lunedì 30 agosto 2010

Elisir d'amore per ........Zì Carmine

Il 28 di agosto c'è stato il compleanno di Zi Carmine ,anima semplice ,comunitaria e paesologica di Cairano. Gli auguri a lui sono auguri fatti a tutti gli irpini stanziali e nomadi che vivono il rapporto con la propria terra come fatto prioritario della propria esitenza mentale, emotiva, civile e politica.......



".....Questo territorio è la goccia di sangue sotto il vetrino. Ma non c’è bisogno di microscopio. La vista è dilatata dall’ansia, dal tremore di stare nel cratere del proprio corpo, un cratere che trema, trema da sempre.
La paesologia non è una nuova scienza umana, è una forma d’attenzione verso il fuori, attenzione intensa perché provvisoria, perché il paesologo parte dagli abissi del suo corpo e ci torna continuamente. Il suo guardare è un mettersi in bilico sulla propria presunta inesistenza, un tentativo perenne di venire al mondo che pare non riesca mai a compiersi del tutto. Ma in questo sporgersi si avverte la grazia, il vorticare confuso delle cose che stanno fuori, la distesa immensa delle creature deposte nel lieto inferno della terra tonda.
Per me oggi non ha senso essere scrittori, sociologi, architetti. Non ha senso neppure definirsi umani. Siamo chiamati ad ascoltare l’aria e l’aria ci dice che i nostri saperi sono chiodi di gesso a cui non possiamo appendere niente. La paesologia è una disciplina inerme ma non arresa. Non partecipa alle marcette e alla marchette accademiche. Allinea dettagli, avanza, indietreggia, inciampa e forse è con questo inciampare che riesce a essere più dentro, più vicina alle cose.
Il paesologo non ha in programma la salvezza dei paesi, non tutela i campanili, i dialetti, le manfrine del rancore, la fregola delle confidenze e dello stare vicini. A volte combatte, s’indigna, chiede tutela per gli esseri e le cose che stanno in alto, lontane dai vaneggiamenti delle pianure, ma questo filo di ardore subito s’intreccia al filo della mestizia. Va nei paesi a pescare lo sconforto e si ritrova tra le mani un poco di beatitudine: può essere uno scalino, una casa nuova o antica, può essere la visione di un castello o di un albero di noci, può essere una piazza vuota o un vicolo col ronzio di un televisore. La paesologia non dà ricette per curare, ma si prende cura di guardare, di aggirarsi senza meta, di indugiare o anche di andare via alla svelta. Non ci sono regole, questionari da riempire, non c’è un formulario da approntare. Si esce, si esce per poche ore oltre la prigione domestica, oltre la prigione della propria professione, si và nei luoghi più nascosti e affranti e sempre si trova qualcosa, ci si riempie perché il mondo ha senso solo dov’è più vuoto, il mondo è sopportabile solo nelle sue fessure, negli spazi trascurati, nei luoghi dove il rullo del consumare e del produrre ha trovato qualche sasso che non si lascia sbriciolare...."
da lettera sulla paesologia di Franco Arminio

Elisir d'amore per .......la "politica" e la Comunità provvisoria.


"….calarsi “ nel divario tra passato e futuro, che è il giusto locus temporale del pensiero”
H. Arendt




Pur smaliziati e incuriositi dai tentativi della politica politicante e praticante irpina di cimentarsi intellettualmente con i pensieri nobili e lunghi della Politica come ricerca, noi della Comunità provvisoria abbiamo il dovere di prendere sul serio questi tentativi per la loro “effettualità” drammaticamente miope o cinacamente lungimirante quando toccano in modo frontale o laterale nell’analisi anche i nostri ragionamenti,sentimenti, passioni per i temi del territorio, delle identità, delle culture legate essenzialmente alle storie ed ai racconti delle persone che lo abitano .Faccio riferimento ad un articolo apparso sul Mattino di Avellino il 29 agosto 2010 firmato da Giuseppe De Mita vice-presidente della regione Campania che aveva anticipato “le solite passerelle dei potenti” alla allegra Fiera di Calitri e di striscio al drammatico Ospedale di Bisaccia tra questuanti e incazzati. “Riflettere sull’Irpinia –esordisce- nel tempo che stiamo vivendo è riflettere sulla condizione più esposta dell’uomo contemporaneo nelle mutevoli dinamiche dei processi e dei flussi che attraversano quelle che provano a definirsi come le nuove comunità nella modernità” .Il richiamo al quadro della “modernità” sempre ci ha intrigato con sospetto legittimo quando si fa discorso critico e propositivo e non solo polemico e strumentale. Ci piacciono “i pensieri lunghi della politica” a patto che non siano cortine fumogene per coprire responsabilità e inadempienze tecnico-pratiche per rimandare decisioni che toccano i diritti sociali e civili dei cittadini nella carne e nella quotidianità.

Certo continua a preoccuparci quando dichiara rispetto all’Ospedale di Bisaccia ed altro “ Tra qualche anno bisogna rivedere il piano ospedaliero…realisticamente bisogna capire i margini di miglioramento e quant’altro….” Il sospetto sulla distanza tra “ predicare e razzolare” torna imperioso anche se inutile..In una democrazia rappresentativa la “modernità “ si misura essenzialmente con la divisione dei compiti e delle resposabilità amministrative e tecnico-politche tra eletti e cittadini elettori. E’ il primo dei doveri e compiti che dobbiamo richiedere o pretendere dai nostri eletti ed è moralmente disonesto e politicamente scorretto scaricare sull’intera comunità o dei singoli cittadini responsabilità e compiti che sono non solo delle passate ma anche presenti classe dirigenti politiche dei nostri territori. Abbiamo scelto di non caratterizzarci unicamente nella funzione di “sentinelle “ politicanti ed impolitiche tra le macerie passate e presenti del nostro territorio.Teniamo a regolare distanza le fughe in avanti e all’indietro nelle mitologie dell’inizio come dalle catastrofi o utopie astratte per il futuro.Lavoriamo su progetti possibili di un parco sociale, sull’organizzazione del turismo, di una università popolare, ricerche storiche-letterarie-archeologiche, su un pensare e praticare una architettura compatibile e ideale assieme,sui racconti esistenziali e letterari del nostro rapporto “paesologico” con “i piccoli paesi dalla grande vita” non solo a Cairano ,Aquilonia, Calitri ,Bisaccia ,Grottaminarda eccc. ecc.ma la rinuncia alla legittima e doverosa denuncia analitica dei mali e dei comportamenti pregressi delle nostre classi dirigenti politiche non è stata dettata dalla mancanza di argomenti e capacità ma perchè avevamo scelto liberamente e responsabilmente nuovi modi di pensare e praticare la “politica” e la nostra funzione intellettuale, professionale con un nostro percorso originale e nuovo. Non è stata una resa, un compromesso, una dimenticanza o una rinuncia a un ‘pensiero critico’ o una scelta di ‘isolamento’ autistico ,neutrale,fondamentalista o estetizzante. E’ stata la convinzione non solo di essere nel giusto ma di aver individuato un percorso ‘comunitario’ che valorizzasse assieme le individualità non solo per rivendicare diritti ma per esercitare doveri rispetto alle nostre convinzioni ,attitudini e capacità professionali nei “tempi lunghi” dei sogni e delle speranze non come fuga dalla realtà ma come profonda ed autentica interpretazione di essa.E da queste considerazione che non ci piace il passaggio analitico in cui si scrive: “Ed in questo vi è una parte di indigena incapacità di leggere il presente nella sua dimensione di raccordo tra processo storico e prefigurazione del futuro; ma vi è anche un’altra parte di condizione universale di debolezza del sistema di vita contemporaneo. Lo smarrimento che avvertiamo è dentro questa condizione determinata da ciò che i mutamenti in atto stanno imponendo alle persone di trovare nuove comunità all’interno delle quali collocarsi; nuovi luoghi che possano esprime l’esigenza di socialità” …..”Medice cura te ipsum” mi verrebbe da scrivere ma il gioca sarebbe troppo facile e anche ingeneroso.A noi piacciono le avventure del pensiero e siamo avvezzi ai percorsi impervi ed accidentati dei ragionamenti quando non si fanno sofisma,retorica o peggio “cattiva coscienza.Per esempio ci piace come stimolo analitico e come sfida cognitiva il passaggio in cui si scrive :“…E, per ciò che riguarda l’Irpinia, tutte le discussioni fatte dovrebbero farci riflettere che nei flussi in atto non ci sono più le aree interne, ma ci sono – ci sono già – le terre di mezzo. Le terre dell’attraversamento, ma anche le terre della connessione, dell’incrocio, dello stare in mezzo” Con ben altre sensibilità e finalità questi ragionamenti e suggestioni hanno attraversato anche le nostre discussioni e i nostri ‘parlamenti comunitari’ con implicanze politiche per i cittadini che andrebbero approfondite se diventano quadro analitico per la attuale maggioranza di governo nel suo complesso e in riferimento al nostro territorio.Sarebbe facile gioco polemico pensare ad una reale e cinica discussione tra Caldoro,de Mita senior e junior e ……Cosentino nell compensazioni spartitorie tra Napolii,Avellino Caserta.

Ma sicuramente dovremmo affrontare il quadro concettuale e organizzativo proposto per la nostra provincia …” Per cui le decisioni non sono l’attuazione di modelli e sistemi, ma sono l’interpretazione dello statuto dei territori ed esse accompagnano il movimento naturale dei fenomeni. Da noi la traccia di questo corso c’è; magari non evidente, poco consapevole, ma esiste. Il distretto energetico; la Valle Ufita quale snodo sulle lunghe linee di trasporto; l’organizzazione di sistemi di città diffusa (Valle Caudina); i percorsi delle Docg; la vocazione naturalistica; il germoglio di un turismo dell’accoglienza e del buon vivere; le produzioni legate al genius loci”. In questo “corso” ci sono anche le nostre vite esistenziali e politiche e sicuramente non possimao sottrarci a discuterlo per non farci poi inghiottire da una “effettualità” della politica praticata con i mezzi del malaffare e della clientela che tanto richiamo e fertilità ha trovato non solo nel sottobosco della “cosidetta società civile e professionale” ma anche dei piani alti delle classi dirigenti vecchi e nuovi del nostro territorio.



mauro orlando

mercoledì 25 agosto 2010

Elisir d'amore per ....."un nuovo racconto" dell'Irpinia.





http://www.youtube.com/watch?v=e-9-BAnL39U

mauro orlando

Quante scene simili abbiamo vissuto in questi due anni: uomini e donne riuniti sotto un tiglio,tra i reperti di un castello restaurato, per le vie di borghi abbandonati, in luoghi solitari “musei dell’aria….della luce ,del silenzio e quant’altro,nelle abazie della sacralità e del buon recupero…. e qualcuno che racconta .Non si sa se sia una assemblea di un popolo , di una orda , di una tribu.Ma tutti ascoltano con silenzioso coinvolgimento il medesimo racconto e lo sentono e fanno proprio senza difficoltà.Non importa sapere se colui che racconta sia uno straniero o uno di loro ma si sentiva che è investito da un diritto-dovere di raccontare delle proprie radici,della propria terra , di sé stesso,del proprio pensiero ,lavoro,sentimento ….sogno anche per conto nostro. Non costituivano una comunità prima del racconto…. è la narrazione che li riunisce e li unisce.

Prima erano separati da vite diverse, vocabolari diversi, diverse esperienze culturali professionali…questo il racconto talvolta narra e mette a confronto.Si stava seduti a fianco ….si cooperava, si passeggiava assieme in silenzio o discorrendo ,si mangiava e beveva assieme , ci si ‘annusava’ e affrontava liberamente nelle discussioni senza la necessità di riconoscersi o prevalere in agonismo retorico. Ma un giorno ,a caso, un poeta….un pazzo,un sognatore pratico, un clown, un viaggiatore della malinconia e del silenzio o che so io ha incominciato a raccontarci un suo sogno di una terra comune e delle sue origini,dei suoi uomini e delle sue donne con intransigente amore ma anche rabbia. Facendo nomi e cognomi .Ci ha parlato dei loro difetti legati al riscatto attraverso il potere e delle loro semplici bellezze nei rapporti affettivi ed umani. E ci raccontava della sua esigenza di costituire assemblee o parlamenti comunitari o Comunità provvisorie e della necessita di nuovi racconti nel rispetto dei vecchi dei nuovi aggettivi da aggiungere a l sostantivo “Comunità”. Nessuno ha chiesto al narratore chi gli ha raccontato questo sogno e come e perchè egli ha il dono ,il diritto o il dovere di raccontarlo. Si sente in modo naturale ed immediato che la sua lingua e il suo racconto servono a metter insieme dei “diversi” e a fare di questo un racconto mai compiuto ma sempre da scrivere .Che la lingua non è dello scambio ma di un qualcosa di sacro e di una sorta di giuramento che si ripete nel tempo ogni qualvolta che uomini di diverse esperienze ma di comune sensibilità si ritrovano su un territorio o una ‘pòlis’ intorno a un fuoco acceso o una tavola imbandita , in un viaggio reale o immaginifico ad ascoltare mai appagati un poeta o un aedo che canta o racconta le gesta, i sentimenti, le idee, i sogni per costruire e pensare nuove esperienze che possono crescere senza la necessità di celebrare sacrifici a qualsivoglia autorità divina o umana. Il racconto spesso è crudele,spietato,a volte fa ridere o sorridere .Ognuno si sente coinvolto e sente che si parla anche di sé ,del suo passato ma soprattutto del possibile senso del proprio futuro immediato e prossimo.Sentiamo che le nostre credenze,le nostre poesie, i nostri sogni , i nostri saperi vengono da questo racconto che è ‘mito’,invenzione, narrazione,trasmissione ……vita a patto che non ci faccia più vivere con lo sguardo rivolto al passato ma nemmeno a un futuro troppo lontano.Ad ascoltare e raccontare c’erano di volta in volta Franco, Angelo, Michele, Mario, Salvatore, Elda, Agostino, Antonio,Luca ,Giovanni,Monica,Paolo,Gaetano,Sergio,Vittorio,Federico,Nanos,Edda, Mauro,Adelelmo,Andre,Lucrezia e quanti altri di cui non mi sovviene il nome ma di cui sento la presenza critica ed attiva mentre ancora ci leggono e vedo il volto sorridente efiducioso nei nostri tanti incontri provvisori .Oggi sentiamo che i nostri racconti si stanno ingrigiendo non per mancanza di argomenti e differenziando non loro praticabilità , ma perché non si sentono sufficientemente coinvolti e ispirati dallo spirito dell “inizio” com’è nella natura degli uomini e delle cose di questo mondo.Sentiamo la necessità e l’urgenza di riaprire una fase costituente compassionevole e generosa per uno “stato nascente” in cui ognuno di noi si sente responsabilmente e liberamente coinvolto ,consapevole e geloso delle proprie idee ,aspettive ,sentimenti,passioni e progetti ma in un sentire plurale ma comune.E’ con questo spirito e con questa determinazione sottoscrivo pienamente lo scritto di Franco nella attesa ed auspicio di una bella,franca e buona discussione:

a metà settembre il blog "Comunità provviosria" cambierà radicalmente. ci sarà un comitato di redazione, con compiti precisi. sarà un blog ricchissimo e molto agguerrito. chi è interessato a lavorarci può cominciare a farsi vivo.
cambierà completamente anche la comunità provvisoria. abbiamo grandi impegni e dobbiamo affrontarli con persone motivate.
non conta il numero ma l’entusiasmo e la voglia di spendersi.
armin

mercoledì 18 agosto 2010

Elisir d'amore per ......la "Comunità provvisoria"



illuminato da un tramonto luominoso e fresco il Castello d’Aquino di Grottaminarda ha fatto da adeguata cornice paesologica all’incontro di Grottaminarda.”La paesologia è in guerra con le parole, è in guerra con le astrazioni. …..La paesologia è l’illusione di trovare anime mute, anime sconvolte dal clamore di un attimo qualsiasi e non dagli spettacolini del tubo catodico o del pianeta google”.Di parole ne abbiamo consumate raggrumate e appesantite dalla lontananza ma ancora ieri si sentiva che rappresentavano un urgenza e una necessità per ritrovarsi e verificare chi sa che cosa..lo spirito dell’inizio, il senso sbiadito di un comunitarismo amicale , ognuno con domande mai pronunciate che in cuor suo conosceva già le risposte possibili e desiderate …..ognuno con la speranza che il viaggio continuasse .
Il pericolo teorico-pratico di qualsiasi processo di formazione di una esperienza originale , nuova ed autentica è cessare “di mettersi in discussione” o subire il timore di poter concepire una possibile “alternativa” alle proprie forme acquisite di vivere o pensare in comune , siano esse esplicite o implicite.
Ci si sente esentati o infastiditi dal dover riesaminare, riargomentare, rigiustificare o riprovare la validità dei propri postulati , opinioni o ragionamenti o la utilità dei propri esiti se pur non ritenuti assoluti e definitivi nel consumato e conflittuale incontro con le storie del passato,del presente e dell’immediato futuro.
Le vere esperienze culturali ,che sono comunque politiche nella cosidetta età della “postdemocrazia” sono vive e vitali fino a quando non sopprimono, sopportano o vietano il pensiero laico, critico e plurale.
” La cultura e la politica si fondano sul dato di fatto della pluralità degli uomini e…. trattano della convivenza e comunanza dei diversi”.
Partecipiamo tutti alla politica come “esseri riflessivi” e siamo scaltri nel voler usare tutta la nostra libertà senza voler incorrere nella cosidetta “impotenza da eccesso di libertà”.Ecco per me una delle necessità di formalizzare le comunanze individuali per una declinazione reale dell’etica della responsabilità che non mortifichi l’etica delle convinzioni.Abbiamo individuato uno spartito su cui scrivere le nostre melodie e qualcuno l’ha chiamato “paesologia”.Ora dobbiamo ad ognuno di noi lasciare la libertà di scriverci la propria canzone ,la propria lirica,il proprio racconto, il proprio progetto,la propria filosofia……io da parte mia voglio scrivere un mio viaggio verso una nuova identità plurale della cittadinanza ripartendo dalla mia bella e vergine Irpinia.

grazie ai viandanti comunitari sergio, angelo, franco, elda, salvatore, gaetano, paolo, enzo, francesco, nicola, federico,l’occhio tecnicamente umano di agostino…… al nuovo comunitario Ugo…..e tanti altri…..vicini e lontani nel mondo a vivere la propria ‘paesologia’..

mauro

mercoledì 4 agosto 2010

Elisir d'amore per .......il museo dell'aria


MUSEO DELL’ARIA
con 3 commenti

La prima realizzazione di Cairano 7x è il museo dell’aria. Ha sede sulla rupe, sulla nuca del meteorite che spunta nella valle dell’Ofanto, tra il Formicoso e la sella di Conza. Il museo non ha arredi, non ha custodi. Per istituirlo ci siamo avvalsi unicamente della nostra immaginazione. Ci sono tanti musei in giro, spesso sono inutili. Non esisteva un museo dell’aria, un luogo cioè dove le persone possono andare non per vedere qualcosa ma semplicemente per sentire che la nostra vita si svolge nell’aria e che non c’è niente al mondo che sia più importante dell’aria. L’aria è come il mare, non è mai ferma. L’aria non è mai nostra, viene sempre da qualche parte. Certe volte quando d’estate soffia il vento da nord est io sento in un quel filo di freddo il respiro di una coppia che si è baciata poche ore prima a Sarajevo, vedo gli occhi di un’anziana donna affacciata alla finestra a Fiume. L’aria è un dono che contiene tanti altri doni. Dovremmo ricordarcelo ad ogni respiro, ogni volta che ci entra nei polmoni il giro del sangue è più lieto, i pensieri si fanno appena più chiari. Il mondo vive perché è circondato da un filo d’aria, ma noi ce lo scordiamo, perché l’aria non l’abbiamo fatta noi, non è una macchina, un telefono, un cuscino. Il museo dell’aria a Cairano non dispone neppure di un cartello segnaletico o di guide. È un museo virtuale, nasce nella testa di chi sale alla rupe, non ha orari di apertura e di chiusura. Non appartiene allo Stato e neppure ai privati. Appartiene a chi sa stare all’aperto, a chi sa di essere una piccola parte di questo vorticare perenne a cui stanno appese le piccole scene della nostra vita e di quella degli altri. L’aria è una bestia colossale e generosa, dà la vita a noi e alle formiche, ai cani e alle piante. Il museo di Cairano è la nostra forma di devozione a questa bestia invisibile e senza forma. Forse quello che chiamiamo Dio è semplicemente l’aria ed è un Dio a cui ci piace credere, è un Dio che ha tanti fedeli inconsapevoli e tante chiese, una per ogni polmone, per ogni acquasantiera del respiro.

p.s

il testo è mio, l’idea è di elda martino.

andate a visitarlo. è il primo museo realizzato dalla comunità provvisoria.

franco arminio





“Potessimo vedere oltre il nostro sapere, ed anche un poco oltre il baluardo del nostro presagire, forse allora sopporteremmo le nostre tristezze con più fiducia delle nostre gioie : Poiché esse sono i momenti in cui qualcosa di nuovo è subentrato in noi, qualcosa di ignoto ; i nostri sentimenti ammutoliscono in timido imbarazzo, tutto in noi arretra, si fa silenzio, e il nuovo inconoscibile, vi sta nel mezzo e tace”Rilke
La nostra identità è sì una seconda pelle e la cultura è sì l’orizzonte di senso in cui fiduciosamente ci muoviamo senza farci fin troppe domande, ma anche che essa è un vestito che può essere cambiato e la nostra cultura è un orizzonte che può mutare. Quello che conta è non perdere il centro in se stessi. Il senso del “viaggio” ci permette di continuare a vivere o sopravvivere nel deserto della storia cercando di scoprire “i difficili segnavie” tra le precarie e mutabili rotte dei carovanieri viandanti nella storia o nelle storie. In una realtà che non ha strade segnate,definitive e sicure ( se ne vedi una è sicuramente o possibilmente un “miraggio”,l’uomo è sempre più un nomade o un viandante che è sicuro solo di stare in quel posto in quel preciso momento. Il suo è movimento puntuale , da un punto a quello immediatamente successivo .Il problema è non farsi prendere dalle vertigini dello spazio liscio o dalla paura della solitudine.
Il “viaggio” è anche educarsi a vivere senza mappe dal momento che il contesto sociale non è più in grado di dare senso alle nostre azioni.
Siamo come carovane nomadi che si muovono su un terreno liscio, e non dobbiamo lasciarci ingannare dagli orizzonti in movimento, senza enfatizzare il vestito che indossiamo, non lasciarci sopraffare dalla disperazione,quando manca l’acqua o l’oasi non corrisponde alle indicazione della mappa o delle speranze..Vivere senza mappe è alienante solo per chi è educato a vivere di mappe e finalismi o verità eteronome. Sicuramente è un vivere con un senso di povertà antropologica e può essere faticoso ma è sicuramente meglio dell’iperattivismo dei nuovi mutanti o delle pigrizie immobilizzanti dei sopravvissuti alle mitologie ,alle metafisiche o peggio alle teologie astratte ed autoritarie.
mauro orlando

domenica 1 agosto 2010

Elisir d'amore per ......."l'amica paesologia"





“ma perchè le persone non la capivano?
Perché stavano al buio o dentro falsi luci.
F.Arminio

Penso sempre più che la nostra esperienza nella Comunità provvisoria ha una discriminante nella disponibilità all ‘amicizia , alla generosità e alla cura .Montaigne a proposito dell’‘amicizia soleva ripetere il detto di Aristotele: “O miei amici ,non cè nessun amico”.Al pessimismo teoretico e discriminante aristotelico non possiamo contrapporre un ottimismo di maniera o dei buoni sentimenti. Io credo che nell’immediato futuro ci troveremo a dover sciogliere alcuni nodi non solo psicologici o comportamentali ma culturali e identitari.La parola chiave del nostro sentirsi a casa e a proprio agio in questo viaggio originale ed autentico è il suo cuore ,il suo spirito: la paesologia.Non discuteremo del dito che ce la indica o ce la spiega ma del nostro modo di sentirla , pensarla ma sopratutto viverla.Costruiremo “parchi rurali”, riscopriremo reperti archeologici,culturali e storici, organizzeremo feste ,incontri e iniziative culturali nei “ piccoli paesi” consapevolmente convinti che in essi c’è La grande vita” della paesologia. Alcune personali considerazioni analitiche e necessariamente personali. Alla paesologia non interessano i “non luoghi”degli spazi metropolitani privi di identità e di memoria ma soprattutto scarsi di relazioni. Dove vive una “collettività senza festa” e si soffre la “solitudine senza l’isolamento”. Si vive in un epoca del “tempo veloce, accelerato”.Il futuro è sempre più alle nostre spalle, in soggezione ad un presente che ci sommerge e ci virtualizza .E persino la storia è diventata un fatto mediatico.Il futuro non solo sembra senza senso e fine ma ci carica sopratutto di ‘paure’ e nel suo orizzonte esclude le categorie di ‘progetto’ e ‘speranza’.Paure economiche, sociali,ecologiche e perfino “metafisiche e religiose”.L’avvenire è rubato soprattutto ai più giovani. Una nuova rivoluzione scientifica e tecnologica toglie potere e crea esclusione in quelli che non si ritrovano in questi poli. La rivoluzione informatica aiuta e favorisce i meglio tecnologizzati e i già informati o i ‘già-formati’.
.Il nostro “io” occidentale e moderno svuotato di senso è costretto a cimentarsi con i pieni dei poteri economici e culturali a cui ci eravamo abituati dall’Illuminismo in poi. C’è oggi la necessità di coltivare una ragione che si fa “luce” e si fà ‘compassionevole’ e ‘fraterna’ in un colloquio doloroso e difficile con le “ombre”, con l’assenza, col mistero, con il sacro, con gli esclusi , gli sconfitti con i luoghi abbandonati economicamente e terremotati interiormente o lontani dai centri decisionali dei poteri. Il suo compito precipuo e costruttivo è non solo capire e dare un nome alle cose e alle persone ma di suggerire altro.Creare aspettative e possibilità è già costruire presente e precostituire futuro. Ripropone una caratura politica molto complicata,complessa e sottile che va al di là del sociologismo astratto e il meridionalismo politologico e di maniera se pur nobile. E’ una richiesta di superamento ,filosofico direi, dell’Illuminismo non ideologico e dottrinale dove il rifiuto delle “magnifiche sorti e progressive”, delle utopie astratte e ideologiche e delle speranze universali e necessarie nel futuro ci impone una idea più che di recupero o di salvezza delle persone ,delle cose e della natura, di amore .di amicizia e di cura di esse ma non più per indicare il loro possibile futuro ma per la vivibilità del loro presente reale e per un rispetto per il passato che non passa e non ritorna nello stesso tempo. Punta soprattutto a far crescere una capacità personale di guardare e conoscere le cose e amarle disinteressatamente in sè stesse e per sé stesse. Una riproposizione esistenziale ,vitale e attiva di vivere la ’modernità’ non necessariamente contrapposta alla ‘antichità’ ma nella sua capacità intellettuale ed umana di vivere l’antico, il tradizionale, il periferico,l’emarginato, l’escluso,l’altro da sé insomma come un sempre possibile “inizio”,curando una massima consonanza,intimità con i luoghi, le cose e le persone insieme alla massima lontananza e alterità.
mauro orlando