lunedì 31 agosto 2009

Elisir d'amore per ......una lontananza e non una perdita.

Le partenze sono il connotato patologico del mio vivere diviso ma unito alla mia terra di nascita.Oggi per me l'Irpinia è sopratutto futuro e speranza di nuovi incontri.E' luogo condiviso con altri per affetto e stima .E' "ripaesarsi" con sè stesso sopratutto sopratutto l'iniio di un nuovo viaggio accettando di farlo nel rifiuto della lacrime non piante,la tristezza e gli 'umori' che accompagnano la fine o la separazione. Sono sempre più convinto che la “Comunità provvisoria” sia la risposta giusta ad una Irpinia del rancore e della rassegnazione. Gli spazi comunitari che stiamo costruendo con le nostre vite professionali,affettive ,razionali e che raccontiamo in prima non per narcisimo letterario o patologia rancorosa e psicologica. L’irpinia che vogliamo raccontare non è palestra colta delle nostre nostalgie senili, nè summa di ogni spirito o di fantasticherie distorte o molapaste ,meno che meno ‘paradisi perduti’ o palingenesi da rinnovare.Cerchiamo a fatica ma con gioia e letizia strumenti di semplificazioni di relazioni tra uomini diversi,vari ed eventuali ma con un radicamente forte e profondo con una terra ed i suoi uomini.Siamo convinti comunque con modestia e testardaggine che l’intelletto sia sempre in ritardo con la vita.La stessa necessità del richiamo a un passato, una cultura ,un etnos, un territorio specifico (l’Irpinia d’oriente o d’occidente), a persone in carne ed ossa può essere revocata o evocata muovendo dalpresupposto che la serie dei possibili viene orientata e “chiusa” solo a partire dal presente (sempre momentaneo e casuale) che può critallizzarsi solo in propria premessa metodologica mai mitica,,etnica o peggio reazionaria.Siamo sempre più convinti che sia possibile e necessario in questa fase perdere qualcuno per strada senza necessità di doverlo qualificare o etichettare.Abbiamo necessità di discutere e definire un percorso che non sia ingabbiato in rigide e formalizzate ‘istituzioni’ che mortifichino incontri,umori,concetti,opinioni ed idee che si confrontano liberamente piuttosto che focalizzarsi sui propri ombelichi psicologici e culturali.Gli altri con vecchie storie,paradigmi, ideologie costringiamoli a confrontarsi comunque ma solo con le idee e le opinioni o i nostri desideri,sogni e speranze ….il resto è niente …è ‘flatus vocis et mentis’ o peggio per sè.
mauro orlando

sabato 29 agosto 2009

Elisir d'amore (comunque) per .......Francesco De Gregori.

.....che brutta serata ieri a Benevento! C'erano tuti gli ingredienti per un evento: una città spendida,un clima caldo ma sopportabile,tanta gente, Dalla e sopratutto "il principe" Francesco De Gregori.
Una organizzazione pessima e un pubblico "non pagante" hanno reso il tutto una brutta esperienza di massa.Ero con degli amici consapevoli,attenti ,ben disposti e fiduciosi ma tutto è andato per il verso sbagliato e.....si è risolta in una esperienza assolutamente da diemnticare.Un'ora scarsa di spettacolo insieme a Dalla e Francesco, di cui abbiamo sbirciato tra le teste dei rumorosi e caciarosi spettatori tra corrozzelle di pargoletti frignanti ....un cappello bianco che cantava "la donna cannone"!


La canzone d'autore andrebbe protetta da queste esperienze negative.Essa è nata anche per i concerti di massa ma con particolari attenzioni all'ascolto anche delle parole e le storie con idee e sentimenti espressi. La canzoni di Francesco sopratutto ,dove le storie diventano segmenti di storia; piccoli apologhi: più spesso al posto della storia c’è un’autoconfessione, un ritratto, un incontro fuori dal tempo. L’io (e non solo nella canzone d’autore) tende ad essere protagonista, perché più vivo, più emotivo. La metafora è rara e semplice nei termini da congiungere; più frequente (e questo viene dal folk) la similitudine.
La canzone si fa specchio della contemporaneità: sia che questa comporti dubbi e disegni esistenziali, sia che proponga dilemmi sociali e prassi politiche, sia che mostri l’aspetto immediato, semplificato delle cose e dell’amore.Niente di tutto questo è stato possibile provare,sentire o capire ieri sera a Benevento........e ce ne dispiace moltissimo.

La donna cannone
Francesco De Gregori
F. De Gregori

(1983)

Butterò questo mio
enorme cuore
tra le stelle un giorno
giuro che lo farò
e oltre l'azzurro della tenda
nell'azzurro io volerò
quando la donna cannone
d'oro e d'argento diventerà
senza passare per la stazione
l'ultimo treno prenderà
in faccia ai maligni
e ai superbi
il mio nome scintillerà
dalle porte della notte
il giorno si bloccherà
un applauso del pubblico pagante
lo sottolineerà
dalla bocca del cannone
una canzone esploderà
e con le mani amore
per le mani ti prenderà
e senza dire parole
nel mio cuore ti porterò
e non avrò paura
se non sarò bella come dici tu
e voleremo in cielo
in carne ed ossa
non torneremo più
e senza fame e senza sete
e senza ali e senza rete
voleremo via
così la donna cannone
quell'enorme mistero volò
tutta sola verso un cielo nero
nero s'incamminò
tutti chiusero gli occhi
l'attimo esatto in cui sparì
altri giurarono spergiurarono
che non erano mai stati li
e con le mani amore
per le mani ti prenderò
e senza dire parole
nel mio cuore ti porterò
e non avrò paura
se non sarò bella come vuoi tu
e voleremo in cielo
in carne ed ossa
non torneremo più
e senza fame e senza sete
e senza ali e senza rete .........

venerdì 28 agosto 2009

Elisir d'amore per ....il FORMICOSO e i piccoli paesi.

Per noi conservare è rivoluzionare la barbaria mediatica e modernista che vorrebbe stringerci la gola , il cuore,la mente, la cultura , la storia e la vita
"C'è un quadro di Klee che s'intitola 'Angelus Novus'. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, al bocca aperta, le ali distese. L'angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l'infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta. "

non riesco più a stare nel mio paese nuovo

e neppure in quello vecchio e grezzo.

io vivo nella frana che sta in mezzo.

lo so ho un’ anima scomposta, a vederla da vicino sembra un paese terremotato. ma non è di me che voglio parlare in queste righe, voglio parlare di un’idea dell’italia, l’italia che cerco ogni giorno è annidata nei paesi più sperduti, l’italia che resiste dove c’è poca gente, dove ci sono alberi, erbacce, cardi, l’italia che vive ancora solo dove è più dimessa, l’italia che non crede alla pagliacciata del progresso, l’italia dei cani randagi, dei vecchi seduti sulle scale, delle case di pietra incollate in lunghe file che si attorcigliano. questa italia vive ancora solo nel sud interno ma non ovunque. ci vuole che non ci sia città, che non ci sia pianura, ci vuole che non ci sia l’industria o l’industria delll’agricoltura, ci vuole che non ci siano uffici e grandi scuole e strade dritte e mari e serre e nani nei giardini. l’italia che amo ha più di ottant’anni e rughe non lisciate, è una tribù di reumi e bastoni, è ugualmente lontana dall’europa calvinista e dall’africa animista, è una terra di magie arrangiate, di cimiteri sempre ampliati, di piazze livide e rancorose. io voglio frugare tutta la vita in questa italia fino a quando scompare, voglio restare tutta la vita dentro i suoi paesi rotti e malandati. sono un guardiano della più solitaria disperazione. io sono vivo nei paesi invernali quando passa un funerale, sono vivo quando nevica e nei giorni più ventosi, nelle case dove i ragni fanno i nidi nelle damigiane, nei bar degli scapoli. sono vivo ad aquilonia, a roscigno, a conza, ad apice.
di franco arminio


mercoledì 26 agosto 2009

Elisir d'amore per ........"il formicoso....la casa della luce"




un appello a tutti i comunitari e ai visitatori occasionali del blog:

fate sentire in qualche modo la vostra voce contro la discarica sul formicoso.

ditelo con forza: la casa della luce non si tocca.

armin


Alla mia terra martoriata e violentata da sempre e da sempre bella e impossibile...... dedico questa struggente melodia che le si addice per presenza di malinconia e futuro......

Elisir d'amore per ......la DOGANA di Avellino


di Franco Festa _ Appello per salvare la ex-Dogana di Avellino
Dopodomani sera (mercoledì 26) alle 19,30 primo incontro informale vicino alla Dogana di Avellino.Dobbiamo immaginare cose semplici, efficaci, simboliche. Ecco alcune possibili proposte:1)UNA FIRMA PER LA DOGANA: un banchetto nella… piazza e al Corso degli amici di Facebook per la raccolta di firme;2) UN ABBRACCIO ALLA DOGANA: un girotondo simbolico intorno al nostro monumento più caro.3)UN FIORE PER LA DOGANA: far diventare lo spazio antistante il luogo
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Editoriali & Interventi...>>
Avellino, città solo usata
La politica cittadina si lacera, si contorce, si parla addosso, diventa sempre più inconcludente. L’indegno spettacolo di questi giorni, che coinvolge l’amministrazione e il consiglio comunale, forse ha solo pochi precedenti, certamente nessuno che si ricordi, almeno all’inizio di una consiliatura. L’ assenza di una classe dirigente, degna di tale nome, priva il tessuto urbano di una politica di respiro.
continua...

martedì 25 agosto 2009

Elisir d'amore per .......una Irpinia comumque bella e ricca.

Ho vissuto una grande emozione del cuore e della mente ieri sera a Gesualdo (av) ad un concerto di rara qualità e intensità di Tino Tracanna e Corrado Guarino,direttore e compositore l'uno, musicista insigne l'altro. Un esperimento di eccellente elaborazione e di riuscita contaminazione tra classico e moderno nella comunicazione musicale e vocale sui testi del grande madriagalista Gesualdo da Venosa (1560-1613) per riproporre in chiave moderna gli echi di una storia personale avvincente, intrisa di genio e di follia che diventa anche storia culturale ricca e autentica di una nazione tutta.
Il madrigale ,da un punto di vista formale, rappresenta uno degli arhetipi della musica vocale italiana nella ricerca di accordo tra musica e parola,cioè di quella tradizione che ha reso il nostro paese punto di eccellenza sia del repertorio colto che popolare.
I madrigali sono stati liberamente elaborati e riletti con modalità tecniche e stilistiche del jazz moderno e concerto classico con grande sensibilità ,maestria e competenza con risultati semplicemente eccellenti.
Due quartetti, uno jazzistico(sassofono,trombone e batterie) e l'altro classico (flauto,violino,viola e violoncello), una voce femminile di notevole intensità,sonorità e vitalità si sono intrecciati in una concertazione di rara professionalità e qualità.Risultato eccellente e di grande intensità emotiva e mentale.
Un ulteriore esempio di una Irpinia antica e nuova, fonte ed occasione per una proposta culturale di qualità e professionalità italiana,costruita di memoria locale viva e di futuro europeo gravido ben in armonia.
m.o.

Franco Battiato - Gesualdo da Venosa - 1995

lunedì 24 agosto 2009

Elisir d'amore per .......Ariano folk festival.

L'Ariano folk festival si è concluso alla grande nella continuità dello spirito comunitario di Cairano 7x

di franco arminio

Quest’anno l’Ariano Folk Festival non poteva avere conclusione migliore. In qualunque posto del mondo avvenga, un concerto di Vinicio Capossela è sempre un evento speciale. Il poeta della “terra dei coppoloni” fonde in sé una traccia onirica di stampo felliniano e la leggerezza svagata di certi personaggi di Michaux. Raramente un musicista fa venire in mente tante figure. Si potrebbe proseguire con John Fante e Buster Keaton. Nell’ambito musicale gli accostamenti più facili sono quelli con Tom Waits e Paolo Conte. In filigrana si possono intravedere Luigi Tenco o Gaber o altri artisti anteriori all’ondata dei cantautori anni settanta.La venatura balcanica della sua musica non è d’importazione ma gli è data dal suo dna di irpino d’oriente. Le atmosfere crepuscolari di alcune sue canzoni fanno pensare a certe vie di paese coi lampioni rotti. Le pantomime circensi del suo ultimo tour sembrano provenire direttamente dalla teatralità bizantina che ancora fiorisce nel Sud italiano. Vinicio è un artista grande perché ha dalla sua un enorme talento, ma anche una vita vera, la vita di un emigrante, di un poeta inquieto in cui s’intrecciano fili a volte lontani tra loro: Brecht e Breton bagnati nelle acque dell’Ofanto. E il concerto di Ariano sarà straordinario perché Vinicio avrà con sé la calitrana banda della posta e l’anarchico cantore Enzo Del Re. Facile immaginare una serata lentissima e vasta, fragorosa e poetica.Una bellissima serata irpina a cui non possono mancare tutti quelli che credono alla possibilità di uno sgangherato rinascimento per queste terre abitate da creature ombrose, dispettose, incapaci di mitezza e ammirazione. Capossela si avvicina sempre più all’Irpinia. Chi ha avuto la fortuna di ascoltarlo a Cairano a fine giugno ha sentito quanto si vada facendo prepotente in lui la voglia di raccontare i nostri luoghi e le nostre storie. Il concerto di Ariano sarà festa enorme e non l’occasione di ruminare sulle nostre annose sventure, ma subito dopo bisognerà impegnarsi con coraggio e generosità se si vuole affermare la dignità delle nostre contrade. Questa estate non si può dire che sia stata segnata da manifestazioni significative sul fronte della difesa del territorio. La politica, a partire dai sindaci, continua a seguire la solita filosofia: piccoli paesi, piccola vita. Per sere e sere l’Irpinia è stata trasformata in una sorta di Cottolengo della musica. Una penosa sequela di concerti allestiti per fare da sfondo all’annoiato struscio di una piccola borghesia senza disperazione e senza sogni. Anche per questo bisogna andare ad Ariano. I ragazzi del Folk Festival fanno le cose in grande, uscendo sempre più dall’ambito strettamente musicale.Dopo aver scritto questo articolo vado a leggere i miei versi sul tricolle. E prima di me hanno letto Mariangela Gualtieri e Alexandra Petrova. Sono felice di avere affiancato l’attività della Comunità Provvisoria a quella del Folk Festival. L’Irpinia ha bisogno di connessioni, di sinergie, di reti. Lasciate pure che cadano i vecchi campanili, non servono più a niente.


Elisir d'amore per ..........una Irpinia non rassegnata.

“ho trovato persone bellissime in questa comunità. Donne ed uomini che stanno fuori da ogni nicchia, persone che hanno slanci generosi. E’ gia un nuovo Sud questo, un sud enorme, inimmaginabile da uno come Bossi, ma anche dai sordi e dai miopi politicanti delle nostre contrade. E’ il sud che ha reso sacro il Formicoso che ha trasformato la rupe di Cairano in un trampolino da cui tuffarsi nel futuro.”
franco arminio

L’editoriale chiaro e stimolante di Daniele Moschella ( La stagione della rassegnazione ? ) merita una risposta..Una risposta che per necessità e convinzione deve essere lunga,articolata e molto personale nello stile e nelle argomentazioni. Io , “irpino della diaspora”, vivo di fatto l’equivoco quotidiano della “modernità” dello sviluppo senza progresso sul Lago di garda nella operosa e iperproduttiva provincia bresciana. Attaverso internet e i più continui e approfonditi ritorni nella mia nativa Irpinia ho scoperta una realtà diversa da quella studiata negli anni passati e raccontata in modo ineccepibile e articolato in questo articolo. In questo ultimo anno ho conosciuto l’alta irpinia o Irpinia d’oriente che dir si voglia cercando di recuperare o scoprire la sua anima più profonda che non ritrovavo sulla stampa nazionale e che lo stesso Rumiz a volte sembra di non cogliere nelle sue pur pregevoli descrizioni e cosnsiderazioni giornalistiche. L’ho scoperta “sul campo” e in una esperienza particolare a “Cairano 7x” e negli spazi democratici e originali del Blog “Comunità provvisoria”. L’esperienza è stata “comunitaria” e pertanto anche il mio scritto passa da racconto soggettivo ad un tentativo di recuperare un racconto collettivo di nuovo tipo . Gli spazi comunitari che stiamo raccontando o costruendo non sono né Paradisi perduti , palestra per la nostra nostalgia senile né ‘summa di ogni spirito’ e di ‘fantasticherie’ distorte o malposte. Agiscono come strumenti di semplificazione delle relazioni tra gli uomini diversi ,vari ed eventuali. Mediano e facilitano i rapporti tra di loro circoscrivendo uno spazio in cui si attenuino, senza poterli però esaurire o neutralizzare, i rischi di imprevedibilità connaturati alla multilateralità costitutiva della società e delle nostre esperienze personali di vita e di professione. E lo fanno solo agendo nel solco di un’ulteriore differenziazione. I toni e lo stile dell’Editoriale interessano poco perché personali e legittimi sempre. Interessa la sostanza dell’intervento soprattutto come invito a una precauzione metodologica alla rigidità, alla pesantezza, alla durezza di un possibile confronto vecchio ed abusato ,“sordo e cieco” tra le rassicuranti coppie cuore-cervello ,corpo –anima ,politica buona o cattiva, moderno-antimoderno ecc. Noi “comunitari provvisori” irpini a fatica stiamo rappresentando uno spazio di libertà e di democrazia che cerca di agire come dissolvente delle fissità e delle rigidità; fluidifica i rapporti tra i soggetti senza necessariamente ridefinirli in uno spazio rappresentativo e generale mitico o ideale. Siamo convinti con modestia che l’intelletto sia sempre in ritardo sulla vita. La frammentazione, il dis-ordine, l’antagonismo,il dialogo,il conflitto che quest’ultima esprime può essere ordinato, pensato, solo in forma metonimica,mai prescittiva e assoluta. La stessa necessità del richiamo a un passato, una cultura, un territorio specifico (Irpinia d’oriente) a persone in carne ed ossa , può essere revocata o evocata muovendo dal presupposto che la serie dei possibili viene orientata e «chiusa» solo a partire dal presente (sempre momentaneo e casuale) che lo cristallizza in propria premessa metodologica mai mitica,etnica,reazionaria. Cercare forme liquide di ’autoconservazione non è infatti «rigida mancanza di problemi e immobilità interna», quanto piuttosto «somma di processi immanenti» «difesa di un equilibrio continuamente minacciato», «riconquista di un equilibrio spesso perduto», «consapevole e inconsapevole preparazione di mezzi per lo scopo, mai realizzato di per sé» Il contrasto, il conflitto – in tutta la vasta gamma della loro fenomenologia di passioni apparentemente dissociative (dalla gelosia all’antipatia, dalla concorrenza alla lotta, dall’odio privato all’antagonismo politico) – devono esprimere e rappresentare la correlazione energetica tra istanze dissociative ed istanze associative che ognuno di noi porta dentro il suo dna e le sue ‘accumulazioni culturali’. Il perseguimento di scopi soggettivi non è opposto alla realizzazione di effetti generali ed oggettivi, per il semplice fatto che l’oggettività è sempre un effetto di condensazione del soggettivo. Non cerchiamo di irrigidire in istituzioni o ‘stati’ anche solo mentali attraverso un apparente concretizzazione o formalizzazione dello stato di natura immaginato da Hobbes, essa non richiede alcuna istituzione esteriore che ne neutralizzi gli effetti dirompenti,liberi e conflittuali ma rappresenta di per sé stessa un intreccio di incontri,umori, concetti,opinioni idee per cui i concorrenti in lotta tra loro sono obbligati a focalizzarsi sul volere, sul sentire e sul pensare di altri uomini,piuttosto che al suo ombelico psicologico o culturale. Sempre convinti che il conflitto è cifra dell’intensità dell’unità della relazione sociale e culturale. Tanto più ricca, fluida e conflittuale la vita che lavora dall’interno le sintesi formali come “la comunità provvisora “ o altro, tanto più alta la possibilità che la loro produzione mantenga inalterata la struttura temporale e provvisoria che le caratterizza dall’interno e che il sistema generale dei rapporti individuali , sociali e culturali per così dire, evolva in fluidità e leggerezza. Nessuna «unità superiore» può essere pensata (o concedersi all’immaginazione di essere) definitiva: Il presente, per così dire, non è mai perfettamente contemporaneo a sé stesso. E questo significa che ogni equilibrio è fluido e ogni sintesi aperta. Rispetto a ciò che è, a ciò che è stato, e a ciò che sarà. Un conflitto non come esercizio retorico, di esodo , narcisistico e autoreferenziale che non precede o persegue la sua neutralizzazione, ma che deve essere letto come l’asse principale di temporalizzazione di ogni formalizzazione provvisoria del legame tra gli uomini. Non un “itinerario turistico o folcloristico”, “contrabbando della verità” ecc.ecc. ma neanche “presunzione di verità” ,riproposizione di comode,ingessate e vecchie forme di conflitto (destra-sinistra, Nord-Sud, vecchio-nuovo, moderno-antico ecc) e un richiamo solo formale alla consapevolezza e la libertà sempre e solo propria e non degli altri.Anche questo circola nella parte più profonda degli uomini delle nostre terre e necessita non solo di essere vissuto e pensato ma anche raccontato e discusso.
mauro orlando



Articolo pubblicato su "BuongiornoCampania.

mercoledì 19 agosto 2009

Elisir d'amore per.......una grande "donna"


......grazie di tutto......Fernanda.
ho avuto l'alto onore e il grande piacere di conoscere Fernanda in vita,donna di particolare intelligenza ,sensibilità,umanità.......nel suo studio di Milano immersa tra libri mi ha regalato un sorriso e un piccolo cuoricino intermittente comprato dai suoi amati 'marocchini'.Lo conservo come religisa reliquia di una bella,buona e giusta persona
'reqiescat in pace'

F. Ti sei dimenticata di rivolgermi una domanda: chi è Fernanda Pivano? Fernanda Pivano per tutti è una scrittrice. Per me è una ragazza di venti anni che inizia la sua professione traducendo il libro di un libertario mentre la società italiana ha tutt'altra tendenza. E' successo tra il '37 e il '41: quando questo ha significato coraggio.

Fabrizio DE ANDRE'
Intervista registrata a Roma il 25 ottobre 1971.





Intervista di Fernanda Pivano a Fabrizio de André

F. Il suonatore di violino (che è diventato per ragioni metriche di flauto) è uno che i problemi esistenziali se li risolve, e se li risolve perché, ancora, è disponibile. E' disponibile perché il suo clima non è quello del tentativo di arricchirsi ma del tentativo di fare quello che gli piace: è uno che sceglie sempre il gioco, e per questo muore senza rimpianti. Non ti pare perché ha fatto una scelta? La scelta di non seppellire la libertà?

P. Allora si può dire che è questo il messaggio che hai voluto trasmettere con questo disco? Perché siamo abituati a pensare che tutti i tuoi dischi hanno proposto un messaggio: quello libertario e non violento delle tue prime ballate, come nella Guerra di Piero, quello liberatorio della paura della morte come in Tutti morimmo a stento, quello demistificante dei personaggi del Vangelo, come nel Testamento di Tito. Qual è il messaggio di questo Spoon River?



lunedì 17 agosto 2009

Elisir d'amore per ........."Grottaminarda"

Il castello "D'Aquino" a Grottaminarda




di Franco Arminio
Oggi niente paese, niente casa, niente libri, niente piccoli giri in bicicletta, niente computer. Un giro nei paesi, ma non quelli lontani, un giro vicino, sempre a mezz’ora da casa.

Pensavo di fermarmi a Guardia e invece scendo sull’Ufita e poi mi allungo fino a Grottaminarda. C’è traffico, è il paese coi commerci, con l’autostrada e il suo indotto. Fa anche caldo. Mi viene l’idea di andare al cimitero. Ci sono passato tante volte e non ci sono mai entrato. La scritta in latino è molto bella: ti sia lieve la terra, dice. È una frase esemplare che i vivi possono dire ai morti. E forse c’è una frase che i morti possono dire ai vivi. Forse è per ascoltarla che entro nel cimitero, è una frase che non può avere parole, è un qualcosa che ti entra dentro senza la furia che hanno i vivi. La faccia di un morto su una lapide è come un albero, come un gatto. È qualcosa di irrimediabilmente innocente, qualcosa che ha dismesso la fosca battaglia per stare in mezzo agli altri. Ho voglia di vedere facce. Un cimitero è anche una grande mostra fotografica. Qui a Grotta non c’è nessun visitatore. Il parcheggio era affollato, ma sono andati tutti al mercato. Mi segno nomi e date, guardo specialmente quelli che sono nati dopo il sessanta. Camminando nel cimitero sento che il cuore si è rimesso a battere con precisione, prima sembrava disordinato, impaurito. Adesso cammino e faccio attenzione a quello che vedo. Il cimitero di Grottaminarda non ha marmi scintillanti e lapidi di forme strambe, non somiglia per niente all’orrenda piazza da poco realizzata. Insomma, c’è molto più ordine di quello che c’è fuori.

Adesso che sono qui a casa, adesso che sono passate molte ore, non so dire di preciso come mi sentivo stamattina, non so dire come la morte educava i miei passi e i miei pensieri. La nostra testa è fatta di lampi deboli e lontani oppure di un cielo basso e grigio e inerte. Basta poco e non sappiamo dove siamo, cosa pensiamo. E allora arrivano le parole da cui sfiliamo altre parole e altre ancora per non trovarci di fronte all’esatta insensatezza di appartenere a una specie che ha perso il filo del suo viaggio nel mondo. Stamattina non pensavo alle cose che sto scrivendo. Pensavo solo di mettere sul computer i nomi e le date che andavo trascrivendo sul taccuino. Villanova Antonio (1963-1998), De Paolo Concettina (1965- 2005), Michele Iacoviello (1972-2009)Palumbo Pasqualantonio (1958-1995), Maurizio Grillo (1970-1994) Romano Generoso (1962-1991), Romano Massimo (1970-1991), Carla Formato (1947.1997), Del Viscovo Michele (1960-1992), Dario Bottino (1963-1984), Amalia Minichiello (1984-2001), Blasi Guido (1968-1983), Di Vito Giulio (1977-1996). Stamattina ognuna di queste persone mi ha consegnato una sua frase, ognuna delle loro facce mi ha fatto compagnia per qualche attimo. Di più non è possibile.
leggi il seguito:Oggi niente paese, niente casa, niente libri, niente piccoli giri in bicicletta, niente computer. Un giro nei paesi, ma non quelli lontani, un giro vicino, sempre a mezz’ora da casa.

continua:http://comunitaprovvisoria.wordpress.com/2009/08/11/una-giornata-irpina/#more-6956


Elisir d'amore per ........un "cinquantenario"

C I N Q U A T E N A R I O
1959-2009
Gli studenti del corso ginnasiale iniziato nel 1959
presso il Liceo ginnasio Parzanese di Ariano irpino
si sono ritrovati il 10 agosto 2009


....l'estate impazzava dionisiaca tra piccoli e grandi amori al mare di Ischia o Acropoli per diementicare le fatiche scolastiche di tempi autoritari ma fecondi e la 'maliconia' di Gino Paoli alimentava di senso le superficialità dell'adolescenza..........oggi i tempi sono cambiati non sempre in meglio e noi continuiamo acoltivare 'nostalgie' che non ci riportano indietro nelpassato ma ci aiutono a guardare i lpresente con sospettosa ironia e il futuro con consapevole distacco.

“Nostalgia, nostalgia,
per piccina che tu sia ……
canaglia e sirena nostalgia
nostalgia e voglia di compattezza
come quando bastava il “nemico”
senza rompersi la testa
come Diogene ,
a cercare la ragione nella e della sinistra.
Ci bastavono i torti del Nemico,
i torti e le corbellerie.
Manifestare contro le leggi su misura o ad personam.
Girare in tondo
Come dervischi allegri
Intorno ai Quattro principi della democrazia.
Cose facili e leggere,
esercizi per principianti
adulti,sempre con riserva.
Sonatine.
Accordi elementari.
La legge è uguale per tutti.
Il conflitto d’interessi.
Era una festa.
Era una giovinezza matura.
Caciara e certezze come a vent’anni.
Adesso che Silvio traffica non più nell’ombra
Con i vecchi e nuovi compari della P2
E fa lo spiritoso anche dal Governo
Con le nuove veline e ballerine
Diventate Ministre
E i vecchi ,rincoglioniti ma fedeli nani e servitori
A fare il controcanto della democrazia.
Le cose e le parole
,nel mondo globalizzato e liberista
Anche per noi si sono complicate.
“Bisogna relazionarsi correttamente
con il nuovo Partito democratico,
con quelli che sono entrati nel partito democratico,
con quelli che erano fuori ma forse entrano,
con quelli che sono dentro ma in quota margherita,
con quelli che con veltroni sì
ma anche bersani,
con quelli che frenceschini a me non mi risulta,
mai poi neanche letta,con quel nome,
con quelli che sono” buoni e cari
ma ….quando si incazzano”
non guardano in faccia a nessuno e così via
A quelli sempre incazzati
Per natura o per contratto,
spigolando convergenze e divergenze
con gesuitica supponenza di sinistra
sempre con “la puzza sotto il naso”.
Oggi la vita del cittadino
Di professione altra per necessità o scelta
Appassionato ai problemi della polis
È lastricata di dubbi sofferti e sofferenti .
Infatti si sta tutti a casa
A spulciare, incazzato, giornali e telegiornali.
A rimuginare sul fatto e sul non-fatto,
sul promeso e mantenuto,
sul promesso e svaporato
sempre sull’orlo del precipizio
del eterno Monte Sinai della Sinistra Radicale
o di un “italia dei valori” come riserva nazionale.
A Noi cittadini non-credenti e non devoti.
Di professsione altra
ma di provata fede democratica e costituzionale,
farebbe piacere ,di tanto in tanto,
essere esauditi ,anche dai Nostri,
nella sacrosanta richiesta di democrazia.
Con o senza partito.

sabato 15 agosto 2009

Elisir d'amore per ........dialogo immaginifico......

Il Clown Nanosecondo ed il suo angelo custode Mercurzio alle prese con i sogni d’amore....
Ma tu non stai nella “corte dei miracoli” …e allora perché non me ne fai uno …….io sono un semplice pagliaccio ….clown chi sa. Continuo a muovere le labbra convinto di parlare, ma il suono sempre più gutturale diventava un gracidare inascoltabile, una parodia della voce, tanto che nemmeno l’aria ci fa più caso.
(continuazione dalla prima parte)martedì 11 agosto 2009, di
Enzo Maddaloni -

NANOSECONDO: Adesso… Basta! E, via, Mercuzio, basta! Stai parlando del nulla! Pure i tuoi sogni d’amore so sfigati… mentre le mie sono fiabe leggere …che poi si avverano d’avvero. Basta solo riconoscersi ….nell’amore ….come Davide e Mariateresa che riconobbero il loro amore e così l’amore trionfa.
MERCUZIO: Sì, di sogni, che sono i figli d’un cervello pigro, come quello di una ragazza clown che conosco molto bene …e che anche tu sembra conosci bene …..e senza che a mi dici fesserie…tanto da quasù io vedo e sento tutto.......ma, questi sì che sono sogni fatti solo di vana fantasia, che sono inconsistenti come l’aria, più incostanti del vento, che ora scherza col grembo gelido del settentrione, ed ora, all’improvviso, in tutta furia, se ne va via sbuffando e volge il volto alle stillanti rugiade del sud......."........Oggi non ci mancano le parole ,ma ci manca chi veramente possa e voglia ascoltare.......quello che tu chiami amore non è ancora amore.
NANOSECONDO: Ma tu non stai nella “corte dei miracoli” …e allora perché non me ne fai uno …….io sono un semplice ….clown chi sa forse ancora pagliaccio ma, continuo a muovere le labbra convinto di parlare, ma il suono sempre più gutturale diventava un gracidare inascoltabile, una parodia della voce, tanto che nemmeno l’aria ci fa più caso. A volte parlo d’amore e l’amore se ne và con il vento……come dici tu ......mentre io cerco invano di acchiapparlo …anche con il mio aquilone.
MERCURZIO: siete due pagliacci …..in passato…. sono anche rimasto impressionato del tuo tuonare ….di chissà quali oscuri artifici e indovinelli, cavillando sempre, incespicando sul canovaccio di quattro sillabe noiose e scopiazzate, recitando quella farsa alla quale tu solo prendevi parte. E, cosi hai pagato! Per fortuna la lezione ti è servita per capire che non sei immortale? Tu! Rigurgitavi gli acidi indigeriti della tua pochezza, gli effluvi della tua invidia malcelata, il tuo veleno ormai scaduto, di pozione magiche fasulle. Ma era solo acqua marcia il beverone, liquame, un’impostura pagata cara al mercato delle pulci. Non te ne sei accorto mai, non sapendo separare quel sapore dal tuo fetore. E invece strascicavi da lebbroso indefiniti strali, riproponendo in salse nuove parole vecchie e pretenziose, e le cantavi pure male.

Continua:

venerdì 14 agosto 2009

Elisir d'amore per .......un' ultima luna napoletana......

L'Ultima Luna d'Estate 2009
Teatro Lecco Milano Musica
Luogo: Parco di Montevecchia e della Val Curone (Brianza Lecchese)
Ora:venerdì 28 agosto 2009 18.30.00




Buona occasione per ascoltare Napoli nelle terre cosidette "padane" senza i paraocchi tardoideologici e etnofobici.Napoli eterna contraddizione e metafora dei popoli mediterranei,nomadi per vocazione e stanziali per natura.Perchè ancora Napoli fuori dagli stereotipi e del mito? Perché Napoli ha una canzone “nazional-popolare “già dal 1500. De Mauro ,che è un grandissimo cultore e conoscitore della musica e della canzone italiana, la definisce “canzone di scambio”. Sono due i tipi di melodie, di canzoni, di “racconti in musica”, che nascono nella storia d’Italia. La “canzone d’uso” e “la canzone di scambio”. La “canzone d’uso” è quella che nasce in un posto definito e si canta solo in quel posto particolare. Una “canzone d’uso” è per esempio “la taranta” che nasce nella penisola sorrentina ed ivi resta perché rispecchia in pieno quel particolare territorio e quelle determinate tradizioni antropologiche e culturali. Diventava impensabile che una tale “accezione culturale” avesse rilevanza e si trasmettesse in altri territori anche vicini , nemmeno in Abruzzo o nelle Marche. La canzone napoletana, invece, nasce già con una vocazione universale come “canzone di scambio” Perché già con la “villanella napoletana” si parte dai sentimenti più elementari, naturali e cosmici che possono esistere e che sono di tutt’Italia e non solo dei napoletani. Ad esempio il rapporto del “maschio” che si crede forte e indipendente, (“il guappo”, il personaggio che domina le situazioni) con la “donna”, che lo fa soffrire è l’humus culturale di tutta la canzone d’amore italiana. La canzone d’amore italiana si base su questo squilibrio e scontro tra il maschio e la femmina. Già nella “villanella” c’è presente questo dramma tra l’uomo che si sente “forte” ed è debole e la donna che lo “sfessa” ( lo prende in giro o lo raggira e lo fa soffrire) nell’incantamento d’amore, della notte e del giorno , della farfalla che vaga, della paura che si sperde. Fatti, sentimenti e situazioni che la canzone napoletana sa esprimere perfettamente per tutti. La canzone napoletana è la perfetta rappresentazione a livello naturale, personale , politico ,popolare di quelli che sono i rapporti più originali e più universali ed eterni tra un uomo e una donna.

....questa è la Napoli che ci canta sottovoce CANIO LOQUERCIO......

giovedì 13 agosto 2009

Elisir d'amore per .......la "Comunità provvisoria".

di franco arminio

Sui giornali nazionali si parla di Sud. Parlano del Sud quelli che lo hanno ferito e quelli che lo vorrebbero morto. E intanto noi siamo qui, in questa terra sfrangiata, manomessa e comunque ancora incantata. Abbiamo poche parole intorno a cui raccoglierci, ma quelle che abbiamo ci possono bastare, almeno per ora. Penso, in questo caso, all’esperienza che stiamo vivendo ormai da due anni con un particolarissimo laboratorio che abbiamo chiamato Comunità Provvisoria.Si procede dall’intuizione che certe baracche non servono più a niente. Sono baracche i bar dei paesi, i partiti, le chiese dei mestieranti della fede. Non bisogna cedere di un centimetro neppure ai professionisti dell’intrallazzo, a quelli che hanno un occhio alle “amicizie” e un altro al portafogli. Questa è un’epoca in cui non ci sono binari e caselli obbligati. Bisogna inventarsi la giornata. La nostra giornata può essere insieme poetica e politica, imbronciata e affettuosa. Non ci sono solitudini e compagnie precostituite. Un tempo e un luogo in cui si attraversano le ore per incantarsi, per farsi prendere da indignazioni e meraviglie.Ho trovato persone bellissime in questa comunità. Donne e uomini che stanno fuori da ogni nicchia, persone che hanno slanci generosi. È già un nuovo Sud questo, un Sud enorme, inimmaginabile da uno come Bossi, ma anche dai sordi e miopi politicanti delle nostre contrade. È il Sud che ha reso sacro il Formicoso, che ha trasformato la rupe di Cairano in un trampolino da cui tuffarsi nel futuro. Questo non è fumo, sono prove quotidiane per vivere fuori dalle logiche dei finanziamenti pubblici, dal pessimismo di Stato alimentato da chi pensa che i paesi possano vivere solo di elemosine. Non ci interessano gli intellettualismi generici, il questionare animoso e inconcludente. Crediamo alla via della decrescita e non ai miraggi del progresso ingabbiato nella galera del consumare e del produrre. Portiamo affetto ai luoghi più affranti e sperduti, alle persone che sono rimaste sole in mezzo ai paesi, a chi si dedica a imprese di lunga lena, a chi non ha paura di pensare a Dio, alla morte, alla poesia. Non cerchiamo raccomandazioni, ma racconti. Sappiamo esprimere ammirazione e sdegno. Ammiriamo i contadini che lavorano la terra nella sagra quotidiana del sudore e non chi organizza le sagre della nostalgia. Crediamo a chi crede alle persone che fanno belle cose in questi luoghi senza il bisogno che questa bellezza sia prima riconosciuta altrove, nelle sedi a cui ancora si attribuisce un’autorità di pensiero ormai perduta.Questo Sud è tutto da nominare. Si chiama Mario Festa, Elda Martino, Salvatore D’Angelo, Mauro Orlando, Donato Salzarulo, Angelo Verderosa, Luca Battista, Pietrantonio Arminio, Monica Rosapane, Michele Ciasullo, Agostino Della Gatta, Antonio Luongo, Vittorio Iannino. Queste sono solo alcune delle persone straordinarie che danno vita al tentativo di essere radicati nei propri luoghi senza farsene imprigionare. La lista sarebbe troppo lunga. Confido nella clemenza e nell’intelligenza degli amici che qui non ho nominato.Il Sud che abbiamo vicino a noi è anche Franco Dragone e Vinicio Capossela. Il talento, il senso bizantino della teatralità uniti alla scrupolosità della cultura nordica. Scrupolo e utopia. Sogno e ragione. Delirio e lavoro. Da qui dobbiamo partire, anzi siamo già partiti. È un viaggio provvisorio, non conta quanti chilometri faremo ma le persone che incroceremo per strada. Ne abbiamo incrociate già tante. Sono venuti a trovare questo nostro Sud persone come Mario Dondero, Antonella Andedda, Andrea Gobetti e tanti altri. Sono incontri e bellezze da custodire. A loro guardiamo e non ai vecchi rancori o alle recriminazioni in cui siamo stati allevati.Da questo punto di vista siamo dei traditori. Non vogliamo restare conficcati nello spirito velenoso delle nostre piazze. Per questo siamo saliti sulla Rupe, per questo a Trevico andiamo sulla cima e a Greci andiamo sul Breggo. Ci mettiamo a occhi spalancati davanti al paesaggio. La Comunità Provvisoria è viva pure quando si è soli o in compagnia di pochi. È viva quando andiamo a vedere, a sentire come soffrono e come guariscono le persone e le cose.Questa è grande vita, questo è Sud. Altro che le gabbie salariali e i vecchi e nuovi assistenzialismi, altro che la penosa melina di chi per stare nei paesi si è tarpato le ali. È la lobby degli zoppi che fingono di camminare. Forse siamo malati anche noi, ma almeno stiamo provando a volare.

lunedì 10 agosto 2009

Elisir d'amore..........per una terra semplice e mortificata

Ci aspettano giornate come erbacce

nel paese che a lungo ci attorciglia.

Qui l’esistenza è un recinto

sull’altopiano, una bestia

rivolta al buio, avvilita

fuori mano.
armin


...........il 16 si ritorna a Cairano non solo per parlare ma per riempire polmoni,occhi e cuore di questi infiniti silenzii e profondissime quiete lontano dal mare estivo della "stagione scocca" e dal cicaleccio annoiato delle città di politichese paranoide e postribolare sul nostro "foll" nazionale che riesce a dare senso madiatico anche alle sue puttaniere 'nudità' e malattie senili.
Saremo silenziosi e comunitari ad aspettare il tramonto sulla 'rupe' e a individuare e definire "segnavie" leggeri,provvisori e liberi come i sogni delle 'notti di mezz'estate' popolate da folletti,clowns,poeti.
"Berremo profondamente ai fonti alpini...chè rimanga nei cor esuli a conforto " e impegno per ridare dignità e identità a questa bella e laboriosa terra senza la pretesa di ripetere 'riti' ,rivendicare 'ethos'o alimentare 'miti' ma determinati a costringere gli altri riottosi, accidiosi, politicanti,annoiati a confrontarsi con la nostra pretesa di vivere l'Irpinia con autenticità,coerenza e risolutezza con nuovi stili di vita, linguaggi e valori.

domenica 9 agosto 2009

Elisir d'amore per ........una 'prova' di Comunità



"mirabile dictu" in via Forno giardino 52 di Bisaccia ( Av)
" ......sono tempi di stagioni vecchie e nuove, passaggi di tempi brevi, cose svanite, facce e poi il futuro.....che bello sei anima mia ,che bello il mio tempo e che bella compagnia....
Un saluto dal paese di domani che sono anime contadine" De Andrè
L'occasione il vernissage del 'comunitario' Pietrantonio Arminio dal titolo accattivante e curioso "CELLOPHANE armato".
Una serata magica nelle vie antiche a fare comunella o 'filò' tra persone di particolare identità e sensibilità.Pur tra uno spreco di parole, si è ricreato lo spirito dei simposi filosofici platonici e la leggerezza poetica dei 'thiasi' o 'eterie' saffiane ed archilochee. Il tepore fresco delle serate agostane che in Irpinia d'oriente o d'occidente sanno essere cornice e spazio ideale per gustare il senso profondo di una 'koinonìa' che non è solo armonia tra diversi racconti ma espressione di una intimità e identità che viene misteriosamente da lontano e si fa storia nuova di un territorio, una lingua, una cultura con parole vecchie ma con spirito e magia nuova .Queste sono le vere radici su cui costruire 'comunità provvisorie,inoperose,.....che hanno senso e voglia di futuro fuori degli schemi ideologici del passato e con il gusto del sospetto ,del dubbio e della speranza che sono le uniche parole che la modernità non è riuscito ad inquinare e a perveritire nella loro genuina capacitàepossibilità di pensare e costruire futuro per noi abitanti di territori antichi e gravidi di possibilità,novità e utopia.Abbiamo evocato e raccontato ai nuovi ospiti "l'esperienza Cairano"con la meraviglia ,lo stupore, la nostalgia, anche la tristezza nella consapevolezza inspiegabile che in quei giorni abbiamo alimentato le nostre anime (sì le nostre anime) un viaggio che sarà lungo, difficile, forse faticoso ma sicuramente ricco di soddisfazioni, piaceri,stimoli che ci faranno star bene noi e faranno bene anche agli altri.


sabato 8 agosto 2009

Elisir d'amore per ........la democrazia e l'informazione libera.

......il re che si fà buffone,puttaniere, ferroviere, edile e quant'altro ha bisognoper i suoi impegni piduisti e per la sua vocazione fascista di mostrare la sua maschera autoritaria e minacciare la libertà e la verità perchè è nudo e malato!!!!!
I suoi proclami e le sue minacce ferragostane sono i segnali che il suo "morbo infuria" anche se a noi italiani "il pan ci manca" non possiamo mai sventolare "bandiera bianca"
Abbiamo presente sempre queste sagge parole: “…Guardiamoci attorno…… si assiste impotenti al fenomeno dell’apatia politica, che coinvolge spesso la metà circa degli aventi diritti al voto.Dal punto di vista della cultura politica costoro sono persone……semplicemente disinteressate per quello che avviene, come si dice in Italia…… “nel palazzo”.So bene che si possono dare interpretazioni anche benevoli dell’apatia politca. Ma anche le interpretazioni più benevoli non mi possono togliere dalla mente che i grandi scrittori democratici stenterebbero a riconoscere nella rinuncia ad usare il proprio diritto un benefico frutto dell’educazione alla cittadinanza”.Norbero Bobbio








SOSTENIAMO IL TG3


GRUPPO DI SOSTEGNO MORALE ALLA REDAZIONE DEL TG3 e a tutta la terza rete.Contro il vile attacco del Presidente del Consiglio, S. Berlusconi, ai giornalisti, all'informazione e all'operato della Rai.

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Ringrazio tutti gli iscritti che stanno coinvolgendo, ora dopo ora, moltissime persone invitandole a partecipare al nostro gruppo. Qui non si contano i numeri e non si battono record, qui si contano le voci, i silenzi e le parole di quanti, stanchi dei soprusi, dei comizi elettorali, del qualunquismo e della volgarita' della politica, ormai snaturata, perpetuata da Berlusconi, vogliono esprimere solidarietà al TG3. E lo stiamo facendo. Grazie a tutti. d.p.

venerdì 7 agosto 2009

Elisir d'amore per ......."amico" ricercato.



8 agosto, bisaccia
via forno giardino, ore 22.00
inaugurazione
cellophane
ultimi lavori

di pietrantonio arminio

Leggi il seguito di questo post »

.......anche questa la mia Irpinia creativa e intima assieme.Non posso non ricordare con affetto l'abbondanza di parole che hanno affollato il laboratorio di Pietrantonio e dei suoi vivaci allievi d'Accademia a Cairano alla ricerca dei 'lari' o i 'genius loci' o semplicemente della religiosità che si manifestava dalle rughe della silenziosa signora cairanese che ci ospitava nella sua casa.Pitrantonio mi incalzava conle sue domande curiose e piene di saggezza sedimentata col tempo e nella vita vissuta.Grande uomo sopratutto e quindi grande artista.Uno di quelli che veramente vorreste nella tua vita terrena avere come amico non'una tantum' maper sempre e in continuità d'uso.

mauro orlando

Elisir d'amore per ......l'identità ritrovata.

.....sono tornato a Grottaminarda....luogo della infanzia e della nostalgia,della identità e della memoria.Sui bastioni del castello " D'aquino" dove passeggiava a meditare il grande 'metafisico' Tommaso ......ho avuto un colpo di nostalgia alla meditazione .......



L'identità personale indica la capacità degli individui di aver coscienza di permanere se stessi attraverso il tempo e attraverso tutte le fratture dell'esperienza.
Identità personale e memorie asieme. Questo avviene in una età cosidetta matura in cui entra in crisi la vecchia idea, metafisica e religiosa, di anima, intesa come sostrato unitario e indivisibile che permette la permanenza delle nostre esperienze.
Si tratta di un periodo in cui si elabora, in un certo modo, il lutto per questa perdita: infatti l'anima è una proiezione dell'individuo, un ponte dal tempo all'eternità; nel momento in cui questo ponte non sussiste più, bisogna abituarsi a vivere nel mondo della caducità.
L'identità personale implica la percezione di una fragilità della coscienza e di una serie di discontinuità che devono essere metabolizzate. Quindi l'identità personale viene connessa a una fondazione, che chiamerei orizzontale, invece di una fondazione verticale. E questo lo si ritrova tra le piccole e insignificanti cose,odori,persone dell'nfanzia e del passato.
Per fondazione orizzontalebisogna intendere una fondazione che, non potendo più presupporre un elemento di continuità metafisico o naturale dell'individuo, viene cercata in qualcosa che metta in relazione gli istanti, le ore, i giorni della nostra esistenza con tutto l'arco della nostra vita organica. Bisogna riscoprire ciò che garantisce la continuità: il filo della memoria.
Recuperare l'idea che l'identità è una conquista, un lavoro: molte volte le nostre idee e sensazioni muoiono, prima dei nostri figlioli, e somigliano a quelle tombe in cui le scritte si sono cancellate e rimane soltanto il marmo o la pietra. Le nostre idee rischiano di dissolversi se noi non le rinfreschiamo, non le ripitturiamo continuamente .
L'identità personale è questo lavoro di rinfrescare continuamente - di "ripittare", direbbero a Napoli - tutte le nostre idee e la nostra continuità. L'identità quindi non poggia su niente, ma si prolunga nel tempo, legata alla continuità della memoria; di modo che se io sento di essere la stessa persona che ha avuto i "vissuti" di Socrate, e se li ricorda, e sono attualmente il Sindaco di un posto qualsiasi, io sono Socrate; se invece io, per qualche malattia, per un'amnesia, non ricordo più di essere la stessa persona precedente, io non sono lo stesso.
Questo elemento di fragilità si puòaccentuare sotto ilpeso delle parole,dei concetti ,delle idee appesantite col tempo. Allora la memoria diventa qualche cosa che anche nelle persone normali è piena di buchi, priva di continuità: "Che cosa facevo - il 3 agosto del 1968?" - "Chi se lo ricorda" E lo stesso vale per un altro giorno, per il 1º marzo del 1992, ecc. Allora l'identità è legata a un fascio di percezioni attuali. Io sento caldo, sento freddo, mi passa per la mente questo pensiero; ho ritrovato casa mai,sono sato al funerale di un vecchio amico, ho conosciuto il figlio del mio migiore amico.....ma se cerco di afferrare quello che è l'io, vi trovo soltanto il vuoto. L'identità, per è qualcosa di fittizio; fittizio nel senso in cui noi diciamo "feticcio", cioè qualcosa di costruito, appesantito,invecchiato .........

mercuzio

mercoledì 5 agosto 2009

Elisir d'amore per ........un concerto della vita.

......en attendant Cohen!!!!!



ELZEVIRI, 1. LEONARD COHEN. 3 AGOSTO 2009. VENEZIA
Nel paese della mia infanzia c’era un posto speciale.
Ci siamo dimenticati l’uno dell’altro.
La vita fa così, quando non sopporta il vuoto, cancella.
Però, talvolta è pietosa ( o impietosa ).
Quel posto mi è tornato alla mente l’altra sera, mentre, quasi stordito, cercavo di dare un nome al suono che non riuscivo a contenere e all’emozione che quel suono evocava in me.
Non era un luogo segreto, non ne ricordo nemmeno il nome, ma nella mia immaginazione possedeva la magia dell’altrove, era l’archetipo del mistero. La mia isola del tesoro, il mio graal, il posto dove non potevo perdere.
C’è ancora, anche se da molto non ci torno. Si raggiunge facilmente. Scendendo a valle, svoltando a sinistra, superato il ponte sul Mella, si raggiunge una strada sterrata che termina in un sentiero stretto. Da lì, ci si deve inerpicare tra bassa vegetazione e coste rocciose sino al punto in cui il camminamento affianca un ruscello.
Amavo percorrere da solo quel sentiero. In giorni e ore inusitate, per evitare ogni incontro.
Col tempo avevo trovato il coraggio, o l’incoscienza – la sua versione prosaica –, di andarci di notte, al ritorno da qualche scorribanda giovanile o quando avevo bisogno di allontanarmi da qualche delusione che non riuscivo a digerire.
Allora, quelle notti, sapevano rivelarmi la loro magia. E l’acqua scorreva.
Solo lì riuscivo a ascoltare il suono delle domande che mi era impossibile formulare dentro il traffico delle cose di tutti i giorni. Mi affidavo, abbandonandomi, a quella confidenza discreta.
E quel posto riusciva a non farmi andare oltre l’orlo del baratro di una probabile disperazione.
Mi rispondeva.
Col suo suono.
Era quel suono, morbido e profondo, che somigliava a quella voce.
Ne aveva la pienezza e la forza. E allora mi lasciavo trasportare da tutto quello che echeggiava di quel’assonanza.
Erano la marcia trionfale e la ninna nanna che la vita mi aveva negato.
Ti è mai capitato di trascorrere una notte, calda, magari di plenilunio, seduto su una pietra e sentire il mormorio sommesso dell’acqua che scende? O di ascoltare il fiume in lontananza che intona soffuso il suo andare, prima come carezza e poi, avvicinandosi in un crescendo incontenibile, quasi di sussurro gridato che disperde il suo dire in gocce fredde che odorano di acqua e capire che anche quell’odore è un suono?
Quel suono vale la notte, vale la solitudine e la paura. Qualche volta le vince.
Credo di aver amato quel suono. Da sempre. L’ho cercato altrove, spesso smarrendolo. Però che emozione quando riuscivo a risentirlo!
Lo ritrovavo, talvolta, nel fragore dell’onda che rifrange sulla sabbia in una notte d’estate, nella spuma che si riassorbe sul bagnasciuga, tra le foglie tra i rami, intenso e umido, quando cresce e sommessamente grida l’imminenza di un temporale o nel primo declinare autunnale, quando per la prima volta, tanto essersene dimenticati, rinnova il suo brivido di pioggia in un formicolio di mille stille sottili.
E ancora, nel cadere delle gocce sul tetto, prima quasi di carezza e poi pieno di quella forza buona degli eventi che si scatenano in tutta la loro veemenza e tu sei lì, protetto da una crisalide di niente, e che però si fa corazza, mentre la tempesta infuria.
Pensavo a questo mentre cercavo di dare un nome alla voce di Leonard Cohen.
Al rumore dell’acqua.
Quando è ruvida e quando è morbida. Quando è calda e quando scorre scrosciando.
Cohen non fa della voce un esercizio di forza, non urla, non frantuma ottave, non soggiace al piacere del proprio virtuosismo, non eccede, non esibisce.
Vedi? Ho detto solo quello che non è.
Strano. Ma è difficile cercare di dire altro.
Quella voce riempie il tempo e lo spazio che trova. Avvolge e si lascia avvolgere da quell’universo che sa propagarsi in quell’intorno e ti ritrovi in mezzo a quel suono, come sopraffatto.
È per questo che quel suono mi ricorda l’acqua. La sua potenza è quasi inavvertibile. Ma inarrivabile.
La sua capacità di condurti è sottile. E sai che non puoi non seguirla. Navigare controcorrente, in quel caso, sarebbe un esercizio inutile. E sbagliato.
E dell’acqua, quella voce, possiede le profondità. Perché niente come l’acqua sa preservare il mistero del suo eterno ritorno.
Il resto della scena, tutt’altro che misera, potrebbe non esserci.
Perchè quella voce è un prodigio impensabile, è misurata infinità.
Da sola è capace di sostenere il peso di tutte le notti prive di un qualche sollievo e farsi leggera. Riesce a fare in modo che l’emozione non esploda, ma si prolunghi. Permette alla poesia, animale ingannevole, di avvicinarsi, quasi domestica, e di lasciarsi guardare, di leccarti le mani.
Attende che le lanci un legnetto da riportare. E tu lo fai, senza sapere che è il cane che gioca con te e non tu con lui.
La poesia è solitamente un’avventura intima. Un linguaggio che funziona, e non sempre, se riverbera in solitario.
In Cohen no. Lui Sa convertire quel suono in un’esperienza di poesia collettiva, al punto che gli “altri” intorno sembrano, per quella breve eternità, meno distanti: una stregoneria quasi impossibile in questi tempi volgari di trascuratezze disarmanti.
Si ha l’impressione di sfiorare la leggenda, da spettatore partecipe.
Una leggenda vivente, elegante, forte in un corpo che sembra stia ritirandosi di vecchiezza ma che è ancora capace di gioco e grazia. Una leggenda che in movenze da vecchio ballerino d’avanspettacolo, da zingaro allegro o da monaco tibetano danza, senza che si colga discrepanza o disarmonia in quella diversità.
È bello aver sfiorato la leggenda, quel suono che riconoscerò ogni volta che vorrò dare un nome allo scorrere lento del fiume.

P.S. : Ho avuto il privilegio di condividere questo momento con due persone.
La mia leggenda di parole, il poeta che amo più di ogni altro, profetico anche nell’evocare un passaggio tangenziale di Cohen a Venezia; e un amico, uno di quelli che incontri in età avanzata, uno di quei doni insperati e preziosi che accogli con gratitudine infinita pur sapendo che il tempo che hai davanti è meno di quello che hai vissuto, per poterne godere il giusto.

Devono essere fatti di questa sostanza gli attimi di felicità che ci sono concessi.

Montecristo

martedì 4 agosto 2009

Elisir d'amore per .......angeli, immortali, clowns e D-io


Il Clown Nanosecondo e il suo angelo Mercurzio alle prese con un sogno d’amore...
..sottotitolo: La vera leggenda di Davide e Maria Teresa (Romeo e Giulietta del sud) e degli amori di Nanosecondo....
lunedì 3 agosto 2009, di Enzo Maddaloni -
NANOSECONDO - Stanotte ho fatto un sogno.
MERCUZIO - Anch’io.
NANOSECONDO -Davvero. Ma, come pure gli angeli sognano adesso? E che cosa hai sognato?
MERCUZIO – Gli angeli soggiacciono spesso ai sogni degli uomini ...
NANOSECONDO - Che soggiacciono! Giacciono. A MERCù t’ADDORMi pure tu … ma, io sapevo che non dormivate mai per custodirci a noi mortali … e che diamine avvisami però se non mi lasci incustodito? Ma tieni pure tu il sostituto? Fammelo almeno conoscere …. E per sognare cose vere spero?
MERCUZIO - Ah, ho capito: da te c’è stata la Principessa Naiza.
NANOSECONDO – Principessa Naiza ? Chi diavolo è costei? Quella sbrindellata di Angela che non mi risponde mai quando la chiamo a citofono ….. mi sembra la bella addormentata nel bosco.
MERCUZIO – Ma che dici Nanos …. Naiza è la mammana del regno delle fate; e si presenta sempre in una forma non più grossa d’una pietruzza d’agata al dito indice di un assessore; viaggia su un equipaggio trainato da una muta di piccoli esserini, e si posa sul naso di chi dorme; i raggi delle ruote di quel traino sono formati da zampe di ragno, il mantice dall’ali di locuste, le briglie da sottili filamenti d’esili ragnatele; i pettorali dai rugiadosi raggi della luna; la frusta ha il manico d’osso di grillo e la sferza d’un filo sottilissimo; il cocchiere, a cassetta, è un moscerino tutto grigio-vestito, non più grande della metà d’uno di quei vermetti che si tolgono fuori con lo spillo dal dito d’una pigra fanciulletta; il cocchio è un guscio cavo di nocciola lavorato così da uno scoiattolo falegname o da qualche vecchio tarlo; son essi i carrozzieri delle fate l’uno e l’altro, da tempo immemorabile. In questo arnese, Naiza la tua bella principessa va cavalcando, la notte, pei cervelli degli amanti, e allora questi sognano d’amore; o per le rotule dei cortigiani che sognan subito salamelecchi; o sulle dita d’uomini di legge che sognan subito laute parcelle; talvolta sulle labbra delle dame, e queste sognano d’esser baciate, e spesso sulle loro labbra Naiza irritata dai loro fiati guasti pei troppi dolci, lascia delle pustole. Talvolta anche galoppa su pel naso d’un sollecitatore di favori a pagamento, e quello, allora, in sogno, sente l’odore d’una petizione; talvolta va a solleticare il naso col crine d’un porcello della decima, ad un prevosto e quello allora sogna un altro benefizio parrocchiale. Talora passa con il suo equipaggio sul collo d’un soldato militare, e allora questi sogna a tutto spiano di tagliar gargarozzi di nemici, brecce, imboscate, lame di Toledo, brindisi con bicchieri senza fondo; poi, d’improvviso, gli rulla all’orecchio il tamburo e lui salta su di botto, si sveglia, e dopo avere smoccolato per la paura un paio di bestemmie, se ne ricade giù, morto di sonno. È quella stessa Naiza che nella notte intreccia le criniere dei cavalli e fa dei loro crini sbarruffati, unti e bisunti, dei magici nodi che a districarli portano disgrazia. È lei la maga che quando le vergini giacciono a letto con la pancia all’aria, le preme perché imparino a "portare" e le fa donne di "buon portamento". È lei che...
Continua:

Elisir d'amore per .....il concerto di Venezia

...immagini rubate per il bene di tutti!

I'm Your Man-Leonard Cohen

domenica 2 agosto 2009

Elisir d'amore per ......una serata magica a Venezia ( 3 Agosto 2009)


.....noi ci siamo : roberto,mauro,cristiano


Una serata magica nella magica Venezia di una calda estate imbellettata e mascherata per le grandi occasioni con la discrezione e la sfrontatezza delle smaliziate e intriganti cortigiane . Tre amici attratti da una malinconia coltivata nel tempo in una piazza affollata da tante intime maliconie. Una malinconia antica e attuale, tradizionale e moderna, cantata con dolcezza e comunque e sempre ispirata nel dispensare piccole verità e grandi dubbi.
Il nostro Leonard Cohen è fatto così, romanziere passato alla canzone folk, intreccio di contraddizioni con un retroterra che dalla Bibbia arriva ai beatnik, uomo che ha osato parlare alle coscienze dal buio dell’anima,o nella luce abbacinante delle vite borderline, raccontando storie da «domenica mattina a casa con il sole».Un poeta , un uomo che sa cantare le sue contraddizioni,emozioni, passioni con la dolcezza di una melodia semplice ma con le parole antiche e profonde delle favole,dei sogni, dei miti delle grandi letterature antiche e moderne .
«Ho ricevuto il titolo di poeta e forse lo sono stato per un po’/

Anche il titolo di cantante mi è stato gentilmente attribuito/

anche se a stento ero incapace di intonare un motivo/

Per molti anni sono stato considerato un monaco/

mi rasavo il cranio e indossavo lunghe vesti/

odiavo tutti ma fingevo di essere generoso e nessuno mi ha mai smascherato».
Le sue sono le parole semplici,leggere e essenziali della vita senza fronzoli e durezze ....ma che arrivano al cuore e alle menti predisposte all'ascolto e alla comprensione.
«Vorrei dire tutto ciò che c’è da dire in una sola frase. Odio ciò che può succedere tra l’inizio e la fine di una frase»




Hey, that's no way to say goodbye
(Hey, questa non la maniera per dire arrivederci.

Io ti amavo nella mattina, i nostri baci profondi e calorosi,
I tuoi capelli sopra il cuscino come una tempesta aurea e addormentata,
Si, molti amarono prima di noi, io so che non siamo una novità,
Nella città e nella foresta essi sorridevano come me e te,
Ma ora sono arrivate distanze ed entrambi dobbiamo provare,
I tuoi occhi sono dolci con la tristezza,
Hey, non è il modo di dirsi arrivederci.

Io non sto guardando per un altra così come erravo nel mio tempo,
Cammina con me fino all'angolo, i nostri passi saranno sempre in rima
Tu sai il mio amore va con te così come il tuo amore sta con me,
E' solo la via a cambiare, come il litorale ed il mare,
Ma non parliamo di amore o catene e cose che non possiamo sciogliere,
I tuoi occhi sono dolci con la tristezza,
Hey, non è il modo di dirsi arrivederci.

Io ti amavo nella mattina, i nostri baci profondi e calorosi,
I tuoi capelli sul cuscino come una tempesta aurea e addormentata,
Sì molti amarono prima di noi, lo so che non siamo una novità,
Nella città e nella foresta essi sorridevano come me me e te,
Ma non parliamo di amore o catene e cose che non possiamo sciogliere,
I tuoi occhi sono dolci con la tristezza,
Hey, non è il modo di dirsi arrivederci.

Elisir d'amore per .......Fellini.

LA DOLCE VITA......un viaggio alla ricerca di una memoria che non diventi mito di un tempo che fu profondamente gravido di speranze e perfino evocativo di utopie ma anche avvertimento del peggio che possa capitare ad una società di massa ed estroversa a rischio di individualismo vuoto di superficialità e noia.



......nulla è più fragile ed insidioso della superfice o del nihilismo sociale.Il non senso e il senso comune non danno più senso ma mangiano tutto.
Pensare di ritornare bambino tra bambini è una follia irreversibile e dannosa o seguire adolescenti invitanti.Anche pensare a nuove estetiche con nuovi linguaggi e antichi valori da raccontare o nuove creazioni possibili o vecchie palingenesi riciclabili con nuove parole risciacquate nel fiume caotico e limaccioso di una vita compulsiva e ossessiva diventa semplice rappresentazione del nulla. Ed anche ritornare a fare il verso al grande logico tedesco che si premurava di distinguere le vacche nere da quelle bianche o fingere come Zaratustra che siano tutte dello stesso colore , è parte della malattia non la cura .Non siamo più avvezzi e capaci di vedere mescolate le filastrocche o le favole dei bambini, le sperimentazioni adulte o i ghirigori infantili dei poeti o le performances tearali frutto di esperienze varie ed eventuali della follia.
Solo alcuni poeti e alcuni clowns possono scrivere o fingere il rapporto diretto col bambino che si portano incustodito dentro cercando di amarlo e descriverlo per noi umani.
Solo un folle conseguente ed autentico può trascinare con sè l'opera poetica o la rappresentazione che ne fà a patto che che ne è consapevole che non è necessariamente l'autore.
La trinità bambino-poeta-folle o è tragicamente grottesca o non è.
Il silenzio come possibilità di non ascolto o sordità, è un espediente estetico per chiudere bene un bel film segnato da una profonda tragicità di eventi personali e collettivi, ma non può essere la soluzione del problema che la tragedia vuole declinare per occhi catarattizzati e orecchie sorde anche al richiamo di un ingenuo futuro di una giovane adolscente che ci invita a seguirla nel suo mondo di illusioni,sogni e speranze.
Non si può altresì indulgere al culto del silenzio o della pagina bianca (in qua nihil est scriptum) di uno che vede lucidamente un sovraccarico di sconfitte e disillusioni o una rarefazione delle trame o delle sensazioni, delle passioni sopite come un estremo e possibile rifugio orgoglioso , dolorante e protettivo o una boccata di esclusiva "autenticità", o un "buco" in cui nascondersi, un angolo o una vetta da sognare in una rete comunicativa caotica da rammendare o un "nido" superbo,scontroso e orgoglioso e impotente da costruire .
mauro orlando

sabato 1 agosto 2009

Elisir d'amore per .......una voglia di 'senso'

Voglio trovare un senso a questa sera
Anche se questa sera un senso non ce l’ha

Voglio trovare un senso a questa vita
Anche se questa vita un senso non ce l’ha

Voglio trovare un senso a questa storia
Anche se questa storia un senso non ce l’ha

Voglio trovare un senso a questa voglia
Anche se questa voglia un senso non ce l’ha

Sai che cosa penso
Che se non ha un senso
Domani arriverà...
Domani arriverà lo stesso
Senti che bel vento
Non basta mai il tempo
Domani un altro giorno arriverà...

Voglio trovare un senso a questa situazione
Anche se questa situazione un senso non ce l’ha

Voglio trovare un senso a questa condizione
Anche se questa condizione un senso non ce l’ha.....
Voglio trovare un senso a tante cose
Anche se tante cose un senso non ce l’ha


vasco rossi - un senso
Ai margini ,molto ai margini del dibattito per il prossimo Congresso del Partito Democratico le domande sono molto più ricche e complesse delle risposte che ci vengono dalle mozioni e dalle interviste dei candidati.Tuttavia come capita nella vita ci sono delle preferenze di pelle ,di naso che senza volerlo ci stabiliscono delle priorità,delle gerarchie nella preferenza e nella scelta.
Ma la mia mente insieme al mio cuore va comunque a cogliere e inadeguatezze dei vari discorsi a dare una risposta convincente e concreta ai paradossi straordinari che sta vivendo la democrazia in generale e in particolare in Italia con la presenza e la sua egemonia metastatica 'berlusconiana'.
Oggi ci viene restituita una immagine di una società confusa ed avvilita da una politica che nella migliore delle ipotesi è per lo più gestioneistituzionale e mediatica con partiti ed istituzioni piuttosto deboli, i mezzi di informazioni drogati ,potenti ed accentrati, una cittadinanza distante e mortificata.
La fine delle ideologie totalizzanti del secolo passato gli ha sottratto gli antagonisti ideologici ma non gli ha dato forza e valore anzi ha aumntato i pericoli di squalificazione ed involuzione.
La democrazia figlia comunque del 'divenire' piutosto che dell'essere, della mobilità che della staticità ci obbliga comunque al sospetto, al dubbio e al paradosso.Essa è costante e sempre nuovo superamento delle regole de gioco politico oltre che dell 'ehos' che ne consegue nella sua traducibilità e comunque sempre produttore di nuove regole. Ci ripropone un equilibrio sempre instabile e sotto sforzo, che non definisce e si accontenta mai, che si affina e migiora proprio all'apporto critico e dallo scontro con i vari movimenti che nascono contestualmente nel sociale che non rchiedono necessariamete di essere fagogitati o istituzioalizzati.
L'esigenza democratica è una predisposizione dell'uomo verso di essa a patto di essere coscienti della loro intrinseca fragilità e dalla sua combattuta esigenza di costituzionalizzarsi in conflito e in contrasto con la sua esigenza partecipativa non solo per cercare e dare "senso" ma sopratutto per alimentare il suo spazio e le sue possibilità di esercizio della 'libertà', di consapevolezza e sopratuto di responsabilizzazione individuale .
"Una testa ,un voto" non è un slogan ma è consustanziale alla democrazia ,un modo di pensarla e sopratutto praticarla nella partecipazione consapevole e nella decisione nella delega della rappresentanza.
Per tutto questo diventerà necessario entrare nella competizione di questo congresso in modo personale, riflessivo, attivo , consapevole e responsabile.
mauro orlando