martedì 22 maggio 2012

continua il viaggio paesologico ad Aliano

“Ma, chiuso in una stanza, e in un mondo chiuso, mi è grato riandare con la memoria a quell’altro mondo, serrato nel dolore e negli usi, negato alla Storia e allo Stato, eternamente paziente; a quella mia terra senza conforto e dolcezza, dove il contadino vive, nella miseria e nella lontananza, la sua immobile civiltà, su un suolo arido, nella presenza della morte”.Carlo Levi.



di mauro orlando



Il viaggio di Carlo Levi, politicamente e culturalmente determinante per intere generazioni di democratici e antifascisti meridionali, è l’esperienza profonda,punitiva e mortificante con la terra lucana intellettualmente e moralmente unica ed inimitabile. Il nostro viaggio in un contesto storico e sociale strutturalmente mutato di fatto deve misurarsi con la continuità con la precedente esperienza comunitaria e paesologica a Cairano e dovrà fare tesoro del lusinghiero e ricco incontro e coinvolgimento di persone disponibili a giocare la loro personale vita mentale e concreta nella possibile declinazione di due categorie apparentemente contrastanti ,locale e globale, che tanto ci inquieta e ci disorienta all’interno di una crisi occidentale che non si sta evidenziando solo nel suo aspetto strutturalmente economico. Franco ,particolarmente ispirato e propositivo, stimolato dal suo “demone paesologico”, ha pensato non solo “il luogo” ricco e gravido di storia e sacralità per continuare una possibile nuova esperienza culturale.E assieme alla necessità di ristabilire un rapporto di tipo nuovo con una realtà meridionale sociologicamente e psicologicamente immutata in un contesto di modernizzazione “con sviluppo e senza progresso” e una mondializzazione non solo economica ma soprattutto antropologica siamo obbligati comunque a partire dalla revisione delle nostre grammatiche e canoni culturali di riferimento. La “paesologia” come intuizione sempre da definire e sviluppare (è un “sapere arreso” ma vivo )potrebbe essere uno strumento conoscitivo originale e nuovo da mettere alla prova in una terra “lontana e paziente” ma ricca di fermenti e sedimentazioni culturali di grande valore. Non abbiamo risultati da raggiungere ma accasioni da verificare e tutto dipenderà dall’uso che ne vorremmo fare per il nostro futuro esistenziale e politico e il riscatto dei nostri territori tra le valli, tratturi ,calanchi e colline irpine e lucane. La drammatica e difficile esperienza di Levi potrebbe essere già un ‘canovaccio e un solco’ ,oltre ad essere un esempio di vita civile possibile su cui esercitare una metodologia ,non solo per destrutturare ma per costruire un analisi e verificare una esperienza .Essa non ci costringe intellettualmente ad un semplice riconoscimento di originalità,coerente onestà e profondità intellettuale del già scritto o detto ma per tentare “di riandare con la memoria” in questo mondo ‘altro’ che è la “terracarne” di ieri , di oggi e di domani e riproporre il tentativo di andare oltre con la paesologia per un nuovo sempre possibile inizio.

Una persona che ha intenzione di vivere e pensare un territorio del sud ha la necessità di rivendicare alla base della sua ricerca di funzionalità intellettuale e esistenziale non solo retaggi,esperienze e ricchezze culturali pregresse in modo consolatorio o di orgoglio culturale e identitario. Oggi bisogna rivendicare la categoria della “marginalità” e “fragilità”come capacità e possibilità di autenticità e originalità di stare e vivere contemporaneamente il mondo nel suo piccolo e nel suo grande. Si può vivere non con il vecchio schema della schizofrenia una bella esperienza emotiva e culturale a Cairano o a Aliano e il giorno dopo visitare una importante mostra alla Tate Gallery di Londra e una settimana dopo partecipare ad un convegno a Bombay sulle nuove tecnologie informatiche e il futuro delle economia mondiale. Lo spazio concettuale libero e liquido tra centro-margine-periferia si è aperto incondizionatamente e ci permette di verificare nei fatti e non solo nella volontà le idee ma soprattutto la nostra disponibilità e capacità di attivare volontà e strumenti per condividere “comunitariamente” anche le nostre individuali solitudini, introversioni, umori caldi e freddi, inquietudini e sogni .Non in una sorta di sopravvalutazione con sovrappesi culturali e professionali di sé stessi che ci costringe a costruire muri e barriere intolleranti non solo psicologiche per rifiutare o accettare gli ‘altri’. Sapendo che stare insieme può essere anche una sofferenza ,un esercizio faticoso di ridurre frammentazioni e chiusure e alleggerire pesantezze conoscitive e rigidità dottrinarie .Per iniziare questo nuovo viaggio di prospettiva necessita anche un viaggio nelle nostre storie mentali costruite su un eccesso di sviluppo accumulativi di saperi e un eccesso di ‘criticismo’ sedimentato o ossificato nelle nostre diaspore migratorie. “Siamo emigrati male e spesso ritorniamo peggio”. Ci siamo costruiti intellettualmente e professionalmente con una idea di acculturazione e sapere come possibile strumento per acquisire potere e riscatto su un diffidenza e non fiducia verso gli altri in termini sociali e politico. Cultura e sapere non è acquisire potere ma proprio una possibile possibilità di depotenziamento del potere e del sapere stesso. Con una tale idea di acquisizione di conoscenze,abilità, sapere come strumento di possibili poteri e riscatti anche la categoria economica e sociale di ‘disoccupazione’ nei piccoli e grandi paesi del sud e del nord del mondo può acquisire slancio progressivo e ideativo e riscatto individuale nella propria vita mentale e politica nei luoghi che ci è dato vivere hic et nunc. Dato per acquisito che la politica politicista va dunque sempre sospettata e criticata quando si barrica dietro la sua rigidità e illiberalità costitutiva e istituzionale ma soprattutto quando educa a coltivare pensieri corti e relazioni senza anima .Dobbiamo recuperare il nostro essere, pensare nei nostri piccoli paesi mentali e territoriali e ricostruire e stimolare una “società civile” ….. “serrata nel dolore e negli usi, negato alla Storia e allo Stato, eternamente paziente” ma di nuovo conio e funzione che non segua i canoni e le categorie politologiche classiche e moderne che la mettano necessariamente e unicamente in contrasto con la “società politica” in una sorta di separatezza e superiorità solo concettuale. La differenza tra società civile e società politica è che una obbliga a pensieri lunghi e di prospettiva la seconda educa a pensieri corti e regressivi ingessati e condizionati nelle istituzioni. Noi abbiamo bisogno di mettere in campo con modestia e presunzione “pensieri e relazioni lunghe sapendo però che vivere insieme agli altri e confrontarsi non è mai stato perfetto,idilliaco,edenico.Bisogna diffidare chi ci ripropone “paradisi perduti” e chi ci lusinga con utopie di comunità utopiche e mitiche. Bisogna accettare le complessità e difficoltà nei possibili spazi di amori ,di sogni, di odi,di controversie, di rancori, di rimorsi ,di miserie ,lontananze,immobilità sempre disposti al rischio ma con “gesti eroici”ed autentici anche di intelligenze confuse ,provvisorie o smarrite mai dogmatiche e prescrittive. Massima vitalità anche in possibili massime disperazioni.

Nel solco dolorante e impegnato del viaggio di Carlo Levi con lo spirito provvisorio della nostra “comunità provvisoria” e transumante.

Mauro Orlando




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