domenica 24 dicembre 2017


Ho sempre pensato alle festività del Natale con la pascaliana “duttilità di pensiero che si adatta nello stesso tempo alle diverse parti amabili di ciò che ama” che “va fino al cuore”.
 Dove il “coeur” ha già trovato il suo spazio ridimensionando la “raison”. 
Con questo spirito faccio gli auguri a tutti, credenti ,diversamente credenti e non credenti, con le parole di R. M. Rilke alla madre per il Natale :
 “Assapora con cuore aperto, la grande solennità e lascia che le sue mani soavi ti sollevino il cuore da ogni cura. Chi ha fiducia è forte e quest’ora silente di Natale è una di quelle che possono dare forza, perché è carica di prodigio e carica di mistero. E si deve essere soltanto abbastanza silenziosi e soli e pazienti per accogliere in sé la grazia di una tale ora, che in molti non penetra perché in loro c’è tanto rumore e niente ordine” Buone feste 
mauro orlando

martedì 19 dicembre 2017


i giorni passano. tra i partiti e gli italiani c'è un baratro sempre più grande. difficile fare altro che occuparsi delle candidature. la buona politica non s'improvvisa e non si può fare senza la fiducia dei cittadini. noi in calabria abbiamo fatto questa cosa qui Un Osservatorio del Sud Documento finale approvato dall’Assemblea di intellettuali, operatori e uomini di cultura sul Sud oggi e sulle sue prospettive [1^ bozza - Lamezia Terme del 2 dicembre 2017] 1. Da troppo tempo il Mezzogiorno reale è senza voce e rappresentazione. Sulla stampa e nel discorso pubblico dominano narrazioni superficiali, stereotipate, sommarie, manipolate e più di recente addirittura “neoborboniche”. Nell’opinione pubblica prevale un’idea di Sud economicamente e civilmente arretrato, impermeabile alla contemporaneità capitalistica, pervaso da particolarismo, inefficienze, corruzione, criminalità. Il Sud come un’”altra” Italia, con meccanismi di regolazione politico-sociale dissonanti rispetto a quelli dominanti, come l’area che deprime le potenzialità di sviluppo e innovazione dell’intero paese. La “costruzione” caricaturale di un Sud altero e inguaribile offre un duplice alibi alle classi dirigenti del Nord: da un alto, attribuire interamente al Mezzogiorno la responsabilità degli affanni del Paese, che senza il Sud sarebbe più ricca e crescerebbe più velocemente, e, dall’altro, invocare sistematici tagli ai trasferimenti pubblici, correnti e in conto capitale, verso le regioni meridionali considerate congenitamente incapaci di farne un buon uso. 2. Le analisi basate su fatti, dati e osservazioni scientifiche mostrano tuttavia che i problemi e i bisogni del Mezzogiorno reale non siano dissimili da quelli del resto del Paese (deindustrializzazione, denatalità, disoccupazione giovanile, imprese sottodimensionate e familistiche, povertà e vulnerabilità sociale crescenti, bassa capacità burocratica, dissesto idrogeologico, evasione fiscale), anche se al Sud si presentano con maggiore intensità, diffusione e persistenza. Le indagini più accurate evidenziano pure che tra Mezzogiorno e Centro-Nord esistono dense complementarietà socio-economiche e ampie sfere di integrazione funzionale, che tendono a configurare una nazione ben più integrata di come viene rappresentata correntemente. Gli studiosi più avvertiti inoltre hanno dimostrato che l’accentuazione recente delle difficoltà del Sud è in larga parte il frutto di politiche economiche sbagliate, come quelle di austerità basate su drastici tagli di spesa pubblica, in particolare sanità, scuola e università, che hanno colpito in modo particolare l’area più debole del Paese, e della forte caduta degli investimenti pubblici nel Mezzogiorno lungo l’intero decennio della grande crisi post-2007, che non solo ha inibito l’aumento del capitale pubblico meridionale ma non ha neppure consentito di compensare la sua obsolescenza. 3. Il Mezzogiorno non è un blocco di indistinta miseria, familismo, sottosviluppo, mafia. Da decenni è caratterizzato da una moderna stratificazione sociale, anche se in un quadro di persistente deficit di borghesia produttiva. Il Sud soffre innanzitutto per la ristrettezza storica della sua base produttiva, in particolare manifatturiera, che determina allo stesso tempo asfissia dei processi di sviluppo endogeni, disoccupazione strutturale e dipendenza dall’esterno. Ma il Sud soffre con pari intensità di una modesta dotazione di servizi pubblici di qualità, vale a dire di ciò che lo Stato dovrebbe garantire con criteri omogenei e paritari. Tutto nel Mezzogiorno, per risorse e per standard, è di qualità inferiore rispetto al resto del Paese: la sanità, la scuola, gli asili nido, l’università, i trasporti, l’assistenza agli anziani, i servizi idrici. Il Sud mostra come le politiche neoliberistiche creano non solo disuguaglianze economiche tra le classi, ma anche tra i territori, nella qualità del welfare locale, nei diritti di cittadinanza fondamentali. 4. Il Sud non è solo arretratezza economica e civile, immobilismo e declino. Nei suoi territori sono attivi imprenditori dinamici, imprese ad alta tecnologia, università, scuole, istituti di ricerca, centri culturali e artistici di prim’ordine, presìdi ospedalieri e istituti di cura qualificati, una gioventù studiosa che aspira a essere valorizzata e a operare utilmente per il proprio Paese. Si tratta spesso però di “eccellenze” isolate, di punti vitali che riescono ad affermarsi nonostante le esternalità negative ma che non hanno la forza di contaminare e trasformare il contesto. Al Mezzogiorno odierno non servono dunque gli “interventi straordinari” del passato, perché non è più una società “straordinaria”, e neppure cieca fiducia nei meccanismi di mercato, perché il liberismo ha accentuato le disuguaglianze e le debolezze anziché attenuarle e risolverle. Al Mezzogiorno servono le stesse politiche e gli stessi interventi che servono all’Italia. 5. Il Sud ha bisogno di una strategia e di progetto politico e sociale, nazionale e locale, che valorizzi i soggetti all’interno dei singoli luoghi, con investimenti pubblici non assistenziali; ha bisogno di politiche per legare e federare le esperienze eccellenti, per dare massa critica agli innovatori, per incoraggiare la valorizzazione delle risorse locali e contrastare gli adattamenti regressivi, per interconnettere imprese, persone e comunità del Sud con imprese, persone e comunità di altri luoghi italiani e non. 6. Il Sud, in virtù del clima, della biodiversità agricola, della ricchezza impareggiabile della tradizione alimentare, può rilanciare le sue economie valorizzando il proprio territorio, le sue culture, le sue comunità e il proprio paesaggio in maniera originale. Nel Sud ci sono occasioni formidabili di lavoro per le sue popolazioni nei campi della rigenerazione urbana, della cura e manutenzione del territorio, dei servizi avanzati della ricerca applicata, dell’arte, del turismo, della manifattura artigianale e industriale dei suoi beni agricoli e non solo, un potenziale di risorse enorme che può essere valorizzato a vantaggio dell’intero Paese. Senza trascurare che migliorare la sua attrattività civile ed estetica richiama economie, lavori e investimenti utili per il Mezzogiorno e per l’Italia, alimenta aspettative positive. 7. Il Sud non ha bisogno di un nuovo partito ma piuttosto di partiti profondamente rinnovati nei contenuti programmatici e nelle forme di funzionamento, nella cultura politica e nella capacità di radicamento nei contesti territoriali, del Sud e del Nord. Il Sud ha piuttosto bisogno di una nuova visione e di un nuovo linguaggio. Ha bisogno di un radicale ripensamento della crescita economica fine a sé stessa, della concorrenza come gara distruttrice nel lavoro e nella produzione, rammendando che lo sviluppo economico deve oggi tener conto dei limiti ambientali del pianeta. È tempo di dare spazio a nuove parole, che guardino alla qualità dei beni e della vita: ai termini benessere e felicità collettiva, all’economia dei luoghi e della conoscenza, alla cooperazione, alla condivisione, al tempo liberato, alla creatività, alla cura del territorio e della natura come beni comuni e nostra casa. Siamo immersi in società opulente e che solo l’abissale iniquità con cui è distribuita la ricchezza ci costringe a vivere come se fossimo agli esordi della prima rivoluzione industriale. 8. Il primo compito degli intellettuali è contribuire alla costruzione di un’immagine non stereotipata della società e delle condizioni di vita nel Sud d’oggi; raccontare e analizzare ciò che si muove e cambia e ciò che frena il cambiamento; i percettori di rendite che alimentano intenzionalmente l’immobilismo e i ceti che innovano produzioni, servizi, istituzioni; chi beneficia dell’arretratezza e chi la combatte; il Mezzogiorno buono da quello cattivo. Compito degli intellettuali è anche quello di proporre scenari e indicazioni di prospettiva sostenibili per il Sud, rispondenti ai bisogni reali delle comunità locali, favorendo la loro diffusione nella vita pubblica in modo da influenzare e condizionare positivamente i decisori politici e non. Oggi che i partiti non sono più “intellettuali collettivi” in grado di produrre progettualità sociale e visione di lunga lena, è più che mai urgente attrezzare “forze terze” in grado di farsi ascoltare, di incidere nel dibattito pubblico e nelle dinamiche politiche, di influenzare le scelte di governo. 9. Per iniziare questo nuovo e lungo cammino, l’Assemblea avanza l’idea di dare vita ad un Osservatorio del Sud, uno strumento “leggero” ma stabile, rivolto a rappresentare, in termini analitici e culturali, le ragioni del Sud, ma senza mai perdere di vista quelle dell’intero Paese. In particolare, si propone la costituzione di un Osservatorio sotto la forma di un sito on line finalizzato a sollecitare e raccogliere contributi di analisi e di proposte sul Sud d’oggi, nonché a segnalare eventi, opportunità, iniziative, lotte, esperienze e pratiche politiche e culturali innovative che si realizzano nelle regioni meridionali. L’Osservatorio dovrebbe aspirare a rompere il lungo silenzio sul Sud da parte di forze politiche e sociali dando “voce” a chi studia e analizza con rigore i problemi del Mezzogiorno; ai gruppi che al suo interno combattano battaglie quotidiane per affermare diritti civili negati, per contrastare criminalità, clientelismo, rendite e status quo; a chi pratica e alimenta innovazione sociale e istituzionale; a chi si dedica con gratuità alla cura delle persone e della natura; a chi non ha perduto il gusto della denuncia informata di disuguaglianze inaccettabili, sprechi, brutture, soprusi, inefficienze pubbliche e private; a chi continua a credere nell’azione collettiva e nel conflitto come fattori determinanti del cambiamento e della trasformazione degli assetti sociali dominanti; a chi non ha perduto la speranza che un mondo migliore sia possibile e perseguibile.

lunedì 4 dicembre 2017


vivi nell' ombra
della tua regale presenza imponente
 e in silenzio
 spirito dell'universo
 nascosto nei chiari di bosco
nella solitudine di una panchina
a parlare ai vecchi abbandonati
nei piccoli paesi
oltre le inquietudini dei boschi
e delle enormi  e rumorose metropoli
dei nonluoghi refrattari
alla legge morale dentro di noi
 oltre le cime dei monti di giorno col sole
di notte oltre le stelle e la luna ..
 ....fuori di noi...
 vuoi salvare la mia anima...
se ci credi .....prego...
 ma sono io a portarti alla luce
con il mio logos e.... .
a vollte nel mio cuore inquieto
ma ...sia chiaro....
....la storia della mia vita voglio scriverla io

sabato 2 dicembre 2017


Urge ripensare al nostro rapporto col corpo,con la nostra anima,col mondo e con gli altri. Urge capire il peso del pensiero e delle parole che lo raccontano,la sua materialità,la sua estensione e il suo abuso,il suo spazio e la sua frontiera. Si tratta di dislocare ,togliere il luogo e il tempo della tradizione ….la tradizione mura chiude e rinchiude…bisogna dischiuder il gesto inaugurale,entrare nell’inaudito, nell’inattuale, nell’indicibile. Poesia pensante o pensiero poetante.E’il dilemma tragico se si sceglie il rapporto con un proprio “io” che non dispone e non propone un mito di sé stesso o una sovranità non riconosciuta con “l’altro da sé”. Un’anima è estesa in un mondo, in un corpo, in un altro e per di più non ne sa nulla di sé e del suo pensare materiale ….non conosce il peso del suo pensiero. La sua materialità, la sua estensione, il suo spazio…i suoi margini …la sua frontiera.Abbiamo con meraviglia scoperto che non ha bisogno di fondamenta, fini e fine, domini, potenze da realizzare. Togliere il sigillo di sé è dischiudere, aprire a, non aprire verso,in o per nessuna direzione,nessuna intenzionalità,progetto,nessun luogo particolare, nessuna finalità di potere o di servitù. Vivere è un approssimarsi a ,un astrazione di pensiero e di parole…. Verso il suo gesto fondatore per entrare nell’inaudito, nel non detto ancora.Una apertura al mondo nel disincanto non per approdare al “nulla” come “una deambulazione senza mete, abbandonata alla grazia dell’aperto” Un pensiero “ la cui possibilità consiste,prima di tutto,nel mantenersi spoglio di significati dati e di figure già tracciate” La colomba di Blixen disegnata inconsapevolmente in una notte burrascosa e oscura.La necessità di un aprirsi ad un senso proivvisorio e prossimale “spoglio di sensi e significati dati e di figure già tracciate” cartesianamente e hegelianamente nella propria testa inclusa. Lo sguardo si scopre vergine e profondo come di “chi guarda e racconta i suoi sogni (…) senza intenzioni e senza riempimenti di significato, solamente per l’impressione, sa che lascia scivolare tra le dita la povere dell’improbabile e dell’improvabile” (Nancy). Spoliazione, marginalità, impoverimento e svestizione della pelle dell’immagine, il pensiero sottratto, il peso di un pensiero, l’attesa e l’approssimarsi più del suo arrivare nel presente e passare nella memoria. Cifra del nuovo pensare, che si piega all’interrogazione della scrittura,del linguaggio, dell’immagine, del suono e del silenzio, della luce e dell’ombra…….dello spazio e del tempo,della voce e della parola….per “mettere in scena l’esistenza sull’orlo di senso sempre sul punto di nascere, sempre in fuga, a fior di pelle e a fior d’immagine” Chi guarda e racconta i suoi sogni senza intenzione e senza riempimento di significato, solamente per l’impressione, sa che lascia scivolare tra le dita la polvere dell’improbabile e dell’introvabile.”L’amore e il dolore sono talmente singolari da risultare eccezionali ed indicibili….gli atti e le parole che lo comunicano sono sempre inadeguati,impacciati e ridicoli. Il pensiero è la scelta di una esposizione non raffigurabile una “resistenza” ad ogni volontà di rappresentazione o di analisi.Un pensiero con un peso “areale” per un territorio, un spazio , un tempo per “comunità prive di terreno” uno spazio senza orizzonti e un’alba e tramonto….con un occhio e orecchie “pronte” all’inaudito, all’indicibile da ascoltare e dire.Un pensiero che si riscopre nel suo farsi “poesia”…..come l’atto e un passo concreto da “agrimensore” da “una certa via per coprire un territorio di parole, non con lo scopo di trovare qualcosa, o di piantare qualcosa, o di costruire un edificio, ma semplicemente per misurarlo”…..per accertarne i confini e …i limiti.Un esperienza appartata, in disparte e pubblica in una inaudita condizione di “comunità…provvisorie”. Poesia , esperienza e esistenza come gesto o parole irrimediabilmente singolari. Poesia e vita non come nuovo genere di orizzonti insuperabili e di un viaggio verso la presenza dell’imprevisto e dell’inaudito non solo nel linguaggio ma nella differenza ,nelle storie, dei territori che abitiamo,curiamo e viviamo . Un pensiero che un “poièin”…fare e disfare, un confronto e scontro che è anche ritiro e abbandono, un avvento , un morire, risorgere di un parlare di ciò che non si dice e non si può ascoltare e si fa fatica a capire.Un pensiero che osa esporsi ai suoi margini e ai suoi limiti in un mondo materiale che si sottrae e “ non si mostra che attraverso tocchi, ritocchi, abbozzi, profili sottratti, calchi perduti”. Un pensiero poetante che sappia recuperare la sua capacità di riuscire a pensare per frammenti e in frammenti, che sappia rendere ragione alla complessità, frammentazione, provvisorietà dell’esitenza, della sua sua realtà non unificabile e compatta, ma permeabile e visonaria “ della sua agitazione,della sua inquietudine,, della sua pena e del suo spessore,della sua densità, della sua materia estesa, del suo tempo scosso, disgiunto, della sua indisciplina,del suo farfugliamento, della sua incoscienza viscerale e della sua lucidità non meno avvinghiata al corpo”. L’unico senso per stare dentro allo sconnesso, il franato, il terremotato, tra le spoglie morte di una archeologia dell’arreso e dell’abbandonato di cui ci parla con dolorante fervore e compassione Franco Arminio. Scrittura e poetica arresa che in questa lettera impossibile scrittagli dal suo paese di nascita gli scrive: “caro Franco ….Volevo ringraziarti del tuo scrivere continuamente di me. Lascia stare per un poco però la polvere dell’attualità. Scendi, affonda, vai nelle cantine dei secoli. Vieni a trovarmi nelle vene della terra, ferro e ruggine, lingue morte di serpenti e fiati e bocche di chi parlò vanamente. Vieni a vedere l’ossario che c’è sotto ogni paese, scava, lasciati amare, lasciati trascurare, lasciati ingannare, lascia la colla dei minuti, tu sei nato per soffiare come il vento, sei nato per andare via ogni giorno, vai ti prego, lascia stare queste ombre col muso sporco, questi cancelli, questi cuori a imbuto. Lascia le parole che ogni tanto dici per essere come gli altri miei figli. Io sono il tuo paese e il loro. Io sono il paese di Pinuccio e Peppino, il paese degli scapoli, dei vicoli dove passa solo il vento.Sorridi ogni tanto a quelli che incontri, sfiorali con gentilezza e poi sparisci, tu non sei un uomo nato qui. Tua madre se n’è accorta subito, per questo ti trattiene, lei sente che non sei suo e tu ti ostini a pensare che non sei di nessuno. Continui a dare più attenzione alle ingiurie che agli affetti. Stai qui non per vivere ma per tenere in vita la tua paura della vita. Te la prendi con me e con il tuo corpo, pensi che siamo la tua prigione e non la finisci mai di lagnarti, non ti basta mai niente. Dillo che non sei dentro di te, dillo a tutti che quello che hai scritto è ancora solo un piccolo esercizio e che ti stai preparando per squarciare il petto a quel vecchio ragno che si chiama Dio. Non chiuderti dentro l’armadio del tuo mal di stomaco, del tuo mangiare per spiare il male, per affondare le farfalle che ti prendono la testa e la fanno volare”. Mauro Orlando

mercoledì 22 novembre 2017


eventi...non forme 

 le storie individuali....non solo la Storia universale....seguono un andamento nè lineare nè ciclico e circolare...seguono un tempo e uno spazio imprevedibile e provvisorio.Le nostre storie personali e comuni sono segnate da svolte e cambiamenti repentini e non prevedibili e programmabili nè teologicamente...nè filosoficamente...nè scientificamente.Noi viviamo nel dilemma esistenziale "forma-evento"...nella necessità mentale di prevedere e definire una "forma" e la concretezza materiale di vivere un " evento".Le nostre storie individuali e comunitarie nei paesi e nelle città sono comunque condizionate da svolte repentine...cambiamenti non programmabili...pieghe imponderabili...vie tortuose e complesse da quando la storia stessa della modernità si è smascherata del suo ottimismo di " magnificenza e progressività" e ha alimentato nuove paure di apocalissi laiche e monoteistiche con promesse di salvezze eterne e postumane.Oggi non ci resta che affrontare gli " eventi" nella loro variabile e complessa concretezza....unici...diversi...allergici ai domini..aĺle definizioni...alle forme universali e necessari.Un evento è un evento...è ciò che avviene...accade non all'interno di un piano prestabilito...prepensato...predeterminato.E' un accadimento non prevedibile e non programmabile ma vivibile nella sua potenzialità attiva.Importante è vivere un qualsiasi evento della nostra vita....individuale o comunitaria...sapendo che sono gli eventi a scandire la storia e a segnare le storie...a dischiudere le epoche e a far accadere i fatti Importante la consapevolezza e la volontà di stare negli eventi come soggetti storici e finiti come appartenenti riflessivi...consapevoli ed attivi degli stessi eventi.È l' evento che si approria ed approva le azioni dei singoli e non viceversa....L' esperienza paesologica è un " evento" possibile che ha scelto di definirsi in un determinato contesto territoriale e all' interno di un sapere che si riconosce " arreso" rispetto a tutte le " forme" di sapere forte ...aggressivo e finalizzato al riscatto e al potere....un sapere che non ha la pretesa di cambiare definitivamente il mondo ma di vivere il cambiamento nel suo farsi " evento" concreto e vivo e con il pericolo e possibilità di cambiare noi stessi nel cambiamento .Ripartire dalla terra e le sue bellezze è una scelta prioritaria con la convinzione di rivoluzionare lo sguardo e le proprie sensibilita percettive ed emotive individuale rivalutando anche il " munus-dono" della comunità e della comunicazione.La lingua del nostro comunicare è la lingua della "poiesis" che usa le parole profonde ....autentiche e non superficialo della comunicazione moderna... mauro orlando

martedì 21 novembre 2017




Rileggendo l’ultimo libro di Marco Revelli da un punto di vista “paesologico” troviamo sicuramente un riferimento e un percorso intellettuale e politico di un modo di pensare “ sinistra” il modo e il senso di pensare e vivere il territorio.Altro riferimento culturale è la esperienza di Magnaghi e il gruppo sempre più folto di “territorialisti” che hanno riscoperto lo spazio dei racconti dei “microcosmi e dei territori resilienti”.Infine ultimamente un nostro estimatore e compagno nel viaggio paesologico- Aldo Bonomi – si chiedeva e ci chiedeva “se valga la pena di alzare lo sguardo e continuare a cercare per capire oltre l’invito di Candido «Dobbiamo coltivare il nostro orto”….. o ancora se valga la pena continuare nella fatica di Sisifo dello scomporre e ricomporre il farsi della società nel salto d’epoca dell’accelerazione, con lo sguardo delle lunghe derive braudeliane del potere, del mercato, della civiltà materiale”Una sociologia che vuole andare oltre le analisi oggettive dei flussi . riflussi e cambiamenti del tessuto sociale per mutarli antropologicamente e politicamente ,ponendo domande e quesiti più che abbozzare analisi e qualche risposta. Le modalità metodologiche indicano una necessità di ricerca che parte necessariamente “dal basso… dal processo di deposito delle polveri sottili dei flussi nei polmoni delle “vite minuscole”, della vita quotidiana” …dalla categoria conoscitiva del “sommerso” ”. ….”che diventa, nella discontinuità di inizio secolo, sommerso carsico e non più sommerso ascendente. Questo sommerso carsico ha poco a che fare con il “ben scavato vecchia talpa” di marxiana memoria”.”Il sommerso” come “le periferie metropolitane” diventano il “lumpen proletariat” “invisibili ai poteri, alle tasse, ai mercati, così confluendo, come detriti, nel fiume dei tanti precipitati nel sommerso della povertà, della società dello scarto e dei dannati della terra, il cui fiume è diventato il cimitero/Mediterraneo” che nel prossimo futuro tenterà la scalata al cielo …. la presa della Bastiglia….l’occupazione dl Palazzo d’inverno.Nella nostra storia nazionale e nello specifico della “vecchia questione meridionale “ di De Sanctis, Dorso, Gramsci i territori e i paesi degli appennini italiani diventerebbe tout court una questione di dialettica dei contrari tra “periferia-centro”….“sommerso discendente-sommerso ascendente”.Una sorta di “magma carsico” che indicherebbe “lo sfarinamento della società di mezzo”…”intesa sia come crisi del tessuto prepolitico della rappresentanza sociale e lo sfarinamento dei ceti medi cui si aggiunge oggi la forma partito”. Una lettura, se pur nei limiti e nei presupposti della sociologia , che si differenzia di molto dalla intuizione e esperienza esistenziale e politica di una esigenza di “umanesimo degli appennini” da cui parte l’esperienza che Franco Arminio racconta nei suoi libri e vive “nei piccoli paesi dalla grande vita”. Le migrazioni degli anni ’60 sono ferite esperienziali che si evidenziano nella carne abbandonata dei paesi dell’osso … non è solo “Il sommerso ascendente dei tardi anni ’60….che sembra, nel piccolo, un’epopea da far west: contadini che, nella migrazione interna, si fanno operaio massa, operai specializzati che emergono dai sottoscala costruendo capannoni e disegnando con i sindaci aree industriali che si fanno distretto; cooperative di consumo e di lavoro che diventano grandi gruppi della distribuzione o della produzione. La piccola borghesia si fa ceto medio, come ebbe a rilevare Paolo Sylos Labini nella sua analisi”.C’è anche questo ma come sono inapplicabili le analisi culturali e politiche di De sanctis, Dorso, Gramsci nei nostri contesti attuali ….restano terreni di intervento personale o politico che non portano da nessuna parte. La nostra esperienza esistenziale e politica assieme non ha la presunzione di riconoscere le virtù civiche dei “salvati” e i valori morali dei “sommersi” ma partiamo dalla ricerca e riconoscimento della “vita” che per i tanti contraddittori motivi dello sviluppo moderno….si è conservata nei “piccoli paesi” senza la voglia di un “intellettualismo etico o politico” di stimolare e dirigere “ la forza latente e collettiva di rendersi ed essere visibili nel fare società e nel fare economia . Si riparte dalla “vita” che c’è non contaminata e libera senza l’assillo ossessivo di inclusione nel passaggio d’epoca della globalizzazione selettiva.Si riparte dalla “vita” con l’arma della scrittura nella sua funzione non strettamente lettraria ma rivolta alla produzione di una soggettività politica che possa sovvertire l‘ordine attuale…nella grammatica e nella analisi logica. Si tratterebbe di vivere e preparare una comunità politica rivolta al futuro, nel tentativo di un recupero della promessa di felicità insita nel passato. Un movimento dalla chiara matrice di oltrepassare il imoderno senza cancellarlo nella testa e nei fatti . Rivitalizzare “ Il computer e il pero selvatico”. Un frammento programmatico di Franco Arminio dimostra come questa luce di passato sia già pronta e disposta a illuminare il futuro: “Forse un giorno non lontano sarà evidente che l'irrealtà con cui abbiamo svuotato il mondo e noi stessi può essere sconfitta tornando a vivere in luoghi dimessi e appartati, tornando ad accumulare giornate bianche, giornate in cui accade poco, ma quel poco che accade non svanisce nella girandola che c'è adesso. I paesi dell’Irpinia d’oriente , del Molise fra cinquant'anni saranno tra i luoghi più ambiti. E forse anche i tratturi si riempiranno di uomini e di animali. Non so come tutto questo possa avvenire, ma sono sicuro che avverrà. Mi piacerebbe entrare in un paese e vedere gente che si muove a piedi: bambini, vecchi, donne, tutta una ragnatela di passi per catturare e farsi catturare dalle pause, dagli attimi in cui sembra che nulla possa avvenire. I paesi come luogo di riabilitazione degli umani, cliniche in cui si impari il compito fondamentale di passare il tempo, compito che è stato sostituito da una miriade di surrogati. Riparare le statue, riportare alla luce i tratturi, potare gli alberi con cura, salutare con lietezza ogni persona, ecco alcuni gesti che ci possono far bene, possono farci ritrovare un filo di eleganza nella bolgia di cafoneria consumistica in cui siamo caduti “ . mauro orlando

martedì 14 novembre 2017


IL TEMPO....
"Essere eterni è saper vivere l'istante del presente senza nostalgia del passato e speranza del futuro"

Essere eterni è saper vivere l'istante del 



Cristina Regoli ......Vivere l ' istante del presente senza nostalgia del passato e speranza del futuro non ti renderà eterno ma simile ad un robot freddamente programmato e ciò non mi allieta. Preferisco affrontare la vita da umana consapevole che il cammino potrà riservarmi di tutto:dolori delusioni fallimenti ma anche gioie successi amore.. Questo è vivere il pensiero sopra espresso per me indica il contrario .

Mauro Orlando .....la tua lettura ....o la mia scrittura aforistica può essere equivocata ....il presente non è ontologico o metafisico ...vive in prospettiva dinamica e non statica o bloccata nè per una visione lineare nè circolare del tempo....ogni fotogramma del film della nostra vita non è gia girato ...ed è parte di un tutto che non ha bisigno di un.regista nè di attori non protagonisti....e la fine non è viziata dalla paura e neanche confirtata dalla scritta ....vissero felici e contenti...l' attimo può essere bello o brutto...felice e doloroso ...va vissuto più che pensato nella consolazione tra un passato e un futuro scritto da altro o altri...non è "il cammino...che riserva" siamo noi che viviamo il cammino volta per volta ...attimo per attimo

Cristina Regoli ......Mauro Orlando non riesco a capire la tua risposta ! Il tuo pensiero ora sembra dissentire da quanto da te prima pubblicato ! La tua lunga complessa dissertazione non si concilia con quanto pensavo credessi alla fine la pensi come me ! Ti sei intricato o forse il tuo compiacimento nello scrivere ha preso il sopravvento !!

Mauro Orlando....... Eliminiamo gli equivoci espressivi e cerchiamo di chiarire l'aforisma in una lettura non psicologica ma logico-filosofico della categoria di "tempo"....passato-presente-futuro è parte integrante della concezione abituale del tempo finalistico della freccia che disegna la storia di una vita da A a B.....un evento-attimo " è comprensibile solo in un passato causa e un futuro effetto....i fatti accadono quando accadono non in modo indeterminato o auspicato....se usiamo solo il pensiero analitico ...in una scatola il gatto può essere vivo o morto....se usiamo quello sintetico del reale dell'apertura della scatola non c' doppiezza immaginata o dualità possibile......una via di uscita di fede è una ipostasi in un futuro di un altro mondo eterno e infinito.....altra concezione più sofisticata "l'eterno ritorno dell'eguale" nella interpretazione scolastica di Nietzsche....il tempo è circolare è all'oltreuomo si oppone sempre il ghigno della scimmia che è in noi......io aforisticamente ...con tutti i limiti logico-linguistici dell'aforisma.....parlavo del tempo "presente...sempre attuale" e quindi eterno...i momenti della vita sono sempre contemporanei nella loro vivibilità e legarli anche solo nostalgicamente a un passato e speranzosamente a un futuro può avvenire solo nel pensiero che ha bisogno di essere formalizzato a discapito della sua "eventualità".....noi viviamo nella grammatica e nella logica della dicotomia divenire-essere...il nostro sapere deve sforzarsi di conformarsi a un dover essere energetico come prospettiva possibile in una logica della relazione indeterminata...vivere è esaudire questo impetuoso ed irrefrenabile bisogno di "eternità" di tipo spinoziano (deus sive natura)....un finalismo potente di dimensione pragmatica dove noin c'è un "dio" può salvarci o una "dike" che può condizionarci....nè Abramo nè Edipo....l'uomo che sa vivere i suoi attimi sempre diversi ed eguali fuori della pretesa di un "io" cartesiano con pretesa di soggetto pensante ed autore della propria vita ( normalmente chiamata consapevolezza)....un uomo che impara a "tramontare" per tutto donare e tenere nulla per sè...pensare a un nuovo giorno dopo il tramonto della "soggettività" padronale della modernità e la "debolezza" strutturale della postmodernità.....sapersi liberare dalle caverne egoiche del platonismo d'accatto per un uomo che vive con difficoltà e piacere il suo cammino verso le stelle e il sole senz apreoccuparsi di dover ritornare nella caverna a spiegare agli prigioni che cos'è la libertà e la felicità della vivere sulla terra queta terra .....non nel ricordo della nostra liberazione ...Zaratustra ha nausea di un ritorno possibile alla scimmia ghignante....il tempo quindi non è una "durata" il nostro motto è non "hic et nunc" meccanico o ciclico ma il "nondum-non ancora"....Il "presente" è il passato e anche il futuro....la dimensione dell' "è" non è lo svolgimento di un divenire di Eraclito e non è il principio di tutte le cose di Parmenide....noi viviamo presentimenti...presagi...ponti...cenni di "un così voglio che sia" come nel gioco delle carte la possibilità di una combinazione vincente che va vissuta con gioa in quel momento e non per la speranza che si ripeta con le carte che ritornino eguali.....possibilmente ma non necessariamente...l'eterno allora è l'stante del presente ...in un limite che è la nostra grandezza e piacere della'imprevedibilità e della provvisorietà.....la vita è non sete di possesso e di dominio ma recuperare la energia-forza che dismetta la voglia di possesso e di durata del tempo...

venerdì 10 novembre 2017


..l'angelo della storia di Klee e .....l'angelo della poesia di Durer 


I greci chiamavano “poiesis” il carattere essenziale della statura della presenza…..per i latini era legata alll’agere..operari…la modernità fa venir meno ogni possibilità di distinguere tra le due funzioni…l’uomo è produttore di un effetto reale ..la discriminante è la volontà, la libertà,la creatività del suo autore…il poeta….in questo passaggio delicato l’attenzione dall’opera si sposta sull’autore dell’opera…la semplice operazione di portare dal “non-essere all’essere” aprendo lo sazio della “aletheia-verità” per qualcosa o qualcuno in una opera e edificando un mondo per l’abitazione dell’uomo sulla terra…il passaggio cambia ulteriormente quando l’operari produce “lavoro” della vita activa creando opere come manufatti abituali e diventa valore economico centrale e denomitaro comeune di ogni attività umana…un agire porduttivo diventa bene o male lo statuto dell’uomo sulla terra….il vivente ‘animal’ che lavora (laborans) e nel lavore produce sé stesso e si assicura il dominio della terra….la poiesis ..l’agere…l’operari vengono stravolti e si stravolge la vita dell’uomo che pratica “poiesis” e le sue parole perdono della consistenza lieve e profonda per diventare solide e superficiali…..la filosofia del “fare” ha costretto in un angolo la poesia del fare facendone una filosofia della non-vita….facendola diventare “estetica”…l’arte diventa un modo della prassi e la prassi come esclusiva volontà e forza creatrice del singolo …isolato autore…il poeta…strana creatura disorganica a tutto nella sua “turris eburnea”….. o spingendolo in un egotico estimatore della “volontà di potenza” niciana….una metafisica della volontà in cui la vita si imprigiona in un fare-poiesis come pura energia e incontaminato impulso creatore….è da questo “principio-fondamento” deviato e deviante che occorre riportare le parole della poesia al suo giusto fare e stabilire per tutti che l’arte non è solo espressione della volontà e capacità creatrice del “poeta” e che la “poiesis” non si esaurisce nella espressione di una volontà o di una capacità versificatoria…..ma risiede nella disponibilità a recuperare lo sguardo e l’ascolto del mondo per operare “aletheia-verità” come processo di svelamento del nascosto ai più… e nella apertura che ne consegue di un mondo aperto alla esistenza autentica e all’azione disinteressata e libera dell’uomo…..dobbiamo guardare al cambio di sguardo dell ‘angelo di Klee verso il passato per superare “la tempesta” della modernità contrassegnato dalla “ necessità” di fare storia …all’angelo di Durer che nel suo stato malinconico e della nostalgia ridà un senso al sentimento creativo e passionale verso le cose,gli uomini e la natura…..come “poiesis-creativa” di vivere e guardare il mondo nel suo svolgersi provvisorio e diverso tra “passato-presente-futuro”.

giovedì 9 novembre 2017


"cazzo" e scusate l'incazzatura e la caduta di stile... 
 ma perchè Platone ci ha costretto ad uscire dalla caverna 
liberarci dalle catene a fatica a godere delle ombre sul muro 
che ci raccontavano favole e dolci fanfaluche 
 a cominciare dal gioco di Arianna 
 nei labirinti senza amore 
 educare gli occhi alla luce e le orecchie ai rumori 
sentire odori nuovi e inventare parole 
nel vedere gli uomini e le cose con paura
 guardare in faccia il Sole 
perdersi e cercare i desideri tra le stelle 
che cadono in agosto 
 accodarci alla coda degli umani ciechi-sordi-muti 
 in fila verso il precipizio insidioso della vita 
.... ascoltare un Dio che detesta il suo creato 
e pregarlo con canti ...danze....musiche e parole 
e stanchi di soffrire nella valle di lacrime .
... temere un ritorno da esule incompreso 
a riveder le ombre dell'infanzia felice 
per evitare il buco nero dell'eterna morte corporale 
essere soli e senza scuse e vivere senza perdere il sorriso 
e poi venne Lacan a curare le isteriche paranoiche ossessioni 
di un un "io" oggetto altro estraneo e ossificato artificio immaginario
 che occulta l'angoscia mostruosa di una "spontaneità irriflessa" 
un "io" arlecchino servitore di più padroni 
che vive il mondo vero come finzione e immagine irriflessa del reale 
 solo per ingannare il suo vero "io" quello dell'inconscio e dei i suoi desideri
 "Je est un autre"
 sbattuto su e giù dalla caverna come un oggetto estraneo all'esistenza 
col sorriso beffardo di chi ha visto un reale "senza fondo"
..."senza senso" "senza legge" di chi ha visto lo scandalo 
che esorbita la vita in una solitudine 
che ci accompagna nell'inesistenza.. 
......e oggi siamo ancora una volta a parlare
 di Berlusconi...Salvini....e Di Maio 
 e la Sicilia nuova di Musumeci 
rottamando il giovin fiorentin ribelle ultima speme
 consumata nell'attimo di una stagione
 e .....dovere scegliere il meno peggio ma allora .
..perdo la faccia e ripeto....... 
CAZZO...CAZZO....CAZZO
.......poeticamente senza stile!

mercoledì 8 novembre 2017

la paesologia


......la paesologia ....
...intende parlare di una sua intuizione cognitiva e una percezione attiva.....l'idea secondo cui "la politica" non va pensata solo come un oggetto da portare a realizzazione e neanche come una "tèkne" come mezzo....ma una comunità provvisoria da costruire.Non 'è un fine da portare a termine ...un "outopos-non luogo" da raggiungere...ma è l'agire politico stesso ad essere in sè il fine della propria ed altrui vita.Il pensiero dunque non deve dettare le regole alla "vita activa"...errore in cui è caduto Platone e lo stesso Marx.Importante comunque non solo come esercizio del "logos" come atletica agonistica del sapere-potere ma l'esercizio esistenziale e comunitario di un "sapere arreso" che contamini inevitabilmente la vita-in-comune......

martedì 7 novembre 2017


.. “Ma, chiuso in una stanza, e in un mondo chiuso, mi è grato riandare con la memoria a quell’altro mondo, serrato nel dolore e negli usi, negato alla Storia e allo Stato, eternamente paziente; a quella mia terra senza conforto e dolcezza, dove il contadino vive, nella miseria e nella lontananza, la sua immobile civiltà, su un suolo arido, nella presenza della morte”.Carlo Levi. 

 Anticipato da uno stimolante,documentato scritto sul nostro Blog di Andrea Di Consoli sulla figura di Carlo Levi, politicamente determinante per intere generazioni di democratici e antifascisti meridionali l’incontro di Castelbaronia è stato bello emotivamente e ricco di spunti utili per individuare temi,percorsi e finalità per una possibile Università popolare irpina nella cornice della esperienza della Comunità provvisoria. E’ stato un lusinghiero e ricco incontro di persone disponibili a giocare la loro personale vita mentale e concreta nella possibile declinazione di due categorie apparentemente contrastanti ,locale e globale che tanto ci inquieta e ci disorienta. Andrea ,particolarmente ispirato e costruttivo, ha delineato non solo la grammatica e il lessico rinnovato per una possibile nuova esperienza culturale ma assieme alla necessità di ristabilire un rapporto di tipo nuovo con una realtà meridionale sociologicamente e psicologicamente immutata in un contesto di modernizzazione “con sviluppo e senza progresso” e una mondializzazione non solo economica ma soprattutto antropologica. La “paesologia” come intuizione da definire e sviluppare potrebbe essere uno strumento conoscitivo originale e nuovo.Tutto dipenderà dall’uso che ne vorremmo fare per il futuro di noi e dei nostri territori. Lo scritto di Levi potrebbe essere già un ‘canovaccio’ possibile su cui esercitare una metodologia e decostruire un analisi .Essa non ci costringerebbe intellettualmente ad un semplice riconoscimento di onestà e profondità intellettuale “per riandare con la memoria” in questo mondo ‘altro’ che è l’irpinia di oggi e di domanima un tentativo di andare oltre per un nuovo possibile inizio. Una persona che ha intenzione di vivere e pensare un territorio del sud ha la necessità di rivendicare alla base della sua ricerca di funzionalità intellettuale e esistenziale non solo retaggi e ricchezze culturali pregresse in modo consolatorio o di orgoglio identitario.Oggi bisogna rivendicare la categoria della “marginalità” e “fragilità”come capacità e possibilità di autenticità e originalità di stare e vivere contemporaneamente il mondo nel suo piccolo e nel suo grande. Si può vivere non con il vecchio schema della schizofrenia una bella esperienza emotiva e culturale a Castelbaronia e il giorno dopo visitare una importante mostra alla Tate Gallery di Londra e una settimana dopo partecipare ad un convegno a Bombay sulle nuove tecnologie informatiche e il futuro delle economia mondiale.Lo spazio concettuale libero e liquido tra centro-margine-periferia si è aperto incondizionatamente e ci permette di verificare nei fatti e non solo nella volontà le idee ma soprattutto la nostra disponibilità e capacità di attivare volontà e strumenti per condividere “comunitariamente” anche le nostre individuali solitudini, introversioni, umori caldi e freddi, inquietudini e sogni .Non in una sorta di sopravvalutazione con sovrappesi culturali e professionali di sé stessi che ci costringe a costruire muri e barriere intolleranti non solo psicologiche per rifiutare o accettare gli ‘altri’. Sapendo che stare insieme può essere anche una sofferenza ,un esercizio faticoso di ridurre frammentazioni e chiusure e alleggerire pesantezze conoscitive e rigidità dottrinarie .Per iniziare questo nuovo viaggio di prospettiva necessita anche un viaggio nelle nostre storie mentali costruite su un eccesso di sviluppo accumulativi di saperi e un eccesso di ‘criticismo’ sedimentato o ossifificato nelle nostre diaspore migratorie. “Siamo emigrati male e spesso ritorniamo peggio”. Ci siamo costruiti intellettualmente e professionalmente con una idea di acculturazione e sapere come possibile strumento per acquisire potere e riscatto su un diffidenza e non fiducia verso gli altri in termini sociali e politico.Cultura e sapere non è acquisire potere ma proprio una possibile possibilità di depotenziamento del potere e del sapere stesso.Con una tale idea di acquisizione di conoscenze,abilità, sapere come strumento di possibili poteri e riscatti anche la categoria economica e sociale di ‘disoccupazione’ nei piccoli e grandi paesi del sud e del nord del mondo può acquisire slancio progressivo e ideativo e riscatto individuale nella propria vita mentale e politica nei luoghi che ci è dato vivere hic et nunc. Dato per acquisito che la politica politicista va dunque sempre sospettata e criticata nella sua rigidità e illiberalità costitutiva e istituzionale ma sopratutta perché educa a coltivare pensieri corti e relazioni corte.Dobbiamo ricostruire una “società civile” di nuovo conio e funzione non seguendo i canoni e le categorie politologiche classiche e moderne che la mettono necessariamente e unicamente con la “società politica” in una sorta di separatezza e superiorità solo concettuale. La differenza tra società civile e società politica è che una obbliga a pensieri lunghi e di prospettiva la seconda educa a pensieri corti e regressivi ingessati nelle istituzioni.Noi abbiamo bisogno di mettere in campo con modestia e presunzione “pensieri e relazioni lunghe sapendo però che vivere insieme agli altri e confrontarsi non è mai stato perfetto,idilliaco,edenico.Bisogna diffidare chi ci ripropone “paradisi perduti” e chi ci lusinga con utopie di comunità utopiche e mitiche. Bisogna accettare le complessità e difficoltà nei possibili spazi di amori ,di sogni, di odi,di controversie, di rancori, di rimorsi , sempre disposti al rischio ma con “gesti eroici”ed autentici anche di intelligenze confuse ,provvisorie o smarrite mai dogmatiche e prescrittive. Massima vitalità anche in possibili massime disperazioni. Serata umanamente e culturalmente bella e misteriosa per continuare il viaggio della Comunità provvisoria anche con la occasione della Università popolare dell’Irpinia nel lingiaggio e nello spirito propulsivo delineato da Andrea e da Franco.
 Mauro Orlando

...un vecchio contributo dei primi anni paesologici a Cairano
...lettera ad un giovane poeta.... ....


 Caro Andrea solo per affinità sentimentale ho pensato ai due scrittori che hanno riempito la mia insoddisfatta e frenetica adolescenza e la esuberante e travolgente giovinezza….Saffo e Rilke … una classica e un moderno.Non a caso ma perchè io mi sento un classicoe moderno nelle mie scelte e nelle mie contraddizioni.Nelle età fondamentali alla mia formazione della mia anima e a quella dei miei migliori amici nella testa e nel cuore sempre ho amato la leggerezza della “poiesis”…irretito dalla forza del “lògos”.Le mie letture e riferimenti erano sempre e strettamente biografici e meno che meno letterari o filosofici per un sapere come riscatto o come potere.leggendo il tuo messaggio e le tue poesie pensavo come Rilke nella sua spendida e insuperata “Lettera a un giovane poeta “ al senso vero e profondo della poesia,anche della tua poesia e dei tuoi scritti.“Legga il meno possibile-scriveva- testi di critica estetica ; sono o congetture faziose,,fossilizzate e ormai prive di senso nel loro rigore senza vita,, oppure abili giochi di parole, in cui oggi prevale una opinione e domani quella opposta. Le opere d’arte sono di una solitudine infinita, e nulla può raggiungere le meno della critica. Solo l’amore le può afferrare e tenere e può essere giusto verso di loro. Dia ogni volta ragione a sé stesso e al proprio sentimento “….Poi mi sono riletto per l’ennesima volta i frammenti di Saffo …un continuo miracolo di emozioni e passioni annebbiate! Io queste sensazioni ed emozioni ho cercato e ritrovato in parte nel leggere superficialmente ma intensamente i tuoi testi .Riprendo le parole di Rilke “Lettere ad un giovane poeta “ che come te richiedeva una lettura delle sue parole in poesia .Ti dico subito che io ho un amore e un rispetto della “parola” e soprattutto per quella “poetica” che è il prodotto di uno scavare nel profondo duro e difficile alla ricerca dell’anima delle cose e delle persone.Alla ricerca della cosidetta “verità” della vita che è cosa preziosa e bella assieme in ogni esperienza emotiva e concreta del mondo.La lingua della poesia è la nostra stessa anima esposta e turbata e non può per nessun motivo essere sprecata per i sentimenti e le passioni corte e fredde.E torno a Rilke …. “Lei domanda se i suoi versi siano buoni.Lo domanda a me.Li invia alle riviste. Li confronta con le atre poesie. E si allarma se certe redazioni rifiutano le sue prove.Lei guarda all’esterno ed è appunto questo che non dovrebbe fare. Guardi dentro di sé. Si innterroghi sul motivo che le intima di scrivere ; Verifichi se esso protende le sue radici nel punto più profondo del suo cuore ; confessi a se stesso : morirebbe se le fosse negato di scrivere ? Questo si domandi soprattutto nell’ora più quieta della sua notte : devo scrivere ? Frughi dentro di sé alla ricerca di una profonda risposta. E se sarà di assenso, se lei potrà affrontare con un forte e semplice “io devo” questa grave domanda, allora costruisca la sua vita secondo questa necessità “.Io ho sentito nelle sue parole in verso la presenza di questo tuo “io” voglioso di esporsi e di esporre i suoi pensieri e i sentimenti che nutre per le persone e le cose che circondono e interessana in particolar modo la tua vita affettiva e sociale… nulla può toccare tanto poco una poesia quanto un commento critico…..una “koinonia” sentimentale e un guardare il mondo con occhi sensibili e autentici …questo non solo è possibile ma anche auspicabile nella nostra ricerca di “anime gemelle” per sensibilità e valori.Alcuni consigli che ritengo utili sono il rifuggire i luoghi comuni e i motivi più utilizzati in ambito lettrerario ......“….descriva le sue tristezze e aspirazioni……rifugga i pensieri effimeri e la fede in una bellezza qualunque ; descriva tutto questo con intima, sommessa, umile sincerità, e usi, per esprimersi le cose che le stanno intorno, le immagini dei suoi sogni e gli oggetti del suo ricordo”....Una bella poesia nasce da nostre necessità concrete e e il richiamo al dolore e alla sacralità del parto non è solo una buona metafora.Dubbi e sospetti sulla realtà sono buoni per la filosofia …la poesia è fonte viva che viene dal profondo delle cose e delle persone che bisogna prima di tutto amare…..e che la loro forza dirompente non si perde in abilità versificatorie e giochi di parole per palati forti.Devi essere il più intransigente critico delle sue parole sprecate che si fanno forma scritta senza “foia” quasi sessuale come brama di beatitudine e pienezza mista a ebbrezza e irrequietezza .....Segui le irregolari sfrenatezze di Dioniso e diffidi delle belle forme ed espressioni del divo Apollo…
Buon lavoro su te stesso e la sua cura!
Un modesto amante delle parole poetiche….pure ed autentiche.
Mauro Orlando.

lunedì 6 novembre 2017


..come nacque un bel libro di poesie giovanili....
Egregio Professore,
mi costa molto doverla importunare soprattutto nella ricercata e sacra intimità dei suoi “ozi desenzanesi”.
L’ impellente e improcrastinabile motivo,poi, rischia ad uno sguardo fugace di rientrare nella casistica desueta del “ solito ed inopportuno rompicoglione”in cerca di rassicurazione e conforto alla sua dubbia e controversa capacità versificatoria o artistica.
Il fatto è presto detto. Tutto nasce dall’amore sconfinato e nobile di una mamma che con religiosa segretezza ha voluto conservare gli sfoghi letterari e poetici del suo proprio giovane figlio.
Il caso ha voluto che io divenissi, dopo la sua recente dipartita nell’eternità, unica erede materiale di questi eccellenti e promettenti versi.
Data la mia inesperienza estetica ed ermeneutica,io non mi sento in grado di diffondermi sulla natura di questi versi per me deliziosi e promettenti.Questi versi non hanno sicuramente ancora un loro stile, ma sento che sono sommessi e coperti avvii a un accento autenticamente personale.
Io , a differenza di lei e della sua accertata esperienza letteraria e sensibilità culturale, non so dire se sono dei buoni versi ma so solo sentire una autentica esigenza di ricerca di penetrare in sé stesso e di delineare una via d’uscita naturale a scrivere i propri affannosi e giovanili sentimenti e impellenti e burrascosi sogni .
Si sente che c’è una ragione poetiche che lo spinge a scrivere e estendere le sue radici nel più profondo e riposto luogo del suo cuore. Si avverte l’impellenza caotica e disordinata di un impulso di una ricca vita giovanile che vuol farsi segno e testimone di sogni e d’amore.
Sono raffigurate le inquiete tristezze e le strazianti nostalgie, i pensieri passeggeri e la fede in qualche occasionale bellezza, raffigurate con intima, profonda, burrascosa, sincera ed autentica ingenuità linguistica ,ma usando soprattutto le immagini dei propri fantasmagorici sogni e della propria giovane memoria e intelligenza.
Mi sembra che le sue parole riescono a cogliere la ricchezza di una mondo reale povero e limitato rispetto alla sua sfrenata esigenza di fantastico e di fuga nei sogni e nel tesoro dei ricordi.
C’è un autentico viaggio al proprio interno alla ricerche delle parole adatte e giuste per esprimere la propria intima , sacra e non ancora definita identità.
Io ho sentito il suono di questi precoci sentimenti ammaliato come al canto delle sirene ma non sono capace e non voglio perdermi in interpretazioni partigiane e sprovvedute.
E’ questo il motivo della mia incauta sfrontatezza nei suoi riguardi e della sua sacrosanta privacy.
Insomma io con grande modestia credo che questo giovane poeta si farà e che il suo valore non è solo dettato da uno sconfinato amore materno o da incauto e sprovveduto sentire di un critico bricoleur quale io mi sento di essere.
Vi ringrazio in anticipo per la disponibilità ad accordarmi ascolto e fiducia dettate solo dal rispetto alla sua privata persona e alle sue riconosciute e pubbliche capacità e sensibilità poetiche e letterarie.
Con,devozione , rispetto e simpatia
Un anonimo ereditario di un ’ inizio di viaggio nel ‘ sublime’ e nel ‘sogno’ 

martedì 31 ottobre 2017


Guardare la natura cercando la profonda unità nella diversità antropologica delle forme piacerebbe  che la “casa della paesologia” e Trevico diventasse l’occasione di una verifica esistenziale ed  anche “filosofica” della esperienza e del racconto  paesologico. Meditazione “filosofica” giustamente virgolettata per non incorrere  in pregiudiziali equivoci di supremazie  razionali ….maschera  delle egemonie autoritarie di forme  di metafisica  camuffata  anche quando “non si accontenti  più di interpretare il mondo e  di vagare in speculazioni astratte e  si dia da fare  per  di trasformare praticamente il mondo” (Heidegger).Ma  siamo ancora  nella pretesa di una “ermeneuitica “ che resta dentro  il viaggio  che “vuole cambiare il pensiero che …..si mette in cammino  verso ciò che è degno di essere pensato” (Idem).Siamo al paradosso  di una ricerca dell’oltrepassamento del pensiero razionale  ancora  nella metodologia della critrica-sospetto-accettazione-approfondimento. Un pensiero  certamente  non  supinamente  appiattito ad  una lettura che può intendersi come “liberale”, secondo la quale il rapporto fra individuo e comunità viene pensato come pendente in favore dell'individuo e di una sua rivendicazione di diritti in qualche modo inalienabili, e una lettura “olistica”, secondo la quale l'individuo viene schiacciato da una comunità che lo sussume e ne indica l'agire. La paesologia  è drastica  nei suoi postulati  e nelle sue finalità : non vuole essere  un sapere  del riscatto e del potere  nel gioco delle tipologie  borghesi del “potere….macro o micro” ma un sapere  connotato dall’aggettivazione sostanziale  della “resa”. La resa  non è la virtù degli ultimi, dei deboli, degli emarginati, proletari, contadini poveri ecc. Supera  con un taglio netto epistemico  le categorie  sociologiche, economiche  e politiche  classiche. La paesologia  ha una sua sostanza ermeneutica che non è la confusione “della notte hegeliana in cui tutte la vacche sono scure”  e  non rivendita una sua peculiarità interpretativa  e di racconto  della “grande vita  dei piccoli paesi” abbandonati, periferici, terremotati rispetto  al centro direzionale della razionalità  borghese-moderna-occidentale. Non cerca un spazio emergenziale di crisi per descrivere o denunciare  la crescente  omologazione delle strutture politiche, economiche, culturali e sociali del potere centrale  metropolitano e freddo.Non è nenche la risposta alternativa e rivoluzionaria dei perdenti, gli ultimi, gli abbandonati miranti ad un pensiero altro come riscatto  o ricerca di potere.Non sarà mai una nuova teoria per una diversa e universale“interpretazione o cambiamento” del mondo.Pensa  e sente il vivere in comune  ancora valido come motivazione, sentimento, passione , ma non come programma e meno che meno “uno statuto costituente”.Gli abitanti  e viventi dei piccoli paesi degli appennini   del mondo  e del nostro paese non sono  lo scarto economico del capitalismo finanziario ma sono  quelli che  vivono come valore  i margini  del sociale, gli azionisti inutili  non del pensiero, dei sentimenti e delle passioni. La vita  percettiva e pensata  dei territori  ancora  incontaminati e dei paesi  abbandonati  non è “debole, emarginata,oppressa” ma è ricca ,ardente, appassionata, viva  e attiva  nella sua  operosità e  lentezza.Ci van bene Marx o Heidegger   nella  richiesta di tenere  i piedi ben piantati nella terra  o ricordare  che questa terra  sia costantemente in movimento,in trasformazione, conflitto.Franco Arminio non ha la pretesa di descriverci in modo corretto, autentico e originale  questo nostro mondo riferimento vitale i conflitti  delle interpretazioni contro la conservazione delle norme , delle abitudini, dei valori , dei principi naturali o razionali.Il suo pensare  il prorio “io” con i pedi e le unghia conficcate nella terra in una tensione radicale progressiva opposto agli ordini  esistenti  macro e micro.E’ di fatto  un pensiero poetante che di fatto  va oltre  la descrizione oggettiva, l’intuizione estetizzante, la percezione scientista, la critica alla metafisica e alla filosofia astratta che riconosce come conseguenze  e non solo cause del  regime di soggezione e del dominio della cultura borghese moderna.Sapendo comunque  che le pretese universalistiche e  razionali della verità comunque si realizza e si pratica  nell’imposizione sulle differenze  e sulle identità individuali e territoriali.La paesologia non sarà mai per costituzione teoretica ed etica  disimpegnata, terza, contemplativa, neutrale ma  pratica. Provvisoria ed attiva per interessate, progettuali possibilità nella decentralizzazione  teoretica delle civiltà europee  e mondiali.Dagli scritti  di Franco  si ricava non in modo prescrittivo o dottrinale una visione una pratica oltre  l’individualismo e olismo come  due facce della stessa medaglia: la medaglia di un rapporto di potere, di una relazione asimmetrica dominata da una logica classista. Leva di questo rapporto   è intuito e rappresentato nella categoria  della “ singolarità” come concetto risultante dalla tensione interna a questo tipo di nesso. L'instabilità delle singolarità all'interno di questa relazione, vengono definite come un elemento costituito dalle “relazioni che le 'attraversano', con la loro instabilità essenziale”. L'utilizzo del termine singolarità “denota l'attenzione per un'individualità concreta” e per la sua “dimensione 'situazionale' […] soggetta al dinamismo e alla mutevolezza degli eventi, secondo un continuo movimento” verso e con “l’altro-da-sé” in relazione  ad un vissuto e un progetto comunitario  sotto la sferza  della “provviosrieta’” che evita incrostazioni  e derive autoritarie delle “èlites”. E’ costante  il   richiamo a un universo di discorso ben preciso, che cerca proprio di pensare l'individuo e il soggetto al di fuori di una sua ipostatizzazione statica ma in un continuo cambiamento  e dinamismo concettuale e concreto. I concetti di soggettivazione e individuazione, nonché di transindividuale, sono considerati appropriatamente. La soggettivazione e l'individuazione fanno riferimento al carattere dinamico e mobile della singolarità che non può essere sclerotizzata in forme che risultano astoriche, dogmatiche, chiuse; la transindividualità che dalla riflessione poetica  o letteraria  passa e arriva ai temi marxiani attraverso i racconti dei  sentimenti, delle percezioni, dei pensieri e delle passioni che  aiutano a descrivere il carattere di scambio continuo che il concetto di singolarità instaura fra gli individui: uno scambio “metastabile” e continuo che difficilmente può essere afferrato continue ,mutevoli “comunità provvisorie”....lingue ...storie...culture ha caratterizzato il vario romanticismo europeo...una natura vivere del lupo libero...autonomo...consapevole e rispettoso della natura come luogo privilegiato e rispettato..degno di essere vissuto e raccontato con parole poetiche