lunedì 31 gennaio 2022


 

Franco Arminio, “una comunità è tale se è attenta al dolore di chi ne fa parte”

LETTERA AGLI STRONZI

 

Cari stronzi,

siete tanti e questo vi dà coraggio.

Girate col cartellino in tasca:

ammonire è il vostro passatempo.

Non avete faccende importanti

nella vostra vita,

date la caccia alle miserie degli altri

per dimenticare le vostre.

Io vi riconosco appena aprite la bocca,

vi sento anche quando non vi vedo,

siete registi falliti, creativi che non hanno mai creato niente, poeti

della cenere, fotografi dello sbadiglio,

militanti della purezza immaginaria.

Il vostro tempo è scaduto,

la fiamma della vostra candela

si allunga perché è alla fine.

Sta per venire il tempo dei silenziosi

dei gentili. Il rancore è un ferro vecchio,

Dio è tornato a farci compagnia,

e noi porteremo sulla punta delle dita

il suo chiarore.

 

 

 

Proprio l’esperienza  paesologica  più che  a una possibile e veritiera ermeneutica  mi ha fatto capire quanto sono differenti i due mondi che la hanno  determinata e  condizionata. Faccio riferimento comunque a quello della cultura tout court  e quello della politica. In altri ambiti più strettamente teoretici  è necessario riconoscere  che  hanno bisogno l’uno dell’altro anche se  operano secondo logiche non sovrapponibili se non in minima parte. Il recupero di un certo “preconcetto o sospetto ” platonico verso la poesia e soprattutto “il linguaggio poetico” come strumento di racconto e analisi della realtà concreta e effettuale in alternativa della “sophia” e della “politeia” è avvenuto proprio nei confronti e dialoghi vissuti  nei “parlamenti comunitari” se pur provvisori e mai prescrittivi. Questa comprensione, accettazione e piacere  è stata un’opera di disincanto che mi ha arricchito non solo a livello personale  ma soprattutto nell’esercizio comunitario della condivisione e il riconoscimento dell’altro da sé . Ne esco più lucido emotivamente  e consapevole anche scientificamente. Oggi ,ad esempio,  sono persuaso  che la lingua della “poiesis” e la lingua di “sophia” non sono di “sorelle nemiche “ ma di “sorelle diverse” e possono incontrarsi  nella “vita activa” , non solo  per comprendersi  ma soprattutto per aprire un dialogo  e una azione comune  nella realtà effettuale materiale e spirituale. I linguaggi diventano “il lievito magro” di qualsiasi esperienza comunitaria che  in genere  nel “sapere” tradizionale divergono condizionando  anche le finalità degli attori. Il “philosofos”  teoretico vuole arrivare alla radicalità e alla nettezza dei concetti, delle opinioni e delle idee e dei loro movimenti, mentre quello “politikes”  smussa gli angoli ,i conflitti e le asperità perché il linguaggio gli serve per operare, per cercare consenso, non solo  per capire e costruire la sua “turris eburnea”  senza porte e finestre. La “poiesis” dal suo canto non ha vocazione elitaria e verticale e prefigura  “saperi arresi” che amano la parola come espressione  delle cose, degli uomini e della natura per rapporti di condivisioni comunitarie autentiche e vere. Le nostre esperienze riflessive e consapevoli nel mondo nel suo complesso e del mondo sociale organizzata dal pensare politico hanno esercitato e esibito impegno politico, e qualche analisi intelligente, fino agli anni Settanta. La grande trasformazione neoliberista ci  ha colti di sorpresa e non l’abbiamo capita per tempo scegliendo di  guardare  come spettatori  “il naufragio” dalle rive del mare  o immergendosi nella tempesta senza i mezzi necessari e le finalità chiare e condivise. Abbiamo rifiutato con leggerezza e superficialità e  rinunciato al pensiero critico e responsabile rifugiandosi semmai, in certi casi, in compiaciuti sofismi, ideologismi retrogradi  e di non avere contrastato l’ingresso del neoliberismo  nella cultura  popolare e  specializzata con sensi di colpa  non richiesti e ritenuti irrilevanti. I cittadini non si riconoscono più in ciò che avviene all’interno delle stanze della politica e neanche  di quelle che si  praticano a tentoni tra  le pieghe della cosiddetta società civile ,pura e incontaminata . Il risultato di questo fenomeno è comunque una crisi della democrazia rappresentativa ( il bambino della famosa acqua sporca) a cui tutti in vario modo abbiamo contribuito  senza neanche il tentativo o la fantasia di  avanzare  proposte alternative nella teoria o nella pratica della esperienza. E intanto la  “politica” continua a prendere decisioni nonostante la mancanza di appoggio, o il disinteresse, dell’elettorato. La diretta conseguenza di tale condizione è il populismo e il sovranismo nostrano e strapaesano ?Il  fallimento del vecchio sistema  di potere politico  lascia un enorme scontento presso strati sempre più larghi delle popolazioni. A questo scontento si dà il nome di “populismo ” e di “antipolitica”, e qualcuno  è portata dalla disaffezione e dalla confusione  a pensare che si possa trattare di esperienze  che possono anche  aiutare o provocare spinte politiche reali che potrebbero aiutare la stessa  democrazia. E’ paradossalmente  vero  che una forma di coinvolgimento  c’è stato e d è ancora  potenzialmente in atto. Tutti i movimenti di protesta e di resistenza che nascono nella società in risposta al peggioramento della qualità della vita indotta dal neoliberismo sono il loro reale e concreto crogiuolo. Oggi spesso  sono spontanei, eterogenei  e scomposti,  e spesso fuori bersaglio. Aspetto importante è  che sono nel complesso minoritari,marginali e inattuali  perché il grosso dello scontento, dell’anomia, si rifugia nella disperazione, nella passività, nell’individualismo proprietario subalterno  di un paese in sviluppo senza progresso complessivo. I partiti sono nel marasma, nel disagio   e nella confusione mentale  senza alcun principio di elaborazione e progetto di  nessuna forma politica alternativa o di  possibile continuità democratica.  Così c’è il rischio che la residua energia politica circolante nella società vada semplicemente sprecata. È evidente che la sfida del presente è re-inventare pensiero, esperienze  e azioni  perché realizzino istituzioni e stili di pensare e soprattutto di vivere  che sappiano tradurre  i conflitti ad armonia sociale e a rapporti umani a  comunitari piuttosto che immunitari.

Mauro Orlando