori dalla propria disciplina nel tentativo di trovare un terreno comune. È un grande convegno sull’orlo, sul confine. Noi pensiamo che oggi non esistono periferie e se esistono sono centrali, pensiamo che dalle zone più marginali può venire un nuovo umanesimo. Forse la parola è troppo grossa, allora limitiamoci a dire che può venire un modo meno arrogante di abitare il mondo, può venire un filo di clemenza verso i luoghi e le persone che arrancano, ma anche proposte con un peso politico che speriamo qualcuno, qui o altrove, possa raccogliere.

franco arminio

mercoledì 6 gennaio 2010

Elisir d'amore per ......un buon viatico......

Canzone da lontano

(Vecchioni)
Il passero ti seguirà
non sarai piccola sempre, piccola sempre
ma ti seguirà, ti seguirà
il falco ti difenderà
non sarai debole sempre, debole sempre
ma ti difenderà, ti difenderà

"Lontano" mi chiedi,
"Ma dov'è questo lontano?"
Lontano è un paese che non ti dò la mano
com'è lontano questo lontano...

La volpe ti incanterà
le volpi vestono bene, le volpi parlano bene
ma non le ascolterai, non le ascolterai
e il vento ingarbuglierà
i tuoi pensieri, l'amore e i tuoi capelli
e ti cambierà, ti cambierà.

Lontano vuoi dire che
domani non ritorno
lontano vuo, dire sempre un altro giorno
com'è lontano questo lontano.

La luna ti sorveglierà
quando avrai sonno e nel sonno avrai paura
e ti passerà, ti passerà
e il grillo ti racconterà
che mi assomigli negli occhio e nelle stelle
e gli crederai, gli crederai.

E quando ti sento dire:
"Fa presto che ti aspetto"
quando so che mi pensi andando a letto
non è lontano questo lontano.




Il viaggio verso la "paesologia" che comincia sabato 9 a Grottaminarda è ricco di sogni e speranze ma ci obbliga dolcemente richiamare le insidie e le trappole razionali e umane che ogni viaggio necessariamente mette in campo anche per far crescere i propri partecipanti.....passeri,grilli parlanti,falchi e sopratutto 'volpi'.......insieme ai venti e anche la luna......

martedì 5 gennaio 2010

Elisir d'amore per .......una lettura filosofica della "paesologia"



“….mi sono spiato illudermi e fallire
abortire i figli come i sogni
mi sono guardato piangere in uno specchio di neve
mi sono visto che ridevo
mi sono visto di spalle che partivo
ti saluto dai paesi di domani
che sono visioni di anime contadine
in volo per il mondo
mille anni al mondo mille ancora
che bell'inganno sei anima mia
e che grande questo tempo che solitudine
che bella compagnia”.
Anime salve , F. De Andrè





Anche noi “anime salve”,cerebrali per vocazione e amanti della filosofia per scelta dovremmo farlo oggi incamminandoci in questo ulteriore viaggio esistenziale non sapienziale , viaggio sempre vivo e vivificante che abbiamo voluto chiamare “paesologia”. Ognuno lo intraprenda rimettendo ordine nella propria casa-anima e scegliendo gli strumenti conoscitivi ed emozionali che gli faranno compagnia. La mia casa-anima si è costruita intorno alla filosofia poetica di un esitenzialismo critico e antimetafisico che tiene in buon conto e a bada , senza demonizzarlo o assolutizzarlo, lo spettro del ‘nichilismo’ che ama attanagliare l‘ “io” moderno nella sua morsa avvolgente e dolorante.Ancora “un esercizio di esodo” da una ragione cartesiana verso una ragione poetica del cuore. Cosapevoli che «Nei tempi moderni, la desolazione è venuta dalla filosofia, e la consolazione dalla poesia»( M. Zambrano)
La questione di base è per ‘il soggetto”, oggi come per il passato, come abitare e pensare la terra. Un pensare che significa decifrare ciò che si sente, con un linguaggio rinnovato che mette in discussione tutte le certezze, creando un sapere che favorisce l'autonomia, libera dai condizionamenti, che permette di comprendere meglio la propria condizione di uomini e donne. E l’analisi del “come”, della “terra” e delle “abitare” è quanto c’è di più interessante per impegnarsi in un lavoro anche conoscitivo oltre che estetico, esistenziale, etico o politico . Riguardo all’“abitare” bisogna riconoscere un debito alla teorizzazione filosofica di Heidegger al riguardo, al punto che la questione diventa quella di leggere Heidegger con occhi meno condizionati e preconcetti. La radice di abitare è quella del verbo avere. Avere la terra. Possedere la terra. Dominare la terra. Padroneggiare la terra. Controllare la terra. Tenere la terra. Prendere la terra. Occupare la terra. Appropriarsi della terra. Ognuno s’accorge di questo immediatamente. Di fatto bisogna riconoscere che l’ordine sociale e culturale espelle la natura in cui esso originariamente si è costituito. Tale trionfo dell’artificio e della tecnica nella modernità coincide con il dominio quasi assoluto dell’intelligenza meccanizzata sugli enti intramondani siano esseri umani, oggetti e manufatti o prodotti naturali? O questo trionfo è dovuto anche alla delega che la filosofia o il pensiero in generale attualmente hanno concesso alla “tecnica”, fino al punto paradossale e tragico nella storia del secolo passato di nascondere la mano dell’uomo che ha trasformato i forni da pane in forni crematori degli umani? La filosofia e il pensiero umano hanno ancora il compito precipuo di espandersi o allocarsi nel tempo e nello spazio che agiscono sulla terra? La filosofia comunque non è mai una disciplina accademica ma un modo di essere …. un corridoio aperto attraverso cui la persona ricerca la verità di sè e del mondo che la circonda. Per amarlo e migliorarlo.
Per parlare di una formulazione alta e profondo sulla “terra” dobbiamo necessariamente in ambito filosofico parlare di Heidegger( Essere e tempo) e Schmitt (Il nomos della terra). Non per salmodiare in modo rituale da allievi fedeli e proni ma per individuare un nuovo modo e un nuovo ‘nomos’ per pensare e vivere “il proprio territorio” in una epoca postfilosofica, postmetafica, postpolitca e soprattutto postideologica. Occorre intendere che l’abitare la terra di Heidegger, come quello di Schmitt è comunque nel circolo. L’uno sprona e l’altro frena, il tempo. E nessuno vanifica l’ipotesi del cerchio magico e ipnotico. La contemporaneità con gli inevitabili strascici del moderno , la tirannia del postmoderno tecnologico con gli echi mai sopiti del classico ,ci impone un orizzonte del pensiero, dove gli strumenti della ragione sono coniugati necessariamente assieme quelli della passione ,del sentimento ,del cuore ,consapevoli che gli orizzonti si allontanano tanto quanto ci avviciniamo. Perchè come ricorda la poetessa Marina Cveteva, “ Il pensiero è una freccia. Il sentimento –un cerchio”. Bisogna ,quindi, riprendere il cammino dal pensiero di Heidegger, integrandolo con la nostra esperienza dell’abitare quotidiano felice o infelice, che arricchisce di nuove considerazioni un nuovo modo di pensare , fare e utilizzare al meglio “una critica severa della condizione in cui si trova lo svolgimento della nostra esistenza”,evidenziando che non si tratta di tornare al passato mitico o edenico di “paradisi perduti”o “isole felici” da rincorrere, ma di pensare,vedere , vivere e raccontare “i piccoli paesi” gli oggetti,le piante e gli uomini che li abitano concretamente con nuovi occhi e anche con nuove parole.” Per vivere in un paese - scrive Franco Arminio - devi dismettere ogni arroganza. Non importa se la nascondi o la fai fluire. L’arroganza si sente, agisce come un acido che corrode i tuoi legami con gli altri. Il paese è una creatura che ti chiede misericordia. Devi sentirti come un cane bastonato. Non devi sentirti uno che ha qualcosa da insegnare, uno che vuole cambiare la sua vita e quella degli altri. Il paese ti chiede di amare quello che sei e quello che il paese è. Non devi fare altro”.. La terra è lo stesso luogo, quello che appare a Heidegger, come a Hegel, quello ipotizzato nel IV sec a.Ch. da Platone con il mito della caverna per evitare che i sensi diventassero catene costrittive e imparare a usarli per poter “ritornare a riveder le stelle”. Il luogo dell’essere umano nella sua essenza ideale è nel suo “esserci” gettato nel mondo e predisposto alla morte come fatto naturale e razionale. La vita è lineare, quindi si tratta di “tornare al passato” per essere capaci di pensare e lanciarsi nel futuro. “Il futuro – scrive M. Zambrano - ci si presenta anzitutto come ciò che sta per arrivare… il futuro lo sentiamo arrivare, sopraggiunge in maniera inevitabile”…….continua
Mauro Orlando

Elisir d'amore per ........la "PAESOLOGIA".

sabato 9 GENNAIO 2010
la COMUNITA’ PROVVISORIA terrà il 1° SEMINARIO di PAESOLOGIA nel Castello d’Aquino a Grottaminarda (avellino), uscita sulla A16 Napoli-Bari.
Il convegno durerà l’intero giorno. Pranzeremo assieme, alle 13,30 al Fusillo D’Oro. Prezzo convenzionato per chi si registrerà al seminario e darà adesione alla colazione di lavoro.
Interventi (con auspicabili video – foto – sonorità) da contenere in max. 7-11 minuti.
Chiediamo a chi ha già aderito di rimettere nei commenti al post la sua adesione e magari anche il tipo di intervento che s’immagina.
introduzione FRANCO ARMINIO
VIDEO DOCUMENTAZIONE del regista MICHELE CITONI
RACCOLTA degli ATTI a cura di MAURO ORLANDO
organizzazione COMUNITA’ PROVVISORIA
logistica IRPINIATURISMO – AMICI DELLA TERRA
… nello spirito di un simposio in cui ognuno, indipendentemente dal suo ruolo, apporta il suo contributo nella definizione e costruzione della “Paesologia”.
… Non parleremo di Cairano7x ma sicuramente anche per Cairano7x
… si tratta di una riflessione collettiva, persone provenienti da tutta la regione e anche da fuori, cercano di guardare i paesi dal loro personale punto di vista. Ci saranno scrittori, architetti, imprenditori, artigiani, registi, attori, fotografi, contadini, operai, impiegati. Ogni intervento sarà contenuto entro i dieci minuti. Dopo la pausa per il pranzo, i lavori riprenderanno con una discussione collettiva sugli interventi della mattinata.
Tutte le relazioni e gli interventi andranno a confluire in un Almanacco di paesologia che vedrà la luce ogni anno.
Un segnale importante in una terra abituata a demoralizzare e a demoralizzarsi. Un segnale che sta arrivando un tempo nuovo, il tempo dei paesi, dei paesaggi, della paesologia.
elenco degli interventi (aggiornato al 5 gennaio ore 14); aspettiamo altre adesioni e conferme. Gli interventi sono liberi e aperti a tutti, senza gerarchie, nello spirito della C.P.; la durata dell’intervento deve essere però per tutti contenuta in 7-11 minuti max.
Sono programmati, ad oggi, gli interventi di:Marcello Anselmo, Luca Battista, Paolo Battista,Dario Bavaro,Gaetano Calabrese, Vito Cappiello, Michele Ciasullo,Salvatore D’Angelo,Luigi D’Angelis, Alex Daguerre, Agostino Della Gatta, Andrea Di Consoli,Mario Festa, Gianni Fiorentino, Francesco g., Sergio Gioia,Federico Iadarola, Vittorio Iannino, Enzo Maddaloni, Elda Martino,Pietro Mitrione, Mauro Orlando, Mario Perrotta, Rocco Quagliariello,Donato Salzarulo, Michele Sisto, Raffaele Spagnuolo, Enzo Tenore,Giovanni Ventre,Antonio Vespucci, Angelo Verderosa, Federico Verderosa.Coordina Franco Arminio.Inoltre saranno proiettati i video:Scuola di paesologia di Franco ArminioLampi a Cairano di Michele CitoniPaesi paesaggi paesologia di Federico Iadarola ed Anna EbreoCairano 7X di Antonella ZarrilliDurante la sessione degli interventi, intramezzi musicali di Pasquale Innarella.
i primi contributi scritti :
massimiliano borelli
http://comunitaprovvisoria.wordpress.com/2009/12/15/interrogare-il-paesaggio/#more-8013
mauro orlando
http://comunitaprovvisoria.wordpress.com/2009/12/02/una-piccola-tappa-verso-la-paesologia/
elda martino http://comunitaprovvisoria.wordpress.com/2009/11/30/paesologia-le-fonti/
franco arminio + prime adesioni http://comunitaprovvisoria.wordpress.com/2009/11/22/almanacco-di-paesologia-numero-zero/
altre adesioni : http://comunitaprovvisoria.wordpress.com/2009/12/09/paesologia-2/
http://comunitaprovvisoria.wordpress.com/2009/11/26/9-gennaio/