domenica 8 maggio 2022

«un ritratto; ma questo ritratto non è psicologico,
bensì strutturale: esso presenta una collocazione della parola:
la collocazione di qualcuno che parla dentro di sé, amorosamente,
di fronte all’altro (l’oggetto amato), il quale invece non parla. »

Bisogna  comunque  distinguere l’immagine dall’immaginario e cioè la distinzione fra l’amato/a e l’amore asserendo che si ama più l’amore che l’amato stesso individuando come conseguenza la “fertilità” dell’attesa dell’amato e della sua assenza.
Mi fa pensare a Lacan e la sua concezione di desiderio secondo cui noi desiderando di amare una persona non facciamo altro che sostituire come oggetto del desiderio qualcosa che è assolutamente irraggiungibile ed inesistente (il paradiso) con qualcosa di tangibile ed a portata di mano e di sensi.


 

martedì 8 marzo 2022


 

Il sacro: esperienza e immanenza

Il sacro costituisce senz'altro uno dei temi la cui presenza è pervasiva nell'opera di Bataille e che continuamente riemerge anche là dove non è atteso. Si pensi ad esempio all'importanza che il sacro ha in una raccolta di saggi letterari qual è La letteratura e il male, uno tra gli ultimi libri da lui pubblicati1. Tuttavia il termine sacro deve essere assunto come una di quelle che egli indica, ne L'esperienza interiore, con l'espressione “parole scivolanti”2, così come ad esempio dépense, eterogeneo, sovranità ma anche poesia, silenzio, erotismo. Si tratta di parole che, nell'indicare quanto sempre di nuovo si sottrae alla presa oggettivante del linguaggio, devono continuamente sfuggire dal luogo in cui si pensava di fissarle in un significato definitivo, mantenendosi però su quel limite oltre il quale il processo della significazione si dissolverebbe nel silenzio di una totale assenza di comunicazione. Ne consegue che non è possibile ricavare, dalle numerose pagine che Bataille scrive nel corso degli anni su questo tema, una definizione univoca del sacro, come degli altri termini ad esso connessi, si tratta piuttosto, richiamandoci a quanto egli afferma introducendo la voce informe nel Dizionario della rivista Documents3, non di dare il senso delle parole ma di far emergere il loro compito. A condizione che ciò non vada inteso tuttavia come un'operazione di riduzione del linguaggio ad un insieme razionale di strumenti, ma, proprio al contrario, nel vedere nelle parole la risposta a impellenti bisogni affettivi dell'essere umano.

venerdì 18 febbraio 2022




alla ricerca di Parmenide  e Zenone

una giornata   di attese  e curiosità con i piedi che calpestavano la terra  di Parmenide e Zenone a ricostruire  la quotidianeità  di due pensatori  essenziale   per  lo sviluppo  ulteriore della nostra cultura  mediterranea ed occidentale....due diversi modi di  usare il "logos"  uno alla ricerca dell' Essere  ...che non può non essere  e l'altro  a spaccare in quattro le parole e le idee  in nome del paradosso, dell'antinomia o dei paralogismi.....è il doppio della nostra cultura occidentale  che si costruisce in questa piccola polis  di greci rifugiati  dalle guerre che infestavano il mediterraneo in quegli anni  con i cartaginesi....una vita quotidiana vissuta dal popolo comune  tra riti e miti che ci parlano  dei modelli di accadimento archetipi, avvenuti in un passato originario che ci hanno permesso  in questo modo  di riappropriarcene, inserendoci  armoniosamente in un tempo  che si  ripeteva  in  un eterno e infinito  cosmo naturale . Phisis  e logos  in conflitto o in armonia . E' dai loro  dialoghi o conflitti  che nasce il pensare degli albori della nostra civiltà filosofica greca con una  frattura metafisica tra due ordini di realtà diversi: quello divino, archetipo, eterno, immutabile; e quello umano, transeunte, instabile e dipendente dal primo, che ne costituirebbe l’origine 
Sulla scorta di quanto osservato crediamo sia allora possibile cercare di leggere nella concezione parmenidea dell’essere un momento di raccordo e di formalizzazione tra i differenti e dispersi livelli e formazioni discorsive che hanno caratterizzato la fase arcaica del pensiero, e che fa al tempo stesso scaturire un sistema enunciativo estremamente forte ed efficace. E allora  si può affermare  che l'Essere parmenideo  come la base  del principio di non contraddizione e della logica astraente. La dottrina dell’essere – quale è ricostruibile dai frammenti pervenutici – fornisce, infatti, delle precise regole di formalizzazione di ogni discorso futuro, che voglia assurgere al carattere di discorso vero, tale in quanto fondato. Pensare è pensare l’essere: il dire è il dire l’essere nella forma del pensiero, poiché "(…) infatti lo stesso è pensare ed essere".
Partendo dall’oggetto del proprio discorso  Parmenide giunge a caratterizzare il modello del proprio argomentare: essere e pensiero sono omologhi e il disvelamento dei caratteri dell’uno coincide con il fondamento dei caratteri dell’altro.
I termini con i quali Parmenide tratteggia l’Essere sono oramai universalmente noti, ma su di un frammento in particolare crediamo sia doveroso soffermarsi nuovamente dove si  afferma, infatti
.....l’uno che è e che non è possibile che non sia,
....l’altra che non è e che è necessario che non sia

Normalmente il passo viene interpretato come la prima formulazione del principio di non contraddizione, che fonda la necessità del discorso logico, differenziandolo da ogni argomentazione di tipo non razionale, ovvero pre-logico, mitico. Se, tuttavia, lo riconduciamo allo sfondo dell’insegnamento orfico, risulta possibile una lettura tendente ad annullare la distanza tra logos e mythos.

La liceità di questa interpretazione si appoggia su due gruppi di testimonianze. Il primo gruppo insiste sull’attributo di pitagorico costantemente riferito a Parmenide: " Quivi nacquero i pitagorici Parmenide e Zenone" e ..." giunsero ad Atene Parmenide e Zenone, maestro il primo, scolaro il secondo, eleati l’uno e l’altro, non solo, ma facenti anche parte della scuola pitagorica" . "Zenone e Parmenide, gli eleati: anche costoro appartengono alla scuola pitagorica" .Stessa scuola di fondo  di ordine della phisis pitagorica esiti diversi  nell'uso della filosofia  come amore per il "logos".


lunedì 31 gennaio 2022


 

Franco Arminio, “una comunità è tale se è attenta al dolore di chi ne fa parte”

LETTERA AGLI STRONZI

 

Cari stronzi,

siete tanti e questo vi dà coraggio.

Girate col cartellino in tasca:

ammonire è il vostro passatempo.

Non avete faccende importanti

nella vostra vita,

date la caccia alle miserie degli altri

per dimenticare le vostre.

Io vi riconosco appena aprite la bocca,

vi sento anche quando non vi vedo,

siete registi falliti, creativi che non hanno mai creato niente, poeti

della cenere, fotografi dello sbadiglio,

militanti della purezza immaginaria.

Il vostro tempo è scaduto,

la fiamma della vostra candela

si allunga perché è alla fine.

Sta per venire il tempo dei silenziosi

dei gentili. Il rancore è un ferro vecchio,

Dio è tornato a farci compagnia,

e noi porteremo sulla punta delle dita

il suo chiarore.

 

 

 

Proprio l’esperienza  paesologica  più che  a una possibile e veritiera ermeneutica  mi ha fatto capire quanto sono differenti i due mondi che la hanno  determinata e  condizionata. Faccio riferimento comunque a quello della cultura tout court  e quello della politica. In altri ambiti più strettamente teoretici  è necessario riconoscere  che  hanno bisogno l’uno dell’altro anche se  operano secondo logiche non sovrapponibili se non in minima parte. Il recupero di un certo “preconcetto o sospetto ” platonico verso la poesia e soprattutto “il linguaggio poetico” come strumento di racconto e analisi della realtà concreta e effettuale in alternativa della “sophia” e della “politeia” è avvenuto proprio nei confronti e dialoghi vissuti  nei “parlamenti comunitari” se pur provvisori e mai prescrittivi. Questa comprensione, accettazione e piacere  è stata un’opera di disincanto che mi ha arricchito non solo a livello personale  ma soprattutto nell’esercizio comunitario della condivisione e il riconoscimento dell’altro da sé . Ne esco più lucido emotivamente  e consapevole anche scientificamente. Oggi ,ad esempio,  sono persuaso  che la lingua della “poiesis” e la lingua di “sophia” non sono di “sorelle nemiche “ ma di “sorelle diverse” e possono incontrarsi  nella “vita activa” , non solo  per comprendersi  ma soprattutto per aprire un dialogo  e una azione comune  nella realtà effettuale materiale e spirituale. I linguaggi diventano “il lievito magro” di qualsiasi esperienza comunitaria che  in genere  nel “sapere” tradizionale divergono condizionando  anche le finalità degli attori. Il “philosofos”  teoretico vuole arrivare alla radicalità e alla nettezza dei concetti, delle opinioni e delle idee e dei loro movimenti, mentre quello “politikes”  smussa gli angoli ,i conflitti e le asperità perché il linguaggio gli serve per operare, per cercare consenso, non solo  per capire e costruire la sua “turris eburnea”  senza porte e finestre. La “poiesis” dal suo canto non ha vocazione elitaria e verticale e prefigura  “saperi arresi” che amano la parola come espressione  delle cose, degli uomini e della natura per rapporti di condivisioni comunitarie autentiche e vere. Le nostre esperienze riflessive e consapevoli nel mondo nel suo complesso e del mondo sociale organizzata dal pensare politico hanno esercitato e esibito impegno politico, e qualche analisi intelligente, fino agli anni Settanta. La grande trasformazione neoliberista ci  ha colti di sorpresa e non l’abbiamo capita per tempo scegliendo di  guardare  come spettatori  “il naufragio” dalle rive del mare  o immergendosi nella tempesta senza i mezzi necessari e le finalità chiare e condivise. Abbiamo rifiutato con leggerezza e superficialità e  rinunciato al pensiero critico e responsabile rifugiandosi semmai, in certi casi, in compiaciuti sofismi, ideologismi retrogradi  e di non avere contrastato l’ingresso del neoliberismo  nella cultura  popolare e  specializzata con sensi di colpa  non richiesti e ritenuti irrilevanti. I cittadini non si riconoscono più in ciò che avviene all’interno delle stanze della politica e neanche  di quelle che si  praticano a tentoni tra  le pieghe della cosiddetta società civile ,pura e incontaminata . Il risultato di questo fenomeno è comunque una crisi della democrazia rappresentativa ( il bambino della famosa acqua sporca) a cui tutti in vario modo abbiamo contribuito  senza neanche il tentativo o la fantasia di  avanzare  proposte alternative nella teoria o nella pratica della esperienza. E intanto la  “politica” continua a prendere decisioni nonostante la mancanza di appoggio, o il disinteresse, dell’elettorato. La diretta conseguenza di tale condizione è il populismo e il sovranismo nostrano e strapaesano ?Il  fallimento del vecchio sistema  di potere politico  lascia un enorme scontento presso strati sempre più larghi delle popolazioni. A questo scontento si dà il nome di “populismo ” e di “antipolitica”, e qualcuno  è portata dalla disaffezione e dalla confusione  a pensare che si possa trattare di esperienze  che possono anche  aiutare o provocare spinte politiche reali che potrebbero aiutare la stessa  democrazia. E’ paradossalmente  vero  che una forma di coinvolgimento  c’è stato e d è ancora  potenzialmente in atto. Tutti i movimenti di protesta e di resistenza che nascono nella società in risposta al peggioramento della qualità della vita indotta dal neoliberismo sono il loro reale e concreto crogiuolo. Oggi spesso  sono spontanei, eterogenei  e scomposti,  e spesso fuori bersaglio. Aspetto importante è  che sono nel complesso minoritari,marginali e inattuali  perché il grosso dello scontento, dell’anomia, si rifugia nella disperazione, nella passività, nell’individualismo proprietario subalterno  di un paese in sviluppo senza progresso complessivo. I partiti sono nel marasma, nel disagio   e nella confusione mentale  senza alcun principio di elaborazione e progetto di  nessuna forma politica alternativa o di  possibile continuità democratica.  Così c’è il rischio che la residua energia politica circolante nella società vada semplicemente sprecata. È evidente che la sfida del presente è re-inventare pensiero, esperienze  e azioni  perché realizzino istituzioni e stili di pensare e soprattutto di vivere  che sappiano tradurre  i conflitti ad armonia sociale e a rapporti umani a  comunitari piuttosto che immunitari.

Mauro Orlando