lunedì 18 febbraio 2019





Lettera aperta  a un cittadino attuale ...umano troppo umano




Ho visto… caro concittadino umano troppo umano … che alla tua non tenera età e con tutte le tue complesse e controverse esperienze nelle terre dei bradisismi, vulcanismi e fuochi vari sei ancora colpito dal sentimento di paura degli orchi e dell’uomo nero o del “bau,bau” cattivo come per un bambino. La paura è la cifra connotativa della vostra umanità e della vostra mortalità ed è la fonte di tutta la vostra evoluzione naturale e culturale nel tempo e nello spazio del mondo occidentale che vi è stato assegnato geograficamente in comodato d’uso. Siete vissuti per millenni nello “stato di natura”…..il cosi detto Eden dei cattolici… Uno stato di natura “dove non c’era un potere comunemente temuto”.
Qui gli uomini vivevano “senz’altra sicurezza, se non quella che dà loro la propria forza e la propria sagacia. In tale condizione non v’ha luogo ad industrie, poiché il frutto di esse sarebbe incerto ; e per conseguenza non vi è agricoltura, non navigazione….né v’è conoscenza della superficie terrestre, né del tempo, né delle arti, delle lettere e del vivere sociale ; e , quel che è peggio di tutto, domina il continuo timore e il pericolo di una morte violenta ; e la vita dell’uomo è solitaria, povera, lurida, brutale e corta “ Queste sono la drammatiche considerazioni da cui partiva il grande filosofo T. Hobbes per giustificare come necessario per allontanare il sentimento della “ paura” che intrappolava l’uomo moderno intenzionato a organizzare la “modernità” con le sue gioie e dolori….con le sue croci e delizie!
Che cosa vuoi che sia lo stato e la funzione sociale e culturale di un povero diavolo come “un semplice  cittadino …umano troppo umano ” negli epigoni e tramonto della stessa epoca che doveva essere di “magnifiche sorti e progressive”. Il sentimento e la cognizione dello “stato di paura” sono la vostra ultima ancora di salvezza cognitiva, artistica e politica per uscire dallo stato di minorità in cui vi siete cacciati dopo aver secolarizzato il sacro, irriso la religiosità e rottamato tutte le impalcature metafisiche dentro cui potervi baloccare per “secula seculorum”.
E adesso vi tocca ricominciare daccapo come sempre nella storia della vostra umanità indecisa a tutto! Tornare all’esperienza di paura come “sfida cognitiva e politica” in cui si è trovato il vostro fratello Hobbes ,oggi , è oltremodo difficile .Il suo fu un caso biograficamente drammatico. L’aneddoto di essere nato da un parto prematuro alla notizia dell’arrivo dell’invincibile armata di Filippo II, il 5 aprile 1588, sottolinea che il tema della paura non sarebbe stato solamente un motivo psicologico di peso rilevante della sua vita, ma sarebbe divenuto tema teorico centrale della sua filosofia materialistica dell’uomo e della politica vissuta nel contesto della storia drammatica del proprio tempo, travagliato da contese politiche e religiose gravissime. Per lui – e per voi- queste vicende drammatiche sono addirittura l’esemplificazione convincente di quella situazione di guerra generalizzata e permanente, ”omnium contra omnes”…. di tutti contro tutti, che costituisce lo stato prepolitico e premoderno dell’umanità.
Pensate di vivere oggi in una situazione culturale, sociale e politica meno drammatica e complessa di quella del ‘600? Siete obbligati a tornare al punto “quo ante” e scegliere se essere considerarsi esseri naturali o esseri razionali. Lascia stare tutte le tue fantasie sulla creatività, il sogno, l’immaginazione, l’arte  e lo stato di naturalezza perduta e balle varie. Una volta stabilito che la natura – e quindi anche l’uomo perché organismo naturale – va spiegata partendo dai fenomeni, e non dalle cause…. Hobbes punta alla variazione del metodo che da deduttivo puro, si fa parzialmente induttivo, mentre l’interpretazione materialistico-meccanicistica del reale permane in tutta la sua rigorosa pregnanza. Parlo “latinorum” per le persone semplici come quelli della tua banda o tribù  “in interiore homini ” alla perenne e ciclica ricerca del “ disarmato….fanciullino… dentro di voi”.
Qui il nostro “ Dio o Mast  ” ….. come dicono a Napoli….ci ha insegnato che  i mortali  dopo  la famosa prova della mela   la  vita è dura ….“per aspera ad astra” si va sulle stelle per sentieri difficili e faticosi! Cosa che per quelli come  voi   che avete scelto per motivi culturali epolitici  di essere inoperosi e oziosi è ancora più difficile! Dopo aver considerato i fenomeni fisici riguardanti l’universo, la terra, i venti, le maree, ecc., Hobbes passa a esaminare la fisiologia della sensazione, mantenendo invariato il punto di vista e il tipo di spiegazione: la sensazione è prodotta dal moto, che si comunica dall’oggetto esterno al senso e che, proseguendo poi fino al cervello, provoca il costituirsi dell’immagine, non distinguendo l’immagine sensibile dal concetto o dall’idea.
La stessa teoria hobbesiana delle passioni è strettamente legata alla fisiologia meccanicistica : il movimento che nel cervello ha suscitato un’immagine, passa poi, al cuore, ove si incontra con il movimento vitale, cioè il movimento di conservazione del meccanismo umano ; se i due modi concordano si crea un sentimento di piacere, in caso contrario si ha un dolore, e questi sentimenti dopo ripetute esperienze, generano a loro volta sentimenti di appetito o di avversione nei confronti degli oggetti esterni.
Mi raccomando lascia stare tutte le astruserie neuro psicopatologiche che intasano la tua testa! Tutte le passioni si generano attraverso il contrasto o la combinazione di questi sentimenti, riducendo ogni moto dell’animo umano alla comune matrice egoistica della conservazione di sé, che trova nel sentimento della propria potenza la sua garanzia migliore. È chiaro ed evidente che la filo-antropologia hobbesiana, mettendo in evidenza i tratti di una concezione dell’uomo come meccanismo, in cui anche i pensieri e i moti dell’animo si riducono a movimenti di corpi estesi lascia ben poco campo al libero arbitrio, vale a dire alla libertà umana metafisicamente intesa come possibilità della volontà di autodeterminarsi nella scelta e meno che meno alle fanfaluche che confondono la testa dei “sognatori pratici”!
Questo nella modernità all’ultimo stadio della vostra ultima esperienza terrena ma è da molto lontano che dovreste partire per capire il vostro stato di perenne infermità , fragilità e confusione quando nell’ “età dell’oro” del sentire-pensare greco. Avete improvvidamente esorcizzato ed eliminato il senso del “tragico” della vostra vita mentale e fisica relegandolo allo spettacolo pubblico e al nascondimento delle maschere nel teatro.
Ma gli scrittori-poeti tragici comunque vi servivano con semplicità la pappina da cui poter almeno riconoscere il suo senso attraverso racconti semplificati nelle scene. Diventa, oggi, molto difficile per voi post metafisici, postmoderni, postpolitca, postdemocratici…..post razionali ….insomma sempre postumi al tempo che vi è dato vivere…..rintracciare i semi e le radici antropologiche che avete perduto nel corso della vostra storia secolare: la forza dell’Eros con il dionisiaco in conflitto con il senso del tragico con l’apollineo.
Difficile oggi rinvenire nella “sanità” dei Greci l’accoglienza della visione dell’orrore e assurdità dell’esistenza, e l’inclusione dell’oscura ed abissale sapienza tragica nascosta nel mito della volontà di potenza titanico-barbarica… La cosiddetta “salute mentale e corporale” implica tutto questo e si fa carico d’una proprietà guaritrice, che le deriva dal binomio artistico (apollineo-dionisiaco), pura espressione di quella gioia metafisica del tragico, di quella teodicea dell’arte “ nella quale tutto l’esistente è reso divino, non importa se sia buono o cattivo ”.
Ma, c’è una buona notizia, per la vostra categoria “professionale” di ricercatori di  felicità ,gioia e sorrisi in terra  e insieme di “virtude e conoscenza”! Il rappresentante ideale di questa manifestazione artistica, che solo il Greco poteva creare, è il Satiro, un finto essere naturale inserito in un finto stato di natura, la tragedia, dove l’Olimpo degli dei ha trovato verosimilmente dimora. “ Il satiro – scrive Nietzsche…. un umano troppo umano finito per destino nella follia …. coreuta dionisiaco vive in una realtà religiosamente riconosciuta, sotto la sanzione del mito e del culto. Che con lui cominci la tragedia, che in lui parli la saggezza dionisiaca della tragedia, è per noi qui un fenomeno tanto sorprendente quanto lo è generalmente la nascita della tragedia dal coro.
Forse acquisiamo un punto di partenza per la nostra considerazione se pongo l’affermazione che il Satiro, il finto essere naturale, rispetto all’uomo civile sta nello stesso rapporto che la musica dionisiaca alla civiltà. ”Oggi viviamo un epoca in cui le stesse “tragedie possono ripetersi solo in farse” in cui avete a tal punto indebolito il vostro “io” da non sapere più come uscire dalle reti, dalle bottiglie e dai labirinti che vi siete costruiti in nome della vostra completa libertà.
Siete capaci di vivere e raccontare di voi solo in forme espressive e comunicative “in un linguaggio abbellito di varie specie di abbellimenti, ma ciascuno a suo luogo nelle parti diverse; in forma drammatica e non narrativa; la quale, mediante una serie di casi che suscitano pietà e terrore, ha per effetto di sollevare e purificare l’animo da siffatte passioni” Terapie senza pallottole….corpi ospedalizzati chimicamente sedotti e sedati. Seduzione e chimica ricetta esplosiva! Non vi resta che piangere …. Pietà e terrore sono sentimenti suscitati e concessi dalla “intrinseca composizione dei fatti” là dove non s’incontra più un personaggio nobile, mitico ed esemplare come Edipo o tragico per onore come Aiace….. che compiono un’azione colpevole inconsapevolmente, che costituisce per entrambi il nodo, ossia gli eventi che si prendono come principio della tragedia sino alla mutazione da uno stato di infelicità ad uno di felicità e viceversa.
Lo scioglimento, invece, è la parte della tragedia che intercorre dall’inizio della mutazione citata sopra fin verso la fine, o catarsi, intesa come reazione emotiva di coloro che, scossi da pietà e terrore, all’ascolto dei canti sacri del coro tragico “si trovano nelle condizioni di chi è stato risanato e purificato”. Niente catarsi e purificazione come esito salutare delle nostre terapie ma anche evitare il piangersi addosso di quest’ umanità prometeica che ha scelto perennemente la rupe per il sadico piacere di farsi mangiare il fegato dall’aquila divina!
Ha scritto Martin Heidegger: «Ogni grande cosa può avere solo un grande inizio. Il suo inizio è sempre la cosa più grande… Tale è la filosofia dei Greci». Parole suggestive, che non solo esprimono un ammirato riconoscimento dello straordinario valore del pensiero antico, ma offrono pure un’indicazione preziosa per chiunque desideri avvicinarsi alla ricerca filosofica, nella crisi e nel tramonto della nostra civiltà occidentale…. un’indicazione che potremmo sintetizzare così: chi vuole capire la filosofia studi innanzitutto e soprattutto il pensiero classico……la paura fa parte essenziale della “tragicità” della vita umana e mortale e può rappresentare un momento importante della vita mentale e fisica di un uomo. Altro problema si presenta sul proscenio della postmodernità e il tema del “fraintendimento” nella comunicazione individuale e sociale. Nella “babele” dei linguaggi, nella rete digitale o network sociali…. il fraintendimento può gettare una luce inattesa sulla natura della percezione. …la percezione del discorso…della comunicazione. Viviamo nel mondo delle percezioni non sempre controllatele percezioni sono spesse esatte pur sé veloci e istantanee nella loro costruzione.
Ciò che ci circonda ….i nostri desideri… esperienze. …aspettative ..consce o inconsce possono condeterminare il fraintendimento per motivi cerebrali nella pratica o nella decodifica fonologia selettiva o immediata . Nel discorso della comunicazione, più che nel linguaggio musicale che aprirebbe un discorso a parte. …il linguaggio verbale deve essere decodificato o interpretato anche attraverso altri sistemi fisiologici del cervello….compresi o oltre quelli che riguardano la memoria semantica ….la grammatica e la sintassi. La comunicazione è aperta….inventiva. .improvvisata…complessa ….ricca di ambiguità e significati. Possiede una libertà espressiva e fonetica che rende la comunicazione infinitamente flessibile e adattabile…. ed esposta e vulnerabile al fraintendimento non necessariamente di tipo auto selettivo.
Freud aveva intuito il senso dei lapsus e fraintendimenti. .. .ma aveva sottovalutato il fatto che i desideri .. le paure. ..i loro motivi…e cause …i conflitti di non sono sempre consapevoli o rimovibili dalla coscienza e spesso non dipendono solo da motivazioni inconsce. …sottovalutando i meccanismi neurali. ..come la natura aperta imprevedibile e personale del linguaggio stesso …di sabotare il significato quando . ..genera fraintendimenti irrilevanti sia per contesto che per motivazioni inconsce. E poi c’è un certo gusto personale per il fraintendimento quando riguardano i nostri interessi ed esperienze personali che ci creano piacere e divertimento nel gioco che non è necessariamente cinismo o misantropo. prendere fischi per fiaschi non sempre e riprovevoli eticamente o filosoficamente o furbizia interessata e strumentale come per il “polùtropos” multiforme Ulisse.

L’angelo Mercuzio, ….il facilitatore!





mercoledì 13 febbraio 2019





 Heidegger e  il cinismo della “vita autentica”.




Dalla scoperta della radura, uno spiazzo illuminato, aperto nella foresta, fuga  dal mondo immagine esistenziale della libertà e possibilità umana di vivere la solitudine nella luce…La luce può cadere infatti nella “radura”, nel suo spazio aperto, e lasciarvi avvenire il gioco di chiaro e scuro. Ma giammai è la luce a creare per prima la radura, bensì quella, la luce, presuppone questa, la radura…..cinismo raffinato  e pensiero poetante! Scriveva  La Rochefoucauld “  chi vive senza  follie ,non è così savio quanto crede”. Sacrosanta  verità per demarcare un confine tra  vita  normale subita   e vita impegnata per scelta  a saper    affrontare  “venti fortissimi  e nevicate”. Un lento e inconsapevole   morire  per un “un cuore gelato sotto il cappotto”  parla di noi  quando accettiamo  supinamente  di  smarrire   il gusto e il senso  di una esperienza comunitaria  rassegnati  alla insensibilità del senso comune, alla rassegnazione del “così va il mondo”, alla connivenza con l’insensatezza della banalità, alla ingenua o consapevole disponibilità a farsi complice  di qualunque cosa a qualunque prezzo. Uno spettro inquietante  si aggira come un “venticello” per le nostre terre sopraffacendo  la nobilitata e  propulsiva “ipocondria” dei tempi delle “crisi e riproduzione tecnica della creatività artistica” : il cinismo. Il cinico  contemporaneo non ha come punto di arrivo la classica botte di Diogene ma una ordinata e riconosciuta carriera e successo  fatti di “classifiche…auditel…mi piace…etc.” spesso segnati da frustrazione, rassegnazione e avvilimento morale. Il ‘cinicus’ antico era una forma estrema di affermazione della dignità, una riproposizione coerente  di  distanza dalle pochezze umane  e dai pressappochismi  e interessi  pratici, della  cura  di una estrema padronanza e sovranità  su se stesso e i propri difetti pubblici  e attivazione del  governo dei  propri demoni  interiori  negativi come la “razionale auriga” platonica. Il neocinico cura  e ostenta una “falsa coscienza illuminata” con un discreto vocabolario polimorfo  e una forma malcelata  di “disincanto” che li rende molto efficienti e accettati  sul piano pratico. Qualcuno autorevolmente in modo cattivo  ha scritto che il neocinico è “ un caso limite di melanconico che riesce a controllare i suoi sintomi depressivi conservando una certa capacità di lavorare”  che mal sopporta  “avvisi ai naviganti”  disinteressati  o venati  di ironia e  peggio di benevole commiserazione perché “intellettuali  e …quindi inutili”. In letteratura esiste un  “cinismo classico “ ( va da Kafka a Proust  passando per Pessoa e Borghes ) che ci  regala  una morale con sottofondi  carsici  fatti di libertà ed autonomia  e  non semplici  “coperte di linus” come alibi pseudopsicologici ma soprattutto con il compito “etico”  di  riscaldare  quotidianamente, profondamente  e  continuamente la nostra  mente infreddolita, liquida  e debole. Nella “pòlis” greca il primo atto cinico  contro la costruzione di “una comunità” libera e consapevole, avvenne   con un atto violento formalmente e simbolicamente reale e tragico .La  restaurata democrazia ateniese aveva bisogno della  condanna a morte di Socrate  nel 399 a.c. e la promozione sul campo  degli “Antistene,Diogene di Sinope,Cratete e Ipparchia” come fatto consequenziale , illuminante e normalizzante. Con quell’atto si condannava  la ragione, il sogno, il sentimento,la fantasia,la democrazia   che presume farsi  “comunità” di un  sapere non commerciale e commerciabile  che ha solo il compito di  difendersi  per smascherare, responsabilità, inadempienze ,  ostilità, rancori  latenti e combattere quelle palesi  e praticate. Le ragioni del cuore  non possono mai  entrare  in un orizzonte limitato che gli è estraneo per statuto. Non vive di pensieri corti, di rapporti di  forza, della pratica  o l’ aspirazione dei poteri  a tutti i livelli. Ritornando in metafora : “sbagliare strada” affrontare un ”vento fortissimo e una nevicata” è ancora  parte  possibile e integrante  del vivere  umano. Ma  evitare sempre e comunque  ”Il cuore gelato sotto il cappotto”  che è il vero e tragico morire sia  personale che pubblico   anche della limitata   vita ….umana troppo umana …..
Mauro Orlando

lunedì 11 febbraio 2019



Mercuzio, il funambolo e il pagliaccio : una favola paesologica inattuale .


L’esperienza vitale e attiva della paesologia non è il gioco magico delle parole e i salti misteriosi del “funambolo” che sa correre agile e leggero lungo la fune della vita tesa tra le due torri del passato e del futuro che alterca con un "pagliaccio" convinto in cuor suo di essere più bravo di lui che lo sfida con giochi di parole e sofismi colorati. Quando il "pagliaccio" si avvicina a lui, fa un balzo in aria saltandolo come per sua vocazione e sfottò. In quel momento il "funambolo" perde l'equilibrio,inciampica sulla fune e cade nel vuoto del nulla e per terra. La folla corre via come l'acqua del mare e non soccorre il malcapitato e allora solo "mercuzio" l'amico .... si appresta a soccorrere il "funambolo" che sta per morire e al quale può solo promettere la degna sepoltura per salvare l'anima per i posteri.Tre personaggi che mal interpretano un senso unico e il fine prestabilito della esperienza paeosologica.Il "pagliaccio" con il suo agonismo parolaio del "servo dei due padroni" cerca solo di saltare oltre il "funambolo –uomo" facendolo cadere dalla corda per far ridere la folla ….Il "funambolo" per abbondanza di amore della vita pubblica da parte sua non ha mai rifiutato il senso lineare della corda-vita per le sue performances e per raggiungere il lato opposto si preoccupa di meravigliare e piacre alla folla sottostante con le sue magie, malie e meraviglie umane troppo umane .…."Mercuzio" sa che "Sinistra è l'esistenza umana e ancor sempre priva di senso: e anche un pagliaccio può esserle fatale"…..e per misericordia e benevolenza intanto si prende “cura” del corpo morto del funambolo sottraendolo alla folla adorante da morto . Il "pagliaccio" in cuor suo e in pubblico messosi alla testa della folla osannante consiglia anche a " mercuzio" di non tornare mai più nella città. Questa volta, egli dice, sono stati leggeri con te: hanno solo riso, la prossima volta toccherà a te morire! Mercuzio non bada a questo, così come non bada a quei becchini che lo deridono lungo il suo cammino. Il discorso del pagliaccio conferma il fatto che la folla lo ha preso per un pazzo e l'incontro con i becchini conferma quel che aveva detto il santo, in quanto i becchini scambieranno "mercuzio" per un ladro che cammina di notte. Ad un certo punto "mercuzio" sente fame e vuole fermarsi a mangiare. Qui incontra un vecchio che gli offre da bere e da mangiare: un eremita che sa vivere di "silenzio e solitudine". Successivamente "mercuzio" prosegue il viaggio passando per il bosco,a vivere dei "chiari di bosco" senza cercare di dare senso agli alberi o al bosco nella sua interezza...ma scoprendo sentirei interrotti e svelando i segnavie che gli uomini gli hanno lasciato in dono" ma laddove non vede più alcuna strada, egli non va oltre e si addormenta. Quando Zarathustra si sveglierà penserà all'idea di trovare dei nuovi compagni. Lasciare quel cadavere del funambolo e cercare ancora uomini veri e vivi. Ma "mercuzio" non vuole diventare un pastore e tanto meno un cane per il gregge, non vuole essere la guida, ma vuole insegnare agli uomini a seguire se stessi e apprezzare la solitudine.. "Mercuzio" ha chiara l'idea che lui non viene ben visto dall'uomo perché è colui che intende spezzare le tavole dei valori. Un persona di questo tipo è vista dall'uomo come un distruttore e un essere malvagio, quando in realtà esso consiste in un creatore di nuovi valori……anche per “il funambolo o per il pagliaccio” E così parlò al suo cuore:” Non pastore debbo essere, non becchino. Non voglio parlare nuovamente al popolo: per l'ultima volta parlai a un morto.Voglio accompagnarmi a chi crea, a chi miete, a chi festeggia: voglio mostrar loro l'arcobaleno e tutte le scale del superuomo.Canterò la mia canzone ai solitari e a quelli che sono due nella solitudine; a chi ha ancora orecchie per l'inaudito, a questi voglio opprimere il cuore con la mia felicità.Io tendo alla mia mèta, seguo la mia strada; salterò oltre gli esitanti e i lenti. Sia così mio il cammino la loro autodistruzione!......io preferisco morire beffeggiando i miei assassini per amore dei miei “amici”.

domenica 10 febbraio 2019





Foibe : una questione discussa
di mauro orlando


Al di là delle legittime, comprensibili  e rispettabili opinioni personali espresse nella discussione in questa cartella anche come approfondimento personale alla conoscenza dei fatti storici, sono arrivato alle seguenti conclusioni per la mia coscienza democratica e antifascista.
1)    Negli anni 1943-45 dalla Venezia Giulia alla Dalmazia si è verificata una malsana saldatura tra una guerra etnico-nazionale e una guerra sociale-ideologica.
2)    L’  “infoibamento”, non giustificabile nel suo carattere criminale , risulta l’atto finale storico-politico di un distorto uso dell’intreccio “liberazione e punizione” da parte delle minoranze “slave” contro una italianità  che “troppo docilmente si era fatta sedurre e compromettere” da una fascistizzazione  forzata dei territori  e coinvolgere in una drammatica e cruda lotta  e repressione da parte dell’Asse del movimento partigiano titino e della minoranza slava della penisola istriana.
3)    I responsabili politici e militari di questa spietata e indiscriminata azione punitiva-repressiva,che vanno dalle unità regolari della Quarta Armata alle formazioni partigiane,hanno commesso questo tragico crimine storico politico nell’ottica di una politica espansionistica con una combina mostruosa di ideologia nazionalista e ideologia comunista ,inquadrata nelle operazioni “antitaliane”legittimate dall’antifascismo sovietico e anglo-americano.
4)    L’antifascismo italiano organizzato si spezza tra ala democratica e comunista.Il partito comunista italiano cade in una fatale e tragica contraddizione :Soggiogato e affascinato dalla forza militare del movimento titino non sa opporsi apertamente alle sue pretese espansionistiche e ai suoi efferati e indiscriminati delitti .in nome di un antifascismo totalitario, antidemocratico addirittura ad egemonia slava, commettendo un grave errore storico-politico.
5)    Negli anni immediatamente seguenti la fine della seconda guerra mondiale la storiografia di sinistra si espose all’accusa di “unilateralismo interpretativo” insistendo sui guasti della fascistizzazione e sui crimini dell’occupazione nazista , passando sotto silenzio e  sottovalutando anche la sua rilevanza etico-politica.
6)    Più tardi si incorre in un altro equivoco ed errore sviluppando le polemiche semplificatorie  che omologavano foibe e lager (o Risiera di San Sabba, nel caso triestino)- come se l’unico criterio significativo della loro comparazione sia la loro natura criminale.
7)    Per amore del vero anche l’affrettata ed errata equiparazione che suggerisce una semplice equivalenza tra “italiani” ed “ebrei “ ci obbliga ad una penosa distinzione , ricordando che l’italianità colpita non era una entità meramente “etnica “ (come nel caso degli ebrei) ma un soggetto politico a torto ritenuto  nemico ,complice e responsabile di precedenti violenze subite dalle minoranze slave istriane 
Perché scrivo questo ?
Primo per fare un punto sui fatti storici, poi per un rilievo anche per l’oggi che ci aiuti a definire una idea di “italianità” non come mero dato etnico o storico, ma come identificazione con la comunità politica concreta che si riconosce nei valori della democrazia che sono usciti dal crogiuolo dell’antifascismo storico -non dalla parte opposta.


Un excursus storico dell’italianità  dal punto di vista della comunità politica, nella sua accezione “liberale “ della destra , sinistra storica e giolittiana, autoritaria e totalitaria del regime fascista, ci porta necessariamente a rilevare che il secondo dopoguerra si è concretizzata quella “comunità politica concreta che si riconosce nei valori della democrazia moderna che sono usciti dal crogiuolo dell’antifascismo storico. Il documento fondativo, la Costituzione italiana, nei suoi principi generali definisce “in modo rigido” tali valori identitari ,democratici e antifascisti, , pur riconoscendo la storia e la cultura precedente dell’italianità :Il problema del riconoscimento di tali “valori” culturali e politici interessa gli italiani che ,storicamente non hanno partecipato  liberamente alla costruzione e alla definizione di  essi  e a quelli che ancora oggi fanno fatica ad apprezzarli e a praticarli politicamente e individualmente. La richiesta della chiarezza non va fatta a  chi si riconosce in  “questa identità “ culturale, storica e politica ma a chi fa fatica  ad accettarla come “valore”.
mauro orlando

lunedì 4 febbraio 2019


Vorrei vivere per l’arte alla quale appartiene il mio cuore, e invece debbo faticare tra gli uomini, tanto che spesso sono assai stanco di vivere…non sarei il primo che naufraga; molti, nati per essere poeti, ne sono periti. Non viviamo nel clima della poesia” Horderlin

"poiesis" vs  "sophia".

Poesia e filosofia….un antico primato discusso che si riproduce carsicamente anche nella mia esperienza “paesologica”. Intorno alla questione del primato della poesia ovvero della filosofia si sono spesi  non solo fiumi di inchiostro. Già Platone ,in un certo modo equivocato, aveva  posto il problema non come  una semplice domanda ma come una convinzione.Oggi il problema si pone  non solo in una prospettiva eremeneutica ma “esitenzial-politica” . Siccome  la esperienza paesologica  ha scelto come sua lingua ufficiale  quella della “poesia” tale rapporto dovrà essere d’ora in poi reimpostato e compreso.Nella modernità con la drammatizzazione avvenuta nel periodo del romanticismo si ripropone il nodo di fondo duro come marmo imposto  al rapporto che Platone stabilisce tra la verità del poiesis e la verità del logos  rappresentando l’arte in genere sostanzialmente  come una “imitazione” della natura, che a sua volta costituisce un’“imitazione” del  mondo reale.Il tema in questione era quello centrale della “bellezza” perseguita dalla poesia  e dalla stessa filosofia. La bellezza poetica intesa come espressione linguistica della verità del logos. La bellezza, dice Platone, brilla tra le idee divine,ma a noi è dato contemplarla solo nelle sue imitazioni sensibili, in nessuna delle quali splende la sua forma originaria, sebbene tutto ciò che è bello suscita in noi “le ali dell’anima”, ovvero l’amore (Eros) verso quella bellezza divina che traluce in tutto ciò che è bello, ma che può essere raggiunta solo dall’ascesa e dalla trasfigurazione dialettica del logos. Il cammino duro e conflittuale della Filosofia  con il 900 ha scoperto la “debolezza e liquidità” del logos e la sua incapacità a percorrere tutta la via della verità, soprattutto per le questioni più importanti dell’esistenza, quali il destino ultraterreno delle anime, il
ricorso al mito (e quindi alla poesia), fino a sostenere nel Fedone che “è bello correre il rischio del mito”, e che è bene “protrarre il suo incantesimo” quando vengano meno gli strumenti della dialettica razionale  nella ricerca della verità. Ma è particolarmente  nella sua  esperienza esistenziale la “paesologia” come  “sapere arreso”  per una  “vita nascosta  e activa-politica” che privilegia e sceglie   la lingua della “poiesis” non per ragioni estetico-letterarie ma come  modo essenziale e profondo di guardare il mondo e raccontarlo “nell’età della riproduzione tecnica. Possiamo far riferimento anche a Platone quando nel Fedro  scrive :”Per quanto riguarda la bellezza  essa splendeva fra le realtà di lassù come Essere. E noi, venuti quaggiù, l’abbiamo colta con la più chiara delle nostre sensazioni, in quanto essa splende in modo luminosissimo. Infatti, per noi la vista è la più acuta delle sensazioni che riceviamo mediante il corpo. Ma con essa non si vede la Saggezza, perché, giungendo alla vista, essa susciterebbe terribili amori se offrisse una qualche immagine di sé, né si vedono tutte le altre realtà che sono degne d’amore. Ora, invece, solo la Bellezza ricevette questa sorte di essere ciò che è più manifesto e più amabile” Il “bello ” come discriminante  di una vita  che non vuole essere contemplativa e mimetica  ma dinamica e attiva  per ritrovare  assieme il “ buono” e il “giusto” di una vita etica e politica assieme. M.Heidegger , per primo si è riposto il problema non capovolgendo semplicemente  il primato a favore della “poesia”  scrivendo   che “Hölderlin canta l’essenza della poesia...in quanto Hölderlin fonda di nuovo l’essenza della poesia » e “determina un nuovo tempo”, “il tempo degli Dei fuggiti e del Dio che viene”, e la sua parola poetica rivela e manifesta l’essenza del nostro “tempo povero”, che è il tempo del “non-più degli Dei fuggiti e del non-ancora del Dio che viene”.
Anche questa rivalutazione ultima non sta bene alla esperienza paesologica  che  dopo Nietzsche  ha rinunciato alla ricerca o al ritorno degli “dei scappati” dalla “modernità incivile secolarizzata e dissacrata”.Così gli uomini in quanto uomini necessitano di vivere la proria individualità  in rapporto agli altri, al mondo - il mondo di cui gli uomini parlano e in cui si parlano  soprattutto nel rispetto e nell’amore per la lingua stessa come in un intreccio che non può essere disfatto, un intreccio che è sempre nella certezza della sua inscindibile unità relazionale, sociale e politica. Questo è il senso che la “esperienza paesologica”  nei “piccoli paesi dalla grande vita”  vuol dare alla “vita” stessa come “modello e fine”. Il mondo della vita, come fondamento dei significati non solo delle intuizioni eidetiche e percettive , ma del linguaggio poetico come  dimensione vitale, esistenziale e precategoriale dei concetti e delle parole; la comunità umana come essenzialmente una comunità linguistica, perché fondata sulla coscienza e sulla interazione delle coscienze tra di loro; l’orizzonte del “mondo”, inteso nella sua accezione vitale ed esistenziale e non in quella naturalistica come l’orizzonte di un vivere individuale e comunitario in un intreccio vitale di connessioni, associazioni, relazioni e implicazioni esistenziali, a quell’orizzonte di mondo su cui esso si costituisce e che ne rappresenta l’orizzonte di significazione, di comprensione e di interpretazione.

Minima psicologica.
Vivere la condanna ad “ un eterno presente” che non diviene come pensava Eraclito e nenche si stabiliza come Essere
come pensava Parmenide ....this is the question amletica..Emozioni sedate per un “ benessere” senza pàthos.... per timore dell’ angoscia in agguato nello scarto tra realizzazione o anche solo della soddisfazione provvisoria.Corpi viventi come cadaveri eccellenti e felici di morti tenuti in vita per la sopravvivenza mortale o nella eternità metafisica .Vivere di “risultati” e "riconoscimenti" per sentirsi reali .. attivi e vivi .....per sentirsi un “io” non perennemente insoddisfatto dei suoi risultati e meriti . Primum vivere deinde Philosofari….meglio la “presenza activa”della prestazione tecnico-professionale che un ideale astratto e neccessario come ipostasi .Recuperare il senso di un “io” non formalmente realizzato ma sempre in potenziale e provvisorio “ centro” di relazioni umane e politiche che non si occupano solo di “ identità” totalizzanti ma di “ riconoscimenti” di semplici empatie che non si soddisfano negli obiettivi occasionali raggiunti.Curare una “ armonia” provvisoria tra intelligenza .... ....emotività...spirito...conoscenze ..volontà...emozioni ...corpi senza implodere o esplodere ma tenendo viva con azioni libere e consapevoli il fluire del fuoco della vita....dove ruoli, linguaggi,immgini si confondo nell'assenza di senso,orientamento,distanza e conflitto in una insicurezza che non attine più al contorno storico e sociale che fa da sfondo alle nostre esitenze precarie e provvisorie....in una declinazione senza logica eper frammenti .....