di Franco Arminio
Oggi niente paese, niente casa, niente libri, niente piccoli giri in bicicletta, niente computer. Un giro nei paesi, ma non quelli lontani, un giro vicino, sempre a mezz’ora da casa.
Pensavo di fermarmi a Guardia e invece scendo sull’Ufita e poi mi allungo fino a Grottaminarda. C’è traffico, è il paese coi commerci, con l’autostrada e il suo indotto. Fa anche caldo. Mi viene l’idea di andare al cimitero. Ci sono passato tante volte e non ci sono mai entrato. La scritta in latino è molto bella: ti sia lieve la terra, dice. È una frase esemplare che i vivi possono dire ai morti. E forse c’è una frase che i morti possono dire ai vivi. Forse è per ascoltarla che entro nel cimitero, è una frase che non può avere parole, è un qualcosa che ti entra dentro senza la furia che hanno i vivi. La faccia di un morto su una lapide è come un albero, come un gatto. È qualcosa di irrimediabilmente innocente, qualcosa che ha dismesso la fosca battaglia per stare in mezzo agli altri. Ho voglia di vedere facce. Un cimitero è anche una grande mostra fotografica. Qui a Grotta non c’è nessun visitatore. Il parcheggio era affollato, ma sono andati tutti al mercato. Mi segno nomi e date, guardo specialmente quelli che sono nati dopo il sessanta. Camminando nel cimitero sento che il cuore si è rimesso a battere con precisione, prima sembrava disordinato, impaurito. Adesso cammino e faccio attenzione a quello che vedo. Il cimitero di Grottaminarda non ha marmi scintillanti e lapidi di forme strambe, non somiglia per niente all’orrenda piazza da poco realizzata. Insomma, c’è molto più ordine di quello che c’è fuori.
Adesso che sono qui a casa, adesso che sono passate molte ore, non so dire di preciso come mi sentivo stamattina, non so dire come la morte educava i miei passi e i miei pensieri. La nostra testa è fatta di lampi deboli e lontani oppure di un cielo basso e grigio e inerte. Basta poco e non sappiamo dove siamo, cosa pensiamo. E allora arrivano le parole da cui sfiliamo altre parole e altre ancora per non trovarci di fronte all’esatta insensatezza di appartenere a una specie che ha perso il filo del suo viaggio nel mondo. Stamattina non pensavo alle cose che sto scrivendo. Pensavo solo di mettere sul computer i nomi e le date che andavo trascrivendo sul taccuino. Villanova Antonio (1963-1998), De Paolo Concettina (1965- 2005), Michele Iacoviello (1972-2009)Palumbo Pasqualantonio (1958-1995), Maurizio Grillo (1970-1994) Romano Generoso (1962-1991), Romano Massimo (1970-1991), Carla Formato (1947.1997), Del Viscovo Michele (1960-1992), Dario Bottino (1963-1984), Amalia Minichiello (1984-2001), Blasi Guido (1968-1983), Di Vito Giulio (1977-1996). Stamattina ognuna di queste persone mi ha consegnato una sua frase, ognuna delle loro facce mi ha fatto compagnia per qualche attimo. Di più non è possibile.
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