giovedì 31 maggio 2012

Elisir d'amore per ........l'elaborazione della perdita.

“…..il terremoto è uno spettacolo, perfetto per la pista facile delle polemiche, per dare la parola agli esperti, per mischiare scienza e paure spicciole e poi dire degli aiuti e dei provvedimenti del governo…..” F. Arminio
di mauro orlando
Per evitare di metterci nel circuito mediale “pista facile delle polemiche…..” cosa possiamo raccontare agli uomini ,alle donne e ai bambini dell’Emilia della nostra esperienza scarnificata dei terremoti in Irpinia, se non la nostra storica “elaborazione delle perdite” nella carne ,nel cuore e nella mente? La perdita è un problema esclusivo e doloroso dell’ “io incarnato” quindi non una semplice perdita di una persona ,di una casa ,di una terra ma perdita di senso della propria vita mentale e sociale. Dopo l’esperienza di un fatto luttuoso come un “terremoto del passato che non passa” ci resta l’aggravante di vivere consapevolmente in un mondo contemporaneo insensato con difficoltà di rassegnarsi alla sua ineluttabilità o adattarsi alla sua incongruenza economicistica . Legato poi alla possibilità della malinconia e della nostalgia con le sue code sofferenti di sofferenze e dolori per le varie emigrazioni e migrazioni che si sono diffuse sul territorio nazionale e mondiale. La nostra terra , bella terra d’Irpinia, ferita nella carne e negli affetti di chi continua a viverla “con le unghie conficcate nella terra e nell’anima” (F. Arminio) e chi la coltiva nel cuore e nella ragione al Nord d’Italia tra i vari benesseri di ‘produttori fragili e arricchiti ’ nelle paure che non sanno più promuovere aggregazioni o solidarietà ma solo tristi lacerazioni e discriminazioni. Qui nella cosidetta “padania” affluente e ricca si vive un insidioso ‘vuoto’ trasformato in una sorta di ‘buco nero in cui precipitano le inculture di massa,le paure , le rivendicazioni impossibili della moltitudine inquieta’ coniugate con le culture del “fare” e del “superficiale corretto”. L’abbandono di un impegno politico o culturale sopratutto come ‘cura di sé’ e ricreazione di “comunità” anche se provvisorie, crea difficoltà non solo psicologica a costruire granchè o tentare di portare “di pianto in ragione”, come scriveva Fortini, quel che ci viene tolto e quel che ci viene offerto. Il “terremoto “ ereditato e che ci portiamo dentro non può essere elaborato come il solito lutto con le celebrazioni di colte ed approfondite ricerche sociologiche e storiche come appagamento di mancanza o come semplice ipostasi intellettuale. L’aggravante ,oggi , è che si vive già in ‘tempi storici ’ con o senza sviluppo economico , senza un senso,e in balia della superficialità, deprivati di potere conoscitivo o etico sul nostro destino e impauriti e diffidenti non solo tra gli altri “nemici” ma smarriti di fronte e con noi stessi. Si patisce e si subisce. Siamo noi ‘merdionali’ della diaspora intellettuale cresciuti nella scelta tra un idealismo crociano o desanctisiano di fronte ad una scelta impropria tra le grandi narrazioni del passato che non ritorna e l’effimero e volgare di un presente che non ha futuro.Continuiamo ad ingannarci con un coltivato senso classico e profondo del ‘tragico’ dove il conflitto non si adegua ma vive di forza propria né per risolversi né per pacificarsi ma per costruirsi un senso e una identità autentica . Da lontano la vicenda umana in universale è componibile e ipostatizzabile ma nella concretezza incarnata tra “la monnezza” di Napoli e “l’abbandono” dell ‘Irpinia può solo risolversi in straordinaria avventura del sogno o del ricordo non in conflitto retorico o agonismo sofistico.Nelle nostre terre ci stanno sottraendo con il nostro mutuo e tacito consenso anche il senso profondo dei miti ma soprattutto dei riti dietro alle non sempre ideali ‘sirene’ di un etnocentrismo ideologico,economicistico ,gregario e straccione. La perdita in una esperienza anche se dolorosa e dolorante come il “terremoto dentro” non è più sentita e condivisa come una presa di responsabilità conoscitiva ,etica e sociale per costruire futuro o ricostruire comunità .Essa rientra nella categoria dell’”evento” del passato da commemorare o del contemporaneo da ‘praticare’ che non può essere elaborata mentalmente come un seguito di errori, debolezze,tradimenti dovuti ad un fatale fisiologico degenerare problematico dell’umano ma con la equivoca e strumentale cultura del “fare” . In alternativa non è più proponibile un percorso eticamente tragico, pieno di errori,responsabilità e cadute ma con un senso una spiegazione per sopravvivere e vivere. Questo viene marchiato in nome del buon senso comune come “spocchia o snobismo intellettuale della Magna Grecia”! Ci sono conseguenze che non puoi mettere in forma logica o psicologica che sono comunque terribili verità. La categoria del “tragico” come possibile filosofia esistenziale e comunitaria in contrapposizione del “drammatico” lacrimoso,superficiale,lamentoso e insopportabile etnocentrismo localistico dell’eterno mezzogiorno antimoderno ,borbonico o sanfedista. A noi meridionali naturalizzati padani ci tocca vivere l’insostenibile distonia dello sviluppo senza progresso della cosidetta “questione settentrionale” e “gli autismi personali e corali” di una intellettualità meridionale condannata all’indecisione fatalmente come ‘l’asino di Buridano” tra una modernità enfatizzata e praticata nelle pieghe o nei sottoscala della “microfisica dei poteri” locali come riscatto e rivincita personale e un arretratezza e non sviluppo come abbandono depressivo e non come possibile sentimento culturale politico fondativo di esperienze comunitarie e esistenziali . Per noi irpini stanziali e nomadi non è più possibile elaborare il lutto del “terremoto incarnato ” che ci portiamo dentro con una reincarnazione dell’”io’ che prevede la resurrezione del Dio unico e creatore del cielo ,degli uomini e della terra. Non abbiamo ‘la via di fuga’ ipostatica nell’eterno o la ineluttabile condanna all’“emigrazione” e alla vita terrena “in una valle di lacrime” di un “etica dei valori” e dei dolori delle mitologie,delle nostalgie e delle tristezze regressive ….senza una possibile etica della ‘responsabilità attiva e consapevole’ come pensiero e pratica della democrazia moderna .E questo è un lusso che non possiamo più permetterci né in arte né in politica! Mauro Orlando

lunedì 28 maggio 2012

Elisir d'amore per...i colori,i sapori, gli odori delle "parole"

“ Uomo ,la mosca ha un volo più veloce del tuo occhio e una vita più breve del tuo dolore”
Anonimo, VII secolo a.C.

 “ Interrogammo i templi di Selinunte, il loro silenzio aveva più peso di tante parole”
J.P. Sartre e S. De Beauvoir
di mauro orlando
In questo spazio mi piace riscontrare un rispetto e una cura delle “parole”.La storia delle parole viene da lontano e dal profondo e scavare dentro di loro e come “cercare una rotta dentro di sé ,della propria storia e della propria terra”Quanti veli ,sedimentazioni,polveri sottili la modernità tecnologica ha accumulato sopra di loro e noi …abbiamo perso tutte le sfumature. E con le sfumature i sentimenti che le accompagnano e le provocano. Noi stiamo sentendo e praticando la “paesologia” scienza arresa ma esigente .” La paesologia è una forma d’attenzione. È uno sguardo lento, dilatato, verso queste creature che per secoli sono rimaste identiche a se stesse e ora sono in fuga dalla loro forma. Non sai cosa sia e cosa contenga. Vedi case, senti parole, silenzi, in ogni modo resti fuori, perché il paese si è arrotolato in un suo sfinimento come tutte le cose che stanno al mondo, ciascuna aliena allo sfinimento altrui” Franco Arminio .Noi in questo spazio ci sforziamo di voler bene alle parole e prendercene cura .E ci sforziamo di coltivare l’occhio del poeta per scoprire “la grande vita custodita gelosamente nei piccoli paesi”. Solo i poeti ,infatti,hanno avuto il coraggio sacerdotale di conservarne la forza (dinamis) visionaria e profetica frequentando “l’unica arte in cui la mediocrità è imperdonabile” ricordando sempre che “in Principio c’era la Parola,ma la Parola è stata tradita” (E. Pound).Ma al di là di questo senso di perdita teologico-metafisica a noi interessa la perdita dei loro colori sentimentali e passionali che nei nostri racconti non riusciamo a vedere e trasmettere normalmente agli altri. Oggi si parla di “colori del buio”con l’occhio folle e profetico del poeta .Buio che il nihilismo filosofico postmoderno e un teologismo eteronomo e precettivo ha scaricato in dosi massicce sulle parole colorate dei sentimenti e delle passioni. Andare al di là e dentro il tempo mobile e imprendibile della cultura e della storia e recuperare il sapore e i colori del tempo immobile dei bambini quando “..si giocava e immaginava , si immaginava e giocava.” Un bambino non sa di poter essere altro, vive in un tempo fermo al presente e al futuro prossimo. E nelle parole ci sono normalità, regole, armonie che nemmeno noti tanto è scontato che ci siano. Oggi ’ l’ecceziome, lo sconvolgimento del consueto che ti mette ansia, ti rizza i nervi, ti sbulina l’animo . La più grande bellezza e l’infinita bruttezza partecipano del mistero. C’è negli antipodi, nel contrasto assurdo, nel diverso in natura come un filo che se lo tiri ti fa sentire vicino a una verità che le cose che le cose di tutti i giorni nemmeno sfiorano. C’è nel lampo e nel tuono una forza che manca alla giornata serena; c’è nella febbre ,nell’incubo notturno, perfino in una sbornia, un indefinibile atto di chiarezza, di certezza improvvisa. Solo quando qualcosa sconvolge,provoca ci dice molto più di quel che siamo abituati a sentire. L’inspiegabile, l’unico, arriva come a scuoterti, svegliarti come da un sonno di ordinarie, concilianti abitudini. L’uomo con le parole fredde della burocrazia e della tecnica televisiva ha livellato tutto, pur di far scorrere il suo sangue a quella precisa velocità, far battere il cuore a quel ritmo sempre uguale a se stesso e così vivere il più a lungo possibile, non importa come, non importa a costo di cosa, pur di vivere disegnando un linea dritta, tra immagini a specchi consueti.

martedì 22 maggio 2012

continua il viaggio paesologico ad Aliano

“Ma, chiuso in una stanza, e in un mondo chiuso, mi è grato riandare con la memoria a quell’altro mondo, serrato nel dolore e negli usi, negato alla Storia e allo Stato, eternamente paziente; a quella mia terra senza conforto e dolcezza, dove il contadino vive, nella miseria e nella lontananza, la sua immobile civiltà, su un suolo arido, nella presenza della morte”.Carlo Levi.



di mauro orlando



Il viaggio di Carlo Levi, politicamente e culturalmente determinante per intere generazioni di democratici e antifascisti meridionali, è l’esperienza profonda,punitiva e mortificante con la terra lucana intellettualmente e moralmente unica ed inimitabile. Il nostro viaggio in un contesto storico e sociale strutturalmente mutato di fatto deve misurarsi con la continuità con la precedente esperienza comunitaria e paesologica a Cairano e dovrà fare tesoro del lusinghiero e ricco incontro e coinvolgimento di persone disponibili a giocare la loro personale vita mentale e concreta nella possibile declinazione di due categorie apparentemente contrastanti ,locale e globale, che tanto ci inquieta e ci disorienta all’interno di una crisi occidentale che non si sta evidenziando solo nel suo aspetto strutturalmente economico. Franco ,particolarmente ispirato e propositivo, stimolato dal suo “demone paesologico”, ha pensato non solo “il luogo” ricco e gravido di storia e sacralità per continuare una possibile nuova esperienza culturale.E assieme alla necessità di ristabilire un rapporto di tipo nuovo con una realtà meridionale sociologicamente e psicologicamente immutata in un contesto di modernizzazione “con sviluppo e senza progresso” e una mondializzazione non solo economica ma soprattutto antropologica siamo obbligati comunque a partire dalla revisione delle nostre grammatiche e canoni culturali di riferimento. La “paesologia” come intuizione sempre da definire e sviluppare (è un “sapere arreso” ma vivo )potrebbe essere uno strumento conoscitivo originale e nuovo da mettere alla prova in una terra “lontana e paziente” ma ricca di fermenti e sedimentazioni culturali di grande valore. Non abbiamo risultati da raggiungere ma accasioni da verificare e tutto dipenderà dall’uso che ne vorremmo fare per il nostro futuro esistenziale e politico e il riscatto dei nostri territori tra le valli, tratturi ,calanchi e colline irpine e lucane. La drammatica e difficile esperienza di Levi potrebbe essere già un ‘canovaccio e un solco’ ,oltre ad essere un esempio di vita civile possibile su cui esercitare una metodologia ,non solo per destrutturare ma per costruire un analisi e verificare una esperienza .Essa non ci costringe intellettualmente ad un semplice riconoscimento di originalità,coerente onestà e profondità intellettuale del già scritto o detto ma per tentare “di riandare con la memoria” in questo mondo ‘altro’ che è la “terracarne” di ieri , di oggi e di domani e riproporre il tentativo di andare oltre con la paesologia per un nuovo sempre possibile inizio.

Una persona che ha intenzione di vivere e pensare un territorio del sud ha la necessità di rivendicare alla base della sua ricerca di funzionalità intellettuale e esistenziale non solo retaggi,esperienze e ricchezze culturali pregresse in modo consolatorio o di orgoglio culturale e identitario. Oggi bisogna rivendicare la categoria della “marginalità” e “fragilità”come capacità e possibilità di autenticità e originalità di stare e vivere contemporaneamente il mondo nel suo piccolo e nel suo grande. Si può vivere non con il vecchio schema della schizofrenia una bella esperienza emotiva e culturale a Cairano o a Aliano e il giorno dopo visitare una importante mostra alla Tate Gallery di Londra e una settimana dopo partecipare ad un convegno a Bombay sulle nuove tecnologie informatiche e il futuro delle economia mondiale. Lo spazio concettuale libero e liquido tra centro-margine-periferia si è aperto incondizionatamente e ci permette di verificare nei fatti e non solo nella volontà le idee ma soprattutto la nostra disponibilità e capacità di attivare volontà e strumenti per condividere “comunitariamente” anche le nostre individuali solitudini, introversioni, umori caldi e freddi, inquietudini e sogni .Non in una sorta di sopravvalutazione con sovrappesi culturali e professionali di sé stessi che ci costringe a costruire muri e barriere intolleranti non solo psicologiche per rifiutare o accettare gli ‘altri’. Sapendo che stare insieme può essere anche una sofferenza ,un esercizio faticoso di ridurre frammentazioni e chiusure e alleggerire pesantezze conoscitive e rigidità dottrinarie .Per iniziare questo nuovo viaggio di prospettiva necessita anche un viaggio nelle nostre storie mentali costruite su un eccesso di sviluppo accumulativi di saperi e un eccesso di ‘criticismo’ sedimentato o ossificato nelle nostre diaspore migratorie. “Siamo emigrati male e spesso ritorniamo peggio”. Ci siamo costruiti intellettualmente e professionalmente con una idea di acculturazione e sapere come possibile strumento per acquisire potere e riscatto su un diffidenza e non fiducia verso gli altri in termini sociali e politico. Cultura e sapere non è acquisire potere ma proprio una possibile possibilità di depotenziamento del potere e del sapere stesso. Con una tale idea di acquisizione di conoscenze,abilità, sapere come strumento di possibili poteri e riscatti anche la categoria economica e sociale di ‘disoccupazione’ nei piccoli e grandi paesi del sud e del nord del mondo può acquisire slancio progressivo e ideativo e riscatto individuale nella propria vita mentale e politica nei luoghi che ci è dato vivere hic et nunc. Dato per acquisito che la politica politicista va dunque sempre sospettata e criticata quando si barrica dietro la sua rigidità e illiberalità costitutiva e istituzionale ma soprattutto quando educa a coltivare pensieri corti e relazioni senza anima .Dobbiamo recuperare il nostro essere, pensare nei nostri piccoli paesi mentali e territoriali e ricostruire e stimolare una “società civile” ….. “serrata nel dolore e negli usi, negato alla Storia e allo Stato, eternamente paziente” ma di nuovo conio e funzione che non segua i canoni e le categorie politologiche classiche e moderne che la mettano necessariamente e unicamente in contrasto con la “società politica” in una sorta di separatezza e superiorità solo concettuale. La differenza tra società civile e società politica è che una obbliga a pensieri lunghi e di prospettiva la seconda educa a pensieri corti e regressivi ingessati e condizionati nelle istituzioni. Noi abbiamo bisogno di mettere in campo con modestia e presunzione “pensieri e relazioni lunghe sapendo però che vivere insieme agli altri e confrontarsi non è mai stato perfetto,idilliaco,edenico.Bisogna diffidare chi ci ripropone “paradisi perduti” e chi ci lusinga con utopie di comunità utopiche e mitiche. Bisogna accettare le complessità e difficoltà nei possibili spazi di amori ,di sogni, di odi,di controversie, di rancori, di rimorsi ,di miserie ,lontananze,immobilità sempre disposti al rischio ma con “gesti eroici”ed autentici anche di intelligenze confuse ,provvisorie o smarrite mai dogmatiche e prescrittive. Massima vitalità anche in possibili massime disperazioni.

Nel solco dolorante e impegnato del viaggio di Carlo Levi con lo spirito provvisorio della nostra “comunità provvisoria” e transumante.

Mauro Orlando