di mauro orlando
Per evitare di metterci nel circuito mediale “pista facile delle polemiche…..” cosa possiamo raccontare agli uomini ,alle donne e ai bambini dell’Emilia della nostra esperienza scarnificata dei terremoti in Irpinia, se non la nostra storica “elaborazione delle perdite” nella carne ,nel cuore e nella mente? La perdita è un problema esclusivo e doloroso dell’ “io incarnato” quindi non una semplice perdita di una persona ,di una casa ,di una terra ma perdita di senso della propria vita mentale e sociale. Dopo l’esperienza di un fatto luttuoso come un “terremoto del passato che non passa” ci resta l’aggravante di vivere consapevolmente in un mondo contemporaneo insensato con difficoltà di rassegnarsi alla sua ineluttabilità o adattarsi alla sua incongruenza economicistica . Legato poi alla possibilità della malinconia e della nostalgia con le sue code sofferenti di sofferenze e dolori per le varie emigrazioni e migrazioni che si sono diffuse sul territorio nazionale e mondiale. La nostra terra , bella terra d’Irpinia, ferita nella carne e negli affetti di chi continua a viverla “con le unghie conficcate nella terra e nell’anima” (F. Arminio) e chi la coltiva nel cuore e nella ragione al Nord d’Italia tra i vari benesseri di ‘produttori fragili e arricchiti ’ nelle paure che non sanno più promuovere aggregazioni o solidarietà ma solo tristi lacerazioni e discriminazioni. Qui nella cosidetta “padania” affluente e ricca si vive un insidioso ‘vuoto’ trasformato in una sorta di ‘buco nero in cui precipitano le inculture di massa,le paure , le rivendicazioni impossibili della moltitudine inquieta’ coniugate con le culture del “fare” e del “superficiale corretto”. L’abbandono di un impegno politico o culturale sopratutto come ‘cura di sé’ e ricreazione di “comunità” anche se provvisorie, crea difficoltà non solo psicologica a costruire granchè o tentare di portare “di pianto in ragione”, come scriveva Fortini, quel che ci viene tolto e quel che ci viene offerto. Il “terremoto “ ereditato e che ci portiamo dentro non può essere elaborato come il solito lutto con le celebrazioni di colte ed approfondite ricerche sociologiche e storiche come appagamento di mancanza o come semplice ipostasi intellettuale. L’aggravante ,oggi , è che si vive già in ‘tempi storici ’ con o senza sviluppo economico , senza un senso,e in balia della superficialità, deprivati di potere conoscitivo o etico sul nostro destino e impauriti e diffidenti non solo tra gli altri “nemici” ma smarriti di fronte e con noi stessi. Si patisce e si subisce. Siamo noi ‘merdionali’ della diaspora intellettuale cresciuti nella scelta tra un idealismo crociano o desanctisiano di fronte ad una scelta impropria tra le grandi narrazioni del passato che non ritorna e l’effimero e volgare di un presente che non ha futuro.Continuiamo ad ingannarci con un coltivato senso classico e profondo del ‘tragico’ dove il conflitto non si adegua ma vive di forza propria né per risolversi né per pacificarsi ma per costruirsi un senso e una identità autentica . Da lontano la vicenda umana in universale è componibile e ipostatizzabile ma nella concretezza incarnata tra “la monnezza” di Napoli e “l’abbandono” dell ‘Irpinia può solo risolversi in straordinaria avventura del sogno o del ricordo non in conflitto retorico o agonismo sofistico.Nelle nostre terre ci stanno sottraendo con il nostro mutuo e tacito consenso anche il senso profondo dei miti ma soprattutto dei riti dietro alle non sempre ideali ‘sirene’ di un etnocentrismo ideologico,economicistico ,gregario e straccione. La perdita in una esperienza anche se dolorosa e dolorante come il “terremoto dentro” non è più sentita e condivisa come una presa di responsabilità conoscitiva ,etica e sociale per costruire futuro o ricostruire comunità .Essa rientra nella categoria dell’”evento” del passato da commemorare o del contemporaneo da ‘praticare’ che non può essere elaborata mentalmente come un seguito di errori, debolezze,tradimenti dovuti ad un fatale fisiologico degenerare problematico dell’umano ma con la equivoca e strumentale cultura del “fare” . In alternativa non è più proponibile un percorso eticamente tragico, pieno di errori,responsabilità e cadute ma con un senso una spiegazione per sopravvivere e vivere. Questo viene marchiato in nome del buon senso comune come “spocchia o snobismo intellettuale della Magna Grecia”! Ci sono conseguenze che non puoi mettere in forma logica o psicologica che sono comunque terribili verità. La categoria del “tragico” come possibile filosofia esistenziale e comunitaria in contrapposizione del “drammatico” lacrimoso,superficiale,lamentoso e insopportabile etnocentrismo localistico dell’eterno mezzogiorno antimoderno ,borbonico o sanfedista. A noi meridionali naturalizzati padani ci tocca vivere l’insostenibile distonia dello sviluppo senza progresso della cosidetta “questione settentrionale” e “gli autismi personali e corali” di una intellettualità meridionale condannata all’indecisione fatalmente come ‘l’asino di Buridano” tra una modernità enfatizzata e praticata nelle pieghe o nei sottoscala della “microfisica dei poteri” locali come riscatto e rivincita personale e un arretratezza e non sviluppo come abbandono depressivo e non come possibile sentimento culturale politico fondativo di esperienze comunitarie e esistenziali . Per noi irpini stanziali e nomadi non è più possibile elaborare il lutto del “terremoto incarnato ” che ci portiamo dentro con una reincarnazione dell’”io’ che prevede la resurrezione del Dio unico e creatore del cielo ,degli uomini e della terra. Non abbiamo ‘la via di fuga’ ipostatica nell’eterno o la ineluttabile condanna all’“emigrazione” e alla vita terrena “in una valle di lacrime” di un “etica dei valori” e dei dolori delle mitologie,delle nostalgie e delle tristezze regressive ….senza una possibile etica della ‘responsabilità attiva e consapevole’ come pensiero e pratica della democrazia moderna .E questo è un lusso che non possiamo più permetterci né in arte né in politica! Mauro Orlando
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