Rileggendo l’ultimo libro di Marco Revelli  da un punto di vista  “paesologico”  troviamo sicuramente  un  riferimento e un percorso intellettuale e politico di un modo di pensare  “ sinistra” il modo e il senso di pensare e vivere il territorio.Altro riferimento culturale  è la esperienza di Magnaghi e il gruppo sempre più folto di “territorialisti”  che hanno riscoperto lo spazio  dei racconti dei “microcosmi e dei territori resilienti”.Infine ultimamente  un nostro estimatore e  compagno nel viaggio paesologico- Aldo Bonomi – si chiedeva e ci chiedeva  “se valga la pena di alzare lo sguardo e continuare a cercare per capire oltre l’invito di Candido «Dobbiamo coltivare il nostro orto”….. o ancora se valga la pena continuare nella fatica di Sisifo dello scomporre e ricomporre il farsi della società nel salto d’epoca dell’accelerazione, con lo sguardo delle lunghe derive braudeliane del potere, del mercato, della civiltà materiale”Una sociologia  che vuole andare oltre le analisi oggettive dei flussi . riflussi e cambiamenti del tessuto sociale per mutarli antropologicamente e politicamente ,ponendo domande e quesiti più che abbozzare  analisi e qualche risposta. Le modalità metodologiche  indicano una necessità di ricerca  che parte necessariamente “dal basso… dal processo di deposito delle polveri sottili dei flussi nei polmoni delle “vite minuscole”, della vita quotidiana” …dalla categoria  conoscitiva del “sommerso” ”. ….”che diventa, nella discontinuità di inizio secolo, sommerso carsico e non più sommerso ascendente. Questo sommerso carsico ha poco a che fare con il “ben scavato vecchia talpa” di marxiana memoria”.”Il sommerso” come “le periferie metropolitane” diventano il “lumpen proletariat”  “invisibili ai poteri, alle tasse, ai mercati, così confluendo, come detriti, nel fiume dei tanti precipitati nel sommerso della povertà, della società dello scarto e dei dannati della terra, il cui fiume è diventato il cimitero/Mediterraneo” che nel prossimo futuro tenterà la scalata al cielo …. la presa della Bastiglia….l’occupazione dl Palazzo d’inverno.Nella nostra  storia nazionale e nello specifico della “vecchia questione meridionale “ di De Sanctis, Dorso, Gramsci  i territori  e i paesi degli appennini italiani diventerebbe tout court  una questione di dialettica  dei contrari tra “periferia-centro”….“sommerso discendente-sommerso ascendente”.Una sorta  di “magma carsico” che indicherebbe  “lo sfarinamento della società di mezzo”…”intesa sia come crisi del tessuto prepolitico della rappresentanza sociale e lo sfarinamento dei ceti medi cui si aggiunge oggi la forma partito”. Una lettura,  se pur nei limiti e nei presupposti della sociologia , che si differenzia di molto dalla intuizione e esperienza  esistenziale  e  politica di una esigenza  di “umanesimo degli appennini” da cui parte  l’esperienza  che Franco Arminio racconta nei suoi libri e vive  “nei piccoli paesi dalla grande vita”.  Le  migrazioni degli anni ’60 sono ferite esperienziali  che si evidenziano  nella carne abbandonata  dei paesi dell’osso … non è solo “Il sommerso ascendente dei tardi anni ’60….che  sembra, nel piccolo, un’epopea da far west: contadini che, nella migrazione interna, si fanno operaio massa, operai specializzati che emergono dai sottoscala costruendo capannoni e disegnando con i sindaci aree industriali che si fanno distretto; cooperative di consumo e di lavoro che diventano grandi gruppi della distribuzione o della produzione. La piccola borghesia si fa ceto medio, come ebbe a rilevare Paolo Sylos Labini nella sua analisi”.C’è anche questo  ma come  sono inapplicabili le analisi  culturali e politiche di De sanctis, Dorso, Gramsci nei nostri contesti attuali ….restano terreni di intervento personale o politico che non portano da nessuna parte. La nostra esperienza  esistenziale e politica assieme  non ha la presunzione  di riconoscere  le virtù civiche dei “salvati” e  i valori morali dei “sommersi” ma partiamo dalla ricerca e riconoscimento della “vita”  che per i tanti contraddittori  motivi dello sviluppo moderno….si è conservata  nei “piccoli paesi” senza  la voglia di un “intellettualismo etico o politico” di stimolare e dirigere “ la forza latente e  collettiva di rendersi ed essere visibili nel fare società e nel fare economia . Si riparte dalla “vita” che c’è  non contaminata e libera  senza l’assillo ossessivo  di  inclusione nel passaggio d’epoca della globalizzazione selettiva.Si riparte dalla “vita” con l’arma  della scrittura  nella sua funzione non strettamente lettraria  ma rivolta alla produzione di una soggettività politica che possa sovvertire l‘ordine attuale…nella grammatica e nella analisi logica. Si tratterebbe  di vivere e preparare  una comunità politica rivolta al futuro, nel tentativo di un recupero della promessa di felicità insita nel passato. Un movimento dalla chiara matrice  di oltrepassare il imoderno  senza cancellarlo nella testa e nei fatti . Rivitalizzare  “ Il computer e il pero selvatico”.
Un frammento programmatico di Franco Arminio dimostra come questa luce di passato sia già pronta e disposta a illuminare il futuro: 
“Forse un giorno non lontano sarà evidente che l'irrealtà con cui abbiamo svuotato il mondo e noi stessi può essere sconfitta tornando a vivere in luoghi dimessi e appartati, tornando ad accumulare giornate bianche, giornate in cui accade poco, ma quel poco che accade non svanisce nella girandola che c'è adesso. I paesi dell’Irpinia d’oriente , del Molise fra cinquant'anni saranno tra i luoghi più ambiti. E forse anche i tratturi si riempiranno di uomini e di animali. Non so come tutto questo possa avvenire, ma sono sicuro che avverrà. 
Mi piacerebbe entrare in un paese e vedere gente che si muove a piedi: bambini, vecchi, donne, tutta una ragnatela di passi per catturare e farsi catturare dalle pause, dagli attimi in cui sembra che nulla possa avvenire. I paesi come luogo di riabilitazione degli umani, cliniche in cui si impari il compito fondamentale di passare il tempo, compito che è stato sostituito da una miriade di surrogati. 
Riparare le statue, riportare alla luce i tratturi, potare gli alberi con cura, salutare con lietezza ogni persona, ecco alcuni gesti che ci possono far bene, possono farci ritrovare un filo di eleganza nella bolgia di cafoneria consumistica in cui siamo caduti “ .
mauro  orlando
martedì 21 novembre 2017
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Nessun commento:
Posta un commento