lunedì 17 dicembre 2018

Mauro Orlando  ......per il mio amico Fulvio

la porta dentro di sé come un germoglio 
come uno specchio
o come un vizio assurdo
ma umano....
lo so ...tu sapevi
ne eri convinto 
eppure ti ha colto di sorpresa
la vigliacca dagli occhi cattivi..
So che ti piacevano le canzoni...
le poesie ....i racconti della vita
...capisco
eri affetto da una umana allegria di vivere
dalla libertà che non opprime
nè la felicità di volerla possedere
sopra l'umano sapere o dolore
non hai mai creduto in un dio solo per te
ma nella saggezza di una vita che si lascia
e un piacere di sapere anche nel sogno
ci si può ancora incontrare ....
nei ritagli dei brevi giorni che ci son dati
quando a vent'anni scrivevi poesie
senza paura degli inganni
delle parole 
che giocano tra l'emozione e la ragione
cose da vecchi parrucconi equilibristi del nulla
...so bene che tu sapevi
di dover attraversare il fiume
e ti fidavi anche di un barcaiolo generoso
che non sapeva remare
ma tu volevi solo ancora vedere..... ammirare 
per un pò di tempo privato
l'aleggiare inutili delle colorate farfalle
sull'anima curiosa di meraviglie
e delle albe e dei tramonti dell'immaginazione 
che non ama il potere
che ti ingabbia il cuore
ma la poesia e le favole belle 
dei mercanti di sogni e di luce 
per educarsi ad essere anche solo
e guardare con piacere indietro
senza i grumi della nostalgia
gli anni della calda amicizia
che si nutriva di futuro
prima innocenza e amore di sapere
il piacere semplice di sfidare il mistero
del senso intimo delle piccole cose
sole...luna...fiori....monti ....uomini
sorrisi ingenui di ragazze in fiore
in compagnia dei sogni che ti raccontavano i poeti
e i pensieri che intorcigliavano i filosofi
e tu cantavi volentieri 
che non 'c'è niente da capire
Alice che non sapeva ... e guardava i gatti
e il mondo girava senza fretta...
Gianna sosteneva tesi e illusioni
e il Generale era dietro la collina
Tu già sapevi 
che hanno ammazzato Pablo
ma Pablo ....è vivo....
Tu......non avevi dubbio
che basta esistere per essere completo
ho trovato per te una poesia
di Fernando Pessoa ....un poeta 
che ti ho consigliato di amare
e....fu vero amore......
"Se morirò molto giovane ,udite questo:
non fui altro che un bambino che giocava.
pagano fui come il sole e l'acqua
di un credo universale che solo gli uomini non hanno.
Fui felice perchè non chiesi mai più del dovuto
nè cercai per inseguire o trovare il niente
e non pensai ci fosse altra spiegazione
che la parola spiegazione non ha alcun senso.
Non ho amato che stare al sole e all'acqua
al sole quando c'era il sole
alla pioggia quando stava piovendo
( mai l'altra cosa)
sentire caldo e freddo e vento
e non andare oltre"
mauro per l'amico fulvio

martedì 11 dicembre 2018



e....le stelle muoiono in silenzio
nello spazio e nel tempo
di anni luce
a bucare il buio delle tenebre
dell'universo infinito 
e arrivare ai miei occhi
impegnati nei propri desideri
di guardare la terra
sentire una foglia cadere
un fiocco di neve 
adagiarsi in silenzio
su una rosa di macchia 
….i suoi dolci tramonti
in religioso silenzio
e nuovi amori e nuovi giorni
e le albe assonnate
a dare strada agli alberi
e costruire musei nell’ aria
e sinfonie nel vento di primavera..
perdersi docile 
negli occhi innamorati 
di quella donna sola
inseguire Eros capriccioso
nei campi di grano in agosto
i suoi piccoli spasmi d’ amore
....dimenticare 
il pianto di un addio
di chi non c' è mai stata
e il sorriso di un ritorno
di chi non è partita..
dal mio cuore..
vivere 
gli attimi fuggenti
aspettando il raggio verde
di un improbabile amore 
in quella che chiamiamo vita
con l'ingenuo amore 
di chi non sa invecchiare 
….mai...

la politica e il diavolo

Cosa manca oggi al individuo sociale? Insicurezza provvisorietà paura e aggressività sentimenti e passioni fredde determinano oggi i canoni interpretativi di una sociologia vecchia nei metodi e nelle analisi .E le loro conseguenze nella pratica non solo analitica della politica attiva...sono sotto gli occhi di tutti...governanti e governati . In scienza e….incoscienza si straparla di “sovranismo psichico” che come un sorta di “autismo corale” ha prodotto in larga scala e in modo metastatico e asimmetrico la proliferazione dei “populismi sovranisti” globali e locali. Viviano condizioni quotidiani individuali di un “presente tirannico” , fatti di disagio e di paura per il diverso dove le stesse vecchie ricette identitarie non sembrano capaci di creare “cordoni immunitari “ per risolvere i sensi di vuoto alimentati dai buchi neri della crisi economica epocale.Nascono improbabili partiti- movimento che occupano le sedi apicali e fondamentali della politica nazionale senza responsabilità e capacità acquista nella esperienze.Nuove élites improvvisate e saccenti cercano dialoghi improbabili con le forze economiche che sono i veri soggetti e oggetti della crisi stessa.La vecchia sociologia parla di chiusura di un ciclo che potrebbe aprire anche nuovi spazi senza salti nel buio.Aprendo carte di credito alle nuove classi dirigenti solo per “ captatio benevolentia” .La ricchezza molecolare degli “ Individui proprietari” di fine secolo in risposta della massificazione della politica legata ai 68 mondiali.Sembra che una lettura propulsiva della “ crisi” possa offrire prospettive di salvezza al pessimismo della ragione di cui Gramsci prima e Pasolini poi alla fine degli anni 70 leggevano come tragedia di una mutazione antropologica che in Italia era sempre letta come commedia o peggio farsa.Situazioni che intaccavano non solo le condizioni materiali ma soprattutto quelle mentali e psicologiche delle nuove soggettività virtuali.Moggi è cambiata è cambiata radicalmente la realtà non solo nelle strutture oggettive e quindi sarebbero necessarie nuovi mezzi di analisi ed interpretazioni che possono mettere in discussione non solo le metodologie ma gli stessi elementi teoretici e non solo sociologici o psicologici di qualsiasi ricerca sul campo. Gli analisti hanno a disposizionei i dati legati ai sondaggi e ai meccanismi di dialogo “ andata e ritorno” dei social virtuali .Economicismo e sociologismo giocano la stessa partita con ruoli superficialmente diversi ma correlati negli esiti . La domanda oggi :”cosa ne è della politica” ci obbliga alla domanda preliminare “ di quale politica si voglia parlare”.... e indagare o inventare un altro modo fatto con esperienze radicali di “ vita activa” che ci permette direttamente nella pratica di coniugare e integrare cultura e prassi reale sapendo che non ci sono più gli intellettuali organici di una volta.Avendo esaurito il percorso di acquisizione di un “sapere” come riscatto personale e come predellino di lancio verso “ i poteri” macro e micro che le nuove società affluenti ci mettevano a disposizione.Ma anche nel campo del pensiero filosofico e scientifico sono venute a mancare le specializzazioni legate a visioni che facciano riferimento alle categorie politiche di fine 800 che si sono malamente consumate per tutto il novecento con tragedie personali e collettive.Usciti più o meno indenni dagli esiti tragici del dopoguerra oggi chi della mia generazione pratica intensi e pazienti rapporti attivi con la politica scopre che bisogna ripartire da una vicinanza di cura e rispetto della vita quotidiana delle persone reali nelle loro reali collocazioni territoriali o abitative tra città e periferie che non sono più “ campagna”.Esperienze di politica di “ vita” non di “ biopolitica” che non fanno riferimento alle astrazioni e alle nuove e vecchie categorie di “popolo e sovranità” ad “usum delphini” di turno.Oggib gli individui preservati nei “ piccoli paesi” loro malgrado hanno conservato quella purezza fatta di silenzio e solitudine che può essere bacino di utenza di nuove esperienze di “ politica activa” che guarda più alla vita...alla cura e alle relazioni vere con l'altrodase’.Le cose naturali e materiali e le persone bisogna cercarli e svelarli oltre la loro rarefazione e nascondimenti come misteri e realtà autentici di vita vissuta non solo pensata.

sabato 8 dicembre 2018

ancora "poiesis" e "sophia"
di mauro orlando

La filosofia dell'arte di Martin Heidegger è quella che si usa chiamare "l'altro inizio" del pensiero strettamente filosofico. L'arte diventa l'elemento centrale di qualsiasi discorso che voglia investire il problema e la funzione della stessa filosofia tout court. " Arte : l'addicevole portare alla luce la stagliatura del nascondersi-recondersi nella con-figurazione" 
E la lingua ne é “ il cuore della rotonda verità “ non solo nella comunicazione verbale nell'oralita’ ma anche nella comunicazione scritta a cominciare da Platone. Negli ultimi anni gli scritti di Heidegger continuamente fanno emergere con straordinaria chiarezza la fondamentale questione del linguaggio e indicano proprio nell'estetica e quindi nell'arte come forma di espressione e comunicazione le chiavi di volta della stessa filosofia .L'origine dell'opera d'arte ...del 35-37 di Heidegger ha bisogno di una interpretazione testuale ma anche simbolica ed esemplare di una “ svolta “proprio perché segna il nuovo inizio fondamentale nella stessa filosofia dopo “essere e tempo” che si era andato delineando negli anni negli anni 30 come scritto-silloge in occasione della corsa alla conquista di una cattedra all'università .Invece ne “l'origine dell'opera d'arte” i c'è una decisiva mutazione di prospettiva che si genera nella centrale funzione del “ linguaggio” nella stessa filosofia. Heidegger ha bisogno di una particolare esplicitazione dell'interesse dell’ estetica non come semplice articolazione del pensiero filosofico tout court.Ll'estetica diventa il cuore del pensiero heideggeriano e quindi anche il cuore della stessa filosofia.Naturalmente la filosofia da essere tempo presenta tutti gli elementi di una continuità e di una rottura nel cammino della stessa filosofia alla riscoperta dell’ Essere che come pensavano i greci “ amava nascondersi” nelle cose naturali ed artificiali.Nel pensiero si verificano “ rotture evolutive” non di tipo positivistico ma teoretica.La filosofia attraverso il recupero della lingua della “ poiesis” che ha conservato un suo rapporto emotivo e percettivo con la natura delle cose.Torna centrale il problema del linguaggio nella vita emotiva e conoscitiva dell’ homo sapiens sapiens. E allora c'è bisogno di una traduzione e comprensione esplicativa di questo saggio fondamentale che ci riporta alla scoperta del linguaggio non solo come mezzo sia nella poesia che nella filosofia , non piu’ “ sorelle nemiche” come pure aveva pensato Platone...ma “ sorelle diverse” con lo stesso compito di raccontare il viaggio emotivo e percettivo nelle cose della “ poiesis” e il viaggio conoscitivo e analitico delle cose nella “ sophia”. Il linguaggio diventa lo strumento fondamentale all’ in giù in poesia e all'insu’ in filosofia per riuscire a svelare quella che è la verità (aletheia) dell'essere e tirarla fuori dal suo nascondimento.La poesia in una verticalità che va al profondo delle cose naturali e materiali e della dello stesso uomo mentre la filosofia con il suo “Logos “che tutto cerca di rimettere in ordine secondo un ordine universale del cosmo che deve seguire necessariamente il passaggio 
dal kaos della realtà nel suo ordine naturale e formale.Il fine non ultimo ed escatologico di riscoprire quello che è l'essere nascosto nelle cose….che non è il “ motore immobile” aristotelico e neanche il “ deus dive natura” spinoziano una fenomenologica ricerca e svelamento di un “ essere che è e non può non essere” nel nostro viaggio in continuo divenire nel mondo….attraverso i chiari di bosco...la evidenziazione dei “segnavia” nei “ sentieri interrotti” e i momenti di pausa e di ripensamento “ nelle radure” del riposo e del piacere del vivere in comunione sacra con l'essere stesso.

martedì 4 dicembre 2018


CANTO NOTTURNO DI UN POETA ERRANTE
Ho sempre lo spavento,
il pensiero perenne che si muore.
Davvero altro non sento
se non questo tremore:
io vivo sulla punta del mio cuore.(F. Arminio)

di mauro orlando

La filosofia “sophia” da sempre è quella pratica di pensiero che tende alla “universalità”….come ispirazione,vocazione,missione…professione.La poesia “poiesis” è quella pratica di pensiero che ricerca i suoni, i colori, gli odori delle cose  che si sono perdute col tempo.  ”Dono dei vincoli “ la filosofia …nel senso che il “logos”  dall’inizio dei tempi produce vincoli, ha vocazione di ordinare il molteplice secondo “nomos-legge” e rapporti  “ethoi” indefinibili e provvisori  con il mondo delle cose e degli uomini . Il molteplice…”polloi-molti”….diversi o contrari…sente la necessità  di ritrovarsi in “un ordine” anche  a livello di percezioni, intuizioni, visioni, misteri con la “poiesis”. Gli atti percettivi non sono  atti del pensare solo estemporaneo , caotico, disordinato ,occasionale, provvisorio ma parti di strutture immanenti  della realtà stessa  non legati al caso  o all’occasione o al sentimento e alle passioni .Esse stesse  sono strutture particolari comunque di ordine noetico. La percezione ad esempio si presenta  comunque sotto  l’ “ordine” di versi , strofe, parole ispirate, particolari nella forma della “poesia”. Una esigenza “sintetica”  delle forme della sensibilità…”spazio e tempo” (Kant) di ordinarsi secondo forme apriori trascendentali non è solo una esigenza  di un ordine strutturato ,logico ed ontologico….comunque “a priori”. E’ una esigenza di “pensiero poetante” da non disperdere nelle nebulosità dei sogni e dei desideri. Noi apparteniamo  a questa tradizione del sentire, pensare ed  agire  che parte  dalle origini-archè  nella “sacra Grecia” alla ricerca  dell’”arkè panton” …principio di tutte le cose nel mondo delle sensibilità naturali   fino all’idealismo classico dell’ottocento  come fenomenologia scalata  della vetta invalicabile dello Siprito  assoluto  e  invalicata….come  inizio di discesa  e   del crollo  della “grande crisi” della filosofia  stessa stressata  nella sua presunzione ed  esigenza  di uno statuto metodologico, ontologico e metafisico. Una “crisi” non episodica…non evolutiva  e di crescita. La filosofia  e l’occidente  senza più “forza propulsiva” e capacità di pensare e soprattutto  vivere il mondo in tutte le sue complesse articolazioni tecniche e  retoriche. Non una “parentesi” come la definiva il Croce con una visione miope ingabbiata nel labirinto logico formale  del suo storicismo idealistico da fiato corto tutto italiano. Una rottura  nella filosofia dopo Hegel    si può rappresentare non “in commedia” con atteggiamenti scettici o relativistici ma in una vera  e propria “tragedia” dell’Occidente  tout court.. Neanche si può indulgere a richiamarsi all’  “idealismo eroico” o all’idealismo democrati co di De Sanctis in alternatica aquello conservatore di Croce .Dopo l’accentuazione della crisi  dopo la prima metà del “secolo breve” ma ricco di “fatti e misfatti” anche filosofici… “Nessun Dio ci può salvare” e si sente la necessità  di “naufragare esteticamente e dolcemente   in questo mare “.Dopo aver consumato  nelle ideologie totalitarie  tutte le esigenze di “speranze ed utopie” oggi ritorna il bisogno tutto nuovo   di un  “Mosè” che risalga con spirito concreto al monte Sinai non solo per contestare le forme del “sistema” come hanno fatto  Kirkegaard o Adorno  uno in cerca del “singolo” l’altro con l’assertivo “tutto è falso”.Una nuova forma di profetismo  per non finire nei “buchi neri”  dei pionieri del “nihilismo sistematico ” con un aiuto consapevole o non a far  avanzare  il deserto nella pratice e nel pensiero della vita stessa .E le soluzioni  non venivano neanche dallo scientismo positivista o il ritorno  nel caldo abbraccio dello storicismo. La filosofia dopo la sua “crisi epocale ” andava rifondata paradossalmente ancora  come “sistema” non più dottrinale, ideologico   ma sistema di vita che ritrova le sue essenze  e non si attarda sulle sue esistenze individuali depressive .Una fondazione come procedura  filosofica  indipendente da ogni presupposto o principio eteronomo  ma  con un “fondamento” autonomo , ritrovato in sé stessa .Un sapere  di essenze universali  che costituiscono il significato ideale  di tutti i fatti e le esperienze individuali, essenze che nascono  dagli atti e dai fatti, di percezioni individuali, intuitivamente evidenti, incontrovertibili nella loro esperienzialità. Una ”Evidenza” che non rinnega  ma che si sente orgogliosa di essere parte della famiglia classica  che va da Paltone a Cartesio. Ripartire quindi dalla “filosofia” stessa senza le semplificazioni,  e gli accomodamenti di un modernariato filosofico “prete a porter” .Una filosofia in pantofole, nei salotti buoni  con vestaglie di seta e un buon wiski. E una “riduzione” che non mette in dubbio o sospetta  della obbiettività naturale del mondo ma cessa di valere  come momento essenziale dello stesso pensiero. Una messa a tacere  non solo della “realtà esterna” ma anche  di tutto il variegato mondo della “realtà interiore”.Assieme: oggettivismo e psicologismo  come nuove forme  del “trascendente”  come “atto del pensare che va oltre ogni determinato ambito delle esperienze  individuali e comunitarie nella loro stessa immanenza. Come al solito un ossimoro può servire : “una trascendenza dell’immanenza”. Cioè la capacità di  ritrovare in un “io”…trascendentale la sua fenomenologia  come sapere  che nasce  solo dell’esperienza. Questa è la nuova forma di sapere che sappia riconiugare il trascendentale  di un “io” storicamente determinato  nelle possibili esperienze provvisorie della sua “vita activa” teoreticamente determinata.
Dalla “grande crisi” epocale  e non locale  si esce non solo costatando  la fine delle “filosofie determinate”  caratterizzate da suffisssi  dei “post e degli ismi”. Ritrovare un sapere  che scopre  i momenti della pura coscienza essenziale non superficiale  nella “intenzionalità activa” che non si rivolga alla “cosa o alle persone” per salvarle, ammirarle ed amarle  per lo loro bella  empiricità ma per riscoprire  il gusto eil senso  di  ritrovare la sua “eideticità”essenza…che ama  nascondersi nel profondo delle parole e della realtà naturale ed umana .Ritornare ad  un visione eidetica che è della “poiesis” attraverso le intuizioni  percettive  che scandaglia il profondo delle cose e degli uomini ..Una percezione  che non commette l’errore  del “logos”  di  tendere  al “compimento” della ontologia o delle metafisica …ma conservi come “fuoco vitale” il  compito infinito ed eterno  di “vedere” la cosa  secondo la sua essenza  (visione eidetica).Apertura ad uno sguardo e un campo visivo potenzialmente infinito ed eterno. Gli “eidai” che non si fanno “idee” da relegare in un “mondo” olterumano  ma che  si nascondono  nei buchi, nelle frane, nei dirupi, nei solchi, nelle crepe …della terra come forme essenziali di visioni che fondano tutte le ragioni di una esperienza .Un progresso infinito  e razionalmente ordinato del sapere  anche arreso ma che  si ripropone come opera di sistemazione del sapere stesso  in tutti campi fatto ad immagine ed uso dell’uomo stesso.  Una reazione non solo risposta alla epocalità della “crisi” che ci  obbliga nelle nostre esperienze sul campo ad una ripresa del senso autentico di “sophia” come curiosità e ricerca  con termini e parole radicale privi di ogni pallido sentore di compromesso al luogo comune popolare e inautentico . In medio non stat virtus ….l’intuizione, la percezione,la  visione di essenze…le riduzioni eidetiche  sono i segnavie del nuovo cammino. Un logos non avalutativo e neanche  creatore di gerarchie di valori che si trasformano in potere dell’uomo sull’uomo per capacità economiche e politiche .Essere però capacità di accettare, di vivere  e risolvere una “nuova contraddizione tra valori universali  e valori operativi  come “sfida cognitiva e politica” . Riportare “sophia” nel tumulto della vita in un nuovo ordine intellegibile di libertà con la sua “sorella….poièsis”. Costringere insomma  la filosofia a prendere in considerazione la filosofia stessa  come bellezza  e la poesia  a non farsi ingabbiare nelle forme piacevoli di un estetismo  volgare  del “non è bello ciò che è bello ma è bello ciò che piace”. “Il mondo-della-vita, scriveva Husserl in riferimento alla “crisi”,  che comprende in sé tutte le formazioni pratiche, è immerso nella costante evoluzione della relatività ed è in costante riferimento alla soggettività. Ma per quanto evolva e per quanto continuamente si rettifichi, esso mantiene la sua tipologia essenziale, a cui rimangono legate la vita e tutte le scienze, di cui essa è “terreno”. Perciò esso ha anche un’ontologia che deve essere attinta soltanto in una pura evidenza”. Difficile da capire nella sua essenzialità  ma ….vero.
“Sophia e poiesis” sorelle diverse sono insieme  e un cammino …viandanti  che non hanno destinazioni se non come  sapere  che è destinato a qualcuno, qualcuno a cui rivolgersi attraverso “i sentieri interrotti” accogliendo “i segnavie” come doni…e riposandosi nelle “radure “ delle comunità provvisorie per dialoghi di riconoscimento e di reciprocità. Il filosofo e il poeta  devono  forse venire dalle solitudini della montagna, ma poi devo scendere in pianura, a parlare fra la gente. Percepire, sentire , intuire in solitudine …pensare.. ideare e comunicare  in comune con la   destinazione che  in questo senso impone certamente degli obblighi: impone una presa di posizione che si precisa come un richiamo alla linearità di “sophia”  che deve infine prevalere sulle tortuosità e i tormenti del pensiero di “poiesi”, un richiamo al filo di Arianna il cui ricordo deve prevalere sull’apologia del labirinto.


lunedì 3 dicembre 2018

Capricorno : segno di terra.
di mauro orlando

Prendo spunto da un quadro della mia amica Monique Schumacher per delineare il mio segno zodiacale .

La questione di base è oggi per ‘il soggetto” che "sente e pensa" 
come abitare la terra.Come abitarla nel periodo dell'anno che è "l'inverno" quando la terra diventa il grembo caldo della vita che germoglierà in primavera...maturerà in estate e ....si riaddormenterà in autunnno.Nel mio percorso evolutivo del pensare .... l’analisi del “come”, della “terra” e delle “abitare” è stato quanto c’è di più interessante per impegnarsi in un lavoro anche teorico oltre che un approccio esistenziale, eticopratico o politico-activo . Riguardo all’“abitare” bisogna riconoscere un debito con la teorizzazione di Heidegger al riguardo, al punto che la questione diventa quella di leggere Heidegger con occhi meno condizionati e preconcetti. La radice di abitare è quella del verbo avere. Avere la terra. Possedere la terra. Dominare la terra. Padroneggiare la terra. Controllare la terra. Tenere la terra. Prendere la terra. Occupare la terra. Appropriarsi della terra. Ognuno s’accorge di questo. Di fatto bisogna riconoscere che l’ordine sociale e culturale espelle la natura in cui esso originariamente si è costituito. Tale trionfo dell’artificio e della tecnica coincide con il dominio quasi assoluto dell’intelligenza meccanizzata sugli enti intramondani? O questo trionfo è dovuto anche alla delega che la filosofia o il pensiero in generale ha concesso alla tecnica,fino al punto paradossale e tragico di nascondere la mano dell’uomo che ha trasformato i forni da pane in forni crematori degli umani? La filosofia e il pensiero umano hanno ancora il compito precipuo di espandersi nel tempo e nello spazio che agiscono sulla terra?Per parlare di una formulazione alta e profondo sulla “terra” dobbiamo parlare di Heidegger e Schmitt....due autori a loro modo reazionari del "secolo breve" dei totilitarismi ideologici.La lingua della "sophia" a rimorchio al "logos" che tutto ordina ha risciato di perdersi "la terra".La lingua della "poiesis" con la sua necessità di "sentire" le cose che nomina , usa del pensiero poetante gli strumenti della lingua coniugati assieme quelli della passione.Perchè come ricorda la poetessa Marina Cveteva, “ Il pensiero è una freccia. Il sentimento –un cerchio”. Bisogna ,quindi, riprendere il cammino dal pensiero di Heidegger, integrandolo con la nostra esperienza dell’abitare, che arricchisce di nuove considerazioni e di un nuovo modo di pensare e fare . Riprendersi il senso di una "vita activa" che sappia utilizzare al meglio “una critica severa della condizione in cui si trova lo svolgimento della nostra esistenza”evidenziando che non si tratta di tornare al passato mitico o edenico, ma di pensare,vedere e vivere il presente eil futuro naturale in modo concreto ecerativo assieme.”. Il luogo dell’essere umano nella sua essenza e nel suo “esserci” gettato nel mondo. Un essere circolare e non lineare che può saziarsi di abitare la terra poeticamente. Dunque, per un uomo di terra... l’humus dell’umano esistere risiede in uno stadio di primigenia purezza, che è colto soprattutto in modo poetico.Ma con una dimensione dell'essere temporale dell'uomo dove il concetto dell'abitare e anche del vivere il mondo diventa un'interrogazione sul senso del nostro esistere, e quindi implicitamente del nostro fare, all'interno delle strutture materiali che hanno costituito e costituiscono il mondo degli uomini. E allora come ci suggerisce Heidegger :" Noi abitiamo poeticamente la terra ? Probabilmente noi abitiamo in un modo completamente impoetico" . E allora "l'uomo di terra" ricomincia dal riprendersi l’esistenza.. "L'esistenza dell'uomo- egli scrive- è un ex-sistere, cioè un trascendere che oltrepassa ciò che si è, in direzione di qualcosa che non è già reale, ma è possibilità pura e quindi novità radicale".Un vivere autenticamente come una "progettualità".Un viaggio nel mondo dove l’esistenza viene decifrata a partire dal suo passato, ma nellestesso tempo è una freccia lanciata all’avvenire… L’idea della vita come proiezione-in-avanti e come progetto, potrebbe rappresentare un’opportunità di crescita naturale per l’uomo sopratutto inserito nel ciclo naturali contrasegnato dalle stagioni . L'uomo del "capricorno" è l'uomo dell'inverno che prepare la primavera ...l'estate ...l'autunno e...torna a proteggere la vita dal ferddo e il gelo nel caldo ventre
della terra .....

venerdì 30 novembre 2018

....a bruno e dora...
preghiera da lontano....



Poserò la testa
su una spalla qualsiasi 
da lontano 
per piangere 
lacrime invecchiate
di affetto familiare 
e stima personale 
e farò
un sogno da vecchio
viandante sereno
da sempre in cammino 
dai boschi di Corico
ai giardini di Colono... 
oggi piango 
lontano dagli affetti 
e....
penserò a domani 
all’ultimo saluto
degli amici di sempre..
silenzio di rispetto.... 
“Perché io sogno là,
sogno nelle parole
che non hanno confini,
non hanno età,
nelle parole che
non risolvono il giorno,
ma l’eternità”
….un fuoco di legna
si è spento
nella casa dell’attesa
con sovranità assoluta
di orgoglioso rispetto
del lavoro ... 
una famiglia
cuccioli tristi 
lacrime strozzate 
a conservare cenere e braci
del buon pastore 
all’ultima transumanza 
della vita umana e divina ….
….un angelo custode 
che vola
da sempre 
per l’aria di casa 
e nei sogni ….
l’incontro 
desiderio curato
ogni giorno
Chi sarà a raccontare?
“quei due che insieme vanno
E paion sì al vento esser leggeri”
Chi sarà?
Sarà chi rimane....
io seguirò 
questo migrare
con spirito e sostanza di sogni 
seguirò
questa corrente di ali
che si incrociano 
si abbracciano 
si baciano 
con l’amore discreto 
come una volta 
da qualche parte
nei cieli luminosi 
dei nostri desideri
tra dolori e letizie 
di nuove eternità…

mauro orlando

lunedì 19 novembre 2018

.....di mauro orlando


....la lingua della " poiesis" e la lingua della " sophia" sono lingue " sorelle" che amano la " aletheia-verità" come lo " svelamento" del bello che è negli uomini, nella natura, nelle cose..a differenza della idea di Platone che voleva espellere dalla " polis" i poeti perchè corruttori dei giovani da educare al " logos" sovrano assoluto...e allora solo " il pensiero poetante o la poesia pensante " può.recuerare la capacità percettiva-conoscitiva di cercare ...trovare e vivere...

.l' anima o il genius loci dei " piccoli paesi" e la capacità conoscitiva ed emotiva di scoprire e alimentare la " intimità" del fluire puro e comunitario del ruscello e limitare la " distanza" immunitaria di pozzanghere stagnanti ed autoreferenziali.Sentimento, passione , percezioni, idee come " eidein-visioni" per una economia che recuperi il suo cuore emotivo e utopico come " oikos nomos" ordine felice del vivere in comune.....con " eudaimonia- felicità" che è ordine dei "daimon" individuale e comunitario che " dilata l' anima" di un paese....arieggiando .aprendo case non rinchiudendosi nel privato ammorbante e immunitario delle grandi metropoli della " modernità incivile" a " contrazione emotiva



Comunità ruscello contro comunità pozzanghera
Bisogna partire dalle percezioni più che dalle opinioni. Ci vogliono risorse e ci vogliono visioni: intimità e distanza, scrupolo e utopia. Le aree interne, le terre alte dell’Italia non sono luoghi minori, sono luoghi enormi. E solo una clamorosa miopia geografica porta a renderle invisibili pur essendo il cuore della nazione.
Occorre aprire porte che non ci sono, esercitarsi nell’impensato, essere rivoluzionari se si vuole riformare anche pochissimo. I paesi non moriranno, anche grazie ai loro difetti, grazie al loro essere luoghi che tutelano le malattie di chi li abita. In paese si fallisce, ma in un certo senso non si fallisce mai perché si fallisce a oltranza. È come dormire sempre nelle stesse lenzuola. Arieggiare il paese portando gente nuova: il paese deve tenere assieme nativi e residenti provvisori. Questo produce una dinamica emotiva ed anche economica. E la dinamica è sempre contraria allo spopolamento: bisogna agitare le acque, ci vuole una comunità ruscello e non una comunità pozzanghera.
Bisognava aprire emotivamente i paesi, dilatare la loro anima e invece la modernità incivile degli ultimi decenni li ha aperti solo dal punto di vista urbanistico: si sono sparpagliati nel paesaggio, a imitazione della città, ma è rimasta la contrazione emotiva. Il paese va aperto tenendolo raccolto. Lo sviluppo locale si fa ridando al paese una sua forma, ricomponendolo, rimettendolo nel suo centro. Lo sviluppo lo può fare chi attraversa il paese con affetto, non chi ci vive dentro come se fosse una cisti, un cancro.

giovedì 1 novembre 2018




"……E subito riprende
il viaggio
come
dopo il naufragio
un superstite
lupo di mare"



…una sorta di racconto “sulle orme di Ulisse” dopo il suo ritorno ad Itaca.Non c’ è una guerra di Troia da esibire e neanche una lunga e imprevista odissea da raccontare .Solo la vita di un “capitano” in disarmo che vive con ironia e distacco il suo ruolo in commedia non alla ricerca di una nicchia nella Storia  ma un protagonismo delle piccole storie  che gli fanno compagnia nella solitudine,la nostalgia e il ricordo. Personaggi non solo di contorno ma essenziali ad un racconto  polifonico con il gallerista ipergrescaino e il portiere inconsapevole di un proprio destino con la morte in modo lieve e non tragico e il nodo di tutta la vicenda raccontata  nella epifania di un ricordo non consumato di una amore adolescenziale  per dare vita e senso alla sua contemporaneità  a rischio di sciatteria,cinismo e banalità. cercare il mare aperto  senza cercare ansioso o timoroso il porto e senza immiserire la vita nel timore di perderla o riacchiapparla dalle sue radici…
la lingua non solo per dire le cose ma la lingua della vita conciliante ed insolvente,provvisoria e infinita …profonda e superficiale
un viaggiare  come  occasione di partire sapendo che poi la nostalgia dei luoghi dell’infanzia e i ritorni mai definitivi per non farsi schiavi di se stessi per proprio amore…. Nella fuga  per non morire  o vivere,essere e stare fermi..
Ulisse e Giasone odissea e argonautica viaggio in circolo per un nostos verso una donna….viaggi non dell’oblio ma del ricordo della nostalgia …di un ‘nostos’ incancellabile  e profondo….
Una lingua senza spigoli   ..linguaggio,forme espressive,scelte tematiche occasioni  poetiche particolari… mai una maniera che si gioca tra la sociologia e lo stile …sempre letteratura come vita vissuta o pensata…una personale esposizione creativa…le parole non hanno mai un suono equivoco o accattivante esilio nomadismo,viaggio mai con suoni eqivoci ammaiccanti ma insieme facile e ambizioso,intelliegente e ingenuo,soffrente e baldanzoso….un esilo con il vento in poppa  ma sempre conservando un sguardo dalla terra ferma…una frequenza mai insistente e ricercata ai richiami culturali ,come se tutto nascesse da spunti e occasioni letterarie,figurative o musicali o a queste fanno da pretesto i suoi autori preferiti o amati….Rilke…….
Non corre però mai il rischio di intellettualizzare il tutto nei suoi racconti più evocativi che espressivi ma che nascono da una ,pensata ecostruita nel tempo, educazione del proprio sguardo, sempre come puri eespresioni dell’intelligenza particolare e profonda, ogni piccola inchieta è esempre  sul senso dell’accadimento,del paesaggio, di persone e oggetti, di un ricordo o di una passione conservata nella integrità e nei risvolti della propria anima inquieta nella curiosità.
La realtà, le persone ,le cose ,i fatti sono sempre posti se non come questione prima ed ultima dei loro significanti…come una sorta di punto di incontro o appuntamento del destino tra una situazione esistenziale determinata e un desiderio di conoscenza unificante mai assoluta ,metafisica…teologica.
Il rapporto tra l’unoe il molteplice,tra fissità e divenire,tra estraneità e partecipazione,tra lo sgaurado,le cose e gli uomini
Non c’è mai irenismo,voltarimo o enfasi nel suo raccontare  più le anime che le persone o le cose per un ricerca astratta di comunione con il mondo intero ma con le singole persone eo cose o luoghi dell’anaima
Parlerei per i suo lingaiaggio più del monta liana “occasione spienta” piuttosto che nell’epifania del loro significato e le sue parole mai solo descrittive si riempoino di senso  e musicalità  quanto più si diciarono le loro inadeguatezze,inadempienze,insufficienze in una sorta di ironia e ditacco metafisico ,religioso mai teologico…
Ci sono parole che riflettono pensieri speculazioni religiose, altre che evocano suono e sensazioni ritmiche e melodiche altre che ingrado di unire una sorta di misticismo terreno,dimensioni e vocazioni teatrali,ricordi evocati evissuti, affetti familiari e territoriali…in una presenza  nel quotidiano di persone vissute,paesaggi probabili percepiti come desiderio o anelito coltivato nella memoria con personale selezione.

mercoledì 31 ottobre 2018

Paesologia e.....foliage:vagabondare in autunno.
Vagabondare, viaggiare ,camminare non solo come scoperta della caducità , la lentezza, il silenzio ma come riscoperta degli …..sguardi, sentimenti, pensieri e le grandi tematiche interiori in una contrapposizione compassionevole rispetto all’andamento della nostra società “incivile” ( D. Demetrio, Foliage, Vagabondare in autunno, Raffaele Cortina Editore.). Inseguire le stagioni , frugare tra gli alberi le manifestazioni del bello , godere dei chiari di bosco, attenua i timori, le paure dell’inverno antropologico che incombe. Girovagare in autunno nei boschi, in pianura, in montagna, sulle colline, offre momenti di grande bellezza e consolazione. Oggi c’è qualcuno che ci invita a vagabondare alla ricerca del trascolorare delle foglie in sfumature pregne di solarità, ad ammirarle concedendosi tempo. Ben venga e sicuramente è un nostro amico e compagno di viaggio ! Il mutamento della natura può diventare stile di vita, arte della contemplazione e dell’attesa; il tema della fugacità essere inteso non come fonte di tristezza ma come rinnovato desiderio di vita. Insomma anche un viaggio alla scoperta della luce, nei chiari di bosco, nei deserti sfumati delle dune ,tra i bagliori autunnali che emanano armonia e lentezza possono aiutare a riprendere i l filo di Arianna della nostra vita singola . L’incontro con la nostra interiorità, l’esplorazione di un territorio spesso sconosciuto, un appuntamento non con la decadenza, come si ritiene da più parti e da secoli, ma con la crescita, con la fioritura, con la ricchezza. Non è vero, caro Ungaretti, che si debba stare sempre come in guerra, come i soldati, come d’autunno sugli alberi le foglie. La vita è certo anche guerra, ma il tratto malinconico di una stagione che sembra accompagnare gli umani verso il gelo invernale, verso il finale di partita, può collegarci con l’essenza vera dell’esistere, dell'esserci, del vivere. È con l’autunno, con le sue tinte tenui, che possiamo cogliere il segreto della vita, la ricchezza della vita. Al freddo glaciale dell’inverno, al caldo torrido dell’estate, alle eccitazioni inebrianti della primavera, senza opporre, la misura dell’autunno, ne fa la stagione del suo cuore, il preludio di straordinarie accensioni . Oltre l’estetica letteraria che ha consumato questo sentimento poetico in “spiritualità decadente”, che pure predisponeva a un desiderio di sensate “accensioni”, la riscoperta di un bel paesaggio autunnale, con i suoi colori e profumi, predisponeva al silenzio e al raccoglimento ,al acontrollo dei “demoni interiori” e alla “cura di sé” degli antichi virgiliani. “L’autunno – scrive Angelo Casati- è un tempo di metamorfosi sublimi e incantamenti, di distacchi e di ritorni, di abbandoni e di rinascite. L’autunno è un’irruzione della natura che pare consolare la terra per ciò che le accadrà. Non fine, non morte senza appello: ma passaggi e transizioni nei quali è possibile intuire – oltrepassando l’inverno – i presagi della primavera, che – un altro paradosso – ha molti punti di contatto con il tempo degli addii. L’autunno è un non-tempo da amare: perché è la parentesi più propensa a insegnarci i piaceri della solitudine appagante, le beatitudini del silenzio, le euforie dell’intimità. In tali doti e doni, da accettare con gratitudine, si nascondono la sua grandezza e il suo misconosciuto carattere sapienziale”. La “paesologia” …un “sapere arreso ma vivo ed activo” da parte sua cerca di andare “oltre” e si pone la stessa esigenza come esperienza esistenziale ma anche “politica” nel senso di riproporre una sensibilità recuperata alla osservazione ma anche all’azione, non intimista e immunitaria, ma altruista ,comunitaria, attiva e creativa di vita.Poeti soprattutto ma filosofi per rivoltare la realtà e farne riemergere la loro anima velata. Operazione teoretica ed esistenziale che parte dalla “vita nascosta” dei “piccoli paesi” degli appennini abbandonati dalla “modernità” col privilegio delle coste e delle metropoli come “ non luoghi” della inautenticità della vita e del pensiero.Uno stile di vita e di pensiero non come “sospensione del tempo” ma come un risentire “il tempo immobile” dentro di noi per vivere meglio anche “il tempo mobile” fuori di noi.Nessun “autunno della sospensione”, né “l’inverno dello scontento”. Vita …”cruda e vera vita” conservata nella solitudine e nel silenzio dei “piccoli paesi” ….“è silenzio autunnale ritrovato - scrive Adrana Zarri -concentrazione densa, solitudine calda, meditazione, preghiera […]. Il sapore è quello della maturità. Non qualcosa di stanco e marcescente, ma di compiuto […]. È tempo di raccolta, ma di una seminagione lontana; ed è tempo di semina per un lontano raccolto”. Recuperare il ritmo reale del tempo, il senso concreto dello spazio che si fa paesaggio,la profondità delle parole organizzate nel linguaggio in questi luoghi persi nelle nebbie della memoria non del ricordo ed abbandonati dalle insensatezze dello sviluppo senza progresso.Lasciare la pigrizia a rincorrere la “poesia scritta” dei Bertolucci, Cappello, Pontiggia, Lamarque e insieme a Hölderlin, Leopardi, Quasimodo, Ovidio, Rilke, nostri compagni di un eterno viaggiare, di un eterno vagabondare, tra nostalgia (ah, Nostalgia, storia di un sentimento, di Antonio Prete!) e senso della finitudine, tra caducità e possibile riscatto. E nuovo inizio nel cuore e nella mente .E camminare , viaggiare, incontrare i paesi e il silenzio dei vecchi delle panchine che parlano coi cani randagi e scrivere “nuove poesie” con parole calde, tristi, luminose e armoniose che non hanno persa “l’anima” nello “tzsunami” delle parole della mondializzazione economica.La “paesologia ci indica di riprendere un cammino, “i sentieri interrotti e i segnavie”, e abbandonare le vecchie affollate strade della “modernità incivile”. Un nuovo sapere come “cura di sé e degli altri” e come una “disposizione del cuore ” e una nuova “postura del corpo” nei “luoghi dell’anima” per esperienze inattese di sentirsi meno soli nell’incontro dell’altro.Non una filosofia di vita ma la vita nel mondo con la poesia e anche la filosofia.

martedì 30 ottobre 2018



…la tragedia di Tiresia

….E’ da sei mesi che non ascolto i  telegiornali  e meno che meno le trasmissioni di approfondimenti politici di tutte le tv nazionali. Una disintossicazione necessaria e utile anche se pericolosa per la democrazia. Viviamo un tempo dell’improvvisazione  e del pressapochismo politico e informativo e non era questo che nelle nostre passate esperienze  avevamo immaginato .Ma più grave  è la “involuzione antropologica” che si è metastatizzata nell’intera società. Siamo noi a non capire o sono gli altri a non spiegare e forse ad improvvisare essi stessi ? A livello conoscitivo e di ricerca avevamo immaginato scenari complessi ma comunque governabili  dalla “politica”  oltre “lo stato pura  di natura” hobbesiana senza cambio di “sovranità e rappresentanza”. Oggi viviamo  in modo nebuloso un mondo sociale  in cui  i corpi si  materializzano  nelle  piazze  e nelle strade  in modo occasionale e provvisorio.Parlo di corpo e non di mente  perché tutto sembra  inconsapevole  e irriflessivo. Si partecipa senza decisioni autonome e senza domande o pretese. La  convocazione  avviene in modo occasionale  e temporaneo  attraverso quella realtà dematerializzata che è la Rete, dove lo spazio è  abolito, il tempo reso istantaneo e le persone fanno la loro comparsa con la vicaria complicità di quel loro sosia che è l´alter ego digitale. Certo c´è una bella discontinuità tra l´agorà antica, dove le parole erano accompagnate dai gesti, i gesti dagli sguardi, e gli sguardi, tradendo le intenzioni, potevano smascherare il mai risolto gioco tra menzogna e verità. Una bella differenza anche dalle grandi “manifestazioni di massa”  degli anni 70/80. Ma se guardiamo le cose più da vicino questa discontinuità si riduce, se è vero che il modo occidentale di pensare, nelle sue espressioni matematiche e filosofiche, ha preso avvio proprio dal rifiuto della percezione sensibile rispetto al pensiero logico .La “res cogitans e la res extensa” cartesiana  aveva portato all’illuminismo e alla grande rivoluzione francese.Il Novecento   poi ha cercato di “destrutturare” il tutto  ha subito  l’esperienze  di due rivoluzioni totalitarie .La seconda metà del 900  con la democrazia restaurata si è inaugurato  quel pensiero immateriale che trova la sua articolazione nei costrutti della mente, che consentono di approdare a quella realtà considerata perfetta, perché liberata dai limiti della materia. Non a caso, scriveva  Platone: «Ci avvicineremo tanto più al sapere quanto meno avremo relazioni col corpo». E 2000 anni dopo, Cartesio, inaugurando il metodo scientifico, scriveva: “Dato che i sensi a volte ci ingannano, volli supporre che nessuna cosa fosse tal quale i sensi ce la fanno percepire, perché non conosciamo i corpi per il fatto che li vediamo o li tocchiamo, ma per il fatto che li concepiamo per mezzo del pensiero”.Se questa è la tradizione del pensiero occidentale, che ha preso avvio nell´agorà greca dove si insegnava a prescindere dai limiti della materia, quindi dai corpi e dai sensi, c´è perfetta continuità tra l´iperuranio platonico, l´astrazione matematica, il cogito cartesiano e la realtà virtuale, capace di dare, nella comunicazione dematerializzata, l´effetto della realtà materiale senza i condizionamenti della materia. La diffusione del telelavoro, la cibernetica come pensiero, l´osservazione di realtà altrimenti inosservabili proprie della biologia molecolare e della genetica, fino al sesso virtuale con partner virtuali, o l´ideazione di una “second life” rispetto a quella insoddisfacente che ci capita di vivere hanno fatto dell´agorà virtuale qualcosa di più potente e di non meno reale dell´antica agorà materiale. Ma ciò che è davvero sorprendente è che l´agorà virtuale trae spunto proprio dal tipo di pensiero che nell´antica agorà greca è stato inaugurato come paradosso e con altri fini . Protagonisti della società virtuale sono i giovani, che nella società reale nessuno convocava , nessuno chiamava  per nome. Trascurati dal mondo adulto, essi hanno carsicamente  inaugurato  piazze dove si incontravano, e dove il mondo adulto, che li ha esclusi, con qualche difficoltà ha avuto ed ha possibilità di  accesso. Il loro comunicare, chiamarsi e convocarsi per via telematica ha segnalato  una modalità di socializzazione e di scambi relazionali non ancora abbastanza considerato dal mondo adulto, che sotto questo profilo appare arcaico, sordo e cieco. E in questa segnalazione sembra ci sia   la configurazione del futuro, che solo chi è giovane è in grado di progettare e sognare. Nella proiezione del futuro ci sono i segni del cambiamento e noi non riusciamo non solo ad intercettare ma a capire o contrastare . Si tratta di un cambiamento che è radicale perché avviene in un linguaggio, quello virtuale, che un potere troppo vecchio nelle sue abitudini mentali e nei suoi schemi percettivi non solo fatica a capire, ma neppure ne scorge la forza e la potenza. Perché è potenza comunicare senza i limiti dello spazio, senza le attese del tempo, senza la grevità dei corpi, senza l´ingombro della materia. E proprio qui può nascere quello spiraglio di speranza che giustamente i vecchi saggi  preventivavano per i giovani non nella concessione  generosa del mondo adulto. Il futuro i giovani non lo hanno atteso o  lo attendono più dagli adulti. Con la loro piazza virtuale semplicemente se lo sono preso….per farne cosa  non ancora lo sanno ma sicuramente non per accontentare o ingraziarsi  gli adulti.
Tiresia