martedì 25 giugno 2013

Elisir d'amore per .....il gorilla

....attenti al gorilla!!!!!!! 


...oggi mi sono accorto di essere un gorilla...... Sono diverso dalle altre cose viventi, diverso dagli alberi e dalla neve, più simile al fuoco, più simile all’autunno che all’estate….. Faccio parte del silenzio della foresta… ...ho imparato .... a sentire oltre alla falcata e alle parole degli altri animali e dell'uomo in particolare anche il ritmo del cuore e del fiato a misurare la loro paura, la loro infelicità, il loro dolore..... ......a capire se sono troppo giovani o vecchi per lottare,vivere e se sono pronti alla morte…. Io li guardo annoiato ,distaccato ,lento ,assente alle loro ansie e saggio nel mio equilibrio naturale .Io penso tenendo gli occhi aperti…Io sono antico e conosco l’ombra che porta via la luce con la morte, la vita che dona la libertà ai paurosi, curando i miei cuccioli insegnando a mettere fine alle sofferenze dei deboli……e malnati Vivo confronti equilibrati dignitosi con tutti gli esseri della foresta... Ho imparato ad ascoltare il suono impercettibile che affiora dal silenzio, un ramo che scricchiola, e cadeva sulla neve con un tonfo distante , calcolare il tempo e il suono , il verso di un eccello o il fruscio delle ali all’atezza delle orecchie, il grattare di un insetto dal profondo di un albero .Ho un ascolto selettivo dei rumori che sento solo quando non mi occorre sentirli, come se sapessero che possono farsi sentire proprio perché non li ascolto…che non mi distraggono dal azione delicata e vitale…. GUardo con compassione gli uomini che mi scimmiottano avanti…è lo sbaglio che fanno sempre "i più forti e più intelligenti".Credono di potermi scoraggiare mostrandosi agguerriti e decisi scacciarmi.Ma la loro aggressività inibita, le loro paure compresse, i loro dolori sofferti non fanno che accrescere la mia voglia non di abbatterli….o spiegargli la vita ma io ho rinunciato volontariamente alle parole perchè mi distraevano dal vivere ..... e allora ho imparare a simulare negli occhi lo spettro e la paura del confronto ,dello scontro e li guardo con compiaciuta assenza e con tanta compassione.......

lunedì 8 aprile 2013

Elisir d'amore per ........la felicità


di mauro orlando
La felicità liberista è felicità da “idioti” ….. questa felicità (eu-daimonia), nel suo tipo ideale ( mito della biga alata di Platone), come una libertà degli idioti [idios= privato, scemo] ci è stata suggerita e spiegata dai nostri antenati greci.Spiegavano anche a noi postmoderni, postliberisti, postdemocratici, postpolitici ,cinici ma infelici che le cose,gli uomini , le idee hanno veramente un valore se sono compiute gratuitamente e liberamente: solo i poveri e gli schiavi sono legati dalla necessità e obbligo del lavoro e rientrano ,loro malgrado ,nella categoria degli “idioti” in senso oggettivo. E solo un idiota può vivere in questo modo per propria volontà e scelta soggettiva , cioè senza esserne costretto dalla necessità 'arcana e moderna' di sopravvivere per un salario , un indebitamento , un senso di incompiutezza senza beni materiali, un accumulo di ricchezze inutili ……. In particolare, la democrazia ateniese del V secolo attribuiva un grande valore all'attività politica come dovere di pratica e ricerca di ordine comunitario .Il diritto alla “felicità” personale a cui tendere invano in un sistema economico-politico è una sorta di palliativo o truffa della modernità. Diventa un vincolo sempre più stretto e un obbligo politico eteronomo e inconsapevole che ci viene necessariamente dall’esterno …..la felicità,quindi, oggi è prima di tutto mettere ordine ai “demoni” che governano configgendo nella propria anima...poi un attivazione nel conflitto selvaggio della modernità (homo homini lupus, felicità pubblica o in natura,nè un ifelice nè un oppressore, maggior felicità per il maggior numero di uomini eccc ecc...) il dispositivo critico personale che controlli e combatte tutto ciò che intacca la nostra autonomia dal mondo ,dagli uomini e dai beni materiali,dalle leggi della politica praticata…… e anziché forma di adesione idiota e subita alla realtà ….la felicità diventa terreno di conflitto sano , di vita consapevole e di elaborazione autonoma di nuove immagini e stili di vita più confacenti e aperti all’incontro, sempre rimandato nella storia di noi uomini…….tra libertà personale e giustizia sociale……

venerdì 5 aprile 2013

Elisir d'amore per ......il radicamento

Bello,intrigante e pieno di fascino  un  racconto di storie  arcaiche  al limite del mitico. Ho  sempre coltivato con le mie nipotine  la loro fantasia e curiosità non con le pesantezze e rigidità  dei concetti e delle idee  che pure  servono  a usare “il lògos” come  mezzo per non perdersi nella variabilità delle parole ,dei fatti …delle cose    ma la loro immaginazione  volava  con i racconti  delle vecchie favole che da bambino una  “vecchia affabulatrice  di cunti”….’zi carpe nella…… ci raccontava con   le storie di banditi sanguinari  e di eroi vendicatori delle nostre terre  irpine, di padroni cattivi  e  contadini coraggiosi che lottavano per la giustizia contro i soprusi  e il cinismo dei ricchi……e leggevo nei loro scintillanti occhi interesse e coinvolgimento….curiosità e sospetto. Quindi nessuna pregiudiziale  o pregiudizio verso le storie,  “li cunti”  sui nostri progenitori  vicini e lontani. Ma il mio interesse  e attenzione  rispetto alle storie locali  , dei  territori  e degli uomini  che li abitano  si basa soprattutto sul problema del “radicamento” più che delle “radici”. Il radicamento come scrive S. Weil  è “ il bisogno più importante e misconosciuto dell’animo umano, e tra i più difficili a definire”. Problema  conoscitivo  importantissimo  proprio perché viviamo  un processo  della sua  negazione o  dissolvimento attraverso una vera propria “malattia dello sradicamento” subito quasi come uno stato naturale e non come un fatto culturale e storicamente determinabile. Lo sradicamento contadino, lo sradicamento geografico,determinato dalla sostituzione moderna  di  Nazione  a quella del territorio. Perdita di senso e di appartenenza  quando ci si deve ricostruire una identità sulla categoria della ragion di  Stato che indebolisce  il rapporto pieno  ed autentico  con il tempo e lo spazio .legati alla propria storia e al proprio territorio nelle sue specificità e caratteristiche culturali e storiche. Oggi io ritengo problema preponderante  costruire  un senso completamente nuovo  di essere comunità  non popolo. Dare senso alla politica per bonificare  il terreno culturale  per  recuperare e radicare radici per portarle a nuovi frutti. Non mi interessano “radici”culturali e storiche che possano alla lunga rivelarsi  “corazze ideologiche” di tipo totalitarie  con una concezione sociale  non in senso eminentemente relazionale  ma che  ci portano direttamente nella morsa delle categorie antipolitiche  di “amico-nemico” e non come “sfida conoscitiva  e politica , vissuta precipuamente come  come fitta  trama  di rapporti anche conflittuali e differenziati tra individui, che si riconoscano reciprocamente in quanto tali se pur  nel proprio ambiente  storico e naturale  in una concezione della cultura antropologica e storica , il cui fine e senso  è di entrare  in una relazione significante,consapevole,attiva ed aperta   con gli altri  sia essi  individui che popoli. Condannando così anche il pensiero e la cultura alla sterilità o peggio  alla conflittualità escludente  (“immunitas”) e non includente (“communitas”).
mauro orlando

venerdì 15 marzo 2013

Elisir d'amore per ........Cairano

Cairano: un diritto alla nostalgia ....


La “nostalgia” è di diritto, una qualità o uno stato d’animo benvenuto non della nostra vita affettiva e cognitiva.E come essa non è uno stato patologico ed eccezionale,una malattia del corpo e dell...o spirito, non la si definisce solo per “mancanza” .Non è un “ospite inquietante” al nostro animo nomade ma ne rappresenta la parte più intima, nascosta, appartata e meditativa.
Come la malinconia non è asociale ma ha con la società un rapporto selettivo,biunivoco ed aristocratico anche se possono sembrare fattualmente e concettualmente incompatibili.
La nostra vita di “irpini della diaspora” ha bisogno come l’aria che respira di ricordare Cairano, come luogo di nascita abbandonato o come luogo di elezione matura.Cairano come simbolo,mito e realtà di questi momenti appartati, meditativi e silenziosi per scoprire la profondità del proprio essere ,un insieme di “io” singolari-plurali lontano dai rumori di fondo della superficialità insidiosa e omologante della società di massa e dei “non luoghi” anonimi e afsici .E’ “ lo scarto originario che separa l’esistenza di una comunità minimale nella sua essenza.E’ un limite che la comunità stessa si pone da non dover varcare per non perdersi .La malinconia ci aiuta a tenere assieme con dolore e sofferenza l’essere e il niente della nostra esistenza individuale che mina dall’interno l’appartenenza e la condivisione ad una comunità né riduttiva né semplificata.La malinconia da sempre ci insegna in questa nostra esigenza di comunità semplici nell’abbandono , il limite non è eliminabile e che la comunità non è identificabile con se stessa , con tutta se stessa o se stessa come un tutto, con il rischio di una forma di tipo totalitaria come ideologicamente abbiamo sperimentato per tutto il Novecento.Dobbiamo evitare alla comunità dei “piccoli paesi dalla grande vita” di annientarsi nel tentativo di preservarsi o di liberarsi dal suo ‘niente’ ma aiutarla a scoprire in questi momenti di intimità che l’assale il suo carattere costitutivamente unico se pur costituzionalmente malinconico e isolato.Il nostro pensare non può liberarsi mai del tutto dalle sue tonalità malinconiche e silenziose pena la sua immobilità e afasia .Ha la necessità di riconoscere la sua duplice declinazione – quella , negativa , della ‘tristizia’, dell’acedia e quella ,positiva, della consapevolezza profonda della finitezza, situandole una nella sfera dello ’inautentico’ , dell’improprio e l’altra in quella dell’esistenza ‘autentica e propria’.Per me vivere con provvisorietà e intensità Cairano ha significato recuperare ed attivare al sua esigenza e il suo senso di “quiete”, “silenzio”, “gioia” di assumere e riconoscere il limite , la finitezza come la nostra condizione più propria anche se nella sofferenza e nel dolore di un abbandono come dono e possibilità.Scriveva Heidegger“ ogni agire creativo ha luogo nella malinconia….” .questo ci porta a pensare che l’incompiutezza e la finitezza non è il limite del pensare comunitario ma esattamente il suo senso, essendo “l’essere-solo un modo difettivo “ delle esistenza umana.
La ricoperta di una “comunità piccola, appartata e silenziosa non è né un origine ,né un fine né una fine, né un presupposto, né una destinazione, ma la condizione, insieme singolare e plurale, della nostra esistenza finita ,provvisoria e autentica .Non è solo un spazio liminare e definito da subire,da preservare o da allargare ma un luogo comune che ci è destinato e ci accomuna .E il pensiero della malinconia tocca il punto aldilà del quale non sappiamo e non dobbiamo andare ma anche lo spazio vitale in cui vivere nella “gioa e nel dolore” la nostra esistenza autentica .La mia presenza discreta e rispettosa nella comunità cairanese resta un momento incancellabile della mia vita mentale e naturale che nessuna circostanza e decisione può cancellare .Come scriveva Flaubert per Madame Bovary…..Cairano c’est moi……è parte essenziale della mia vita.Un saluto amicale e un abbraccio corale a tutti i cairanesi che benevolmente hanno aiutato la mia presenza nel loro paese.


Mauro OrlandoVisualizza altro

Elisir d'amore per ......i dialoghi immaginifici

Dialogo immaginifico tra un angelo, un clown sulla storia di un Orso……disperato!


Nanosecondo: Ciao Mercuzio, ma dove sei finito io qui sono alle prese con un Orso che è fuggito dal circo equestre che aveva messo tende a Grottaminarda, adesso s’è richiuso in una casa, sono arrivate le forze dell’ordine, vigili del fuoco e c’è pure il personale del circo con il domatore, pure i clown sono disperati, sono tutti disperati, perché non riescono a cacciarlo fuori di casa….;



Mercuzio: Prima di tutto devo correggerti e raccontarti un vecchio “cunto de li cunti” che una vecchia-strega ci raccontava intorno al fuoco nella piazza del nostro quartiere mentre arrostivamo ceci, pannocchie e fave. Di un amore improbabile e incestuoso tra un orso marsicano e un lupo sannitico proprio nelle foreste e macchie dell’Irpinia d’oriente….tutti gli abitanti specialmente nelle notte di luna piena sentivano i guaiti gioiosi e innamorati di questi amplessi contro natura e molti raccontano di aver incontrato il frutto di tanto innaturale amore …..e ancora oggi studiosi e non vanno alla ricerca di questo esemplare unico e raro che nei libri di scienza è nominato “luporso” con un DNA ricombinato e scombinato sia dal punto di vista genetico che biologico e che sicuramente ha influenzato e definito non solo il suo aspetto eretto ma la sua psicologia comportamentale……e, certo lui è fuggito dal circo e se rintanato in quella casa, perché non sopporta più di essere preso in giro per lo spettacolo che gli chiedono di fare, e quando poi a quell’emerito imbecille del suo domatore, è una vita che gli sta dicendo che ne non può più di essere domato perché è un animale molto umano. Non ama la debolezza, preferisce l’astuzia intelligente, la pazienza remissiva, l’ozio attivo, la lentezza agile, il silenzio eloquente, la meditazione riflessiva, la poesia che fiuta e anche la follia che da allegria, insomma il letargo. Prova speranza, paura, orgoglio, disgusto, rabbia per gli umani che applaudono per paura o per cinismo. Con le sue rare azioni un po’ goffe e miti cerca di mostrare e offrire segni, immagini e descrizioni del suo mondo interiore e del suo equilibrio egotico che ha conquistato a fatica. Non può parlare ma riesce proiettare se stesso come richiesta di libertà,autonomia e a dare voce e ascolto alle creature che insidiano la sua scena. Egli sa da dove viene e cosa è ripete anche lui a se stesso, fino all’orlo del suo burrone: io sono un orso particolare …Irpino in via d’estinzione, un predatore mellifluo…fiuto le bestie e quando sono troppo invadenti non le aggredisco ….le evito col silenzio e qualche grugnito indicatore… Amo confronti equilibrati e dignitosi con gli umani sensibili…. Che che sono disponibili a imparare a simulare negli occhi degli animali lo spettro e la paura della sconfitta e della superiorità naturale….della libertà;



Nanosecondo: è certo tutti gli animali dovrebbero essere liberi e liberati dalle loro prigioni. Loro possono vivere solo nella natura del bosco e delle valli. Sotto il cielo stellato e d’inverno come adesso dormire sereni e beati, fino a quando spunteranno nuovi fiori;



Mercuzio: certo che voi umani il vizio di addomesticare gli animali non ve lo perdete mai. Più che addomesticarli vi dovreste fare addomesticare da loro. Chi sa alla fine comprendereste la vera natura della vita che è libera da ogni catena. Vuoi che essa sia mentale o fisica. Nei vostri paesi da strapazzo, figurati poi a Grottaminarda o l’Irpinia dove hanno da sempre cercato di addomesticare anche i lupi senza sapere che è tutta energia sprecata. Solo San Francesco vi riuscì, ma perché? Lui era il giullare di Dio un po’ come te clown sornione che comprende la natura degli umani che a volte si fanno imbavagliare dalla poesia e dall’incanto paesologico di comunità disperse dove gli stessi animali sono fuggiti per paura di essere addomesticati. Gli uomini non dovrebbero solo cercare nelle civiltà antiche il senso delle proprie idee, fantasticherie, passioni e i segni del linguaggio per comunicare i propri sentimenti, e idee. Noi angeli come gli orsi siamo in addomesticabili per quello che mostriamo ….avanzando a passi cauti…superando a volo, come gli orsi, a volte con balzi goffi e leggeri tutti i rami caduti sulla neve così silenziosi, da lasciare leggere le nostre orme, che solo un topo addormentato nella sua tana potrebbe aprire un occhio quando le mie zampe la scuotono, per poi richiuderli un istante dopo il mio passaggio…..camminiamo sempre controvento e avanziamo silenzioso e leggero come il vento…..sempre un tono sotto. Un nuovo umanesimo delle colline nasce nei boschi e non nei piccoli paesi…Voi umani dovreste imparare dagli orsi, come la radice più profonda di un albero, a sentire un passero posarsi sopra il ramo più alto….essere diversi dalle altre cose viventi, diverso dagli alberi e dalla neve, dagli uomini, più simile al fuoco, più simile all’autunno che all’estate…..Fare parte del silenzio della foresta…che degli ospedali e delle chiese…Imparare a sentire e immunizzare oltre alle parole aggressive delle vostre prede anche il ritmo del cuore e del loro fiato a misurare la loro paura dietro al maschera del cinismo o della cattiveria….



Nanosecondo: Mercuzio, angioletto mio, hai proprio ragione. Io ne conosco uno di questi che è pure filosofo. Sai di quelli che mettono le parole una dietro l’altra anch’essi come domatori di orsi, cavalli e tigri con la speranza di addomesticarle. Ma le parole sono come gli animali le puoi anche mettere in fila, una dietro l’altra, ma non possono essere imprigionate in nessuna rete per guardale o sentirle ma come nella foresta lasciate libere a loro stesse, se no, anche loro, come animali potrebbero essere addomesticate, non credi?



Mercuzio: già pure il mio padrone e sovrano di tutti i cieli – U’Mast, come lo chiami tu – ha dato a tutti gli uomini il libero arbitrio ed ogni tanto dovrebbero metterlo in pratica per evitare di addomesticarsi al volere degli altri, che come il domatore del circo utilizza la pazienza dell’orso. Ho conosciuto e frequentato ultimamente un filosofo che voi considerate l’iniziatore della cosiddetta “modernità” che voi avete reso come “foglia di fico” per coprire tutte le vostre scempiaggini, crimini e misfatti degli ultimi due secoli. Un certo Rousseau che continua inutilmente a spiegare a Voltaire il senso di una “comunità naturale” parlando di volontà generale …nozione complessa che richiede un grado di attenzione e ascolto notevole…virtù poco acquisita tra voi mortali “intelligenti”…Egli ama ripetere che la ragione è identica in tutti gli uomini, mentre le passioni e sentimenti sono per lo più diversi e per conseguenza, se un problema generale e comunitario ciascuno riflettesse da solo ed esprimesse una opinione, e se le opinioni fossero inseguite, confrontate tra di loro, probabilmente esse coinciderebbero per la parte giusta e ragionevole di ciascuno e sarebbero differenti per quanto riguarda le ingiustizie, scompensi, errori, causati dai sentimenti e dalle passioni…. E quando scimmiottano di mettersi in “comunità” rischiano di costruire macchine collettive di micro e macro potere (partiti, gruppi etnici, movimenti, etc) per produrre sentimenti, passioni collettive …cancellando o inibendo le potenzialità delle singolarità comuni, libere ed aperte……In una sola occasione mi sono permesso di intervenire data la mia “professionale” conoscenza degli uomini, spiegando che la creazione di queste comunità, circoli, partiti, movimenti dovrebbe essere mantenuti in santa fluidità e provvisorietà; in una dimensione costituente e permanente la cui reciproca conoscenza è possibile niente meno solo se in stato di “amicizia” in perenne gratitudine,… discorso, desumo, difficile? E, già perché non li ho mai visti pacificati e d’accordo…..ma sempre coi toni veramente eccitati e ostili e non come orsi che fanno solo paura per difendersi da voi umani, ma per assumere la discussione ed il potere di addomesticare! ….Per fortuna che erano nel “Limbo” una sorta di zona franca per tutti quelli che hanno esercitato il ruolo di “intellettuale” nella vita terrena….a differenza dell’orso che si nasconde in caso solo per difendersi…..



Nanosecondo:…….così tornarono tutti nella caverna orsa e grande orso si sedette sulla sua poltrona, con piccolo orso acciambellato sul suo petto, finì il suo libro sugli orsi e si addormentò…..sogni d’oro a te Mercuzio, mi è venuto sonno.



Elisir d'amore per .....la democrazia deleberativa...

di mauro orlando…….


mi chiedo chi sono questi “populisti”, “antipolitici”, “antipartitici” che hanno invaso il Parlamento con le loro facce oneste,pulite, serene, convinte……da “casalinghe di Voghera,pastori abruzzesi, servette di Tracia o di Vicenza…..”…….nonostante i ghigni sfottenti e taccagni del loro capocomico ligure e la maschera spenta di mistero tragico del loro guru di “matrix”….. sono facce e posture di gente normale,tragicamente banali, sono giovani normali e quotidiani . Da dove nascono e come sono cresciuti , figli di un dio minore, …senza ambizioni ma pieni di risentimento,rabbia, incazzatura…benevolenza e disponibilità…Chi li ha messi su quella buona/cattiva strada? Una volta si parlava di “cattivi maestri” letterari o filosofici oggi al massimo si può parlare di “cattive compagnie televisive e di satiri senza satira e morale .Secondo me la loro vera educatrice politica e civica è stata l’algida e intransigente Gabanelli….i risolini nervosi e cinici di Mentana …..la teatralità furbesca e mediterranea di Santoro….le cattiverie e i risentimenti giudiziari di Travaglio …l’anocronistico e toscano comunismo di Vauro e ….. tutta la compagnia di giro e comparse che occupano le obbligate serate televisive pubbliche e private. Sono persone normali che non vogliono più vivere in quel paese che “Report” ci ha fatto vedere tante volte al di là della tragedia o della farsa. Solo questo e niente di più. Troppo o troppo poco, d’accordo, ma in cambio che c’é? Non hanno idee politiche o ideologie o se le hanno contano niente. Sono persone che vogliono, vorrebbero cambiare quel Paese lì, quello che gli ha rappresentato tra un arisata e un ghigno … “Report”, “Piazza pulita”, “Samarcanda”, “Servizio pubblico” etc etc – sotto le mentite spoglie di un giornalismo d’inchiesta , di smascheramento, di protesta in un sistema dell’informazione addomesticato, omologante , padronale, cinico che , in mancanza di vero esercizio di informazione democratica e deliberativa tante volte abbiamo bevuto acriticamente appesantititi dagli anni e delle lotte perdute nelle nostre comode poltrone e sofà , con il risultato che alla fine quelli della mia età per non star male non lo guardano più oppure allargano le braccia e dicono “non c’è più niente da fare” nascondendosi dietro ad un cinismo salvifico e inattivo . I nuovi “populisti etc etc ” di M5S sono i nuovi cittadini italiani i quali non vogliono più continuare a vivere in questo paese e che invece di curare le sue magagne le contempla compiaciuto e non ha più la forza e la voglia di arrabbiarsi e combatterle . Saranno ingenui,inadeguati, inattuali, disarticolati….. non ce la faranno, cambieranno idea, non lo so, ma non vedo la ragione di essere “preoccupati” più di tanto . E spero che un giorno tutti quelli che non vogliono più vivere nel paese da incubo che “Report and company” ci hanno fatto vedere e rappresentato con documenti veri o falsi tante volte, si mettano d’accordo, in qualunque partito o movimento siano.Il potere vero ,economico o politico Leviatano o Behmoth che sia, alla lunga non ama tollerare alla lunga Il gioco, la fantasia, l’immaginazione dei propri sudditi che non hanno saputo approfittare delle “libertà formali” della democrazia rappresentativa o diretta che sia. Alla mia non più tenera età dico “col senno del prima” : “non ce la faranno mai”, ma almeno per un po’ ….solo per un po’ ….non avranno peggiorato la situazione in modo irrimediabile.Tutto in natura si rinnova anche se non sempre migliorando. Ed io potrò affrontare il ciclo naturale del morire incazzato ,deluso, impotente come sono adesso ma non di tanto perché consapevole che fino ad ora ho vissuto e partecipato all’età dello spettacolo e delle finzioni .”C’est la vie!!!!!”





mercoledì 23 gennaio 2013

Elisir d'amore per ....un amore perduto



L’esperienza di franco e della Comunità Provvisoria e le sue considerazioni emozionali hanno bisogno di essere meditate e discusse non per gusto agonistico o per esercizio sofistico ma per l’importanza che rivestono nella nostra possibile esperienza comunitaria nei piccoli paesi di tutte le realtà periferiche ed appenniniche dell’Italia.In questi giorni la Filosofia ufficiale si interessa del rapporto uomo-natura. Noi lo facciomo sul campo in modo militante ed esistenziale. ”La paesologia “ ha il merito di sgomberare il campo dagli equivoci malevoli , pretestuosi e modernisti di un comunitarismo e territorialismo a rischio identitario e xenofobo .Esso punta costitutivamente ad una soggettività –plurale consapevole ed attiva e non “una specie di moda elitaria per i cittadini meno granitici, un modo per assicurare alle loro coscienze una parte di assoluzione”. Non è la nuova ideologia per “spaesati” ,”terremotati” ,abbandonati e stressati dal postfordismo e dalla globalizzazione neo liberista e speculativa che nelle zone interne e nelle periferie metropolitane ha spazzato via anche il possibile mito industrialista e modernizzatore superficiale delle coscienze. Nelle vene della società si vive un senso di spaesamento depressivo (autismo corale e/o individuale) con un cambiamento antropologico di una società che non vede pur con mezzi scarsi fini certi: lavoro a vita ,possibilità di benessere,scolarizzazione per i figli più acculturati dei padri ecc. Oggi pur con maggiori ed abbondanti mezzi i fini diventano sempre più incerti. Anche se all’apparenza si può percepire e pensare “… alle certezze che la vita di pianura offre a chi la conduce”. Oggi la globalizzazione ci impone teoreticamente ossimori come “reti corte” e “pensieri lunghi “ o “reti lunghe ” e “pensieri brevi”. “ Ora comprendo meglio la calma e la silenziosa operosità di questi luoghi. Qui non c’è mai lo squarcio, da qui si può arrivare ovunque e ritornare in fretta. Si può programmare il giorno suddividendolo in decine di cose da fare in luoghi differenti e si può fare la strada al contrario quasi senza intoppi” Vivere al Nord può dare queste impressioni ma esiste un sottofondo carsico e depressivo chimicamente sedato , tutto prepolitico,segno di uno spaesamento antropologico in una sorta di distacco e di apatia che la Lega ha saputo trasformare in energia propulsiva per macinare consenso elettorale. Noi stiamo cercando di ragionare in modo completamente originale e non regressivo sulle due parole chiave del nuovo discorso politico: comunità e territorio. Il territorio non è solo lo spazio del conflitto e delle scelte politiche che afffrontano anche i grandi nodi della modernità globale e locale ( trasformazione dei lavori,nuova immigrazione ,fabbrica diffusa , fonti energetiche naturali quali acqua,aria, terra e sole ).La dissolvenza delle comunità originarie o dei nativi in comunità del rancore ,della diffidenza o del rinserramento o quella falsamente identitaria nell’esclusione dell’altro da sé. Io parlerei fuori dagli equivoci della possibilità di una costruzione delle “comunità di cura” .Fuori dai fraintendimenti possibili una comunità operosa dei cittadini attivi ,consapevoli,liberi e reponsabili che operano per la inclusione e per la difesa dei diritti fondamentali della persona ,tra cui includerei anche il diritto alla cura e alla salute.Dovremmo con più lungimiranza lavorare per una convergenza tra comunità operosa e comunità di cura come antitodo per ridurre la sindrome da comunità del rancore. A partire dalla natura plurale conflittuale del territorio per non cadere nel pericolo del populismo xenofobo dell’ “ognuno padrone a casa sua” dobbiamo pensare ad una politica del fare “nuova società e nuova cultura”. Paesologia e comunitarismo insomma .Esprimere un pensiero di tipo e respiro strategico sulla terra nel mondo da salvaguardare e da vivere profondamente oltre allo starci ed abitarlo. La paesologia è anche la presunzione e la capacità di sentire “ che la percezione delle distanze” ma sopratutto la forza di superare la “difficoltà a trovare il tono giusto per parlare a questi ragazzi di luoghi come l’Irpinia d’oriente, come l’altura, l’Appennino, la dorsale impervia e franosa che vivo e che mi attraversa da anni, da quando sono nato”. Noi sappiamo che costa fatica vivere giorno dopo giorno “ il posto per la crepa, la spaccatura” e che non rifiutiamo per snobismo intellettualistico e neoariitocratico la città dove “ non c’è lo spazio per la bruttura improvvisa, per il degrado, per lo sfregio”. Non ci convince e non ci basta più parlare “di urbanocentrismo, di policentrismo…del concetto di centro e di periferia del centro”. E le nostre esperienze comunitarie e paesologiche non sono “ visioni”, ma consapevolezze conoscitive non solo per pensare ma per vivere “i piccoli paesi” in un rapporto esistenziale alla riscoperta della “grande vita “ che si nasconde tra le pieghe delle brutture di una modernità senza anima e di uno sviluppo senza progresso. Forse un giorno ognuno di noi si sentirà orgoglioso e rivoluzionario di essere vissuto dagli urbanizzati per costrizione e necessità “una specie di indiano di una riserva, il buon selvaggio esposto alla curiosità dei cittadini civilizzati, una tigre del bengala costretta a stare nello zoo di Vienna. Insomma qualcosa di esotico”. E allora fuori dai dubbi e paura ….” la paesologia “ non sarà percepita come “ una scienza esotica, una specie di moda elitaria per i cittadini meno granitici, un modo per assicurare alle loro coscienze una parte di assoluzione. Come dire: vedo, conosco altri luoghi nei quali mai andrei a vivere e questo mi rende migliore. Solo questo” E allora anche sentirsi “….franoso, instabile, in bilico” diventerà un modo e una possibilità di rappresentare un dubbio o un sospetto che il “ loro ordine interiore che traspare nel linguaggio, forbitissimo e accorto, nelle osservazioni, nella postura” e la loro condanna ad una inconsapevole non libertà e che la loro vita ha perso di autenticità e di anima.

lunedì 14 gennaio 2013

Elisir d'amore per ......la "politica" non del nostro scontento.....

La “Politica”: non esercizio del nostro scontento.
 Nella “ comunità provvisoria” la politica in tutte le sue forme espressive gioca un ruolo accattivante ed insidioso assieme .E’ il convitato di pietra e la ammaliante sirena assieme che rischia di ingenerare equivoci,incomprensioni e conflitti inutili e distruttivi se non preventivamente chiariti nei suoi presupposti e finalità. La politica politicata o politicante nella nostra provincia anche quando ha a che fare con gli uomini o le idee, opera nella oggettività del potere, della saldezza delle istituzioni, della forza degli interessi. Questa è la funzione della politica che comunque ci interessa come cittadini con diritto di voto ma non esaurisce le nostre esigenze o pretese nello specifico della nostre iniziative culturali comunitarie sul nostro territorio. Sgombriamo il campo dagli equivoci :noi non amiamo per niente o coltiviamo “i pensieri corti” e le pratiche di potere della politica politicante e strumentale. Tuttavia non escludiamo a priori che la politica nella dimensione della parola, del pensiero, della rappresentazione, della narrazione necessita di mediarsi e legittimarsi attraverso saperi; e che accetta il rischio o la sfida cognitiva di confrontarsi con altri saperi autonomi ed aperti , ma critici quale è e deve essere il nostro nella società e sul territorio. La “paesologia” come sapere comunitario non è orientato al potere , all’ oggettività o alle “strategie di alcun tipo” ( nuova e corretta analisi o uso del territorio) che si tricerano dietro la rassicurante categoria della “razionalità” quando questi non si vivicano nello spirito della soggettività, della percettività,della creatività e esitenzialità del fare e del dire sociologicamente , letterariamente ,poeticamente o filosoficamente .”Non abbiamo idee buone sul mondo per tutta la giornata” (F. Arminio). Tuttavia non amiamo e non rifiutiamo a priori o a prescindere ,senza se e senza ma, il linguaggio e le pratiche del potere e dei contropoteri, delle istituzioni .Non è il nostro campo e non soddisfa i nostri interessi.non ci sentiamo a nostro agio ma abbiamo la forza e la capacità di smascherarli,denudarli, snobbarli. Della radice della parola “politica” prediligiamo la sua accezione di ‘pòlemos’ (mutevole,nomade,cangiante ,plurale) alla classica “pòlis” (stabile,stanziale,univoca e singolare) .Come scrive Franco” c’è da affermare il primato dell’esperienza sul lògos. Quello che c’è fuori viene prima di quello che c’è dentro. L’aria (ci) sta più a cuore delle opinioni”. A noi comunque interessano le parole e le pratiche (meglio i sentimenti, le passioni, le idee) della politica non per semplice esercizio retorico o dialettico ma per provocarle, contaminarle o vivificarle perché consumate ed abusate e metterle a confronto-scontro (pòlemos) con le nostre idee e azioni culturali che si esprimono in “idee lunghe”, sentimenti autentici ,fantasie concrete ,sogni pratici,poesie ragionanti e ragioni poetiche e racconti personali detti in libertà ma anche con qualche consapevolezza, passione,rabbia ,sconforto o apatia. Ovviamente,nessuno pensa di dare, delle parole e dei fatti della politica, una definizione o un giudizio in qualche modo univoco o partigiano sapendo che in essi si è depositata la storia vera di uomini di ieri e la vita di oggi , e vive la nostra passione (o apatia) di ieri e di oggi. Intellettualmente interessa mantenere desto e vivo il significato autentico delle parole della politica.” A partire, naturalmente, dalla coppia oppositiva ‘ politica-antipolitica’ . Il cui secondo termine è cambiato di significato, e da ‘ opposizione alla buona politica’ (qual era il suo valore originario) oggi si usa nel senso di ‘ contrarietà alla politica’ , estraneità, indifferenza alla politica, fuga dalla politica in generale; una sorta di qualunquismo, in cui i singoli si chiudono, politicamente disperati. Oppure un’ ideologica pretesa che la politica sia inutile, una truffaldina complicazione di questioni semplici, che- se non esistessero quei parassiti che sono i politici – potrebbero benissimo essere risolte col buon senso pratico, con la competenza tecnica, oppure con l’ armonia automatica del mercato” (C. Galli) . In Irpinia o in Lombardia mi piacerebbe privilegiare la cultura politica dello stare insieme di realtà e di norma, di fatti e parole, di azioni e pensieri”. Insomma una esperienza comunitaria anche autenticamente culturale e politica assieme come una “prova continua” ….. “una prova provvisoria” ma provata .. Direi che è già una buona cosa far circolare affetti, dare posto all’ammirazione più che all’accidia. Poi chi vuole può fare progetti, può delineare strategie” (F. Arminio) liberamente ma non in modo definitivo , esclusivo,fondante e prescrittivo. Culturale nel senso di recuperare la capacità di essere “in grado di riconoscere la grandezza altrui, lo splendore silenzioso di cose piccolissime o grandissime e di inchinarci di fronte a loro” (E. Martino).Di amare la nostra Irpinia e il suo paesaggio non per costruirci intorno una bella e preziosa cornice ma sapendo e spiegando che “ rivolgersi a un paese a un paesaggio è operazione che ha bisogno di grande mitezza, di gesti semplici, di menti pulite, poche parole, pochissimi concetti, molti, moltissimi dubbi” (E.Martino).Questo è il terreno,il senso e la portata di una costante e difficile “sfida cognitiva e percettiva ” alla Politica il resto è già stato fatto con nobiltà di intenti e di sapere .Noi dobbiamo essere sfacciatamente presuntuosi della sfida che proponiamo perché consapevoli che come scrive visionariamente Elda “il nostro mondo è sfinito, sta morendo. non c’è spazio per galleggiare, bisogna andare a fondo, bisogna tirare un bel respiro e provare a scendere, oppure bisogna iniziare a volare”. A me piace pensare alla nostra esperienza comunitaria come un bel e buono viaggio di ritorno (nòstos).Come Ulisse nel nostro ‘nostos’ ci prepariamo a non farci ingannare dalle ‘sirene’ utopistiche o fondanetaliste, dalle ammalianti profferte amorose della dionisiaca Circe, dalle giovanili invadenze e occasioni delle ‘Nausiche’ alla stanzialità di un talamo giovane e al potere correalato, ma sopratutto temiamo il ritorno a una possibile casa ( oikos)”Irpinia d’oriente” come fine del sogno e della esperienza nomade e delle transumanze stagionali e provvisorie…o nuova e immobilizzante “pòlis” che si dimentica della istanze ed esigenze ‘naturali’ di Cassandra per accettare le logiche formali del potere di Creonte…..e non cè tranquillizzante ,moglie-madre Penelope che tenga!Siamo antichi e nuovi “viandanti irpini” nostalgici per passione e pensiero in viaggio con la “ciurma provvisoria ” della Comunità con una consapevolezza attiva, libera,critica,leggera e convinta del momento magico e difficile di tutte le ‘fasi costituenti’ della nostra vita e delle nostre storie da inventare e raccontare.
Mauro Orlando

giovedì 10 gennaio 2013

Elisir d'amore per ......i dialoghi immaginifici

Dialoghi immaginifici tra l’angelo Mercuzio e il Clown Nanosecondo
Nanos: Sai Mercuzio angelo mio, pure io sono partito con la mia moto del tempo, come il sommo poeta degli arminici paesologici confini tra terra e cielo, dalla percezione del mio corpo, perché pure a me, il corpo, mi dava un sacco di pensieri. Più che rami da far salire alla testa, i miei pensieri scendevano in basso tanto da farmi scoppiettare il tubo di scappamento……..
 Mercuzio: Per te non è strano che i pensieri si posizionano in un’area bassa del corpo, a differenza dei poeti e degli gli umani colti che mettono in moto “la ghiandola pineale” dell’intelligenza con il dubbio e il sospetto….. tu, zoticone volutamente urbanizzato e storicamente post-fordista, post-politico, post-tutto richiami necessariamente l’area della “apprensione” come “passione fredda” e te ne preoccupi per il tuo meccanico e psichico ciclo naturale dei rifiuti. Mi sembra di capire che “il clown” che è dentro di te è più dietro le tue “angosce” esistenziali che sociali, somigli molto al nostro simpatico padano e zoticone Zanni che in questi ultimi anni ha molto influenzato antropologicamente “il celodurismo…leghista” con esiti politici e linguistici più che preletterari alquanto disastrosi e volgari. Ben altro stile e prassi nel vostro scoppiettante e profondo Pulicenelle! E il miracolo umano e teatrale è stato questo : che rimane se stesso, in tutte le culture che immedesima e incontra. E rimane in una forma di eternità filosofica il suo problema e la sua domanda: …‘e pecchè ? E poi nella cultura popolare mediterranea- che comunque è la tua - l’atto di produrre e di mangiare la merda non fa parte dei canovacci principali della sua Commedia dell’arte di area campana ….pur essendo un classico della satira di tutti i tempi. C’è un aspetto economico legato al produrre ( de vulgari eloquentia ….”cacare” ) e antropologico del mangiare la merda e un aspetto psicologico e comunicativo che colpisce nel profondo il popolo comune. Un certo Tommaso ed Agostino nel “giardino dei santi” proprio l’altro ieri li ho sentito discutere e affermare che anticamente questa consuetudine era un rito della clownerie religiosa insieme col bere l’urina: oscenità apotropaiche che celavano sottili valenze simboliche, filosofiche e metafisiche . Gli esempi più illustri- dicevano – si possono ritrovare normalmente in quelli che voi considerate “ classici” di Aristofane, Plauto, Rabelais, Swift e Sterne. A Milano non molto tempo fa gli artisti nella sempre viva neoavanguardia come “eterno ritorno dell’eguale”….esponevano orgogliosi e provocatori la loro radicale poetica antiborghese mettendo in mostra “la merda di artista” e non solo……..
 Nanos: sì….!, e come hai fatto a percepire questa cosa tu che non mangi da parecchio e campi d’aria fresca la sù? ……A me quest’area così bassa del mio corpo mi porta a disperarlo, il profumo, specialmente quando è “incapace di avvenire” di pensieri alti. Lo so ogni corpo ha una sua idea di stitichezza d’avvenire, e anche nel mio caso a volte è bruciante, spero che non mi siano uscite le emorroidi, a me non sono mesi, ma solo pochi giorni, che mi si è chiusa la voglia di fare….
 Mercuzio: a parte l’aspetto fisiologico e gastroenterologico è il risvolto linguisticamente grasso, puzzolento e colorato che ti riguarda ….. è l’accenno al rapporto filosofico-estetico che il tuo corpo sente con la percezione poetica delle cose e l’elaborazione filosofica del pensiero che sembrano dover interessare poco alla tua forma sociale di comunicazione clownesca. Come tu ben sai le maschere da me preferite tra voi umani sono quelle dei filosofi, dei poeti, dei folli, dei sognatori e…..dimenticavo: i clowns ! … Nanos: Ancora una volta come si suol dire mi hai “smascherato”! Certamente a me sta a cuore rilevare uno sconcerto e una certa apprensione nella nostra umana esperienza comunità e provvisoria nella nostra piccola terra dell’Irpinia d’Oriente…. e non solo….. nei loro belli paesi abbandonati dallo sviluppo e dal progresso ma ricchi di vita, sacralità e spiritualità…oserei dire a te con termini che quotidianamente frequenti. Una bella famiglia di poeti, filosofi, diversamente … artisti che pensavano a un museo dell’aria, del vento, della luce, del canto su un piccolo e abbandonato palcoscenico naturale con le “cento anime” di Cairano……e anche lì un vostro cattivo collega “Lukifer” ha malpensato di inviarci un po’ di archietti, osti, commercianti e ciarlatani dell’identità etnica che nel giro di qualche tempo ci hanno scacciati ancora una volta come quelli di “Sodoma e Gomorra” …..
 Mercuzio: La conosco molto da vicino questa storiella e me ne sono fatto un cruccio anche con il mio “Mast” (come tu simpaticamente osi chiamarlo nel tuo colorito e sfottente gergo napoletano) ora scanso con sufficienza i tuoi insipidi e puzzolenti itinerari e i sepolcri dei tuoi vasi di espansione imbrattanti e riprendo a consigliarti la strada sui sentieri del sogno, della fantasia, della poesia, della musica, del gioco sempre nuovo e sempre diverso che non porta da nessuna parte ma che porta……in pensieri conclusi per dare sicurezza agli uomini da sempre impauriti del caos, molteplice, del divenire, del diverso, del folle ….provvisorio percepire dei poeti….. io…..dopo averci girato a lungo intorno, giocato con passione provo a stimolarti una riflessione dell’avvenire ….senza abusare, se non nello stile … di sedute… non di quelle fisiologiche …… ne di quelle per possedere, ma per andare oltre (“ metà”, “ uber”….”oltre”…”anche”…) delle mie ali incerate di Icaro e andare a conquistare anche per te una parte del sole ….scottante verità metafisica… per fantasticare una utopia liberatoria …….. anche per la tua parte basse del corpo…….e alla fine senza autorità, aristocrazia …. Cercare faticosamente di penetraci e viaggiarci dentro fin in fondo nelle sue pieghe, nei secreta, negli arcana …anche nelle crepe non per scoprire ‘in interiore hominis ….Veritas’ (di Principio) ma per sentirla….. percepirla anche se provvisoriamente ….. uno stimolo che permetta anche a te Nanos di non venire qua a parlarmi di merda…..
 Nanos: noooooooooooooooooooo!!!!!!!!!!!! Mercuziooooooooooo!!!!!……….. Che Dio mi fulmini!!!!!!!!!!!!!……….. Io ti volevo chiedere solo sé è complicato una volta che il corpo si è appuzzolentito cosi come il mio, riuscire ancora a percepire la presenza di un angelo……della bellezza, della poesia …. e come posso fare io così malconcio …… a percepire la presenza ancora di tutto ciò in questo mondo, così lontano. Sai, anch’io rischio di navigare in un mare di merda…..e adesso però smettila con le prediche perché anch’io rischio di morire a marcia indietro andando a sbattere …..per evitare di finirci tutto dentro…..ora mi dici come si fa con questa puzza sotto al naso percepire la presenza degli angeli?
Mercuzio: Solo per confortarti e ricordarti che anche il tuo linguaggio non necessariamente deve confondersi con una tua identità o peggio con una tua funzione sociale o comunitaria. Puoi anche solo restare nell’ambito della produzione artistica o letteraria e avere buoni compagni al gioco. Il premio Nobel per la letteratura Dario Fo, intervistato durante la trasmissione Satyricon, ha citato come esempi dell’uso della merda nella satira e nel teatro: La fame dello Zanni di Ruzante, un canovaccio in cui Arlecchino si cala le brache e lancia la cacca (finta) addosso al pubblico, e un pezzo in cui Francesco d’Assisi usa la cacca come termine morale elevato, in contrasto con l’avidità e la violenza del potere di papa Innocenzo III. Come vedi hai dei precursori illustri che sapevano fare bene il loro mestiere senza pensare di mettere a repentaglio la propria identità o la propria finzione sociale e politica ed anche la propria esperienza esistenziale e comunitaria nella Irpinia d’Oriente o d’Occidente che sia. Voglio altresì ricordarti a conferma di quanto ti consiglio. Ti ricordo un uso comune dei lavoratori di teatro in vari paesi del mondo, sia per quanto riguarda gli attori che per quanto riguarda il personale tecnico, è augurarsi il successo con le parole “Merda, merda, merda!” Questa usanza deriva dal fatto che, in passato, agli spettacoli di successo accorrevano molti nobili con le loro carrozze e cavalli, riempiendo di escrementi i dintorni del teatro. Quindi, più merda c’era per terra, maggior successo aveva lo spettacolo. Nel tuo caso chi frequenta i tuoi “cerchi” o le tue performances non rientra nel rango di spettatori ma l’esempio qualcosa chiarisce…..dell’uso o l’abuso culturale della …..”merda”…..Nel tuo caso della Clownerie che tu pratichi e ricerchi …tu ben sai… che anche il linguaggio diretto pur legato alla tua vita personale “stiticamente increspata e incresciosa” può creare malintesi e anche problemi. Ti ricordo – a mo’ d’esempio- una scena esilarante e efficace …citata goliardicamente dagli Amici miei del film di Monicelli (un grande esempio di commedia del cinema italiano degli anni settanta) nell’aria della “cacatella longa longa… filulella squacquarella” cantata a squarciagola dai quattro amici nell’ospedale dov’erano allora pazienti, e indirizzata alle sorelle di quel ricovero. L’uso che ne viene fatto in questo caso ha solo del provocatorio e del goliardico: il loro comportamento li spinge a rompere due tabù, cioè a parlare di merda davanti a delle suore (con l’intenzione di sembrare realmente malati di testa, o semplicemente stupidi). Ciò è solo per compiere costantemente delle bonarie e gratuite trasgressioni. Nella scena seguente questo loro comportamento farà scattare l’ira e la vendetta del primario, che si rivelerà più goliardico e sadico di loro altri. Credo che la “fabula de te narrat” e lascia stare quella fuorviante e impraticabile del ……………Sovrano Kakka’it…. Nanos: E, va beh! Mi arrendo, non te la raccontò più la favola del Sovrano Kakka’it però mi è sembrato, leggendo questa favola, di capire che solo quando si assapora un certo profumo “primordiale” si può percepire la presenza degli angeli. Insomma, solo quando tocchi….. “il basso”…., solo quando puoi camminare come dici tu ma al contrario, in puzzolenti itinerari, sepolcri di vasi imbrattanti, puoi percorrere i sentieri del sogno, della fantasia, della poesia, della musica, del gioco sempre nuovo e sempre diverso, che portano ad incontrare la bellezza ed ascoltare la musica degli angeli ?
Mercuzio: Ti capisco e ti “compatisco”ma non vorrei chiudere questo “dialogo immaginifico” con un pistolotto finale .Ti voglio solo riferire ciò che si discute qui tra i “saggi”.Si parla di un umano operante in terra bresciana che cerca disperatamente tra voi di parlare di “morte e terra”….scrive nel suo ultimo libro “L’attesa della terra che salva continua anche dopo la morte ( e che cosa appare in questo dell’attesa?,sonno ,sogni.Incubi?), oppure con la morte ha compimento anche l’attesa?”Come vedi si cerca di usare lo sguardo oltre ogni confine della mortalità della terra parlando di eternità,gioia, gloria…oltre la metafisica e la teologia…..ma voglio ricordarti che tra di noi si parla molto di un certo “poeto della paesologia” che non si preoccupa di andare “oltre l’umano” ma “nel profondo dell’umano” in una sorta di privilegiato tempo e spazio immobile preservato dalle follie della “modernità” e scrive : “Bisogna apprendere l’arte di farlo passare il tempo, lasciare che attraversi i giorni e il proprio corpo. C’è tanto lavoro per un artigiano temporale”.Anche per te si pone il problema di “un artigiano temporale” che ama lavorare con il linguaggio della gioia e dell’allegria per non “….. solo vagare lungo l’orlo del proprio confine che, dopo ogni tramonto, si raffina e diventa confino” come ben scrive il tuo poeta irpino che tu ben conosci ….ma di tutto ciò in un’altra puntata ..........
Nanos: …..e va beh! …. ti fai sempre più misterioso……ancora non mi spieghi come si fa a percepire la presenza degli angeli ……io sono sempre stato un artigiano: elettromeccanico, patafisico, dello spazio temporale e con i tuoni e i lampi della mia moto del tempo riparto, ……..prrrmmm , prmmmm, a dopo……a prima, ma?……. sgarrup….sgarrupp…..sssssssss………..

domenica 6 gennaio 2013

Elisir d'amore per ......il primo dell'anno....

Franca Mancinelli. In ascolto
Racconto di Capodanno

01 Gennaio 2013

a Vito

Non so come faccia ogni anno a sopravvivere a questo giorno. È un giorno di guerra. Una guerra in cui nessuno sa contro chi combatte e si affronta disperato. Esce alla cieca e poi, non trovando il nemico, finisce per volgersi contro se stesso, affannosamente, e cadere sconfitto. Bisogna restarsene rintanati nell’angolo più sicuro della casa, tra le proprie cose, con una distrazione qualunque. Come guardare la televisione; ma neanche quello si può perché in tutti i canali sono lì, riuniti nel clamore, pronti al conto alla rovescia, al brindisi finale. Magari fosse una fine davvero, ma è ricominciata sempre. Non so come. Potrei mettermi a scappare all’improvviso, alla cieca, come un cane spaventato dagli spari, prendere una strada qualsiasi e correre correre per le vie fino a raggiungere la periferia, oltrepassare la circonvallazione, fermandomi soltanto di fronte all’umido freddo che sale dalla terra: il fiato ansante, le mani appoggiate sulle ginocchia, il corpo ripiegato come una sigaretta. Resterei a guardare il fumo uscire dalla bocca, aspettando che mi consumi, che mi spenga la notte. È così limpido il cielo di dicembre da essere spietato. Bisogna offrire alla sua divinità almeno il viso per ricevere in cambio il bruciore di quelle sottilissime punture di stelle.
Soltanto i cani e i gatti mi sono vicini in questa notte. E come loro vorrei essere chiuso bene bene tra le pareti, e accarezzato per non ululare di terrore, per non fuggire dall’unica imposta lasciata aperta. Ma qui non c’è nessuno che possa accarezzarmi. Non c’è più da quando Milena se ne è andata. Ho deciso di non tenere nessuna foto di lei. Sarebbe troppo vederla sorridere sui muri, guardarmi da un comò con il viso leggermente inclinato, come se seguisse i miei passi avanti e indietro nella stanza. Se avessi ceduto alla tentazione di conservare la sua immagine questa casa dove abbiamo vissuto insieme per cinque anni, dopo l’Università, sarebbe diventata il suo santuario. E io mi sarei lasciato seppellire vivo accanto a lei, qui, sul sofà, in questa stanza dove ora staremmo a parlare senza emettere alcun suono, guardandoci negli occhi, sfiorandoci appena nei gesti che ci portano ora da una parte ora dall’altra, sempre di nuovo incontro, come due pesci in una piccola vasca rotonda. Quel giorno in cui l’ho guardata per ore, fin quasi a non vederla più, prima che la fiamma ossidrica la sigillasse, appena tornato a casa, con la forza della disperazione ho raccolto tutti i suoi oggetti, i libri, i vestiti, le scarpe, i trucchi, nei grandi sacchetti neri per quel lutto intollerabile, infinito, e ho buttato tutto nel bidone alla fine della via. Non c’è più niente di lei, nessuna immagine, niente che ne conservi il ricordo oltre a queste stanze, a questo spazio diviso da pareti che non ho potuto demolire perché sono ancora in affitto. I mobili li ho disposti in un altro modo e, quelli che non ho potuto spostare o buttare, come la lavatrice e la televisione, perché non posso permettermi degli elettrodomestici nuovi, li ho ricoperti con un telo che alzo in parte solo quando li uso, come in un piccolo teatrino di casa. Così sembro sempre arrivato da poco o sul punto di traslocare. E invece non me ne andrò mai da qui. E poi così i mobili non prendono la polvere, mi dico. Non ho tempo per fare le pulizie; mi limito a spalancare ogni tanto tutte le finestre, perché cambi l’aria ed entri luce. La luce disinfetta e guarisce, dicono. E poi da solo non sporco tanto. Mangio a volte anche in piedi, qualcosa che mi compro nel forno sotto casa. E d’altronde oltre a me non entra più nessuno. La signora del condominio e il postino non vanno oltre la soglia, non potrei permettere a nessuno di calpestare questo pavimento, queste piastrelle rosate che ha sorretto e tenuto insieme Milena, che ha pulito ogni fine settimana, inginocchiandosi ogni tanto, per sfregare le piccole incrostazioni. A volte mi fermo ad accarezzare le pareti. Lisce e chiare come la sua pelle. Non mi resta altro di lei, solo questo spazio che posso ancora abitare e dove lei, liberata da cornici, e dalla ristrettezza degli oggetti, è dappertutto.
Sono stato fortunato, la via in cui abbiamo preso casa è tranquilla. E di fianco all’appartamento non c’è nessuno, né a destra, né a sinistra. C’è soltanto lui, di sopra, in una piccola mansarda. Si sveglia alla mia stessa ora ma rincasa dal lavoro più tardi. Lo sento allora che cammina, da questa parte della casa. Va verso la cucina che deve essere sopra la mia camera da letto. Allora io mi ritiro nella sala. Ho spostato i mobili quando ho capito la collocazione delle sue stanze. Eppure anche da qui, con le porte chiuse e la libreria che mi isola dai rumori non posso fare a meno di sentire degli improvvisi scrosci sul soffitto, come rovesci di pioggia che mi manda lui, il mio piccolo e sconosciuto dio che determina la mia pace e la mia inquietudine, che mi dona la grazia del silenzio e poi, ad un tratto, quelle imprevedibili scariche di proiettili e di spilli che si infilzano proprio qui, sullo stomaco. Stasera fortunatamente è uscito già dal tardo pomeriggio e credo che non ritornerà. È andato nella guerra che stanno combattendo di fuori, tra forzati sorrisi e incivili cene vomitate agli angoli della strada. È andato in un posto dove sarà costretto a divertirsi o a riconoscere di avere speso soldi inutilmente. Da quando si è trasferito l’ho intravisto solo una volta, pochi secondi, nel pianerottolo mentre entrava in casa, ma credo di sapere di lui molto di più del suo migliore amico o di quella ragazza che ogni tanto mi costringe a vegliare la notte, nel silenzio violato, fino a che torna la pace. Lui è l’antenna che collega al mondo questo mio schermo frusciante, perennemente grigio. È forse l’unico peso che mi tiene a terra. Quando non c’è, il silenzio è spesso così fondo che oltrepassa la soglia dell’udito: allora arrivano fischi sottilissimi come quelli che credo sentano i cani. Il mio orecchio è così allenato che è diventato quello di un animale notturno. Il mio orecchio è sfondato dall’amore per Milena. Arrivo a sentire il suo respiro, in certi istanti in cui sta aspettando le parole da dirmi. Ma non posso starle così vicino a lungo, possiamo concederci solo brevi momenti, e lei lo sa, altrimenti la raggiungerei subito, ma lei non vuole. Vuole che resti ancora altri anni qui, ad ascoltarla da una distanza, a custodire questa casa come fosse il suo corpo. Allora quando il silenzio inizia ad aprirsi, la ascolto alcuni momenti e poi accendo il televisore sul canale grigio e mi metto a leggere un libro.
La guerra sembra si stia avvicinando. Deve essere per l’ora. La mezzanotte che aspettano. Hanno tutti così paura che non vogliono prendere sonno. Hanno ragione. È un giorno terribile. Il compleanno di tutti. Bisognerebbe accucciarsi sulla terra, a un lato della strada, come investiti.

Franca Mancinelli


venerdì 4 gennaio 2013

....le parole sono lì pronte ,sempre giovani ,leggere, mobili e ruffiane,pronte a farsi violentare o violare con dolcezza...parsimonia ma anche ......ingabbiare in opinioni mutevoli o pensieri conclusi per dare sicurezza agli uomini impauriti del chaos,molteplice....provvisorio..... io.....dopo averci girato a lungo intorno,giocato con passione ho cercato inutilmente ... di sedurle per possederle definitivamente temendo di andare oltre (metà) per una verità metafisica... .....una utopia liberatoria ma autoritaria,aristocratica e .....dogmatica ora sto cercando fatcosamente di penetraci e viaggiarci dentro fin in fondo nelle sue pieghe, nei secreta ...anche nelle crepe non per scoprire 'in interiore....Veritas' ma per sentirla..... percepirla la verità provviosria e istantanea....nell'istante in cui sembra nella grazia o nel dolore apparire nella sua concretezza e poi vederla tranquillamente ....scomparire inesorabilmente .....prima di poterla verificare nei laboratori freddi della ragione della scienza o mitizzare nella ragione del sacro......la sua immagine...mi resta impressa nella retine che porta alla ragione percettiva o poetica..... scanasando gli "insipidi e mentali itinerari del turismo filosofico" o i "sepolcri imbiancati " dei monoteismi autoritari.... sul sentiero del sogno,della fantasia, della poesia,della musica, del gioco sempre nuovo e sempre diverso che non porta da nessuna parte ma che porta......

mercoledì 2 gennaio 2013

Elisir d'amore per .......un amico paesologo

Caro Franco,

ti avevo preso in parola quando scrivevi….“La paesologia è l’illusione di trovare anime mute, anime sconvolte dal clamore di un attimo qualsiasi e non dagli spettacolini del tubo catodico o del pianeta google.”Quanto lavoro ancora bisogna fare soprattutto sulle nostre coscienze vittime e carnefici di una libertà in “una società di oppressi.La libertà positiva positiva per me è la libertà come autonomia e accettazione disinteressata dell’ Altro …..pimaditutto libertà “di”e “per”più difficile della praticata o reclamata libertà “da” .Anche da tutte le nuove e vecchie situazioni di sudditanza che tu così efficacemente descrivi nei tuoi libri .Io avvertivo da tempo le tue stesse preoccupate sensazioni riguardo il degrado o l’uso degradato che si fa delle parole. Anch’io ho dichiarato guerra all’ipocrisia del non detto anche a rischio di scegliere per me il classico campo di battaglia che meglio conosco:la mia esposta ,debole , turbata e esacerbata anima. Tu hai scelto un campo più vasto,ricco ma anche più insidioso.Ed io sempre invidiato la tua forza,tenacia e coerente determinazione. Io mentalmente avevo limitato il senso ermeneuitico della tua analisi a ciò che dinamicamente si sviluppava nel nostro Blog e nella intera esperienza della Comunità provvisoria ( o almeno in quello che ognuno di noi pensava di essa) .Nella precedente esperienza avevo notato spesso individualismi ostentati o reperssi….”guerre di parole”, la “pratica della maldicenza” ad uso interno ed autoreferenziale e del “vittimismo e lamenti “su bersagli prossimi senza fini degni di essere comunque vissuti . Ecco allora …. Che mi sono sono convinto o fatto convincere dalle tue indicazioni o percezioni intuitive che bisognava darsi obiettivi limitati ma definiti … per creare comunità stabili,formalizzate e definite ….Mi piaceva pensare con te che “La paesologia è in guerra con le parole, è in guerra con le astrazioni.” Concentriamoci sulla tua diagnosi…”Io so che la parola ormai è come infiammata, non è più il distillato verbale della carne, non è la meraviglia con cui possiamo dire il mondo, ma un’affezione, una sorta di tubercolosi elettronica che ci fa tossire nell’aria verbi inutili e aggettivi che non spiegano niente. È una malattia che cresce consumandosi, più parliamo e più la nostra mente diventa un luogo intossicato”. Ma noi che sentiamo o percepiamo – come tu senbri ultimamente preferire- l’urgenza liquida del pensiero ad un richiamo solido di una realtà ‘effettuale’ abbiamo sempre il dovere di soppesare e chiarire bene prima di tutto a noi stesso la necessità di una ‘terapia’ e il suo senso non solo nel nostro cuore ma anche nel nostro territorio o terra e con i nostri uomini con le loro storie non sempre libere ed encomiabili. Perchè a noi sembrava non bastasse “il mondo universale ”(“astrazione”) perché sentivamo l’urgenza e la presenza materica e amorevole “una terra” non solo come esercizio di pensiero, di astrazione ,di utopia ma come sfondo di azione e di vita che chiamavamo “Comunità provvisoria” con diritto di interpretazione,sogno e di definizione. Partendo ognuno dal “piccolo paese “ che si cresceva dentro o intorno…..Paesi insomma “che sono rattrappiti o quelli che crescendosi si sono perduti” e “ forme di esistenza in cui qualcuno sappia dare un filo di beatitudine al proprio fallimento”.Nel mio caso con il dubbio,il sopetto e un avvertimento che ci viene dalla favola filosofica della Volpe e del Riccio….La volpe rappresenta quelli che perseguono molti fini spesso disgiunti e contraddittori…è comunque pluralista e libera.Il Riccio riferisce tutto ad una visione unica e centrale ,onnicomprensiva col rischio del narcisismo,egotismo, fondamentalismo,del fanatismo ( temo ed evito sempre gli “ismi”)e della chiusura. La volpe sa molte cose ma il Riccio ne sa una grande! Monismo o pluralismo …..questo è il problema. Il monismo crea problemi che il pluralismo comunque cerca di evitare……E’ meglio seguire le volpi …sapendo che mentono bene e diffidare e sospettare del Riccio anche quando si veste di democrazia e di tolleranza.Ma in fin dei conti mi sono sempre salvato con il pensiero che il problema non ci riguardava ……..noi siamo “Lupi” e abbiamo ben altre e profonde qualità consapevoli di tutti i difetti che tu ben descrivi ed affronti nei tuoi scritti anche come avvertimento per la nostra vita personale e pubblica.I tuoi scritti non sono solo un dovere verso te stesso e “puro distillato di carne” ma un obbligo affettuoso , amichevole e politico verso di noi.. Tutto questo preambolo per dire che ultimamente mi sento perso e smarrito più del solito…ed ho cominciato a sentire sottili e impercettibili “segni” di disamore e diffidenza verso le mie proiezioni costruttivisti che mi imponevo come metodo per le mie esperienze paesologiche in Irpinia.Ho cominciato a percepire distanza, dissapori e ostilità ( meglio percezione di essere di fastidio ed inciampo) nei nostri incontri Comunitari provvisori. Anche le mie complesse ,articolate, considerazioni le sentivo estranee o devianti rispetto alle nuove sensibilità che circolavano nel nostro blog….i commenti si diradavano non solo per la complessa sintassi dei miei scritti…percepivo che c’era altro e non mi sentivo a mio agio.Alcuni riscontri tecnici di cancellazione o cestinazione sicuramente involontari toccavano e alimentavano sempre più gli aspetti monomaniaci del mio spirito irpino….e alla fine …il silenzio e la mortificazione delle parole scritte mi sono sembrate la scelta più appropriata e conseguente per me.Niente di tragico …in fin dei conti siamo italiani e da noi “ il tragico” è sempre stato soppiantato dal “farsesco” che è preferibile al “ridicolo”.Leggo sempre volentieri quello scrivi e sempre più mi convingo della genialità delle tue percezioni cognitive e che comunque che la difficoltà di una loro pratica operativa e concrete dipende solo dalle limitate o deviate capacità ermeneutiche di noi tutti che avevamo aspettative libere, gregarie o cortigiane. Sappi comunque che quando sono in Irpinia farò l’impossibile per seguire i tuoi incontri e soprattutto leggerò meglio e in modo più approfondito i tuoi scritti….

Con immutata amicizia…….

mauro orlando