mercoledì 30 giugno 2010

Elisir d'amore per .......il dopo Cairano 7x .....




In questi ultimi anni ho conosciuto un’altra irpinia non astratta,ideale o Irpinia d’oriente nel suo ‘ethos’ o nella sua anima profonda. L’ho scoperta “sul campo” tra i suoi uomini migliori ma in ‘carne ed ossa’ nella esperienza particolare di “Cairano 7x” e negli spazi del Blog “Comunità provvisoria”. L’esigenza era “comunitaria” : un tentativo di recuperare un racconto collettivo di nuovo tipo né Paradisi perduti , palestra per la nostra nostalgia senile né ‘summa di ogni spirito’ e di ‘fantasticherie’ distorte o malposte ma relazioni tra uomini diversi ,vari ed eventuali che facilitano i rapporti tra di loro circoscrivendo uno spazio in cui si attenuino, senza poterli però esaurire o neutralizzare, e mediano i rischi di imprevedibilità connaturati alla multilateralità costitutiva della società e delle nostre esperienze personali di vita e di professione. E lo fanno solo agendo nel solco di un’ulteriore differenziazione.. Noi “comunitari provvisori” irpini a fatica stiamo rappresentando uno spazio di libertà e di democrazia che cerca di agire come dissolvente delle fissità e delle rigidità; fluidifica i rapporti tra i soggetti senza necessariamente ridefinirli in uno spazio rappresentativo e generale mitico o ideale. Siamo convinti con modestia che l’intelletto sia sempre in ritardo sulla vita. La frammentazione, il dis-ordine, l’antagonismo,il dialogo,il conflitto che quest’ultima esprime può essere ordinato, pensato, solo in forma metonimica,mai prescittiva e assoluta. La stessa necessità del richiamo a un passato, una cultura, un territorio specifico (Irpinia d’oriente) a persone in carne ed ossa , può essere revocata o evocata muovendo dal presupposto che la serie dei possibili viene orientata e «chiusa» solo a partire dal presente (sempre momentaneo e casuale) che lo cristallizza in propria premessa metodologica mai mitica,etnica,reazionaria. Cercare forme liquide di ’autoconservazione non è infatti «rigida mancanza di problemi e immobilità interna», quanto piuttosto «somma di processi immanenti» «difesa di un equilibrio continuamente minacciato», «riconquista di un equilibrio spesso perduto», «consapevole e inconsapevole preparazione di mezzi per lo scopo, mai realizzato di per sé» Il contrasto,il nomadismo, il conflitto (pòlemos dinamico contrapposto a pòlis staitico)– in tutta la vasta gamma della loro fenomenologia di passioni apparentemente dissociative (dalla gelosia all’antipatia, dalla concorrenza alla lotta, dall’odio privato all’antagonismo politico) – devono esprimere e rappresentare la correlazione energetica tra istanze dissociative ed istanze associative che ognuno di noi porta dentro il suo dna e le sue ‘accumulazioni culturali’ raggrumate e rigide. Il perseguimento di scopi soggettivi non è opposto alla realizzazione di effetti generali ed oggettivi, per il semplice fatto che l’oggettività è sempre un effetto di condensazione del soggettivo. Non cerchiamo di irrigidire in istituzioni o ‘stati’ anche solo mentali attraverso un apparente concretizzazione o formalizzazione dello stato di natura immaginato da Hobbes, essa non richiede alcuna istituzione esteriore che ne neutralizzi gli effetti dirompenti,liberi e conflittuali ma rappresenta di per sé stessa un intreccio di incontri,umori, concetti,opinioni, sentimenti ,idee per cui i concorrenti in lotta tra loro sono obbligati a focalizzarsi sul volere, sul sentire e sul pensare di altri uomini,piuttosto che al suo ombelico psicologico o culturale. Sempre convinti che il conflitto è cifra dell’intensità dell’unità della relazione sociale e culturale. Tanto più ricca, fluida e conflittuale la vita che lavora dall’interno le sintesi formali come “la comunità provvisora “ o altro, tanto più alta la possibilità che la loro produzione mantenga inalterata la struttura temporale e provvisoria che le caratterizza dall’interno e che il sistema generale dei rapporti individuali , sociali e culturali per così dire, evolva in fluidità e leggerezza. Nessuna «unità superiore» può essere pensata (o concedersi all’immaginazione ) definitiva o assoluta in un presente, per così dire, che non è mai perfettamente contemporaneo a sé stesso. E questo significa che ogni equilibrio è fluido e ogni sintesi aperta. Rispetto a ciò che è, a ciò che è stato, e a ciò che sarà. Un conflitto (pòlemos)non come esercizio retorico o metodologico, di esodo , narcisistico e autoreferenziale che non precede o persegue la sua neutralizzazione, ma che deve essere letto come l’asse principale di temporalizzazione di ogni formalizzazione provvisoria del legame tra gli uomini. Neanche un “itinerario turistico o folcloristico”, “contrabbando della verità” ecc.ecc. ma neanche “presunzione di verità” ,riproposizione di comode,ingessate e vecchie forme di conflitto (destra-sinistra, Nord-Sud, vecchio-nuovo, moderno-antico, nomadismo- stanzialità,ecc) e un richiamo solo formale alla consapevolezza e la libertà sempre e solo propria e non degli altri. Anche questo ha circolato nella parte più profonda della mia testa che ha comunque bisogno di essere raccontato e poi discusso.
mauro orlando

Elisir d'amore per ........Cairano 7x 2010 e Vecchioni

.........una bella serata a Cairano!



Forse il primo canto dell’uomo fu la parola o forse la prima parola dell’uomo fu il canto:
comunque, poiché “est autem in dicendo etiam cantus quidam obscurior” ,in questo
misterioso rapporto espressivo tra vocale e suono vi è tutta la magia della natura e della
personalità umana.”
‘ E l’indoeuropeo stesso a farsi garante di questa analogia semantica, laddove la radice
“kal”(giungere con moto curvilineo), sfocia nel sanscrito kal,kalate (contare e suonare), da cui
il latino calo (chiamare), calculo(calcolare), e la ben chiara apofonia cantus\contus dove contus
sta sì per “conto numerico”,ma anche per “ racconto” come somma di parole.
La manifestazione del suono nell’universo corrisponde con l’apparire della realtà: ovunque e
quasi senza eccezioni Primitivi e Civiltà antichissime riconnettono la creazione alla voce di dio,
alla sua parola ed è un rumore da Lui prodotto direttamente o indirettamente a separare il nulla
dall’esistente: Dio non crea toccando, guardando o ascoltando,crea col suono……
“Situata tra le tenebre e la luce del giorno, prima la musica si trova tra l’oscurità della vita
inconscia e la chiarezza delle rappresentazioni intellettuali e appartiene in gran parte al mondo
del sogno.All’inizio della creazione,la musica percorre il linguaggio intellegibile come l’aurora
precede il giorno.Ma via via che i suoni si precisano il linguaggio si divide: una parte diventa
musica ,canto, ricerca di Dio, un’altra ,più chiara e distinta si fa lingua,parola, e la terza
parte,al tramonto, quando gli effetti della luce vivificante sono ormai scarsi ,si trasforma in
materia.”
Questo propagarsi di luce sonora è più forte,più vero quando è vicino alla fonte, perde
gradualmente il suo potere allontanandosene. Le rocce, le paludi , la notte hanno meno
musicalità dei fiumi, del sole, il sole meno dell’uomo. L’uomo anzi era al principio nella musica
stessa di Dio e in tale luce volava: poi lentamente perse quella luce e mantenne solo la voce. In
lui resta intatta ,frustrante, ossessiva questa nostalgia, questo nostos per una condizione sfiorata
e mai posseduta. E canta.Canta per riallacciarsi all’assoluto ,per ritrovare il centro della sua
esistenza.Ogni uomo si porta addosso dalla nascita una sua melodia, una sua canzone ,parte
dell’Assoluto....

domenica 27 giugno 2010

Elisir d'amore per .......Guido Giannini




L’occhio segreto e radicale di Guido Giannini.



“Uno spettro segreto e inquietante si aggira libero per Cairano…..l’occhio di Guido Giannini! Cairano 7x 2010 sta segnando una sua tappa ulteriore. Lo spazio e il tempo lento e dilatato assieme sconvolgerebbe la stessa ‘ragion pura ‘ kantiana anche se solo al livello della percezione semplicemente estetica senza finalità di ‘razionalizzazioni’ .Qui abbiamo esistenzialmente vissuto il non sentirsi impegnato in nessuna ‘forma a priori’ come obbligo conoscitivo e etico sfiorando in ogni attimo le insidie sofferenti del nihilismo e del relativismo. Abbiamo semplicemente immaginato e concepito il vivere quotidiano e i suoi attimi nelle contrarie maniere di vita come un insieme complesso di contingenza strane e impossibili. Ci ha individualmente aiutati ad apprezzare la ricchezza del possibile e assieme a consolarci dell ‘angustia del presente .Qualcuno ha scritto saggiamente che “ l’universo contiene sempre molte più cose di quelle che al momento è possibile trovarvi”.Ciò significa essere obbligati a pensare nelle contrarie maniere di vita o possibilità di vita che altrimenti saremmo condannati a non vedere coinvolti nei nostri problemi quotidiani della nostra contemporaneità:la permanenza della memoria, l’insidia dell’oblio,le strategie necessarie per conservala o costruirla, le pretese assolute delle morali,la ‘relatività’ dei buoni e laboriosi costumi, i pericoli dell’identità e le strategie che mettiamo in essere per sopravvivere o vivere la nostra funzione sociale o professionale.In questi giorni di ‘ozio cairanese’ ci siamo prefissi o ci sono donati delle ‘radure’ in cui prendere fiato, regolare il respiro, esercitare l’ascolto, allontanare il silenzio assordante e infinito , gli spazi senza limiti e confini.

Una radura abituale e obbligata è il mitico Bar di ‘angiolino’ dove in questi giorni sulle pareti sono in bella vista esposti le splendide fotografie di Guido Giannini… una sorta di ‘abbecedario’ realistico e non visionario di una umanità autenticamente dolente e tragica che ti riporta alla essenza ordinata e lirica del vivere lontano dalle sociologie,dalle estetiche o dalle poetiche.Saltano di fatto le filosofie,le estetiche,le ideologie e viene rappresentata in modo ossimorico la vita nella sua realistica idealità. “Eidein” dicevano i greci che ragionavano in profondità e non in superfice.La dignitosa indigenza nella ricchezza poetica della figura e nel volto della suonatrice di violino.Gli occhi conficcati con insistenza nell’obiettivo del fotografo di un sfrontato ed irriverente giovane rom che sembra voler sfidare con la sua sfrontatezza una esistenza fatta di offese e soprusi. Il riposo attivo del vecchio suonatore di fisarmonica ‘posteggiatore’ provvisorio che ci racconta la sua vita voltandoci irrispettosamente le spalle senza la necessità di chiederci scusa. Il piccolo mendicante legato alla sua ciotola triste e questuante davanti ad un negozio di antiquariato nella triste dolcezza di una sofferenza sorpresa e dolorante. Il passo sospeso in una rituale e mitica lettura del frate ingabbiato nella ideologia dall’occhio anarchico dell’obbiettivo e della la scritta anticlericale sul muro di fondo. E potrei continuare ad libitum in questo esercizio ermeneutico e descrittivo di queste spendide e iriiverenti fotografie sulla parete se impellente e fastidiosa si presentava la inquietante domanda :”ma questo occhio anarchico,irriverente e smaliziato sta girando liberamente per Cairano senza freni e pudori ?”.E tutti noi nei nostri piccoli atti e nei nostri logorroici o poetici inganni o nelle rappresentazioni incipriate e datate dei pochi politici che clandestini ,assenti o in effige hanno frequentato Cairano in questi giorni. Eravamo inquietati dalla possibilità di essere scoperti e smacherati nei nostri piccoli ‘vizi privati’ o delle poche ‘pubbliche virtù’ da questi occhi indiscreti, sfacciati se pur per “buone fotografie,senza trucco e manipolazione”. E non ci conforta neanche sapere che in qualsiasi forma oggettivata della comunicazione sia essa letteraria, visiva o orale “ogni lettore ,quando legge ,legge se stesso”.Non è mai piacevole essere osservati ma ancora più inquietante è essere guardato e visto da un occhio così profondamente caustico e concreto come quello di Guido Giannini ,vera anima critica ,libera e autentica anche se solo in una rappresentazione ,autorizzata o non, di una paesologia come radicale e profonda lettura critica degli abitanti vecchi e nuova della Irpinia dei nostri sentimenti, di nostri sogni o speranze o dei nostri logorati e improduttivi pensieri.

Mauro Orlando

martedì 22 giugno 2010

Elisir d'amore per ......la canzone d'autore.




e allora Roberto finalmente nella mia Irpinia! Ma non è di questo che voglio parlare con te .Stasera parleremo di canzoni e allora cominciamo a preparare il terreno della nostra conversazione di stasera.Domanda di fondo che cos’è una canzone ?

“Una canzone è un tratto minimo significativo sintetico e ripetitivo di rappresentazione musicale a stretta forma melodica.Questa ritualità melodica si è evoluta lentamente raccogliendo le inclinazioni di tempi e luoghi e mutando modello a seconda di tanti fattori: l’origine (popolare o colta), la geografia (regni o contado), la società e le sue variazioni e l’apporto continuo di altre forme musicali che son venute via via modificandola. Sta di fatto che questo scampolo di musica (una fotografia, uno schizzo) è subito stato, e necessariamente, ospite di parole, di idee. Si può dire anzi che nella sua immediatezza e trasparenza melodica sia nato proprio a questo scopo: ritagliare dal gran mare di vivere un momento unico, un’impressione subitanea, un tema minimalista di foggia ora sentimentale, ora narrativa, con tutte le possibili coloristiche (parodia, sbeffeggio, dramma, tragedia, etc..)”

Questa forma espressiva ha qualcosa di peculiare e una sua storia minima o profonda nella nostra cultura ?

“Nella lunga storia della “forma” canzone in Italia tutto ciò è apparso sempre chiaro. I versi lirici greci, le “canso” medievali, le arie di corte, i madrigali, gli strambotti, le cacce, le frottole, le villanelle di corte, le melodie colte del ’700 (Napoli compresa) e poi la canzone popolare e d’autore a Napoli, le romanze, i canti all’italiana, le importazioni ed i recuperi da Francia e America, la canzone d’autore in Italia, tutte queste strutture rispondono nei modi più disparati all’assunto fondamentale: sono uno spaccato rapido e reiterativo (su canoni alla moda)di un sentimento e di una narrazione”.

In questa forma espressiva c’è diffrenza tra canzone popolare e espressione colta dell’ “io” ?

“ In gran parte simile è il discorso se l’oggetto in questione diventa la canzone popolare (e naturale?). A parte le ovvie divisioni regionali e la forte diversificazione tra nord e sud nelle presenze di temi civici e sentimentali, l’assetto della melodia “povera” è parimenti sintetico, reiterativo, immediato. Se mai la differenza sostanziale va ricercata nella parte letteraria che è fortemente archetipica: tende a mutare pochissimo nel tempo. L’ottocento e il novecento con la rivoluzione industriale e le guerre offrono novità essenziali e operano uno “scarto di norma”. C’è poi nei testi, anche più antichi, della canzone popolare, una propensione al fantastico, al favolesco, al ripetitivo magico, in una parola al “romantico” tout-court, che la canzone colta (nel senso di civile, con autori precisi) percepisce solo molto più tardi. A conti fatti nella canzone colta si perpetua l’amore sommo, alto, spesso pura pantomima di idealizzazione, in quella popolare l’amore è dolore, è gioia, ma è anche ben presente (pur tra mille sottintesi) è , vale a dire, terrestre.Nella canzone colta l’amore ha i contorni mai persi del tutto della narrazione da mitologia , da epica, e bisognerà aspettare tanto perché scenda su questa terra e si renda credibile, visibile”.

…grazie del piccolo assaggio,ne riparleremo questa sera

a cura di Mauro Orlando

lunedì 21 giugno 2010

Elisir d'amore per ......Cairano 7x 2010

......dietro le quinte ...1



Cairano ci ha ancora una volta accolto con un tempo che comunemente si può definire inclemente perché come le ‘cose preziose” come la “alètheia” ama nascondersi e provocarci nelle pigrizie e nelle abitudini distratte e superficiali per scoprirla nella sua profonda bellezza. Ci chiede di “camminare con gli occhi ben aperti “ delle fotografie di Guido Giannini che dal bar di Cairano fanno da sfondo e da scena al teatro della quotidianità e dell’assurdo paesano , come palestra e palcoscenico di “solitudini” distratte ,non ben curate ed esibite sotto la regia smagata, cinica e beffarda della maschera di “angiolino” barista tuttofare e dispensatore a piene mani di filosofemi e ‘luoghi comuni’ che fanno fatica a diventare pensieri ed idee ma che stabilisce e gestisce tempi e canovacci delle comparse senza tempo della compagnia di giro abitudinaria che frequenta il suo Bar…. e fa fatica a sintonizzarsi con questi occasionali e esuberanti ospiti….. Alla buon ora ci siamo ritrovati ….’alieni’ autoconvocati stelvio,adelelmo ,guido ed io in un ‘simposio’ estemporaneo e non programmato a cercare “le parole che non hanno ritorno”….”in un giorno frainteso” a rievocare un improbabile e onirico “borgo delle tre case bianche…sei falde rosse di tetto a capanna, cariche di cielo di speranze profonde,dodici facciate tante finestre …..tra tutta una serie di immagini ‘liriche’ in un biancoenero luminosissimo di cose e persone che non passano inosservate in una Napoli apparentemente nascosta dove “la sua bellezza non è un falso ma un vuoto….un vuoto chiamato bello che ognuno riempie di se stesso”. E la mia insistenza a sentire pronunciare la parola-chiave che desse senso e rappresentazione a questo “vuoto” cosi esposto e ostentato e individuare il ‘daimon’ vitale e nascosto che traspariva nelle viscere profonde di ogni immagine sfacciatamente bella ed evocativa negli occhi provocanti di una “zingarella” e dalle spalle parlanti di vecchio suonatore e postatore seduto di spalle sulla sua vecchia e malandata fisarmonica .Ma questa parola stenta ad arrivare dallo stesso guido mentre mi fingo distratto in attesa di un lapsus ,un indizio …una sbadataggine rivelatrice…..poi abbiamo trasferite le nostre parole ,domande,discorsi nello spazio della chiesa di S. Leone dove pasquale innarella spiegava ai suoi neofiti-allievi il cuore universale e musicale del ‘blues’ che giganteggia su tutti gli altri linguaggi musicali classsici, moderni o locali come “la pizzica”……prima imparare a suonare una “strumento perbene” stabiliere armonia tra la mente e lo strumento e infine esprimere il proprio “io” musicale nel rapporto con il ritmo, la melodia e l’armonia…….una koinè originale ed autentica per poter vivere e frequentare la musica jazz come fatto non solo culturale ma esistenziale con “una testa che ti fuma”……curiosità.ascolto, discrezione e autenticità soprattutto questo è il senso e le attese che vengono offerte a Cairano 7x alle menti aperte ed ai cuori desideranti degli ospiti di Cairano e si spera anche in futuro dei suoi abitanti abituali…….

mercuzio


mercoledì 16 giugno 2010

Elisir d'amore per ......la lentezza e lo sguardo a Cairano




La lentezza e lo sguardo.
Ad uno sguardo lento non sembra “succedere” mai nulla. E invece succede di tutto e di più Ci sono due modi di vivere il tempo; due modi che difficilmente si parlano. Un tempo lento in cui però ogni istante acquista il suo significato ed il suo senso, un tempo veloce in cui si è sempre in attesa di quello che avverrà dopo e tutto sfugge ai nostri occhi.. Cairano è il luogo ideale per questi esercizi di “lentezza”.Gli abitanti e anche la natura e le cose sembrano vivere senza mai porsi quella domanda che assilla sempre noi: cosa accadrà dopo? Il nostro sguardo scivola sempre via verso un futuro di cui vorremmo controllare gli eventi, anche la morte. E intanto ci perdiamo il bello che scorre sotto i nostri occhi, siamo disattenti a ciò che ci capita intorno, alle persone, alle relazioni.Predisponendoci a guardare “ il “paesaggio”, di collina in collina e di casa in casa, impariamo ad assaporarne la sua luce, a riempirsi gli occhi, a guardarne lo splendore, le sue linee, le sue curve, i suoi colori. Ci accostiamo ad ogni persona per farci intendere quanto è inadeguata la parola per una comunicazione autentica e che sappia guardare davvero nel profondo. E quanto è inadeguato il nostro occhio che passa sempre oltre e non si sofferma ad ascoltare, a comprendere, ad esprimere vicinanza.
Forse a molti questa esperienza apparirà , noiosa, senza speranza ; oppure qualcuno vedrà qualcosa di diverso: ma bisogna avere pazienza, bisogna essere disposti ad uscire dai propri schemi mentali e visivi, condizionati come siamo da una vita che conosce, anche nello sguardo, solo la velocità, che non sa assaporare la lentezza che indugia e che, lei sola, può permetterci di catturare l’atmosfera di un luogo e di un’ambiente lontani dal proprio. Quella lentezza che ci permetterebbe di intessere relazioni più significative e vere.
Come ha detto Kiarostami, grande regista dello “sguardo profondo” "le mie immagini non sono il risultato del mio amore per la fotografia, ma del mio amore per la natura. È qualcosa di simile a un regalo o a un ricordo". "Per me è come un calmante, ha su di me un effetto terapeutico magico" E lo stesso sguardo che la poesia usa normalme“La Poesia è per me come una finestra e ogni volta che io le vado incontro, si apre da sé. Io mi siedo là: guardo, canto, grido, piango. Mi confondo con l’immagine degli alberi e sono consapevole che qualcuno mi ascolta, qualcuno che esisterà tra duecento anni o che esisteva già trecento anni fa. Non vi è differenza. È un modo di comunicare con l’esistenza, con la totalità dell’essere. È un privilegio di cui il poeta, componendo versi, può beneficiare: anch’io esisto o esistevo. Altrimenti come si potrebbe affermarlo? Nella Poesia, io non cerco nulla. È così che posso, quasi per caso, trovarvi quanto vi è di nuovo in me.”
(Conversazione con Forug, Tehran: Morvarid, 1977).

Elisir d'amore per .......il "sentimento" a cairano


....a Cairano 7x 2010 ....con "sentimento"




Il sentimento

Nella la stagione del silenzio e del respiro del corpo e della natura non la fa da padrone “la ragione” con la sua freddezza ma “il sentimento” con il suo calore.Ma “negli inverni del nostro scontento” bisogna soprattutto evitare le prime incrinature senza nessuna consolazione con i sentimenti della tristezza ,dell'inquietudine e della nostalgia. Non esiste una definitiva salute dell'anima così come non esistono i medici dell'anima e del dolore. La vera salute dell'anima è la vita ." Infatti una salute in sè non esiste...dipende dalla tua meta ,dal tuo orizzonte ,dalle tue energie,dai tuoi impulsi ,dai tuoi errori e , in particolare dai tuoi ideali...."
( Nietzsche, La gaia scienza).
E' il tempo interno del proprio "io" melanconico a definire il senso e il significato dei sentimenti ,degli altri e delle cose. Questo si fa non recuperando il senso di nostalgia per forme di identità perdute ma imparare a recepire in piccoli e insignificanti gesti, in particolari parole, “una nuova figura dell’umano nella pura apparenza e nella nudità e leggerezza della bellezza.
Il pensiero non si manifesta nella compiutezza e pesantezza dei suoi filosofemi, o nella determinatezza delle sue intuizioni, ma nello scarto che produce rispetto al prorio tempo e al proprio spazio o territorio. Nel momento che si sottrare dal “farsi accecare dalle luci estive del secolo” e tiene fisso il suo sguardo alla sua parte d’ombra, al nascosto (aletheia) non solo per apparire ma venire alla luce, alla presenza ,quindi all'esistere non superficiale ma autentico. Recuperare e vivere il significato concreto di "inoperosità" come custodia e vitalizzazione di queste zone d’ombra “Guardare nel buio di noi e dell’epoca” ma per percepire in esso “una luce che diretta verso di noi, si allontana infinitamente da noi”.Recuperare un senso dell'agire dentro di noi non per autoconservazione ma il recupero dei pezzi persi sul campo operoso fuori di sé stesso. Un vero atto "politico" ed “estetico”. " Le arti che non realizzano alcuna 'opera'- scriveva H. Arendt- hanno grande affinità con la politica " ...la vera politica!E ' la strada per approdare ad un pensiero e un vissuto della "Comunità inoperosa": azione senza opera, soggetto senza sostanza (postcartesiano), presenza senza rappresentazione. Lasciare l'estate esuberante del nostro "io" metropolitano per vivere profondamente la maliconica mestizia della bellezza nei chiari i bosco. Queta è solo la strada del “sentimento” o delle “ragioni del cuore”.

martedì 15 giugno 2010

Elisir d'amore per ...."la bellezza" a Cairano 7x

Non pretendo che la gioia non possa accompagnarsi alla bellezza; ma dico che la gioia è uno degli ornamenti più volgari, mentre la malinconia è della bellezza, per così dire, la nobile compagna, al punto che non so concepire un tipo di bellezza che non abbia in sé il dolore.
(Charles Baudelaire, Opere postume)




La bellezza
E noi abbiamo un presentimento che a Cairano ci sia la possibilità di scoprire e vivere la bellezza! Nelle sue strade ,sui suoi pendii si può aggirare e incontrare ‘il fantasma o gli spettri della bellezza’ non solo come fatto evocativo o onirico.A patto che la sua perdita possa costituire per noi una necessità incontravertibile di rincontrarla o reinventarla in un recupero razionale del nostro legame con i territori d’origine e le persone umili che ce lo hanno conservato. Nella consapevolezza che una ragione senza ‘nostos’,che non conosce ritorno, non ci deve ostacolare o vietare di riprendere e ritrovare anche il mito che è la sua scaturigine ma soprattutto il luogo della sua destinazione ultima.Dobbiamo rieducarci alla possibilità di tornare ad “abitare” i luoghi, le persone ,le cose e i significati dell’esistenza ricercando e vivendo una condizione che ci permette di sottrarci allo ‘spaesamento’ moderno o tardo-moderno. Su questa base la conoscenza stessa che si fa sentimento, pensiero e vita assume un’attitudine attiva e quindi ‘estetica’ in cui l’apprendimento stesso e il piacerei esso, si traduce nella pratica in una azione intersoggettivamente condivisa e produttiva improntata alla “bellezza” . Questo è nelle possibilità di tutti quelli che saranno spettatori attivi e attori a Cairano…… architetti, archeologi, musici, cantanti, poeti, filosofi, narratori, cuochi, fotografi, registi…. ….e un barbiere…un posturologo, un medico umanista e altri luminari di discipline inusuali…. Ognuno ad offrire “il meglio” di sé e della sua professione o interesse. E anche degli “ artisti –come scriveva Platone- impegnati in una professione che ha come caratteristica distintiva la ricerca dell’essenziale” Cosa c’è di più essenziale per gli uomini della “bellezza”?Il “meglio” è “bellezza”!La compiutezza formale e sostanziale che va sotto il nome di bellezza costituisce, in questa prospettiva, il principio ultimo del nostro orientamento nel mondo. Senza la bellezza, in breve, non saremmo in grado di interpretare il mondo e……. meno che meno di viverlo con consapevolezza e piacere per cambiarlo

Elisir d'amore per ......la poesia e le canzoni a Cairano




…….A Cairano non parleremo di Inter ma di poesia e canzone…..

a tale proposito trascrivo alcuni stralci di una “lectio magistralis” sul tema che può essere utile per preparare il nostro incontro di mercoledi 23…..

“Forse il primo canto dell’uomo fu la parola o forse la prima parola dell’uomo fu il canto:comunque, poiché “est autem in dicendo etiam cantus quidam obscurior” (1),in questomisterioso rapporto espressivo tra vocale e suono vi è tutta la magia della natura e dellapersonalità umana.”‘ E l’indoeuropeo stesso a farsi garante di questa analogia semantica, laddove la radice“kal”(giungere con moto curvilineo), sfocia nel sanscrito kal,kalate (contare e suonare), da cuiil latino calo (chiamare), calculo(calcolare), e la ben chiara apofonia cantus\contus dove contus sta sì per “conto numerico”,ma anche per “ racconto” come somma di parole.La manifestazione del suono nell’universo corrisponde con l’apparire della realtà: ovunque equasi senza eccezioni Primitivi e Civiltà antichissime riconnettono la creazione alla voce di dio,alla sua parola ed è un rumore da Lui prodotto direttamente o indirettamente a separare il nulla dall’esistente: Dio non crea toccando, guardando o ascoltando,crea col suono……“Situata tra le tenebre e la luce del giorno, prima la musica si trova tra l’oscurità della vita inconscia e la chiarezza delle rappresentazioni intellettuali e appartiene in gran parte al mondo del sogno.All’inizio della creazione,la musica percorre il linguaggio intellegibile come l’aurora precede il giorno.Ma via via che i suoni si precisano il linguaggio si divide: una parte diventa musica ,canto, ricerca di Dio, un’altra ,più chiara e distinta si fa lingua,parola, e la terza parte,al tramonto, quando gli effetti della luce vivificante sono ormai scarsi ,si trasforma in materia.”


Questo propagarsi di luce sonora è più forte,più vero quando è vicino alla fonte, perde gradualmente il suo potere allontanandosene. Le rocce, le paludi , la notte hanno meno musicalità dei fiumi, del sole, il sole meno dell’uomo. L’uomo anzi era al principio nella musica stessa di Dio e in tale luce volava: poi lentamente perse quella luce e mantenne solo la voce. In lui resta intatta ,frustrante, ossessiva questa nostalgia, questo nostos per una condizione sfiorata e mai posseduta. E canta.Canta per riallacciarsi all’assoluto ,per ritrovare il centro della sua esistenza.Ogni uomo si porta addosso dalla nascita una sua melodia, una sua canzone ,partedell’Assoluto….

Ma come nasce, com’è fatto questo canto umano? Da dove trae origine il rapporto tra suono e significato? Con che criterio l’uomo trae dall’onomatopea naturale una sequenza di suoni logici organizzando le sue emissioni velari, dentali ,vocaliche? La parola, dice bene Cassirer, è il primo mito, è il più grande sforzo imitativo della potenza e spiritualità divina : essa nasce già sacra perché serve da tramite con l’inconoscibile e diventa,come vedremo, frase e formula non con intenti comunicativi quotidiani, profani, ma alti,spirituali : l’uomo avverte in essa una potenza “poietica” e “magica”che userà subito come “carmen” e “incantum”,il cantar dentro, L’incantesimo.

Gli Indoeuropei ,10000 anni prima di Cristo,avevano conferito alle varianti delle emissionivocali di cui siamo in possesso un significato preciso basandosi sul moto e sulle stasi del creato,e in parallelo sulle passioni o le riflessioni dell’animo, L’imitazione del vento, della pioggia, del tuono, del verso degli animali furono essenziali, ma per le vocali e le semivocali si trattòsoprattutto di convenzione e così, ad esempio, la “i”catturò il moto continuo, la “r” quello verso una meta,la “a”l’avvio di un’azione, la “u” la stasi, l’accumulo,la forza, la “e” e la”o”, furono incremento di moto,le nasali il limite e la “k”il moto cosmico ,curvilineo e avvolgente(4).Da qui la radice “ak” sta per “muovere seguendo una curva”,da cui aksa ovvero “ruota” e l’ “asse” intorno a cui gira. O,ancor più interessante “(k)am“,muoversi verso un limite e in seguito“amare”……

Il suono è dunque mito, e come ogni mito è immutabile, unico e per sempre.I primi canti poetici sono invariabilmente inni perché tutto è sacro nei modelli culturali primitivi,tutto è emanazione misteriosa da conservare e trasmettere : non esiste azione che non sia una cerimonia e non esiste cerimonia che non sia accompagnata da formule ossessivamente uguali e ripetitive fino allo spasimo.Ripetere significa conferire più forza, attribuire alla nenia la potenza di sovvertire olasciare immutata la realtà secondo i propri bisogni. Ho ascoltato canti dei Nativi americani composti da solo due o tre parole,perché l’universo,l’Assoluto le ricevessero in tutta la loro chiarezza e semplicità.Gli Indiani Kwati intonano:

“Quando sarò un uomo diventerò cacciatore,o padre

Quando sarò un uomo,diventerò fiociniere,o padre

Quando sarò un uomo, diventerò falegname o padre

Quando sarò un uomo etc etc

Quando etc etc”



Il suono-mito, si sa, esclude il tempo, rende vago lo spazio : il suono-mito omerico, l’ultimo, il supremo ,diventa racconto dove il “terreno”, il “contingente”, acquistano un senso solo se paragonati all’Assoluto : ma è comunque dell’uomo che per la prima volta si canta, se pur astratto, archetipico e fantastico.Calata la tela del sacro numinoso, la tragedia greca ,qualche secolo dopo ,ci mostrerà un’umanità ben diversa in preda al dubbio e alle lacerazioni della coscienza : ma nel frattempo saranno già arrivati i poeti lirici a compiere la rivoluzione dell’”io”, a produrre il primo espressionismo della storia letteraria.

Nell’immaginario greco tutto è stato creato sulla base dell’armonia.Ciò vale a dire che l’uomo,la sua ragione ,i sentimenti ,le cose, l’universo intero sono legati all’esplicarsi misterioso di una melodia che a tutto dona un ritmo costante intellegibile di vita. In tal senso Essi intendevano la Mousikè: non un’arte autonoma, a sé, ma una sorta di ingrediente segreto che impregnava poesia, danza, teatro ,nonché matematica, astronomia ,guerre, riti di passaggio ,sport e celebrazioni civiche di ogni tipo.Un secondo linguaggio, appunto.

Ma i Greci possedevano una mentalità straordinariamente matematica tendente alla misura delle parti, al loro equilibrio nel tutto, per poter meglio dominare natura e spirito come in una sorta di illuminismo ante-litteram : qui sta la loro singolare invenzione: aver calcolato e resa intellegibile l’entità aerea del suono ,scoprendo i misteri della sua apparente irrazionalità : “Musica est aritmetica nescientis se numerare animae “(Leibniz), la musica,cioè,e un’aritmetica dell’anima che non è cosciente di contare.

Già in Omero la correlazione tra parola e musica era strettissima, i Lirici del VII secolo ac, a condizioni storiche ed egemoniche completamente mutate moltiplicarono le possibilità toniche della lettura quantitativa, inventando piedi metrici mai uditi e costruendo una pletora di nomoi musicali (motivi precostruiti) laddove Omero e gli aedi di nomoi ne avevan ben pochi.

….La scomparsa di un punto fermo, l’apparizione di fazioni politiche pubbliche in lotta fra loro per il potere accelera la crescita del pensiero razionale, il tarlo del dubbio e col dubbio l’incertezza, il mistero del rapporto con l’infinito e finalmente con l’altro, con gli altri: il mito si fa storia e l’”io” irrompe finalmente nella storia. In questa tamperie i versi greci si impregnano di amore e di lotta ,introversione ed estroversione a seconda che ,come in Saffo, il mondo schiacci l’”io” o come in Archiloco, avvenga il

contrario.Non a caso son citati questi due poeti, perché da loro parte un processo binario di tematiche (aggressione e autocommiserazione) che influenzerà tutta la lirica mondiale. In essi, come in Alceo, Anacreonte ed altri si configura quella variabilità di scansione metrica (discendente e triste nei dattili e nei trochei,ascendente e vitale nei giambi e negli anapesti) che riprodurrà tonicamente il vario sentire dell’animo umano ; in essi e da essi si applicheranno dei canoni musicali (tetracordo , eptade congiunta e disgiunta) che in una forbice di poche note, ma grazie all’uso persino dei quarti di tono, ricopriranno tutta la gamma delle sensazioni umane.

I lirici cantavano (o rappavano) nota per sillaba, in una rigorosa ,stringente monodia, non mantenendo sempre nell’andamento ritmico gli stessi accenti tonici della parte letteraria : quel che loro premeva era far corrispondere innanzitutto la scansione più larga o più forte (thesis) con l’acme emozionale e sollevare la voce (arsis) negli istanti preparatori.Tutto ciò impone due considerazioni vitali.Primo : i Greci erano ben consci dell’inscindibilitàfra parola poetica e musica, come d’altronde era stato dalla preistoria fino a loro.La lacerazione fra i generi avverrà molto più tardi e soprattutto al codificarsi di lingue colte nazionali, laddoveil popolo continuerà a cantarli , i versi. Secondo: i Greci conoscevano bene il potere e il mistero della poesia .Essi ci hanno trasmesso la comunicazione poetica, la comunicazione in versi come qualcosa di inequiparabile alla comunicazione quotidiana, profana ,perché in questa la parola è messaggio, in quella evocazione. La parola -messaggio non ci trasmette altro cheun’informazione e l’enunciato deve essere chiaro, rispettare le parti logiche ,fluire, esser colto immediatamente dalla ragione. La parola -evocazione trasmette invece sensazioni e per far ciò deve privilegiare la posizione di alcuni termini su altri, scomporre la sintassi , far uso di immagini parallele colte dalla natura (metafore), assecondare la musica con allitterazioni ed eufonie, andare e tornare (chiasmi), ripetere i termini-chiave ,uscire dal tempo.Non solo : la parola messaggio si esaurisce in se stessa, significa quel che dice, la parola -evocazione evoca appunto ,chiama fuori ,rimanda ad altre immagini ad altri concetti ad altre sensazioni.Il canto, a queste condizioni, libera ed esprime dunque uno stato d’animo, scavalcando il concetto astratto della parola e per mezzo di una semplice vocale o consonante, di un termine o di un altro, di un sintagma ,di una proposizione significante, arriva diretto al” terminal”della nostra gioia, del nostro esclusivo dolore. Il verso poetico non si riceve o almeno non del tutto con la mente:volerlo razionalizzare significa schiantarlo, ucciderlo.Come possiamo ad esempio cogliere non dico il finale de “le bateau ivre” di Rimbaud, ma persino quello de “la sera del dì di festa “ di Leopardi, o della stessa Saffo l’esordio “Pari agli dei mi sembra quell’uomo che ti specchia rapito, vicino, e la sua voce soave ti assorbe” se non chiudiamo gli occhi ,e da un posto altrove, fuori di noi e del presente che ci attanaglia di oggetti e scadenze, lasciamo che sia l’anima a sentire ,senza dar ascolto a nessuna logica?

La poesia,il verso poetico ,cantato o no che sia, ha bisogno di una ricezione animale, primitiva e colta insieme : metà bambini e metà intellettuali ,mai abitudinari, comuni, disincantati, pragmatici, estranei.I Greci hanno insegnato al mondo questo “sentire”, ma cos’ha in fondo il sentire poetico di così particolare? Ha che riempie, rinforza, accresce…….

Roberto Vecchioni

Stralci da “LECTIO MAGISTRALIS”

TENUTA A BOLOGNA L’8 NOVEMBRE 2006 AL

CONVEGNO NAZIONALE STUDENTI E DOCENTI DI

SCIENZE DELLE COMUNICAZIONI

lunedì 14 giugno 2010

Elisir d'amore per ......."il silenzio" a Cairano

è venuto il buio un’ora prima
nell’armadio della casa.
un silenzio enorme da stamattina
viene dalla salma del paese
dalla salma del mondo.
non so, forse manca la pressione,
manca il gelo e il fuoco.
quello che c’è non lo so dire,
le valanghe e i tuoni
di questo silenzio
non so capire.

franco arminio







Il Silenzio.


Le emozioni parlano e gridano spesso con la voce del dolore .I poeti sanno costringere le parole a diventare creature viventi solo se immerse in un silenzio profondo e particolare . Pochi altri riescono a sentire e vivere le emozioni profonde del “silenzio” come come momento di pienezza affettiva e conoscitiva..Antiche e leggere risonanze dell'anima sgorgano dalle parole del dolore e dell'esistenza dolorante Altro è saper ascoltare il silenzio di un anima nella gioia e nell’armonia tra gli uomini,la natura e le cose .Ancora più complesso e difficile ascoltare e interpretare il silenzio dell'anima che è in noi e negli altri da noi anche quando arriva a "valanghe e tuoni". Solo chi si è educato alla solitudine nella nostalgia e nella malinconia può riempirlo o abbracciarlo come aria rarefatta e inodore. A patto di essere capaci di evitare di sconfinare dalla tristezza alla angoscia,dalla inquietudine del cuore alla nostalgia della solipsudine, dal rifiuto dei fastidiosi rumori di fondo al desiderio lancinante e antico delle voci liriche, dalle ceneri di una disperante e disperata solitudine alle braci calorose e inebrianti della speranza.
E anche saper assaporare con labbra infantile il palpito della vita di un'anima che succhia al mistero dell'infinito.
Questo stato di ebbrezza e di gioia profonda ha fatto scrivere : " O spirito gentile, che abiti questi luoghi ,grazie per aver sempre potetto la mia quiete, per le ore trascorse inseguendo le rimembranze, per il tuo nascondiglio, che io chiamo mio.! La quiete si estende come un'ombra man mano che che cersce il silenzio: che magico incantesimo! E come è inebriante quella pace...." S.Kierkegaard. Nella alchimia chimica e psicologica Cairano si presta a questa esperienza a patto che ognuno si prepari per tempo con lo spirito giusto e con le persone giuste. ...

domenica 13 giugno 2010

Elisir d'amore per ......le parole nomadi di Cairano 7x 2010

......c’è una desolazione che è anche beatitudine. c’è un paese piantato come un meteorite nell’irpinia d’oriente, un paese che guarda a un mare d’erba, ai monti picentini, alle alture lucane. cairano guarda a sud dalla sua rupe. non ci sono cose da vedere, nel senso strettamente turistico del termine, ma da cairano si vede molto, ma bisogna arrivare alla nuca silenziosa del paese: il paese ha letteralmente la testa tra le nuvole.....
armin





La malinconia

La malinconia è di diritto, una qualità o uno stato d’animo benvenuto a Cairano.E come essa non è uno stato patologico ed eccezionale,una malattia del corpo e dello spirito, non la si definisce solo per “mancanza” .Non è un “ospite inquietante” ma ne rappresenta la parte più intima, nascosta, appartata e meditativa.
La malinconia non è asociale ma ha con la società un rapporto selettivo,biunivoco ed aristocratico anche se possono sembrare fattualmente e concettualmente incompatibili.
l’uomo ,isolato o comunitario, ha bisogno come l’aria che respira di questi momenti appartati, meditativi e silenziosi per scoprire la profondità del suo essere un insieme di “io” singolari-plurali lontano dai rumori di fondo della superficialità insidiosa e omologante della società .E’ “ lo scarto originario che separa l’esistenza della comunità dalla sua essenza”.E’ un limite che la comunità stessa si pone da non dover varcare per non perdersi .La malinconia ci aiuta a tenere assieme con dolore e sofferenza l’essere e il niente della nostra esistenza individuale che mina dall’interno l’appartenenza e la condivisione ad una comunità né riduttiva né semplificata.
La malinconia da sempre ci insegna in questa nostra esigenza di comunità che il limite non è eliminabile e che la comunità non è identificabile con se stessa , con tutta se stessa o se stessa come un tutto, con il rischio di una forma di tipo totalitaria come ideologicamente abbiamo sperimentato per tutto il Novecento.
Dobbiamo evitare alla comunità di annientarsi nel tentativo di preservarsi o di liberarsi dal suo ‘niente’ ma aiutarla a scoprire in questi momenti di intimità che l’assale il suo carattere costitutivamente e costituzionalmente malinconico.Il nostro pensare non può liberarsi mai del tutto dalle sue sue tonalità malinconiche pena la sua immobilità e afasia .Ha la necessità di riconoscere la sua duplice declinazione – quella , negativa , della ‘tristizia’, dell’acedia e quella ,positiva, della consapevolezza profonda della finitezza, situandole una nella sfera dello ’inautentico’ , dell’improprio e l’altra in quella dell’esistenza ‘autentica e propria’.
Recuperare ed attivare al sua esigenza e il suo senso di “quiete”, “silenzio”, “gioia” di assumere e riconoscere il limite , la finitezza come la nostra condizione più propria anche se nella sofferenza e nel dolore.
Scriveva Heidegger“ ogni agire creativo ha luogo nella malinconia….” .questo ci porta a pensare che l’incompiutezza e la finitezza non è il limite del pensare comunitario ma esattamente il suo senso, essendo “l’essere-solo un modo difettivo “ delle esistenza umana.

Elisir d'amore per ....Cairano 7x......oltre la "bellezza"

Ogni mattina il mio stelo vorrebbe levarsi nel vento
soffiato ebrietudine di vita,
ma qualcosa lo tiene a terra,
una lunga pesante catena d’angoscia
che non si dissolve.
Allora mi alzo dal letto
e cerco un riquadro di vento
e trovo uno scacco di sole
entro il quale poggio i piedi nudi.
Di questa grazia segreta
dopo non avrò memoria
perché anche la malattia ha un senso
una dismisura, un passo,
anche la malattia è matrice di vita.
Ecco, sto qui in ginocchio
aspettando che un angelo mi sfiori
leggermente con grazia,
e intanto accarezzo i miei piedi pallidi
con le dita vogliose di amore.
di alda merini




Viviamo tempi in cui si sperimenta sino in fondo l’assenza della bellezza. Tuttavia non posiamo permetterci il lusso di trasformarla in un ideale utopico o mitico che la configurerebbe come il sintomo dolente di un assenza o il privilegio intimo o aristocratico di spiriti eletti, mentre il vuoto da essa lasciata viene occupato insistentemente dal brutto o dal kitsh.
La nostra esperienza di Cairano 7x ci ha dato la possibilità di scoprire e vivere la bellezza! Nelle sue strade ,sui suoi pendii si può aggirare e incontrare ‘il fantasma o gli spettri della bellezza’ non solo come fatto evocativo o onirico.A patto che la sua perdita possa costituire per noi una necessità incontravertibile di rincontrarla o reinventarla in un recupero razionale del nostro legame con i territori d’origine e le persone umili che ce lo hanno conservato. Nella consapevolezza che una ragione senza ‘nostos’,che non conosce ritorno, non ci deve ostacolare o vietare di riprendere e ritrovare anche il mito che è la sua scaturigine ma soprattutto il luogo della sua destinazione ultima.
“ Si tratta di un modello di razionalità che ha perduto con la propria provenienza alcune delle sue prerogative adattandosi ad un cammino che ne dimezza l’efficacia, facendola valere univocamente sul piano concettuale (o estetico)” (F. Vercellone)
Dobbiamo rieducarci alla possibilità di tornare ad “abitare” i luoghi, le persone ,le cose e i significati dell’esistenza ricercando e vivendo una condizione che ci permette di sottrarci allo ‘spaesamento’ moderno o tardo-moderno.Riprendere anche la parola che non disconosce il valore simbolico ed evocativo del silenzio. Ritrovare nella complessità delle nostre vite quotidiane le modalità “seminaturali” di una comprensione intuitiva , consapevole e inoperosa dei contesti e dei luoghi della nostra provenienza senza rinunciare necessariamente alla ricchezza culturale acquisita che abbiamo tradotto nel termine “complessità, “operosità”.
Su questa base la conoscenza stessa che si fa sentimento, pensiero e vita assume un’attitudine attiva e quindi ‘politica’ in cui l’apprendimento stesso e il piacerei esso, si traduce nella pratica in una azione intersoggettivamente condivisa e produttiva . Esso ci prepara e ci dispone a prefiguare una idea di intersoggetività, di comunità, in breve di abitabilità del mondo ,del territorio e degli uomini che in esso viviamo.
Questo era nelle possibilità di tutti quelli che sono stati spettatori attivi e attori a Cairano…… architetti, archeologi, musici, cantanti, poeti, filosofi, narratori, cuochi, fotografi, registi…. ….e un barbiere…un posturologo, un medico umanista e altri luminari di discipline inusuali…. Alcuni l’hanno vista o intravista, altri l’hanno sentita in una voce ,altri,distratti si sono persi nel rincorrere i propri preconcetti o risentimenti e si sono persi nei propri labirinti mentali e passionali.
Abbiamo ascoltato sopratutto gli “ artisti –come scriveva Platone- impegnati in una professione che ha come caratteristica distintiva la ricerca dell’essenziale” Cosa c’è di più essenziale per gli uomini della “bellezza”?
La compiutezza formale e sostanziale che va sotto il nome di bellezza costituisce, in questa prospettiva, il principio ultimo del nostro orientamento nel mondo. Senza la bellezza, in breve, non saremmo in grado di interpretare il mondo e……. meno che meno di viverlo con consapevolezza e piacere per cambiarlo.
Mauro Orlando

Elisir d'amore per .......Cairano 7x 2010




L’UMANESIMO SUL METEORITE

ARMIN

Perché facciamo Cairano7x? Per procurare e procurarci qualche attimo di bene. Prima ancora che un modo per illustrare concretamente come si può portare gente in un piccolo paese attraverso un’offerta culturale di qualità, a noi interessa costruire una macchina per la lietezza. Quando dico noi mi riferisco agli amici della Comunità Provvisoria, il gruppo che cura tutta la manifestazione. Un gruppo che unisce diverse irpinie, sia dal punto di vista geografico che dal punto di vista culturale. Tutti insieme da mesi a organizzare un avvenimento che è anche un grande esercizio di democrazia. Io sono il direttore artistico, ma in realtà ogni scelta è stata discussa in tante affollate assemblee. Cairano7x comincia molto prima e finisce molto dopo della settimana in programma. E mai come in questo caso si può dire che il tutto è superiore alla somma delle parti.
L’occidente è dominato da passioni fredde e l’Irpinia da questo punto di vista è un luogo d’avanguardia. Non stiamo peggio che altrove, semplicemente siamo meticolosi e assidui nel racconto dei nostri mali al punto che tutta la vita delle comunità è percepita come una sorta di calvario diluito.
Cairano 7x è un’idea semplice, ma molto ambiziosa: pensiamo che da qualche parte si deve far strada un nuovo umanesimo e pensiamo che le montagne siano il posto giusto. Chiamiamo questo umanesimo paesologia, una disciplina che guarda ai paesi come sono e come possono diventare piuttosto che pensare a come erano, attività tipica dei paesanologi.
Viviamo in un momento di passaggio senza la percezione che questo passaggio possa portarci in un tempo migliore. Il nostro è un tempo autistico e senza speranza, in cui la giostra del consumare e produrre lascia pochi margini alla cura dello spirito. Ma non bisogna mai fare l’errore di portare il broncio al proprio tempo. Il dolore, se proprio è inevitabile, deve essere un dolore che obietta, che combatte. E la nostra è proprio una serena obiezione all’esistente. Vogliamo prenderci cura di noi stessi, leggere, parlare, ascoltare, passeggiare, sentire buona musica, scolpire, fotografare, scrivere. Vogliamo prenderci cura dei nostri luoghi, guardarli con attenzione e portare altre persone a guardarli con attenzione.
I nostri paesi sono amministrati dalla rassegnazione e si continuano ad attendere da fuori cose che forse in essi già ci sono. Abbiamo la grande cornice del silenzio, abbiamo l’aria buona dell’altura. Sono necessarie premesse per una buona vita dello spirito. Poi magari verrà anche quello che si chiama sviluppo.
A noi per adesso basta raccogliere chi si muove su una linea di fervore, chi crede all’ebbrezza più che al denaro. Tutti gli ospiti verranno a titolo gratuito. Cairano7x è molto più che un festival, è la vita che prende un’altra forma, è la giornata che fila lontana dai soliti impicci, in un clima di cordialità e di generosità (anche il cibo sarà un dono preparato con cura dai migliori cuochi irpini).
Avremo gente da ogni dove, ma non consumeremo spettacoli che vengono da fuori, non saremo quelli che allestiscono i palchi per gli altri. L’Irpinia e le sue energie più vive saranno sempre al centro della scena. Non spetta a me citare i tanti ospiti presenti e il loro valore. Non abbiamo invitato le persone seguendo il criterio della fama, ma quello della stima e dell’affetto. Una settimana per ammirare chi è rimasto qui e chi viene da lontano. In questo caso non saranno persone che vengono per il matrimonio di un cugino o per far prendere aria alla casa. Sono persone che credono a noi e al nostro lavoro.
In altri posti ci sarebbe già una grande fierezza per tutto questo, avremmo ricevuto tanti incoraggiamenti. Qui il vento rimane leggermente contrario ed è il vento che nel giavellotto consente all’attrezzo di andare più lontano. L’importante è che sia poderosa la spallata.
In Irpinia e nel sud in genere viviamo un momento dal punto di vista culturale che è assai interessante. Il nord è fermo, dalle grandi capitali europee non spira alcun vento. E allora ogni luogo può essere centro. E allora un piccolo paese può farsi luogo in cui si producono idee e visioni del mondo. Questo è lo spirito di Cairano 7x. Non siamo accaniti al contingente ma è chiaro che il nostro lavoro è anche un modo per sollecitare politiche per le zone interne e montuose. Oggi la politica è tutta costruita come se il mondo fosse fatto solo di città e pianure. Chiaramente il fulcro di queste politiche non può che essere di tipo ambientalista. Oggi le zone di montagna sono zone tristi, sono luoghi concepiti per passarci una giornata, tipo pasquetta o ferragosto, e non per costruire una società fondata su nuove visioni. Il legame degli uomini col mondo si è rotto. Se c’è un luogo dove si può provare a ricostruirlo è proprio nella montagna. Cairano7x da questo punto di vista è una prova di fiducia. Siamo convinti che in pochi anni quello che adesso sembra utopia diventerà senso comune. I posti del mondo più avanzati saranno quelli dove le persone stanno distribuite in piccoli aggregati. L’importante è che non siamo amministrati con una logica vecchia: chiedere briciole e aspettare che arrivino senza credere alle proprie possibilità. Questo schema non funziona più. Oggi quello che conta è immaginare nuove comunità, che vadano oltre il profilo dei singoli campanili e dei singoli comuni che andrebbero brutalmente aboliti. In provincia di Avellino non hanno senso centoventi municipi, ne basterebbero venti. Venti comuni in cui l’attività agricola e quella culturale siano intimamente congiunte. Il computer e del pero selvatico, da qui bisogna ripartire. Leggere un libro e potare un albero, questi sono gesti importanti, gesti che vanno congiunti in un’alleanza che non c’è mai stata, un’alleanza che nascerà a Cairano.

sabato 12 giugno 2010

Elisir d'amore per ....."la festa" di Cairano 7x 2010


.......tutti a Cairano con la leggerezza e lo spirito della festa ...

Istanti

Se potessi vivere nuovamente la mia vita
nella prossima cercherei di commettere più errori.
Non cercherei di essere tanto perfetto,
mi rilasserei di più.
Sarei più sciocco di quanto lo sono stato,
di fatto prenderei ben poche cose sul serio.
Sarei meno igienico.
Correrei più rischi,
farei più viaggi,
guarderei più tramonti,
salirei più montagne,
nuoterei in più fiumi.
Andrei in più posti dove mai sono andato,
mangerei più gelati e meno fave,
avrei più problemi reali e meno immaginari.
Io sono stato una di quelle persone che ha vissuto sensatamente
e proficuamente ogni minuto della sua vita;
certo che ho avuto momenti di gioia.
Ma se potessi tornare indietro cercherei
di avere soltanto buoni momenti.
Che se non lo sapete, di quello è fatta la vita,
solo di momenti; non ti perdere l'oggi.
Io ero uno di quelli che non
andava mai da nessuna parte senza un termometro,
una borsa d'acqua calda,
un ombrello e un paracadute;
se potessi tornare a vivere, vivrei più leggero.
Se potessi tornare a vivere
comincerei ad andare scalzo all'inizio
della primavera
e continuerei così fino alla fine dell'autunno.
Farei più giri in calesse,
contemplerei più albe
e giocherei con più bambini,
se mi trovassi di nuovo la vita davanti.
Ma guardate, ho 85 anni e so che sto morendo
L.Borges






La festa


La festa di Cairano rispecchia lo spirito leggero,provvisorio,creativo che vuole espressamente evitare finalità,modelli,formalismi già consumati nel passato.” Un luogo per chi ha due minuti tra le dita per sè”.Un luogo dove si possa comunicare e “conversare non sotto il peso delle nostre parole e dove si possa passeggiare con la naturalezza e la leggerezza di un passero sopra il ramo” .Dove viviamo la vita e …noi che ci conficchiamo in essa istante per istante. Una “Festa” non è un ‘porto’ in cui stabilire preventivamente e prospetticamente ciò che è possibile fare e non fare in essa,ma sapendo che ciò che si fa e si dice può essere disfatto, reso inoperoso e provvisorio,liberato,sospeso e sopratutto liberato da un “progetto” rigido e strutturato e economicamente definito,non contrapposto alle logiche egli scopi dei giorni “feriali”,operosi e produttivi. E’ un fare e un non fare come caso estremo di sospensione. Non ci sono fini, strenne,regali,oggetti d’uso e di scambio .Bisogna ridare senso alla categoria di “festosità” sganciata dalla ritualità,dalla ripetitività,dalla progettualità come attributo del pensare,dell’agire e del vivere. Recuperare la perdita del senso e la voglia di ‘festosità’ per non rischiare di danzare senza la musica. Una festa che non diventi progetto razionale e necessariamente ‘ingessato’ ma neanche che sia ‘liquido’,'mitico’o ’sacro’.
Una Festa degli “inoperosi e provvisori” strappati all’egemonia dell’economia…in cui le relazioni sociali vengono invertite. Leader-popolari e popolo-leader….sovranità ai Re buffoni,ai Clowns e ai poeti a dispetto di Platone e alla tirannia della Ragione.Una disattivazione dei valori e dei poteri costituiti non come concessione temporanea ma come assunzione mentale e culturale.Una festa delle parole nomadi,della musica libera e leggera esibitie nella loro pura inoperosità ,leggerezza e gioco….senza ‘maschere carnascialesche” come neutralizzazione del volto e delle persone reali,autentiche e profonde.Una Festa dell’arte….. l'arte che apra all'infinito il mondo della significazione: colore, ritmo, profumo, pesantezza, profondità, spessore... La festa della “poesia”…….Le Muse come “genius loci” che circolavano secoli fa per le nostre terre grecizzate prendono il loro nome da una radice che indica l'eccitazione, la tensione viva che s'impenna, si fa impazienza, desiderio o collera, che arde per sapere e fare.

giovedì 10 giugno 2010

Elisir d'amore per .......Cairano 7x...2010


“Il significato delle parole dipende dall’uso che se ne fa”.
Wittgenstein.





....il mio vocabolario per Cairano...

POESIA
Nei tempi di tristezza e deriva politica il pericolo più insidioso per gli individui e le piccole comunità può venire da un pensiero troppo innamorato di sé stesso e ancora una volta impaurito dalla poesia quando non si chiude in sé stessa ma osa puntare il dito verso di noi. Quando si fa “sublime” diffuso e massificato , fare arte, spettacolo..accetando una comunicazione eccessiva ,trasversale ,politicamente corretta e caciarona per imprigliare il nostro “io” in un autismo privato deluso, empirico,infelice, solitario y final o in una rimozione o autismo corale di un territorio violentato e emarginato. Una sorta di crollo o degradazione della poesia nell’epoca in cui la stessa poesia si fa edonistica indifferenza o eccessiva esposizione e si omologa ad un mondo istupidito e superficiale. Quasi una autarchia creativa del sublime” a cui viene dato o la libertà di sovraesporsi o di relegarsi in regime di innocenza o narcisismo territoriale, storico e politico come una specie in via di estinzione o che dia voce ad una malinconia collettiva o autismo corale che rimargina ( cioè esalta e falsifica) lo sbandamento di una comunità che non c’è più o che non ci mai stata se non nella mente di Platone ,Rousseau o peggio Marx.
I nostri paesi, , rimuovendo la poesia come forza spirituale e autentica del senso, perderebbero la realtà del proprio “io” ,rinunciando alla possibilità e necessità di rieducare ,nel pensare e vivere il proprio paese e territorio, i propri occhi catarattati e il proprio “logos” indurito per riscoprire la “grande vita” paesologica che circola nelle proprie vene per pompare sangue nuovo al proprio cuore, sottraendosi alla deriva tutta politica dei pensieri corti e tristi nella palude di un regime che si è fatto tumore antropologico incurabile e metastasi diffusa . La poesia va difesa ,letta e meditata perché mette in testa una paura vera,offensiva ,rigorosa , selvaggia, nuda, serissima.In certi momenti non basta solo preoccuparci con la denuncia delle sorti della nazione o dei nostri territori o paesi , bisogna provare terrore per reagire e ripredersi le redini dei nostri demoni interiori e dei tanti tristi , atterriti e silenziosi compagni di viaggio di questa esperienza comunitaria che ama la diversità della poesia come intuizione minacciata di sopravvivere e la voglia di rimanere voce feconda dei nostri territori abbandonati ad una sismicità rimossa,contenuta,controllata o peggio repressa .


Elisir d'amore per ........Cairano 7x 2010

Cairano....stare lì per animarsi.rianimare l'amore,per stare zitti,per parlare troppo, per riamare la bellezza,il silenzio,la luce,l'alba,il tramonto....stare lì mentre nel mondo accadono tante cose e non sempre belle......



il mio vocabolario per Cairano:

IDENTITA’
Ci sono parole buone che ci sostengono nelle decisioni importanti della nostra vita,che illuminano i passi che compiamo, che ispirano i nostri modi di orientarci nel mondo,che riempiono i vuoti e gli spazi della nostra mente,dei ricordi,della memoria e danno senso ai rapporti con gli altri.Ma le stesse parole possono essere ‘avvelenate’ quando confondono realtà,finzione e aspirazione e diventano “mito” per persone ,singoli,gruppi o comunità e diventano “sostanza”,”essenza” che escludono il dibattito,il conflitto,le differenze o peggio si fanno “sostanza” biologica,storica o culturale sfociando nel razzismo e nel fondamentalismo.Essa è parola che determina incompletezza,comunicazione,convivenza,scambio,interazione …alterità. Non privilegia la coerenza,la stabilità,l’unità,la chiusura ,la sufficienza ma l’apertura,la comunicazione,lo scambio,il mutamento,la trasformazione,la creatività e l’innovazione.Identità può diventare parola avvelenata e tossica pur essendo parola nitida e bella,fiduciosamente condivisa,di uso universale quando promette ciò che non c’è,quando ci illude in ciò che “non siamo e non vogliamo”,quando fa passare per reale ciò che è finzione ,al massimo ,aspirazione o “falsa coscienza” e “mito” di una modernità strapiena di beni,di merci,di ricchezza e desolatamente povera di relazioni e di progetti di convivenza e condivisione.

Elisir d'amore per ......Cairano 7x 2010


Il significato delle parole dipende dall’uso che se ne fa”.

Wittgenstein.









VIAGGIO



Ognuno di noi che vive lontano dai paesi dell’Irpinia d’oriente sta preparando i suoi “zaini mentali” per il suo viaggio ‘nomade’ verso Cairano che non è un “miraggio,una utopia,un sogno o una speranza” ma una realtà viva e quotidiana con una storia ,una cultura, una identità. Cairano non è le parole e i racconti che ne facciamo tuttavia ognuno di noi si parto con sè le sue parole,i suoi pensieri,le sue passioni,i suoi sentimenti per vivere quei giorni in quel luogo determinato con leggerezza e immaginazione ma sopratutto con autenticità.
Wittgentein ci dice che quello che sembra una certezza ,è “uno sfondo ereditato” qualcosa che abbiamo imparato. E anche di “noi”,gli oggetti ,le persone non sono realtà inoppugnabili ma espressioni di regole grammaticali ( linguaggio) che abbiamo appreso e che ora ci circondono come una seconda pelle. Come l’acqua per i pesci,come l’aria per noi , la cultura ci forma e ci conforma.
Da tempo abbiamo imparato che a una parola corrisponde una parola,, che al racconto di un’azione corrisponde un’azione,ad una espressione del volto un moto dell’animo Queste sono le nostre regole grammaticali. La grande verità è che “lo sfondo ereditato” è una struttura provvisoria,storica e quindi soggetto agli accidenti della storia o delle storie individuali. Le nostre regole grammaticali e sintattiche,cioè il mondo che ci informa e conforma, è soggetto al continuo cambiamento perché è una costruzione umana e come tale non ha nulla di fondamentale che permane. Va ridiscussa quindi l’intera antropologia. La nostra identità è sì una seconda pelle e la cultura è sì l’orizzonte di senso in cui fiduciosamente ci muoviamo senza farci fin troppe domande, ma anche che essa è un vestito che può essere cambiato e la nostra cultura è un orizzonte che può mutare. Quello che conta è non perdere il centro in se stessi. Il senso del “viaggio” ci permette di continuare a vivere o sopravvivere nel deserto della storia cercando di scoprire “i difficili segnavie” tra le precarie e mutabili rotte dei carovanieri viandanti nella storia o nelle storie. In una realtà che non ha strade segnate,definitive e sicure ( se ne vedi una è sicuramente o possibilmente un “miraggio”,l’uomo è sempre più un nomade o un viandante che è sicuro solo di stare in quel posto in quel preciso momento. Il suo è movimento puntuale , da un punto a quello immediatamente successivo .Il problema è non farsi prendere dalle vertigini dello spazio liscio o dalla paura della solitudine.
Il “viaggio” è anche educarsi a vivere senza mappe dal momento che il contesto sociale non è più in grado di dare senso alle nostre azioni.
Siamo come carovane nomadi che si muovono su un terreno liscio, e non dobbiamo lasciarci ingannare dagli orizzonti in movimento, senza enfatizzare il vestito che indossiamo, non lasciarci sopraffare dalla disperazione,quando manca l’acqua o l’oasi non corrisponde alle indicazione della mappa o delle speranze..Vivere senza mappe è alienante solo per chi è educato a vivere di mappe e finalismi o verità eteronome. Sicuramente è un vivere con un senso di povertà antropologica e può essere faticoso ma è sicuramente meglio dell’iperattivismo dei nuovi mutanti o delle pigrizie immobilizzanti dei sopravvissuti alle mitologie ,alle metafisiche o peggio alle teologie astratte ed autoritarie.

martedì 8 giugno 2010

Elisir d'amore per ......Cairano 7x 2010

paesaggi … paesologia

comunità paesologica per una regione del sud interno, dal Pollino alla Maiella

ecce cairano 7x, 2010

con 4 commenti

QUESTO è IL PROGRAMMA STERMINATO DI CAIRANO 7X EDIZIONE 2010. ORA C’è SOLO DA DIFFONDERE…..Forse entro domani, prima di andare in stampa, riusciamo a inserire ancora un’altra bella cosa. grazie a tutti, in particolare a elda. è lei il fuoco centrale di questa nostra straordinaria avventura.

cairano 7x www.cairano7x.it

paesi, paesaggi, paesologia

da un’idea di franco dragone

direzione artistica: franco arminio

a cura di : comunità provvisoria; organizzazione pro loco cairano

20-27 giugno cairano, irpinia d’oriente , 30 giugno avellino

con il contributo di : Comune di Cairano, Ente Provinciale per il Turismo di Avellino

coordinamento : Amici dellaTerra Irpinia

cibo e cucina : I Mesali- Transumanza enogastronomia in Irpinia

partner : Anab, Slow Food Alta Irpinia

patrocinio: Amministrazione Provinciale di Avellino

idea di cairano

c’è una desolazione che è anche beatitudine. c’è un paese piantato come un meteorite nell’irpinia d’oriente, un paese che guarda a un mare d’erba, ai monti picentini, alle alture lucane. cairano guarda a sud dalla sua rupe. non ci sono cose da vedere, nel senso strettamente turistico del termine, ma da cairano si vede molto, ma bisogna arrivare alla nuca silenziosa del paese: il paese ha letteralmente la testa tra le nuvole. alla fine di giugno, quando ad occidente c’è più luce, cairano7x è una settimana per parlare e ascoltare. non un festival, non è un evento, è una cerimonia dei sensi. non è un´adunata di specialisti. è una festa del silenzio e della luce, un cantiere delle arti e del buon vivere. artisti, architetti, archeologi, artigiani, poeti, musicisti, teatranti, registi, gastronauti, pensatori, contadini, nullafacenti, tutti insieme tutti a intrecciare i fili di un nuovo modo di abitare i luoghi considerati più sperduti e affranti. è un´esperienza per i liberi, per i non affiliati, per chi sente il dolore e la bellezza di stare al mondo, per chi ancora vuole provare a fare un buon uso, un uso semplice e profondo, di noi e del mondo. cairano come luogo d’intreccio, capitale dei confini. ogni arte, ogni persona si sporge sul bordo di se stessa, si pone in bilico, in ascolto di altre arti, altre persone. portiamo a cairano chi lavora per la bellezza, chi ancora crede al mondo come a un luogo per amare ed essere amati. non si viene qui per esporre le proprie mercanzie artistiche o dialettiche e andare via. non si viene qui per fare un numero, per eseguire uno spartito confezionato altrove. si viene qui per fare cultura e politica, per farle insieme. è il momento di smuovere l’immaginazione, costruire progetti che usano la gomma più che la matita. andiamo sulla rupe per cucire in una nuova alleanza il vuoto e il silenzio e la luce e il cibo e il pensiero e l’arte di trascorrere il tempo su queste schiene di terra che si abbassano verso il mare e in cui ogni paese è una vertebra isolata. da questo isolamento vogliamo offrirci e offrire un’esperienza di comunità, una comunità necessariamente provvisoria in questa stagione di autismo corale. non siamo paesanologi, non nutriamo nostalgie dei paesi com’erano una volta. ci sporgiamo verso il futuro partendo da una fonte che sia solo nostra. siamo stufi di pensare a questi luoghi con le categorie degli altri. non cerchiamo turisti, ma nuovi residenti. e si verrà in questi luoghi non solo per lo loro bellezza, ma perché qui si può sperimentare un diverso modo di vivere, lontano dall’affollata insolenza dei centri urbani. (f.arminio) Leggi il seguito di questo post »

Elisir d'amore per .......Cairano 7x 2010



…a Cairano per contiuare “il viaggio”
Non abbiamo mai pensato ad una “società” come la metafora in cui la ‘finzione’ è parte determinante della vita, non abbiamo più l’ardore di “costruire” nuove piccole ‘pòlis’…..o il desiderio di costruire “nuovi mondi” o cercare “isole felici”….. nel frattempo viviamo ancora le città almeno come sinonimo di influenze culturali,sociali ed economiche, ma soprattutto non amiamo le nuove città come ‘parco a tema’, o ‘luogo-non luogo affollato di vite assurde o come elaborate aberrazione o sperimentazione architettoniche e sociale.L’immaginario urbano oggi ci appare costantemente in bilico tra realtà e il suo doppio,tra copie ed originali, tra pensiero critico e deriva surreale. La ricerca e la pratica dell’architettura più “creativa e spregiudicata” si è assunto il compito culturale ed economico di essere il laboratorio paradossale per il trattamento sanitario della “coscienza infelice” occidentale e non solo, dell’uomo-massa forgiato dalla prima catena industriale di Henri Ford e le finzioni per sequele di immagini di Walt Disney.Quantomeno si è cercato di dare un improbabile risposta e cura agli incubi sociali e alle ossessioni intellettuali di Karl Marx quando paventava e teorizzava il feticismo delle merci e il loro assumere valore di essere viventi e il loro naturale destino di diventare semplici oggetti d’uso. Non è profezia, paura o demonizzazione di una finanza cinica e spietata che rende punta vitale della società del lavoro e del profitto una macchina ludica per il business dell’intrattenimento come vita svuotata ed inautentica. Contavvenendo in questo modo a tutte le domande inevase e senza risposte che l’ “io” occidentale aveva drammaticamente posto attraverso la cultura filosofica e letteraria alla ricerca di una sua possibile identità e senso dopo lo smarrimento postmetafisico e un progetto democratico sempre più alienato e massificante.
A Cairano noi proporremo ancora la “paesologia”, la “vita comunitaria e la proposta irrituale di un “parco sociale”.Ne vivremo i racconti, ascolteremo le proposte e le analisi, valuteremo le economie in cerca di “piccoli paesi” e i territori preservati alle paure e abituati alle solitudini attive.Non ci limiteremo sottolineare gli stili di vita delle nuove “città metropolitane e diffuse” e i sui malesseri , cercando retorici e consumati confronti e e sottolinendo le contraddizioni.Solo di fronte ai vari conflitti dei caos urbani e dei vuoti dei non-luoghi, alle anonime e inespressive facce dei nuovi agglomerati urbani, vogliamo pensare alla vita nell’apparente mutevolezza dei sentimenti e delle passioni e alle possibili trame sentimentali e cognitive di una comune provvisoria natura umana. Nel sentimento e nel sogno osiamo pensare di generare l’originario ed autentico senso espressivo della memoria, del ricordo,delle immaginazioni e delle piccole storie umane,di un possibile pensiero ed azione. Vorremmo vivere per sette giorni un senso e un tempo di vita che non è un accidentale e casuale variabile ma cercare di farla diventare una spinta estetica,filosofica,poetica ,conoscitiva,comunicativa per continuare il viaggio intrapreso l’anno passato. Possiamo azzardare di pensarlo ,questo originale viaggio, come una “esperienza politica”? A patto di pensarlo e viverlo non come promesse alla società degli uomini di nuove utopie e vecchi recinti identitari ma come possibile esperienza per il controllo del proprio destino individuale-comunitario attraverso la rivitalizzazione degli spazi naturali e sociali e di varie ed eventuali risposte alle tante domande essenziali e fondamentali rimaste inevase.
mauro orlando