mercoledì 31 ottobre 2018

Paesologia e.....foliage:vagabondare in autunno.
Vagabondare, viaggiare ,camminare non solo come scoperta della caducità , la lentezza, il silenzio ma come riscoperta degli …..sguardi, sentimenti, pensieri e le grandi tematiche interiori in una contrapposizione compassionevole rispetto all’andamento della nostra società “incivile” ( D. Demetrio, Foliage, Vagabondare in autunno, Raffaele Cortina Editore.). Inseguire le stagioni , frugare tra gli alberi le manifestazioni del bello , godere dei chiari di bosco, attenua i timori, le paure dell’inverno antropologico che incombe. Girovagare in autunno nei boschi, in pianura, in montagna, sulle colline, offre momenti di grande bellezza e consolazione. Oggi c’è qualcuno che ci invita a vagabondare alla ricerca del trascolorare delle foglie in sfumature pregne di solarità, ad ammirarle concedendosi tempo. Ben venga e sicuramente è un nostro amico e compagno di viaggio ! Il mutamento della natura può diventare stile di vita, arte della contemplazione e dell’attesa; il tema della fugacità essere inteso non come fonte di tristezza ma come rinnovato desiderio di vita. Insomma anche un viaggio alla scoperta della luce, nei chiari di bosco, nei deserti sfumati delle dune ,tra i bagliori autunnali che emanano armonia e lentezza possono aiutare a riprendere i l filo di Arianna della nostra vita singola . L’incontro con la nostra interiorità, l’esplorazione di un territorio spesso sconosciuto, un appuntamento non con la decadenza, come si ritiene da più parti e da secoli, ma con la crescita, con la fioritura, con la ricchezza. Non è vero, caro Ungaretti, che si debba stare sempre come in guerra, come i soldati, come d’autunno sugli alberi le foglie. La vita è certo anche guerra, ma il tratto malinconico di una stagione che sembra accompagnare gli umani verso il gelo invernale, verso il finale di partita, può collegarci con l’essenza vera dell’esistere, dell'esserci, del vivere. È con l’autunno, con le sue tinte tenui, che possiamo cogliere il segreto della vita, la ricchezza della vita. Al freddo glaciale dell’inverno, al caldo torrido dell’estate, alle eccitazioni inebrianti della primavera, senza opporre, la misura dell’autunno, ne fa la stagione del suo cuore, il preludio di straordinarie accensioni . Oltre l’estetica letteraria che ha consumato questo sentimento poetico in “spiritualità decadente”, che pure predisponeva a un desiderio di sensate “accensioni”, la riscoperta di un bel paesaggio autunnale, con i suoi colori e profumi, predisponeva al silenzio e al raccoglimento ,al acontrollo dei “demoni interiori” e alla “cura di sé” degli antichi virgiliani. “L’autunno – scrive Angelo Casati- è un tempo di metamorfosi sublimi e incantamenti, di distacchi e di ritorni, di abbandoni e di rinascite. L’autunno è un’irruzione della natura che pare consolare la terra per ciò che le accadrà. Non fine, non morte senza appello: ma passaggi e transizioni nei quali è possibile intuire – oltrepassando l’inverno – i presagi della primavera, che – un altro paradosso – ha molti punti di contatto con il tempo degli addii. L’autunno è un non-tempo da amare: perché è la parentesi più propensa a insegnarci i piaceri della solitudine appagante, le beatitudini del silenzio, le euforie dell’intimità. In tali doti e doni, da accettare con gratitudine, si nascondono la sua grandezza e il suo misconosciuto carattere sapienziale”. La “paesologia” …un “sapere arreso ma vivo ed activo” da parte sua cerca di andare “oltre” e si pone la stessa esigenza come esperienza esistenziale ma anche “politica” nel senso di riproporre una sensibilità recuperata alla osservazione ma anche all’azione, non intimista e immunitaria, ma altruista ,comunitaria, attiva e creativa di vita.Poeti soprattutto ma filosofi per rivoltare la realtà e farne riemergere la loro anima velata. Operazione teoretica ed esistenziale che parte dalla “vita nascosta” dei “piccoli paesi” degli appennini abbandonati dalla “modernità” col privilegio delle coste e delle metropoli come “ non luoghi” della inautenticità della vita e del pensiero.Uno stile di vita e di pensiero non come “sospensione del tempo” ma come un risentire “il tempo immobile” dentro di noi per vivere meglio anche “il tempo mobile” fuori di noi.Nessun “autunno della sospensione”, né “l’inverno dello scontento”. Vita …”cruda e vera vita” conservata nella solitudine e nel silenzio dei “piccoli paesi” ….“è silenzio autunnale ritrovato - scrive Adrana Zarri -concentrazione densa, solitudine calda, meditazione, preghiera […]. Il sapore è quello della maturità. Non qualcosa di stanco e marcescente, ma di compiuto […]. È tempo di raccolta, ma di una seminagione lontana; ed è tempo di semina per un lontano raccolto”. Recuperare il ritmo reale del tempo, il senso concreto dello spazio che si fa paesaggio,la profondità delle parole organizzate nel linguaggio in questi luoghi persi nelle nebbie della memoria non del ricordo ed abbandonati dalle insensatezze dello sviluppo senza progresso.Lasciare la pigrizia a rincorrere la “poesia scritta” dei Bertolucci, Cappello, Pontiggia, Lamarque e insieme a Hölderlin, Leopardi, Quasimodo, Ovidio, Rilke, nostri compagni di un eterno viaggiare, di un eterno vagabondare, tra nostalgia (ah, Nostalgia, storia di un sentimento, di Antonio Prete!) e senso della finitudine, tra caducità e possibile riscatto. E nuovo inizio nel cuore e nella mente .E camminare , viaggiare, incontrare i paesi e il silenzio dei vecchi delle panchine che parlano coi cani randagi e scrivere “nuove poesie” con parole calde, tristi, luminose e armoniose che non hanno persa “l’anima” nello “tzsunami” delle parole della mondializzazione economica.La “paesologia ci indica di riprendere un cammino, “i sentieri interrotti e i segnavie”, e abbandonare le vecchie affollate strade della “modernità incivile”. Un nuovo sapere come “cura di sé e degli altri” e come una “disposizione del cuore ” e una nuova “postura del corpo” nei “luoghi dell’anima” per esperienze inattese di sentirsi meno soli nell’incontro dell’altro.Non una filosofia di vita ma la vita nel mondo con la poesia e anche la filosofia.

martedì 30 ottobre 2018



…la tragedia di Tiresia

….E’ da sei mesi che non ascolto i  telegiornali  e meno che meno le trasmissioni di approfondimenti politici di tutte le tv nazionali. Una disintossicazione necessaria e utile anche se pericolosa per la democrazia. Viviamo un tempo dell’improvvisazione  e del pressapochismo politico e informativo e non era questo che nelle nostre passate esperienze  avevamo immaginato .Ma più grave  è la “involuzione antropologica” che si è metastatizzata nell’intera società. Siamo noi a non capire o sono gli altri a non spiegare e forse ad improvvisare essi stessi ? A livello conoscitivo e di ricerca avevamo immaginato scenari complessi ma comunque governabili  dalla “politica”  oltre “lo stato pura  di natura” hobbesiana senza cambio di “sovranità e rappresentanza”. Oggi viviamo  in modo nebuloso un mondo sociale  in cui  i corpi si  materializzano  nelle  piazze  e nelle strade  in modo occasionale e provvisorio.Parlo di corpo e non di mente  perché tutto sembra  inconsapevole  e irriflessivo. Si partecipa senza decisioni autonome e senza domande o pretese. La  convocazione  avviene in modo occasionale  e temporaneo  attraverso quella realtà dematerializzata che è la Rete, dove lo spazio è  abolito, il tempo reso istantaneo e le persone fanno la loro comparsa con la vicaria complicità di quel loro sosia che è l´alter ego digitale. Certo c´è una bella discontinuità tra l´agorà antica, dove le parole erano accompagnate dai gesti, i gesti dagli sguardi, e gli sguardi, tradendo le intenzioni, potevano smascherare il mai risolto gioco tra menzogna e verità. Una bella differenza anche dalle grandi “manifestazioni di massa”  degli anni 70/80. Ma se guardiamo le cose più da vicino questa discontinuità si riduce, se è vero che il modo occidentale di pensare, nelle sue espressioni matematiche e filosofiche, ha preso avvio proprio dal rifiuto della percezione sensibile rispetto al pensiero logico .La “res cogitans e la res extensa” cartesiana  aveva portato all’illuminismo e alla grande rivoluzione francese.Il Novecento   poi ha cercato di “destrutturare” il tutto  ha subito  l’esperienze  di due rivoluzioni totalitarie .La seconda metà del 900  con la democrazia restaurata si è inaugurato  quel pensiero immateriale che trova la sua articolazione nei costrutti della mente, che consentono di approdare a quella realtà considerata perfetta, perché liberata dai limiti della materia. Non a caso, scriveva  Platone: «Ci avvicineremo tanto più al sapere quanto meno avremo relazioni col corpo». E 2000 anni dopo, Cartesio, inaugurando il metodo scientifico, scriveva: “Dato che i sensi a volte ci ingannano, volli supporre che nessuna cosa fosse tal quale i sensi ce la fanno percepire, perché non conosciamo i corpi per il fatto che li vediamo o li tocchiamo, ma per il fatto che li concepiamo per mezzo del pensiero”.Se questa è la tradizione del pensiero occidentale, che ha preso avvio nell´agorà greca dove si insegnava a prescindere dai limiti della materia, quindi dai corpi e dai sensi, c´è perfetta continuità tra l´iperuranio platonico, l´astrazione matematica, il cogito cartesiano e la realtà virtuale, capace di dare, nella comunicazione dematerializzata, l´effetto della realtà materiale senza i condizionamenti della materia. La diffusione del telelavoro, la cibernetica come pensiero, l´osservazione di realtà altrimenti inosservabili proprie della biologia molecolare e della genetica, fino al sesso virtuale con partner virtuali, o l´ideazione di una “second life” rispetto a quella insoddisfacente che ci capita di vivere hanno fatto dell´agorà virtuale qualcosa di più potente e di non meno reale dell´antica agorà materiale. Ma ciò che è davvero sorprendente è che l´agorà virtuale trae spunto proprio dal tipo di pensiero che nell´antica agorà greca è stato inaugurato come paradosso e con altri fini . Protagonisti della società virtuale sono i giovani, che nella società reale nessuno convocava , nessuno chiamava  per nome. Trascurati dal mondo adulto, essi hanno carsicamente  inaugurato  piazze dove si incontravano, e dove il mondo adulto, che li ha esclusi, con qualche difficoltà ha avuto ed ha possibilità di  accesso. Il loro comunicare, chiamarsi e convocarsi per via telematica ha segnalato  una modalità di socializzazione e di scambi relazionali non ancora abbastanza considerato dal mondo adulto, che sotto questo profilo appare arcaico, sordo e cieco. E in questa segnalazione sembra ci sia   la configurazione del futuro, che solo chi è giovane è in grado di progettare e sognare. Nella proiezione del futuro ci sono i segni del cambiamento e noi non riusciamo non solo ad intercettare ma a capire o contrastare . Si tratta di un cambiamento che è radicale perché avviene in un linguaggio, quello virtuale, che un potere troppo vecchio nelle sue abitudini mentali e nei suoi schemi percettivi non solo fatica a capire, ma neppure ne scorge la forza e la potenza. Perché è potenza comunicare senza i limiti dello spazio, senza le attese del tempo, senza la grevità dei corpi, senza l´ingombro della materia. E proprio qui può nascere quello spiraglio di speranza che giustamente i vecchi saggi  preventivavano per i giovani non nella concessione  generosa del mondo adulto. Il futuro i giovani non lo hanno atteso o  lo attendono più dagli adulti. Con la loro piazza virtuale semplicemente se lo sono preso….per farne cosa  non ancora lo sanno ma sicuramente non per accontentare o ingraziarsi  gli adulti.
Tiresia

lunedì 22 ottobre 2018

La "decadence" di un colwn!
Quando gli occhi di un clown( nascosti dietro occhialoni neri) riescono, sfuggendo alle più immediate associazioni mentali ed emotive , ad abbattere l’immagine ironica e satirica del suo volto umano troppo umano ,invecchiato e impasticciato di colori troppo intensi....come le vecchie puttane impenitenti . Un artista di strada "nottola giocosa di Minerva" che vola sul far della sera alla ricerca della "vita nascosta" dentro le cose e le persone ...... finisce per offrire di sé il vuoto rituale de "la maschera della farsa e del teatro di maniera " (Crozza e Grillo) e abbandonare quella della più assoluta malinconia vitale nella indistinta e grigia confusione di un' "epoca di decadenza realizzata " come "rivoluzione postuma e inattuale " di "nani sulle spalle di giganti" nella dissolvenza-dissonanza del reale razionale e del reale immaginario in un film di fantascienza .Operazione di "nascondimento" del negativo come stimolo e conflitto per un cambiamento vero "in interiore homini".Compito primario della ricerca del clown nascosto ....mai ritrovato ....come volontà eraprresentazione....per lasciarlo vivere nel suo ruolo di "zotico e irriverente oppositore....mai omologato al rtibasso" del superfluo e del superficiale.E come lo sciocco normale confonde il "dito" (Gabanelli,Glillo, Di Battista, Di maio, ecc. ecc) con la "luna"!
Il clown rivela che il suo mal d’essere si fa immediatamente topos dall’innegabile fascino dello "spettacolo per sè " ...della farsa o macchietta di vita sprecata .Le sue " esibizioni si fanno performances" del superficiale senza dramma e passione.Il "canovaccio" sostituisce i silenzi delle parole non dette nei gesti classici dlle debolezze del corpo che stimola risate sguiate senza anima.Sì perchè il clown cerca l'anima anche in una risata ! La sua maschera fescenninica mostra nella forma e l'evento figura pantomimica dell’apparenza alienata mediante una maschera dalla realtà nei surrogati dei salotti satireschi della televisione di Stato dove oramai "protagonisti e maschere" si scambiano i ruoli senza infingimenti.E allora , se il clown di strada" confonde la strada con le corti , i palazzi del potere con i "termidoro" perde la sua vocazione a penetrare quest’ultime a fondo, sferzando in modo sottile e ferocecon le veritiere critiche un ’apparato sociale debole e superficiale nei suoi "arcana imperi" e nelle sue "palesi incosistenze".
TUTTI SANNO, CIOÈ, CHE UN CLOWN DEV’ESSERE MALINCONICO PER ESSERE UN BUON CLOWN, MA CHE PER LUI LA MALINCONIA E' UNA FACCENDA MALEDETTAMENTE SERIA!
Pablo Picasso, Arlecchino pensoso (1901) ha saputo rappresentare questa "malinconia" come essenza e anima di chi ha il compito storico ed essitenziale di "essere contro" finchè gli lasciano la voce e gli permettono la maschera.
Quando un clown si riduce a cavalcare le "opinioni fredde e corte" della politica politicata spacciata per rivoluzione...i suoi frizzi e lazzi diventano il rito del vacuo e del superficiale relativo ai fatti e i personaggi che è costretto a parafrasare senza credibilità avvolta in un’aura di vacuità e di stasi. È proprio essa, per analogia, ad introdurre alla chiave di lettura più profonda e importante della realtà da smascherare e svelare ad assumero un senso di routine e di inutilità dlla vita sociopolitica. e le sue crepe contraddittorie 
E finalmente il mondo rientra con leggerezza e superficialità nella "notte in cui tutte le vacche sono nere!".....il resto è solo "mutazione antropologica" con alla guida "mosche cocchiere" che non fanno ridere!

Un Presidente onorario che difende la sua onorarietà !
Liberamente ispirato ad uno sguardo furtivo in questo spazio di comunicazione e di "opinioni di un clown ".
...elogio della maturità.....
Abbiamo dedicato molto tempo a conoscere la giovinezza e la vecchiaia....inizio e fine di un segmento esistenziale.Ma la maturità, la lunga,ricca e fugacissima età di mezzo,il Purgatorio della commedia , la medietas della virtù, il mezzo del cammin di nostra vita , l'età del " mota quaetare et quaeta movere", alla quale abbiamo affidato la parte migliore di noi,continua rimanerci incomprensibile ,poco considerata e analizzata . La maturità non è una vetta da scalare , un continente da scoprire ma una pianura o un deserto da attraversare, un bosco da svelare , colline dolci e morbidi da passeggiare , sentieri interrotti da superare e radure riflessive da vivere , mari tranquilli e tempestosi da navigare , orizzonti brevi e lunghi da superare e immaginare .Qualcosa di gracile, provvisorio, debole, si colma e si svuota, si prova e diventa perfetto : resta per qualche anno nella stessa condizione, prima di decadere lentamente e mutare di senso e di forma ; la viviamo con la curiosità e la consapevolezza come se la maturità fosse una stasi tra una crescita e una decadenza.La maturità è anche perdita di una incertezza,approssimazione, completezza, verificabilità , di prove ed errori, di illusioni, utopie e distopie, di slanci e ritiri ,di un vagabondaggio...fughe e ritorno , di dubbi e sospetti,amori e disamori ,passioni e sentimenti caldi :è insieme una conquista e una rinuncia : mentre lo sguardo apprende e vede più in profondità (eidein), le parole si scoprono nelle cose ,l’intelligenza coglie il nucleo percettivo delle cose e le spoglie degli aggettivi superflui, il cuore sopporta le cose tollerabili e intollerabili.....e definisce il suo rapporto di amore e disamore con il mondo, distingue le maschere dalle persone accettando la centralità del suo "io" come un punto di una "spirale" puntata all'infinito......

mercuzio

martedì 9 ottobre 2018


Teniamo bene a mente questa immagine: una casa, nel margine della campagna , è il luogo dove l’homo sapiens ....agricoltore e cacciatore ha trovato dimora......per vivere una vita autentica agli inizi della sua avventura umana e divina assieme.

Ritornare a questo isolamento activo e a questo silenzio pensante fu il primo passo di Heidegger fuori dall’esilio intellettuale nel quale si era, giustamente, rinchiuso....dopo essere stato travolto dallo stesso suo pensiero politico deviato in ideologia.E allora la casa isolata nella "radura" della selva nera diventa la casa della "parola" autentica "...."Nessuna cosa è dove la parola manca"
L'uomo occidentale dopo il disastro del 900 sceglie di tornare in campagna.... vagabondo nella foresta, dopo tanto incespicare nell’oscurità della "Tecnica" omologante e deviante .Ritorna nella "periferia del mondo " , nella radura e trova una rifugio in cui sostare.....pensare ....ritornare a vivere prendendosi in "cura" sè stesso e ristabilendo un rapporto non di potere con gli altri . La sua dimora è questo linguaggio, del quale non è il padrone: in questa radura, l’uomo non possiede nulla. È solo il custode. Heidegger dice: l’uomo è il pastore dell’Essere. E suo unico compito è custodire questa casa nell’attesa che torni il vero proprietario.L'uomo autentico con un rapporto autentico con sè stesso e con la "terra" che lo ospita.Ripartendo dal recupero del "linguaggio" non della filosofia, della metafisica o della teologia ortodossa ma della "poesia" la lingua dell'essere e non degli enti.
L' essere autentico che si manifesta dentro il linguaggio poetico , nella bocca dell’essere umano, sulla carta delle sue infinite biblioteche.Solo i "poeti" oggi sanno rivivere nell'isolamento e silenzio di una "casa" nella "radura-campagna"dove sentono la presenza viva dell'Essere lontano dalle "bibbie" dai canti tribali e maschere e talismani colorati, o nel grande dispiego di apparecchi scientifici e tecnologici, 
Ἀλήθεια! Questa è la verità: ἀ–λήθής, ovvero non (più) nascosto. Verità è lo svelamento quotidiano e mutevole dell’Essere che infine, da occulto che era, si rivela dentro il nostro linguaggio umano. E quindi l’attesa è finita? Non ancora: verità è lo svelamento dell’Essere che continua ad apparire in lontananza, che si intravede nel folto della foresta,nelle periferie, nelle campagne, nei piccoli paesi abbandonati degli appennini dove si nacsonde "la vita autentica" lontano dai "non luoghi metropolitani" dove "il silenzio è vuoto" e la "solitudine ...depressiva".....dove "uno straniero è un nemico" e non un ospite o un visitatore benvenuto. Ma l'Essere siamo anche "noi" che non ci limitiamo subito a celebrare e anticipare il suo avvento....creando templi , altari o chiese.Non aspettiamo una sua "rivelazione" ma la costruiamo giorno dopo giorno in "noi" e in comunitrà con gli "altri". Ma il nostro essere non è sopra nessun "monte" e non è ancora arrivato.....ma arriva continuamente e poi va " a vivere" e a volte si "nasconde" perchè "l'Essere ama nascondersi " (Parmenide) per essere continuamente "svelato" (aletheia" dall'uomo sapiens ed activo. Perché ci sia rivelazione è necessario l’occulto, il mistero, la fede come pensare profondo: l’Essere sive natura provvede anche a questo, annunciando il suo arrivo e restando nascosto. E' il compito autentico del pensare e vivere dell'uomo avvicinarsi autonomamente all'Essere non in modo definitivo ed eteronomo ma provvisorio e eterno. L’Essere non della filosofia o della metafisica nella la staticità assoluta della verità metafisica (il vassoio) – è piuttosto il continuo svelamento che, di volta in volta, storicamente, si dà e si nega alla comprensione umana. Accade, come un evento, dentro il linguaggio, e produce la sua sola verità: l’Essere che non è ancora tornato a casa.....ma è in viaggio e ci parla con "il canto e la poesia" non con i "concetti e le idee".

lunedì 8 ottobre 2018


Riace : un'occasione di rivitalizzazione e compassione.
di mauro orlando


Una delle benefiche conseguenze della postmodernità è il processo che ha visto imputata la ragione occidentale, costretta a un’autoanalisi critica e relativizzante dei suoi fondamenti e rilettura storica del suo tragico e ricco Novecento. La compressione spazio-temporale operata dalla globalizzazione degli ultimi decenni del "secolo breve"ha significato per tutto l’Occidente un processo inedito di avvicinamento di mondi lontani e di costrizione alla convivenza con altre culture e forme di razionalità prima ignorate.L'italia per la sua esposizione geografica come cerniera con l'Africa tutta e la sua centripeta posizione culturale e religiosa ne è stata coinvolta nel bene e nel male che ogni fenomeno di tale portata tracsina con sè come un fiume in piena che rompe argini e territori non protetti.Oggi che l’altro, il lontano, non è più facilmente eludibile, la negoziazione tra valori spesso considerati diseguali prorompe sulla scena. Lo vediamo non solo nelle turbolenze interne,nelle incomprensioni tra umori ,paure e idee ma anche sull’altra sponda mediterranea..... strozzata da una "modernità disegualee incivile".Riace cosa vuole rappresentare nel suo aspetto simbolico, utopistico, reale in questa situazione complessa, conflittuale e ricca di opportunità o di misfatti umanitari al limite del genocidio naturale e politico.Anche per noi nati nel mito e nella scelta consapevole del "progresso" dall'Illuminismo in poi è tempo di scelte dolorose ma radicali.Tertium non datur .....accoglienza o rifiuto.
Installarsi non ingenuamente in un orizzonte multiculturale significa disfarsi dell’ideologia dell’equidistanza, accogliere col beneficio del dubbio ogni pensiero della comunicazione simmetrica. Intavolare discussioni alla pari; postulare veli dell’ignoranza à la Rawls per riprodurre il terreno della razionalità universale, è una strategia non sempre attuabile. Il rischio è che i tavoli siano sbilenchi, i veli fin troppo sottili, che dietro tali artifizi del dialogo si mascheri il dominio di una sottaciuta rigidità, un universalismo tanto piú etnocentrico quanto piú ambizioso nell’ergersi a paradigma “non negoziabile”.
Invece pluralismo significa anzitutto riconoscimento di asimmetria, differenza, conflitto, opacità irriducibili. Qui la condizione, qui anche la sfida. La reductio delle differenze non è detto che sia operazione utile e feconda.In particolare per gli uomini del mediterraneo nostrano e del sud dei sud dell''Europa fredda ,la voce del pensiero “mediterraneo” ha la necessità naturale e scelta culturale di considerare tutto questo risorse irrinunciabili per la nostra vita civile, emotiva e culturale oltre che politica . La nostra terra meridiana è stata ed è crocevia di svariate culture, da sempre luogo di incontro/scontro tra civiltà, il mare nostrum che collega Europa a Paesi arabi e mediorientali ed è di fatto il laboratorio ideale per situarsi nel nuovo spazio di gioco inaugurato dalla contemporaneità.E' quindi un obbligo morale e politico e salvezza intellettuale essere con "Riace" è la sua "bella utopia"in via di realizzazione anche accettando tutti gli scogli malevoli e pigri che il pensiero corto della politica politicante mette in campo per esprimere la propria pochezza umanitaria e la volgarità delle proprie argomentazioni etnofobiche e razziste.