mercoledì 23 novembre 2016


.....à la recherche du temps perdu
 di mauro orlando


I più avveduti tra di noi sentono a pelle o con il suo “demone” cupo e pessimista che i rottami dei nostri dubbi e sospetti ci sta cadendo addosso col rischio di sommeggerci.Sappiamo altresì che tutte le crisi igienico-sociali del cosidetto “ciclo dei rifiuti” mette in difficoltà le classi dirigenti amministrative e viene regolata e risolta dai centri di potere che inventano e alimentano il ciclo a proprio uso e interesse. Allo stesso modo funziona il pensiero delle dottrine politiche e culturali che ha soppiantato il cittadino e l’intellettuale nella loro funzione di consapevolezza e responsabilità sociale e comunitaria.Tutti siamo finiti nel paradossale stato di stupidità di paralare e discutere del “dito e non della luna”.Il “dito” oggi sono “le bolle finanziarie”, “il populismo”, “l’antipolitica”, “l’antidemocrazia”,”l’antiumanesimo” e tutti gli “anti” possibili e immaginabili….”la luna” è “il popolo…la politica…la democrazia…la poesia ….il sapere” perduti.Nel piccolo labirinto chiamato “sinistra” si vive paradossalmente la più controversa delle crisi per il semplice fatto in questo spazio si è alimentato il più grosso degli equivoci del “lògos” autoreferente e presupponente.Si è sempre pensato di essere “il centro di gravità permenanente” che tutto sa e conosce e non teme tra le sue mura fortificate dai secoli invasioni barbariche e congiure interne.I suoi aedi o trovatori più accorti sentono di essere dentro un meccanismo strutturato non solo negli “arcana imperi” ma “i pensatori” filosofi o politologi si sono imprigliati nel narcisismo microfisico dei poteri personali come piccolo orto delle proprie vanità e certezze.E si inventano viaggi in cerca di risposte …altri evocano “terremoti” non troppo lontani nella propria “casa” incapaci di rinnovarsi e di superare la disgregazione della composizione sociale,la trasformazione economica ,culturale e tecnologica.Tutto nel gioco sado-masochista di chi si prende la responsabilità del disastro ripetendo la favola “della mosca cocchiera”.E allora o ci si ferma all’appagante e consolatoria “senza sé e senza ma” ….giaculatoria del “nemico” nei tardie epigonali fenomeni del “ fordismo, tatcherismo,reaganismo,populismo e legismo,lepenismo e trumpismo” della “sinistra sempre dura e pura” o si ripiega nel “riformismo” del tanto peggio tanto meglio degli imitatori rottamatori che pensano di imitare quelli che la stanno sconfiggendo dall’interno e dall’esterno.Alcuni più avveduti ma sempre sprovveduti conoscendo la capacità smemorativa dell’uomo contemporaneo imprigliato nelle tecnologie mediatiche credono di rammemorare i più vicini passaggi negli anni post-bellici, keynesiani socialdemocratici come l’ultimo avvertimento prima della tempesta finanziaria totaliataria e distruttiva.E allora il richiamo ai pannoloni caldi del “ riforma del welfar in senso seriamente distributivo, un riformismo di grande respiro (sic!) attaccandosi spasmodicamente alla Costituzione, alla radici, alle coerenze etiche e ideologiche.”Le cosidette èlites” nella casa della sinistra fanno inconsapevolmente il gioco del “Potere” finanziario neoliberista nel gioco della commedia delle “rane” di Aistofane litigando e contrastando gli epifenomeni vincenti del “berlusconismo, leghismo,grillismo, lepenismo,trumpismo” come i soggetti della storia presente e futura e non come “maschere farseche” dei veri “poteri forti” che guidano il carro della storia in questi ultimi tempi.Il populismo è solo il canovaccio imposto poi ognuno lo recita con le proprie parole e ci mette la faccia.Il disagio e la protesta della forma partito che in questi ultimissimi anni aveva garantito una casa alle persone impoverite, emaginate, sempre più sole si sta sgretolando dall’interno, il voto a chi denuncia è vincente a prescindere, lo tsunami porta a una deriva di massa nei valori e negli argomenti della destra neoliberista che sta giocando la sua ultima mossa per “lo scacco matto”. Le scosse sono ancora di avvertimento e di assestamento….la faglia esplode e il terreno è ancora capace di trovare un assestamento con equilibri diversi dal passato creando macerie non ancora materiali ma profonde antropologicamente senza morte e disastri ambientali.Ma siamo lì lì davanti a un burrone a cercare gli stimoli per sopravvivere e di vivere in controtendenza.Come …..cercando di vivere dai margini dell’Impero la politica “teknè politikè” rappresentando sempre le persone e i gruppi sociali in sofferenza , raccontare sempre la verità non la verosimiglianza interpretando i ruoli che l’establishement ci impone….evitare di ricreare nuove contraddizioni irrisolvibili democraticamente nella consapevolezza e responsabilità.Questo si chiede ai governanti e non è poco….dare un senso provvisorio e corretto anche alla “teknè politikè” parlando di Europa ed occidente non come la panacea ma con discorsi onesti, netti , coerenti e radicali legati alla realtà effettuale e non ideale.Tutto questo sapendo che c’è un senso più vero e quotidiano della Politica-Politèia pur essa legata alla formalizzazione del meglio e non dell’ottimo.L’ideale e il reale che si fanno modello istituzionale nelle Costituzioni che vanno rispettate e non adorate fideisticamente come totem o tabù eterni e immutabili. Infine la “politica” come vita quotidiana dei valori dell’uomo che non si fanno universali e necessari per perdere “l’anima” dell’uomo nella vita nel mondo naturale e artificiale .” la grande vita che si nasconde e resiste” nei piccoli gesti, nelle piccole cose, nelle piccole parole della poesia, nei piccoli paesi e comunità del silenzio e dell’abbandono vitale.La politica di una “vita activa” libera e consapevole che si fa contaminare dalle “communitas come dono-munus” inclusivo ed altruista non dalle “immunitas” come rifiuto e isolamento patologico esclusivo.Questa commino l’ho incrociato nei tratturi della transumanza degli appennini italiani, nella “casa della paesologia” di Trevico….nelle feste comunitarie di Cairano ieri e oggi di Aliano. “Grande vita “ oltre la miseria dell’ultimo uomo dove “ognuno sia soggetto e non oggetto” di vita in direzione di un “sapere forte ma arreso” ma in direzione ostinata e contraria di ogni autorità che pretendono di farti deviare dalla realizzazione della dimensione comunitaria dell’esistenza come sradicamento come tradimento e allontanamento dai luoghi della vita intima e personale autentica. Per concludere e alleggerire il tutto torno ad Aristofane e il suo leggero auspicio per la comunità di Atene appesantita dagli apocalittici,saccenti e pesanti ammaestramenti dei “filosofi”.Auspica nella comunità un ritorno di Dioniso come doppia valenza di possibilità di salvezza per il teatro e per Atene. E lo fa dire allo stesso Dioniso : “Statemi dunque a sentire: io sono sceso quaggiù a cercare un poeta. Per farne che, direte voi? Perché la nostra città possa salvarsi e mantenere il suo teatro”.] Ma perché un poeta dovrebbe essere preferito ad altre persone, nell'ottica della salvezza della città? Risponde Euripide: “Per la sua capacità e i suoi ammonimenti, e perché rendiamo migliori i cittadini nelle loro comunità”. In altre parole, Aristofane vuole affermare che la città e la comunità per salvarsi devono essere gestita da persone oneste e corrette,visionarie e poetiche e la tragedia e la lirica concorrono proprio a creare questo tipo di persone.

martedì 27 settembre 2016


“oggi e sempre …paesologia!”

“ Orlo, bordo, confine, selve, monti, mare, alberi, zolla, cane, vigna, nuvole, vacca, panchina, sole, alba, tramonto, e vento, neve, pioggia, e altro vento, e altra neve, e aprile, e il verde di maggio, e il nero di settembre, silenzio senza opinioni, luce senza commenti, voglio solo che la vita sfili, se ne vada da dove è venuta, non la trattengo, non voglio trattenere niente, camminare, guardare gli alberi, prendere confidenza col cielo.”F. Arminio.


La paesologia predilige le pieghe, le crepe,le sfumature… e le diramazioni che le parole assumono nel corso del “vivere e pensare” nel loro uso e contesto materiale …. storico ed esistenziale. Sono le modalità del pensare che segano la differenza .Il nostro contesto classico-moderno aristotelico-cartesiano ci ha abituati a ad assegnare ad ogni ente umano o naturale una “sostanzialità unica” sinolo di “materia e forma” dove la “forma” assegna caratteristiche e senso ad ogni ente. Ogni ente “è e non può non essere …così come lo percepiamo o pensiamo”…..altro è pensare il reale come continuo, evanescente ,provvisorio processo che parte da una “propensione immanente” autonoma non eteronoma. Un ente umano o naturale “causa sui” con una sua volontà e capacità di pensare ma soprattutto “vivere”con pensieri e ideali provvisori da tradurre in azioni e realizzare volta per volta.Il mondo non è solo “esteso o gettato” per essere conosciuto….domenticando che lo stesso “zoòn politikon ekon legon” stabilisce un rapporto e il nesso tra l’io e l’altro è originario e che l’io è costitutivamente immerso in una situazione data di connivenza con l’altro-da-sé:invece di stabilire una distanza da costruire nel pensiero, presta attenzione all’«intesa» che si tesse inavvertita e trattiene nell’aderenza al paesaggio del mondo.Un “sapere arreso e provvisorio” che mi aiuta a vivere prima di conoscere un paese attraverso un disponibilità di “connivenza” come rapporto che si converte in tacita comunicazione…compassione …..senza per questo voler accedere a un altro piano immateriale….solo percettivo…intuitivo ….sentimentale o peggio “irrazionale”.Non ci sono “immacolate concezioni” ma neanche defatigati Sisifo o eroici Prometei che tengono!Semplicemente “I luoghi stanno sparendo. “Prendi un angolo del tuo paese e …..fallo sacro”.Ci sono vissuti che prestano attenzione all’«intesa» che si tesse inavvertita e trattiene nell’aderenza al paesaggio del mondo e in particolare ai “piccoli paesi” trascurati e abbandonati per nostra fortuna.”Il sapere arreso” trasforma la connivenza …la “koinonia” in tacita e silenziosa comunione oltre la comunicazione nella dimensione dello spirito e del “sacro” che si sente nello stato di “grazia” di andare “oltre” l’ente , le persone, le cose …..percependo e vivendo “l’evanescente” in una esperienza che va oltre la “mistica estraniante” ma che sente il fondo indifferenziato delle cose, che non rientra nel registro della presenza, ma del “nascosto” tenue e sottile non per definirlo ingabbiandolo nel “logos” ma mantenendosi nella fecondità del virtuale della “poiesis”.Quando Arminio visionariamente sulla rupe di Cairano parla di “costruire “un museo del vento o …delle nuvole ”mostra “l’anima folle …misterica ” della paesologia .Nulla meglio del vento la rappresenta: come per l’aria di un volto o l’atmosfera di un luogo, il vento è imponderabile e inconsistente, ma si propaga in modo insinuante e diffuso. A sua immagine si diffonde l’influenza che si spande silenziosa fra individui o la fiducia che sfugge alla presa di volontà o intelligenza e si annoda nella relazione tra uomini. La nostra lingua-pensiero, abile nell’eliminare l’equivoco, la confusione di aspetti che andrebbero distinti, fatica a cogliere l’ambiguo, le situazioni in cui ancora non è emersa l’opposizione tra l’uno e l’altro.:Noi non siamo “costruttori abili” di pensiero sul paesaggio sul sentimento e la passione di vivere un paesaggio…nella stabilità e nel fluire …tra forma compatta e trasparenza informe….sempre in una logica oppositiva o dialettica…..ma che sente la forza e l’attrazione della relazione. L’esperienza di una “intimità”tra l’io e la propria vita che superi anche la categoria dell’ amore che deraglia sempre nel possesso dell’altro o nella tomba del desiderio per diventare delusione o morte. Una “intimità…paesologica” non individualistica ma comunitaria che non smette di cambiare e rinnovarsi nella quotidianità e nel tempo verticale che scorre diverso come il fiume di Eraclito….che è sempre disponibile ad essere penetrato ma mai compreso una volta per tutto.”Un evanescente” naturale che stabilisce non poteri o autorità sul reale ma che cerca , sente e trova occasioni di “relazioni compassionevoli”
 mauro orlando

mercoledì 21 settembre 2016


L' occhio poetico e paesologico... 


Prima c'e lo sguardo poi venne la parola e il canto....affrontando per paradosso il tema della "cecità" ( anche della sordità o della sensibilità in genere) ci si trova in un fitto reticolo compositivo delle varie e possibili forme della "comunicazione" dell'homo sapiens sapiens.Karen Blixen ci racconta di un inconsapevole "cicogna" disegnata da uno sventurato nell'affannoso tentativo di tappare le falle di uno straripante temporale notturno nel proprio giardino.C'è una inconsapevole luce nelle tenebre che ci attrae e avviluppa percettivamente in una "visione interiore" chiara e distinta a cui partecipano i poeti e i visionari in genere.A volte ...ripercorrendo un cammino retrospettivo....proustiano...negli abissi piacevoli della memoria....dove il disegno di ogni coscienza ed esistenza si traccia oscuratamente.Gli eventi ...i fatti...i sentimenti...le idee emergono da argomentazioni in forme espressive diverse...come le atmosfere oniriche di Kafka...quelle allucinanti e spettrali di Dostoevskij...quelle intimamente liriche di Saffo....quelle sofferenti per i naufragi della ragione di Leopardi e su di lì. "Scrivo senza vedere....dove nulla ci vedete....leggete che vi amo" ....Così paradossalmentee "scriveva" Diderot per scrivere il suo amore nascosto.Il sapere in gebere ha a che fare con i mezzi conoscitivi che utilizza per mostrarsi....farsi....vedere...credere...intravedere prima che intervenga il dubbio e il sospetto per evitare il sistema e il vizio metafisico ....per precauzione di assolutiuzzazione ... il "sapere ....dichiara una resa provvisoria" non come atto definitivo e conclusivo. La "paesologia" intende la sua "resa" e si da una "tregua" verso il mondo...la filosofia...la teologia e sceglie la strada visionaria e autentica della "poesia" ( Omero si accecò per rimaner nel sogno) per intraprendere un nuovo e diverso viaggio nel mondo...tra gli uomini e la natura non seguendo servilmente la strada del "logos"..E allora si riparte dallo "sguardo" che è quello immediatamente più inquinato e condizionato da "una modernità incivile" che ha colpito l'io nella sua essenza lirica, profonda e esistenziale. La "skèpsis" è cosa immediata dell'occhio....la parola in origine designa una percezione visiva...l'osservazione...la anonimia....la atopia....la vigilanza...l'attenzione dello sguardo che esamina...sceglie....divide e ricompone.Si spia intimamente e si riflette pubblicamente e poi "si significa ciò che ditta dentro" come scrive Dante.....ritardando il momento delle conclusioni...nel parlato, cantato e infine .nella scrittura.Il giudizio si sospende in una ipotesi provvisoria di ritenzione scritta.Il tutto precedentemente vissuto nello sguardo e nel silenzio.... guardando e ascoltando.Scegliendo per consapevolezza il tempo verticale della coscienza e lo spazio non dei "luoghi non luoghi" della urbanizzazione antiumanistica....ma il margine....la periferia....le frane..."gli spazi interminati e gli infiniti silenzi" oltre la siepe......i piccoli paesi del terremoto e dell'abbandono per ritornare a "rivedere ...le stelle" della "grande vita" preservata e autentica...Sull'orlo del precipizio e dell'accidente si può scrivere anche ad occhi chiusi ..."gli occhi dlle dita scrivono " estraneandosi del mondo anche perché disorientati e distratti dalla notte della civiltà antiumanistica..... "Sono nato nella bocca di un lupo- scrive il poeta-paesologo Franco Arminio- un lupo sperduto in un’altura senza boschi, era febbraio del sessanta, c’erano nel paese una decina di macchine e un migliaio di muli, le rondini muovevano il cielo, i porci tenevano ferma la terra, camminavano i giorni verso il futuro. Poi tutto si è fermato, siamo entrati nel mondo, i vecchi sulle panchine hanno preso la via del cimitero, il cimitero ha preso la via delle case. È andata così, più o meno, il tempo alla lunga si rivela la forma tranquilla del veleno." La “paesologia “ potrebbe essere questa via poetica-esistenziale dove ognuno cerca di imparare a "guardare" per sé e per gli altri con l'occhio incontamnato e selvatico del lupo ..... un animale molto umano.Non ama la debolezza ,preferisce l’astuzia e la leggerezza de “ la mètis”…greca alla furbizia e superficialità della modernità dello sviluppo a tutti i costi .Prova speranza ,paura ,orgoglio, disgusto,rabbia.Il upo con le sue azioni ci mostra e offre descrizioni e racconti del suo mondo interiore....in rapporto agli altri e alla terra che ci è data vivere..
mercuzio

domenica 11 settembre 2016


Al mio paese la terra trema sempre 
Franco Arminio 

Al mio paese la terra trema sempre, terremoto a oltranza. Ora abbiamo un paese nuovo e un paese vecchio. Il paese nuovo è brutto, come tutti i paesi nuovi. Il paese vecchio è bello, perché il brutto è tutto concentrato nel nuovo. Allora il mio consiglio è di non fare paesi nuovi. Bisogna rifare il paese dov’era. Rifare il paese, non solo le case, un paese non è una somma di case. Rifare un paese dunque non è questione solo di architetti e urbanisti. Spesso i paesi nuovi danno la sensazione di essere un catalogo di materiali edili.Torniamo indietro. Prima del paese nuovo ci sono le tende, poi i prefabbricati. Ci sono gli articoli dei giornali e i servizi televisivi, c’è la commozione delle prime ore, ci sono gli aiuti e le polemiche. I terremoti un poco si somigliano. I terremoti fanno cose strane, una casa cade e un’altra no. C’è chi muore sul colpo e chi resta incastrato con una trave sulla pancia, c’è chi ascolta gli aiuti, ma non ha la forza di farsi sentire. Mai bisogna dimenticare che il terremoto è un’irruzione improvvisa. E la tragedia nelle sue prime ore e nei primi giorni ha anche un effetto un poco euforizzante, almeno in chi non ha avuto lutti. Il terremoto è anche una faccenda di ruspe che fanno gli abbattimenti e poi di betoniere. Ci sono i ponteggi per le case pericolanti e poi le impalcature dei cantieri. Ci sono i piani di recupero, i piani di zona, insomma le carte dei tecnici. E poi ci sono gli stanziamenti, ci sono i governanti che nominano un commissario. C’è sempre una fase in cui arrivano i soldi ma i lavori ancora non cominciano. Poi c’è una fase in cui i lavori vanno a rilento perché gli stanziamenti sono finiti. Il terremoto apre anche spiragli, le persone non hanno più i loro divani, chi dorme in macchina sembra avere un tremore buono, l’arroganza è un poco dismessa.In Italia nessuno ha mai pensato veramente alla prevenzione. I morti causati dai terremoti li mettiamo nel conto. In Italia ci sono due milioni di persone che vivono alle falde di un vulcano attivo. L’economia della catastrofe fa parte dei nostri giochi. Al mio paese molti pensano che solo un terremoto può riaccendere l’economia. È come se si riuscisse a credere solo nella sventura. La sventura è l’unica forma che hanno i paesi per farsi riconoscere. La loro vita ordinaria sembra non esistere. Il paese interessa quando cade, quando frana. E allora il centro finalmente si muove verso i margini. Bisogna coinvolgere nel racconto dei terremoti un po’ di persone speciali. Bravi registi, bravi poeti, bravi fotografi. Per raccontare un luogo terremotato non basta il lavoro usuale dei giornalisti. Ci vuole qualcosa di più. E così anche per la ricostruzione: se c’è l’urbanista perché non deve esserci anche il paesologo?La cosa importante è ragionare sui paesi italiani. E invece questo non accade. E quando subiscono un terremoto ci troviamo impreparati anche dal punto di vista culturale. È come se non avessimo le lenti per guardarli, per capire cosa sono adesso. Ecco che diventa difficile salvarli senza manometterli più di tanto. Lavorare sui paesi senza espanderli, tenendo conto che tendono a perdere abitanti. Ma i paesi non muoiono, ci vuole poco per tenerli in vita. Nella ricostruzione bastano poche idee: fare le case prima ai residenti nei centri storici, poi ai residenti che si sono fatti la casa in periferia e in ultimo a quelli che le case le tenevano chiuse. Bisogna fare anche cose nuove, se servono a determinate attività economiche. Magari un ristorante che era in periferia può essere ricostruito in centro: piccole azioni centripete, in contrasto con la forza centrifuga che sempre agisce in questi casi. Si può pensare anche a una ricostruzione che diventi attrattiva. Per esempio, si scelgono cinquanta case di campagna e si affidano a cinquanta grandi archittetti di tutto il mondo. I contadini non solo restano dov’erano, ma le loro case diventano punti di un grande museo diffuso dell’architettura contemporanea. Sarebbe un’operazione senza grandi costi. E ovviamente deve essere fatta su case di campagna manomesse dalla modernizzazione incivile, prima che dal terremoto. Insomma, nel ricostruire i paesi non si tratta solo di sbloccare i fondi, ma anche l’immaginazione. E allora se al paese erano scomparse le fontanelle pubbliche si possono rimettere. Se c’era un edificio incongruo che è caduto non è detto che bisogna ricostruirlo dov’era: la proprietà deve essere considerata sotto l’aspetto dell’uso sociale (articolo 42 della Costituzione). È molto importante ricostruire pensando alla connessione tra paese e paesaggio, bisogna pensare alla terra più che al cemento.La terra trema e non possiamo farci niente. Possiamo far tremare consuetudini, rendite di posizione, grettezze provinciali ben saldate con gli interessi degli intrallazzatori sempre all’opera in questi casi. Il terremoto dovrebbe aiutarci a buttare giù l’Italia degli imbrogli e a far salire quella dell’attenzione e della bellezza.

sabato 10 settembre 2016

Il potere arreso del “fare”


di mauro orlando


  Da quando abbiamo dovuto rinunciare a piegare la critica sui limiti della conoscenza prima e del Potere poi….esercitando la mente tra paralogismi e antinomie e a frugare nei bauli degli arcana imperi….Foucault ci ha avvertiti una possibilità di “critica come l’arte di non essere esclusivamente governati” Oggi siamo alla nostra ricerca di una “attitudine a vivere la vita “ e non più il gesto elementare di “dire” e “fare” di NO. Il capitalismo …lo spettro inquietante della nostra adolescenza inquieta e movimentata ha dimostra una duttile e perversa capacità di “resilienza”….un’abilità particolare nel sussumere e neutralizzare, o addirittura mettere a profitto e restituire in forma di merce, ogni gesto critico, anche quello più radicale.E allora per non continuare a interpretare “senza se e senza ma” il ruolo di “mosche cocchiere…del capitale” o il ruolo del “povero soldato giapponese” dopo la seconda guerra mondiale…..o la cura nel proprio intimo di un sentimento apocalittico e malinconico di “poeti maledetti” in realtà complesse o a inseguire “le debolezze del pensare” come ultimo e decoroso rimedio allo scacco di una generazione genero di “ ingenui e disarmati guerrieri”. Oggi esercitiamo un “elogio della fuga “ nei luoghi possibili ed arresi nei “luoghi comuni di umanità” che vive la resilienza ai margini ….”nei piccoli paesi… colettivi di pesniero e di vita per fare e guardare altrimenti” E’ nei territori isolati dell’abbandoni …spina dorsale di una Italia delle pianure e delle coste postmodernizzata nella rivoluzione antropologica vaticinata da Pasolini…..che ritroviamo la “brace” di una vita autentica da rinfocolare e accendere.Lo strumento nobile della critica del dubbio e del sospetto ha fatto il suo tempo…il pensiero oggi ha la necessità di ricuperare i suoi comopagni di viaggio naturali che sono “sentimento e passione”…per fare altrimenti e costruire nuove e collettive forme di vita provvisorie e attive. Il sapere arreso non è “una resa incondizionata e rasseganata” ma è forma di esistenza dove modi semplici e amicali di territorio comune e amicale non si fanno rinuncia e autocommiserazione.Nessuna intenzione di costruire il comunismo con altri mezzi ma sicuramente scegliere la strada e il viaggio dentro la deminesione del comune non dell’individuale.Abbandonare il grande fiume della Storia per inventare e vivere “nuove e piccole storie” non di riscatto o di compassione ma ricche delle energie vitali per continuare la “vita activa”. E allora con modestia, perseveranza e radicalità recuperare lo sguardo profondo delle “idee del cuore” ( come i greci “eidein è guardare in profondità per «saper vedere» resistenza al reale complesso …all’ esodo dai non luoghi del capitalismo finanziario e commerciale…. e alla costruzione di alternative non utopiche ed universali …e incomininciare i racconti non di sconfitte, soprusi e sofferenze ma saoer raccontare una liberazione fatta di piccoli gesti, espressioni di sentimenti e passioni umante tutte umane. Si tratta, insomma, di esercitare la potenza del no nelle forme di vita che costruiamo, come già il Bartleby di Melville, ma anche e soprattutto di andare al di là della sola negazione puntando, in positivo, sulle capacità progettuali collettive degli uomini e donne in carne ed ossa incontriamo alle nostre “case e feste paesologiche”. 

Mauro Orlando

giovedì 8 settembre 2016


...le "notti attiche" di Trevico... Clandestinità e decenza per un incontro controverso. …il memorabile ….l’effimero… il sublime ….la paccottiglia il puro kantiano nell’aria impura del tempo….dello spazio e ….le categorie e le idee !? ..forme a priori della mente ordinatrice… “tutto ciò che non è immediato è nullo” e giù una scrollatina di spalle e una sbuffata di …..Cioran …ha avuto il dono dell’immediatezza la capacità di lasciar filtrare parole e le sue scorie scorrono nella circolazione del sangue che sale alla testa senza toccare il cuore parole ...parole di chi le incontra e vi rimangono talvolta allo stato latente finchè un giorno ritornano a risonare intatte dolosorse e incantate….negli incubi poetici delle “notti attiche” di Trevico…. Diogene smarrito ….in pieno giorno “A bassa voce ora conversa con ciascuno di noi” è un tono che sorprende e che confonde sibila quasi parole senza suono come “una parola detta in un orecchio…. …. in un momento in cui non te l’aspettavi …una parola attesa e diventata un ospite inquietante ma indispensabile….. ….tutto il sensorio percettivo torbido ed arido viene costretto risvegliarsi dai suoi sogni dogmatici…. duro viaggio ed una presa in “cura” di una mente cangiante,disponibile…turbolenta e perennemente attiva…... …..guardare gli uomini negli occhi che sfuggono ….guardare le cose …di sbiego… frastagliato e turbolento oggetti a continue distrazioni,divagazioni,simulazioni da sempre i miei ritorni sul luogo dei simposi comunitari “Han dato impressione che il tempo e il modo di arrivare erano quelli di entrare a casa mia dove comando io” con una valigia piena di ragioni…concetti….e fantasie e sogni nel mercato libero della immaginazione al potere… ho sempre amato gli uomini che sanno coniugare sensibilità…sogni e fantasia a sottile ironia e anche a un cinismo purchè sia bizzarro e libero. INSOLENZ A …..IMPRONTITUDINE…. IMMEDIATEZZA ….temo gli scrittori perché abili nel celarsi…per mestiere difficile saperli scovare e smascherarli ….con amore… ermeneutica scaltra e sottile dei salotti parigini…. . dove ogni stile si forma per successive campagne intimidatorie e predatorie in territori destrutturati altrui….. oggi … “il bello non è la promessa o la speranza di felicità…. ma “ l’avidità degli occhi come lotta d’amore in un sogno… un pòlemos filosofico agonistico più che una guerra….. pensare è …..gettare una luce magica nell’oscurità naturale delle cose e elaborare il lutto della banalità superficiale delle azioni umane…. non più pensare o snidare l’Essere Pensare che ama nascondersi “un peccato infinito” d’orgoglio originato in Edipo….. interpretare infinitamente…senza un “inizio” e senza un “fine” …. in un moto incessante,abrupto, frantumato e ricorsivo….. “Zoòs èkon lègon” non più “politikòn” ….condannato di continuo all’umiliazione di nuove conversioni Interprete interpretabile di sempre diverse interpretazioni si rifugia nelle crepe delle sue corazze senza decisioni per sfuggire all’orrore di queste apostasie filosofiche si è orgogliosamente rassegnato alla modestia della debolezza contento di sentire il calore di un asilo dell’impeccabile ingenuità. Tirata giù d’imperio …l’antenna metafisica del’orgoglio razionale Ho educato una capacità folgorante di percepire la pura apprensione dell’istante La capacità a sorprendersi degli istanti in cui la vita rivela la profondità E la complessità multipla dei suoi i piani infiniti……. accontentadosi di sentire e percepire più che pensare mauro orlando

lunedì 5 settembre 2016

......totem e tabù....


Sono sempre più imbarazzato e reticente con vecchi e nuovi amici a parlare di Renzi e il succedaneo dispregiativo ”renzismo” …..della sua esperienza di governo e di guida del PD. Questo condizionamento non solo psicologico che si esercita carsico nei toalkschow per piaggeria succube….. comincia veramente a darmi fastidio specialmente tra amici e compagni per tacita obbedienza a meccanismi automatici di condizionamento che non partono mai dal merito del problema. Anzi il merito è una forma indiretta di omologazione al potere in corso.E’ politicamente e istituzionalmente pericoloso….e il peggio rappresenta la continuità del berlusconismo con altre forme ….altri mezzi e argomenti…..è superficiale e leggero ……è la tomba della storia della sinistra e giù di lì…..Cercare analisi e argomentazioni oltre i dubbi e i sospetti è non solo casa vana ma diventa discriminante per una condanna sommaria e per consumare amicizie superficiali e sospetti di comodo.Situazione tragica in altre epoche storiche “rivoluzionarie” che per fortuna in Italia si ripete in farsa ,parodia e commedia. E allora mi piacerebbe di affrontare il problema mettendo a confronto esperienze del paradigma democratico che toccano varie situazioni che in questi ultimi tempi stanno attaccando istituzionalmente e concretamente la esperienza della democrazia così come l’abbiamo vissuto e praticata in questi ultimi decenni.Avvertendo il lettore malcapitato che la lunghezza e l’articolazione del ragionamento non è l’incentivo all’abbandono della lettura. Il tema è lo svilupparsi di una tendenza verso “una democrazia dispotica” o un “despotismo democratico e leaderistico” in occidente ma anche in altri paesi geograficamente e culturalmente distanti .Tralasciamo le esperienze che riguardano territori dove il rapporto tra Stato e Chiesa non è regolato da nessuna forma di concordato e che pone il problema della “laicità” dello stato non confuso con la semplice “secolarizzazione”.Una involuzione di vario tipo verso un dispotismo di maggioranza nelle democrazie occidentali che agevola specialmente a sinistra l’assuefazione ad un “sonno dogmatico” o “ rifiuto pregiudiziale” che arriva al paradosso di accettare un dato di fatto :il consenso elettorale non è più il criterio per giudicare buono e liberale un governo. Problema aperto anche per le democrazie costituzionali.Non prendo in considerazione il giornalismo scritto e parlato che negli ultimi tempi ha dato di sé il peggio sia per professionalità e conoscenza .Gli stessi costituzionalisti sono prigionieri del loro sapere costruito nel complesso e sofistico panorama della politica italiana dalla egemonia democristiana attraversando supine le supplenze istituzionali della seconda repubblica e i disastri culturali del ventennio berlusconiano e i suoi epigoni imitatori o oppositori .Una normale espressione delle tre categorie della scienza politica (“polity”, “policy” and “politics”) sarebbe un strumento di correttezza e di lealtà e onestà intellettuale verso chi legge la politicata e ascolta la politicante. Questi termini – che non hanno un equivalente italiano – indicano tre diverse dimensioni della politica, rispettivamente: la politics, la sfera del potere, inteso come capacità di influire sulle decisioni prese dagli individui; la polity, che si riferisce alla definizione dell’identità e dei confini della comunità politica organizzata; la policy concerne invece i programmi d’azione e i processi decisionali, ossia l’insieme di leggi, provvedimenti, politiche pubbliche attuate per gestire la res publica.Queste precisazioni aiuterebbero anche a preparare lo spirito pubblico ad articolare giudizi politici utili per chi li reclama e per chi li gestisce bene o male . In questo contesto di “confusione consapevole e responsabile” si sono vericati dei mutamenti che tentano a farsi antropologici e culturali.Il primo mutamento è quello che viene definito “metamorfosi della politics”, in cui si considera la trasformazione, formale, della dimensione processuale della politica. Tale trasformazione riflette in maniera inequivocabile un mutamento di prospettiva e di rilevanza rispetto alla funzione della progettualità politica e dunque della politics. Questo nuovo tipo di consuetudine alla lamentazione e alla denuncia non tocca solo l’impoverimento del linguaggio “della transizione”, che sviluppa moduli linguistici e formule di opinione improntate al “nuovismo” vuoto e rituale . Il linguaggio della transizione è il linguaggio della crisi, della inesorabile cesura tra un “prima” e un “dopo”, tra un “ante” e un “post”; contrassegnato da una permanente “sospensione” tra ciò che è stato e ciò che invece sarà, o non sarà mai, è il linguaggio “populistico” della democrazia plebiscitaria che fa appello al popolo sovrano e al rapporto diretto tra leaders ed elettori. Questo tipo di linguaggio ha determinato un mutamento della “forma” politica, attraverso il lessico del “nuovismo”, ossia di un lessico che non si serve di parole nuove, piuttosto preferisce rovesciare il senso delle parole vecchie; un lessico enantiosemico,( dal greco ‘enantìos’ contrario e ‘sema’ segno ) per cui quando si dice una parola si deve intendere il suo contrario, come nel caso del “federalismo” che nel linguaggio leghista è servito ad indicare l’idea di separazione, di “secessione”, non di unione. Quando il mutamento del significato delle parole è indotto, allora ci troviamo in un quadro concettuale-politico diverso, in cui dobbiamo ridefinire tutta una galassia di significati. E’ un po’ quello che avviene in 1984 di Orwell, nella ridefinizione di un lessico politico che, in quel caso, riflette una mutazione irreversibile della natura della politica. Il secondo fenomeno è quello che viene definito “catarsi della polity”, un effetto dovuto al carattere performativo del nuovo codice linguistico adottato. Il linguaggio politico diventa il veicolo, il vettore di una catarsi della polity nel fenomeno del “ populismo”: uno sfogo che preannuncerebbe un nuovo equilibrio politico-istituzionale. I due tipi di linguaggio possono essere definiti “populisti”, sia per l’avversione esplicita nei confronti dei canali tradizionali della rappresentanza della dottrina giuridica e politica , la cui destrutturazione e trasformazione ha aperto la strada a nuove forme di mobilitazione sociale e di difesa degli interessi, sia per l’appello reiterato al popolo sovrano, che sovrano non è più, evidentemente. Il terzo momento è costituito definito “neutralizzazione della policy”, ossia l’impossibilità da parte dei politici di tradurre le issues politiche e sociali in coerenti formule politiche, in progetti politici, per cui il linguaggio populista finisce per esprimere la non traducibilità di queste issues, la non formulabilità di una concreta politica (policy) di governo nell’interesse generale del paese. Perché, se queste issues si traducessero, assumerebbero la forma di stridenti e forse insuperabili conflitti sociali o, nella peggiore delle ipotesi, della lotta civile. Accanto al linguaggio politico populista prevale poi il “linguaggio del’anticultura”, che minimizza o addirittura tende ad esautorare il ruolo della cultura nei processi di legittimazione democratica. Questo ci imporrebbe di interrogarci sul ruolo della cultura oggi, riprendendo la nota formula della “politica della cultura”, coniata oltre cinquant’anni fa da Bobbio in Italia e Popper nel mondo. Alla cultura spetta il compito di restituire alla politica la sua dimensione prospettica ed etica, senza la quale essa resta vittima del presente, della precarietà e della assoluta contingenza. mauro orlando
 

 Clandestinità e decenza per un incontro controverso. …il memorabile l’effimero il sublime la paccottiglia il puro kantiano nell’aria impura del tempo….dello spazio e ….e categorie!? forme a priori della mente labirinto… “tutto ciò che non è immediato è nullo” rispondeva infastidito Cioran …ha avuto il dono dell’immediatezza la capacità di lasciar filtrare parole e le sue scorie scorrono nella circolazione mentale di chi le incontra e vi rimangono talvolta allo stato latente finchè un giorno ritornano a risonare intatte dolosorse e incantate….negli incubi poetici delle “notti attiche” di Trevico…. Diogene smarrito …. “A bassa voce ora conversa con ciascuno di noi” E’ un tono che sorprende e confonde Sibila quasi parole senza suono come “una parola detta in un orecchio…. …. in un momento in cui non te l’aspettavi” …una parola attesa e diventata un ospite inquietante ma indispensabile….. ….tutto il sensorio percettivo torbido ed arido viene costretto risvegliarsi dai suoi sogni dogmatici…. duro viaggio eduna presa in “cura” di una mente cangiante,disponibile…turbolenta e perennemente attiva…... …..guardare gli uomini negli occhi che sfuggono ….guardare le cose …di sbiego… frastagliato e turbolento oggetti a continue distrazioni,divagazioni,simulazioni da sempre i miei ritorni sul luogo dei simposi comunitari “Han dato impressione che il tempo e il modo di arrivare erano quelli di entrare a casa mia dove comando io” con una valigia piena di ragioni…concetti….e fanatasie nel mercato libero della immaginazione al potere… ho sempre amato gli uomini che sanno coniugare sensibilità…sogni e fantasia a sottile ironia e anche a un cinismo purchè sia bizzarro e libero. INSOLENZA …..IMPRONTITUDINE…. IMMEDIATEZZA ….temo gli scrittori perché abili nel celarsi…per mestiere difficile saperli scovare e smascherarli ….con amore… ermeneutica scaltra e sottile dei salotti parigini…. . dove ogni stile si forma per successive campagne intimidatorie e predatorie in territori destrutturati altrui….. oggi … “il bello non è la promessa o la speranza di felicità…. ma “ l’avidità degli occhi come lotta d’amore in un sogno… un pòlemos filosofico agonistico più che una guerra….. pensare è …..gettare una luce magica nell’oscurità naturale delle cose e elaborare il lutto della banalità superficiale delle azioni umane…. non più pensare o snidare l’Essere Pensare che ama nascondersi “un peccato infinito” d’orgoglio originato in Edipo….. interpretare infinitamente…senza un “inizio” e senza un “fine” …. in un moto incessante,abrupto, frantumato e ricorsivo….. “Zoòs èkon lègon” non più “politikòn” ….condannato di continuo all’umiliazione di nuove conversioni Interprete interpretabile di sempre diverse interpretazioni si rifugia nelle crepe delle sue corazze senza decisioni per sfuggire all’orrore di queste apostasie filosofiche si è orgogliosamente rassegnato alla modestia della debolezza contento di sentire il calore di un asilo dell’impeccabile ingenuità. Tirata giù d’imperio …l’antenna metafisica del’orgoglio razionale Ho educato una capacità folgorante di percepire la pura apprensione dell’istante La capacità a sorprendersi degli istanti in cui la vita rivela la profondità E la complessità multipla dei suoi i piani infiniti……. accontentadosi di sentire e percepire più che pensare

domenica 4 settembre 2016

uando comincia l'inverno il ritorno nei nostri scontenti.. caro....amico Aitan mi mancano i tuoi abbracci fragorosi.... ....i morti reincontrano i vivi lasciati sugli altari e sui muri di casa o negli angoli sempre più bui ...i libri muti di polvere riprendono a sperare di non finire ingloriosi sulle bancarelle della Caritas e noi .....rientriamo nella casa-prigione delle città non -luogo dove il tempo lo scandisce il lavoro a parlare ai nostri spettri segreti sulle mura solitarie della sempre "marcia Danimarca" e lasciamo agli alberi perdere le foglie sulle colline magiche delle nostre speranze senza paura del ciclo naturale delle cose ... ....panta rei.... nell'eterno ritorno del diverso negli orizzoni infiniti del mare .... .....restituiamo il silenzio a Trevico ...ce lo ridarà ....non temere...con gli interessi alla primavera che verrà ... e avrà i nostri occhi ora....conserviamo nel cuore poeta i colori del buio.. la luce diversa di albe e tramonti i furori e i tremori dei chiari di bosco. il rumore di passi invecchiati e di foglie morte ..... .....la panchina e l'ombra del tiglio... un libro abbandonato in cerca di amore.... nei nostri piccoli paesi abbiamo saggi e inoperosi contadini della bellezza nei nostri piccoli paesi dalla garnde vita... uomini antichi e donne silenziose che lavorano e aspettano l'assenza... dei suoi figlioli prodighi amanti d'avventure ....ogni anno...ritorniamo nelle case di bambole in un universo senz'amore per una necessità imposta nel tempo e nello spazio del ciclo innaturale delle cose .... torniamo vittime di un desino cinico e baro a intrattenere fantasmi che ci aspettano ... nella dolorante solitudine urbana.... .....la malinconia fa male ma lascia il mondo come e dove ....è e poi lo riprende in primavera il desiderio e torniamo a farci guardare dalle crepe... ....in fondo alle crepe ...sai c'è un vento dolce di morte e di passato che soffia leggero e piano a primavera e fa germogliare una primula vagante nel seme .... lasciamo che i morti ci guardino dalle crepe anche all'aperto nei prati e nei boschi... tra i sentieri interrotti da radure sognanti ....la vita in fondo è solo una anomalia della morte è una frana...un precipizio...un terremoto un paese che chiude in casa la vita... nella casa in città non luoghi di ricordi attaccarli ai muri ....chiusi nell'armadio o nel cassetto segreto dello scrittoio abbandonato imbavagliati con la vita tra caotici passaggi sentimentali tra un sesso freddo e varipinte bugie e un bicchiere sempre vuoto bevuto troppo in fretta ...aspettando che finisca l'inverno ....di questo ti parlavo in sogno questa notte ...mio caro amico Aitan.... su quella panchina deserta di Aliano mettevi il dito sulla bocca e sibilavi il silenzio e....premuroso di affetti e prodigo di carezze alle mie balorde e incomprensibili parole rispondevi con un fragoroso.... ....No No No No ! e mi sorridevi abbracciandomi.... di spalla.... cercando con gli occhi la tua cara Silvia....
....Romagna mia....Romagna in fior tu sei la stella ...tu sei l'amor.....

Quando anche la Romagna...sì quella della piadina e del "ballo lisssio".....e le sue vacanze ruspanti e vere ..... entrano nella sfera degli "Archistars"...."la modernità incivile" ha vinto e allora ..... sì acceta per pigrizia e per resa una esistenza nella quotidianeità ....attimo per attimo .... il passaggio della nostra cultura del vivere...abitare...riposare dalla forma familiare a quella manageriale....finanziario-globale.....il futuro come idea si fa tecnologia....mezzi e manufatti usati come fini....comunicazione immateriale come ricerca di consenso e convinzione indotta delle moltitudini impaurite dlla morte ....costruzioni architettoniche rassicuranti e anonime..... non come critica del presente secolarizzato o presentizzato dove a nche i progetti ideali politici e sacri...diventano semplici manufatti abitativi generici e temporanei secondo progetti disegnati e realizzati senza anima...neanche da ricercare tra le suppellettili del grande consumo.....progetti divenuti prodotti commercializzabili...merce tra le merci ..... non da abitare e vivere per acquistare un senso personale ..... esistenziale e sociale.....senza una dialettica formale o concreta tra interno-esterno ...verticale-orizzontale ....solo immagine ammiccante,luminescente e superficiale come visibilità mercantile....ogni momento della vita ....anche quelli intimi e irripetibili....deve farsi evento con interessi legati ad un presente che non passa e non vuole passare ....sgangiato dalla pesantezza del passato e dalla fumosità del futuro.....manufatti unici e muolteplici per grandezza e forme .....come forza del potere "arcano-invisibile " finanziario e innaturale dalle molte maschere e canovacci ....spazi verdi disegnati da professionisti della bellezza per confezione da esibire in modo temporaneo nel periodo estivo....o di "vacanza" con piantumazione stagionale consumato nel ciclo provvisorio vita-morte.....coerenti al tempo della perdita di senso della identità comunitaria di nascita ....nel tempo immobile della postmodernità della rappresentazione e della finzione senza possibilità estetica o concreta in una vuota metafisica del presente eterno....gli Archistars hanno venduta l'anima a Mefistofele nello scambio di fama e denaro per un prodotto senza scopo se non materiale o tecnico ....uno scopo che è anche uso...fondamento...senso...intenzione...progetto di vita reale e vissuta....un ritorno ad una opera d'arte .....prima dell' avvento e signoria della "Tecnica" ...il ritorno come "nostos" sentiemntale ad .una pratica artistica e creativa con intenzioni "poietiche".....un sapere che sa riprendersi l'anima in autonomia oltre le eteronomie etiche del cliente e del committente....con Diogene ....con un po di cinismo in meno e di buon senso in più....qui a Milanomarittima... che cerca "en plei soleil" in qualche osteria tra piadine...cappelletti e tagliatelle e buon lambrusco...il vecchio architetto romagnolo che aveva pensato di andare oltre Cervia....il canale e i pescatori.... e la raccolta delle noci.....per un idea di sviluppo senza progresso del territorio costruito intorno all'anima romagnola e non viceversa....senza negare gli uomini come sono ma cercare incentivare nei cambiamenti sempre il dubbio e il sospetto verso il presente.....sempre e comunque... come "cura di sè e degli altri"......

martedì 2 agosto 2016



“Nessun vento è favorevole per chi non conosce il porto”. Seneca

La modestia e la presunzione di una comunità provvisoria ed inoperosa sono nell’ordine del tentativo di un paradosso concreto .Il rischio esistenziale,poi. di provare a ragionare e sentire in un modo originale e diverso anche il senso dell’etica classica dello stesso Seneca facendolo “politico” è quasi un miracolo. Tutto questo nello spirito magico della “festa”.La festa di Aliano rispecchia lo spirito leggero,provvisorio,creativo che vuole espressamente evitare finalità,modelli,formalismi già consumati nel passato.” Un luogo per chi ha due minuti tra le dita per sè”. Un luogo dove si possa comunicare e “conversare non sotto il peso delle nostre parole e dove si possa passeggiare con la naturalezza e la leggerezza di un passero sopra il ramo” . Dove vivere la vita e …noi che ci conficchiamo in essa istante per istante”…Ho preso in prestito le parole leggere e profonde di Franco per dare il senso di “ciò che non siamo e non vogliamo”. Aliano è uno spazio aperto di libertà,di possibilità,di occasioni, di identità singolari ed autentiche,di espressioni ,di doni,di atti e pensieri politici nello spirito del confronto e dell’incontro ‘in comune’.Comunità provvisorie ed inoperose oltre le stesse “comunità incoffessabili” di Blanchot…”comunità che viene”di Agamben e “la comunità sconfessata” di Nancy e l’intricata rete che si annoda sulle varie scritture e analisi. Il Novecento ha consumato le aporie e i disastri istitituzionali in nome della “comunità” e alla mitologia della sua assenza e impossibile passione e sentimento di realizzazione una volta per tutte tra prove ed errori della cultura politica occidentale e moderna di coniugarla con le categorie incoffessabili economiche borghese dell ‘opera. Da qui la necessità concreta degli aggettivi “provvisorio e inoperoso”.Una “inoperosità” ….”per cui un opera non appartiene più all’rodine del compiuto, né del resto dell’incompiuto:ad essa non mamca nulla pur non essendo nulla di compiuto” J.L.Nancy. E’ la categoria della “festa” è quella che più rapresenta lo spirito di una “comunità provvisoria ed inoperosa” che si mette in mostra col meglio di sé e si vive festeggiando.Una “Festa” che non è un ‘porto’ in cui stabilire preventivamente e prospetticamente ciò che è possibile fare e non fare in essa,ma sapendo che ciò che si fa e si dice può essere disfatto, reso inoperoso e provvisorio,liberato,sospeso e sopratutto liberato da un “progetto” rigido e strutturato e economicamente definito,non contrapposto alle logiche egli scopi dei giorni “feriali”,operosi e produttivi. E’ un fare e un non fare come caso estremo di sospensione. Non ci sono fini, strenne,regali,oggetti d’uso e di scambio .Bisogna ridare senso alla categoria di “festosità” sgangiata dalla ritualità,dalla ripetitività,dalla progettualità come attributo del pensare,dell’agire e del vivere. Recuperare la perdita del senso e la voglia di ‘festosità’ per non rischiare di danzare senza la musica. Una festa che non diventi progetto razionale e necessariamente ‘ingessato’ ma neanche che sia ‘liquido’,'mitico’o ’sacro’.Una festa che vive e rispetta la comunità che la ospita e gli fa e riceve doni gratuiti e provvisori. Abbiamo bisogno di comunicare ’significanti’ con valore simbolico o strutturale zero e promuovere azioni,pensieri,idee, sensazioni,sentimenti e cose umane che la “Festa” svuota alleggerisce,rende inoperose,provvisorie per evitare ‘istituzionalizzazioni’ che separano,pietrificano,ricodificano,formalizzano nei classici dispositivi rituali e cerimoniali.Evitando che anche queste mie opinioni assumono il tono e il senso apodittico e presuntuoso del pensare e comunicare prescrittivo, etico e politico …. totalizzante e autoritario di un pensiero necessariamente non democratico e non comunitario.
mauro orlando

domenica 24 luglio 2016


..tu chiamale se vuoi...emozioni! “

Politica e poesia intrecciate ogni giorno, in ogni luogo. È un lavoro per anime nuove. Molti lo stanno già facendo. Non stanno in parlamento e non è importante che ci vadano, c’è già un fare luminoso che accade nelle mille italie che ancora resistono. L’Italia deve essere la federazione di queste gioiose resistenze, di queste piccole luci circondate da un mare di buio. Si muore e prima di morire tutti hanno diritto a un attimo di bene. Bisogna ascoltare con clemenza, bisogna coltivare il rigore e lottare fino a rimanere senza fiato. Diffidiamo degli opinionisti, l’Italia ha bisogno di percettivi. Cediamo la strada agli alberi. Più che la foga della crescita, ci vorrebbe il culto dell’attenzione. Attenzione a chi cade, al sole che nasce e che muore, ai ragazzi che crescono, attenzione anche a un muro scrostato o a un semplice lampione. Bisogna combattere contro l’autismo corale, darsi cura di accendere focolai di condivisione nella realtà più che nel virtuale. Mettere nella politica qualche furbizia in meno, qualche incanto in più..” 
franco arminio 

L’esperienza paesologica è anche sentire o capire non tanto come il “logos” ma come i sentimenti e le passioni sono cambiate nel tempo e nello spazio.”Ogni giorno e in ogni luogo” viviamo “emozioni”,”sentimenti”, “passioni” che condizione la nostra vita intima , amorosa e comunitaria….nel costruire nuovi miti….vivere luoghi abbandonati…le gioie dei silenzi naturali…e il rispetto della parola che parla e canta la bellezza delle piccole cose.Geografia e storia che si fanno scoperta e vita vissuta e dimensioni di genere, di età, di cultura, di sacralità,di strutture politiche e sociali…con qualche “incanto” in più.Emozioni nello stesso amore e uso della parola ….amore, rabbia…gioia…tristezza …accidia…disperazione…invidia…avarizia…cuopidigia…curiosità.Non solo per ricostruirne analiticamente i percorsi ei significati in un arco di lungo periodo per delinere “mappe emotive” nel tempo e nello spazio delle nostre storie e geografie mentali.Non interessa recuperare “lessici emotivi”che ci consentono di cogliere analogie, differenze …evoluzioni nelle fratture epocali tra un medioevo intimistico e una modernità complessa e intrigata con ricerca di autocontrolli stoici , epicurei,scettici o cinici.Con l’apertura di una “casa della paesologia “ a Trevico, con i viaggi della “cura” nei luoghi preservati e nei “piccoli paesi della grande vita”….nella festa paesologica di Aliano cerchiamo e viviamo “comunità emotive ….” gruppi …territori…ambienti…luoghi in cui si vivono originali e d autentiche comunità di sentimenti…di passioni provvisorie ma radicate in contesti storici, politici e religiosi liberi ed aperti.Esperienze che vanno oltre la denuncia e il rifiuto o la resa incondizionata alla “modernità incivile” tendenti al rispettoso sublimarsi dei sentimenti e le passioni interiori monacali e eretiche o alle fughe mondane dalle ansie di salvezza o timori di dannazione che sottovalutano il valore degli affetti individuali , comunitari e familiari.La preferenza per il formarsi di piccole comunità provvisorie con vocazione istituzionalizzante con veri e propri “ manuali di sentimenti e mozioni” e una sistemazione filosofica e dottrinale delle “passiones animi”…..Riproporre occasioni di esperienze della varie ed eventuali “comunità emotive” non per delinearne gerarchie in rapporto alle loro cause e ai loro fini e del cambiamento in relazione ai tempi storici e istituzionali o per determinarne differenziazione o disgregazioni in rapporto al loro patrimonio o potenzialità identitaria di esperienze e ricordi.Altra caratteristica importante non cercare di capire o di contrapporsi intellettualmente alla vita emozionale della gente comune che non ha gli strumenti di una lettura critica per scoprire il sottile filo rosso tra un passato che fa fatica a passare e un un presente e un futuro che fanno fatica a svilupparsi….
 mauro orlando

giovedì 21 luglio 2016


Per molti anni ho pensato alla democrazia tout court come l'occasione riflessiva e consapevole per un obiettivo fondamentale : uguaglianza politica . Poi ho cercato di esaminare le forme di rappresentanze e delle decisoni e ho studiato , in particolar modo, la deliberazione. Con l’espressione “uguaglianza politica” intendevo capire e dire che le preferenze di ciascun cittadino sono tenute tutte nella stessa considerazione. Questo vuol dire che a ogni singolo elettore è garantito lo stesso potere di voto, ovvero un’uguale possibilità di essere l’elettore decisivo. Questa è “l’uguaglianza politica formale”. Alle radici della “deliberazione”, invece, c’è il “ponderare” che può essere collettivo, individuale, o ambedue le cose, e implicare discussione, riflessione o entrambe. Consideriamo, quindi, la deliberazione come un’analisi di considerazioni in competizione tra loro in una discussione che è: informata (e perciò informativa): le affermazioni, che si basano sui fatti, esposte a sostegno delle varie tesi dovrebbero essere ragionevolmente accurate; bilanciata: a ogni tesi che sostiene un determinato punto di vista dovrebbero esserne contrapposte altre che rispondono ad altri di interpretare lo stesso problema; consapevole: i partecipanti dovrebbero essere disposti sia a parlare che ad ascoltare, civilmente e con rispetto; sostanziale: gli argomenti dovrebbero essere considerati per il loro valore e non in base a come vengono esposti o a chi li espone; comprensiva: tutti i punti di vista caratteristici di proporzioni significative della popolazione dovrebbero ricevere attenzione.questo percorso lo in un certo senso l'ho concluso partecipando attivamente e consapevolmente nella esperienza dei "girotondi" a milano con Nanni Moretti e il gruppo romano.Momenti di temsioni e conflitti non erano solo legati a mentalità radicate e territoriali....L'esperienza è stata personalemnete valida ma oggi il mio interesse non è tanto l'analisi formale della partecipazione politica....voglio vivere oltre che pensare direttamente la mia esperienza politca in rapporto alla categoria "comunitas-immunitas" nelle situazione reali di vita dei soggetti-cittadini ...una "rivoluzione copernicana" dello sguardo e del vivere la triade "io-corpo-altri"....la "PAESOLOGIA" svela i "segnavia" di chi ci ha preceduto sui territori e nei paesi per indicare il senso di nuove esperienze esistenziali-politiche nel confronto tra un centro e una periferia che non è solo sociologica ma esistenziale....dove è la periferia ad essere il luogo della nuova nascita e nuova politica...
mauro orlando

mercoledì 20 luglio 2016


Il programma ( provvisorio) de La Luna e i calanchi Aliano diventa una comunità provvisoria che unisce gli artisti invitati, le persone del paese e le persone che vengono da ogni parte d’Italia. Quest’anno la festa della paesologia si svolge dal pomeriggio del 20 agosto e fino alla mattina del 25 agosto. Non sono previste interruzioni. 20 agosto Alle cinque della sera Note d’avvio in giro per Aliano: Sergio Santalucia, Eduarda Iscaro, i Blindur Verso le sette Piazzetta Panevino Per Aliano Capitale della cultura 2018 ( ospiti da definire ) Dalle dieci di sera alle sette del mattino in Piazzetta Panevino La Storia di Passannante di Ulderico Pesce Lucania Quartet Adelelmo Ruggieri e Angelo Ferracuti: dialoghi marchigiani Lello Voce Raffaele Niro: l’attesa del Padre Eduarda Iscaro Blindur coworking delle solitudini dialoghi sulle intimità provvisorie Alba facoltativa 21 agosto Di mattina presto ricognizioni percettive con Fabio Nigro un filosofo in panchina: conversazioni uno a uno con Mauro Orlando: Casa della paesologia vecchie e nuove questioni meridionali Auditorium dei calanchi Alle dieci e mezza inaugurazione musei dedicati a Paul Russotto e Assadour ( ospiti da definire ) verso le undici e mezza l’economia del futuro: la forza del margine (ospiti da definire) poco prima dell’una Carovana paesologica verso Cirigliano Pranzo comunitario nel Bosco di Cirigliano Nel primo pomeriggio Rappresentazione dei Mesi e delle Stagioni del Carnevale Ciriglianese Alberi e Poeti: Andrea Semplici, Paolo Gentiluomo, Francesca Genti, Anna Petrungaro, Matteo Greco, Attilio Bonadies Fenomenologia dell’abbandono: Carmen Pellegrino, Andrea Di Consoli, Franco Arminio e Mario De Santis I suonatori di montemarano Sul far della sera Partenza per Gorgoglione Cerimonia dei sensi a Gorgoglione davanti alla Grotta del Brigante Nella grotta verso le nove e mezza: Il cantico dei cantici di caterina pontrandolfo e simona lisi Il Sud nel sangue , Daniel cundari, Vincenzo mastropirro e Antonio Dambrosio Aurelio Donato Giordano Attorno la mezzanotte Partenza per Guardia Perticara Franco Arminio legge Rocco Scotellaro Cosimo Gallotta e Sandra Cattaneo: frammenti da Pane e coraggio Donato Laborante: Cadute Verso le tre di notte Ritorno ad Aliano Piazzetta Panevino Notturno rurale sciamanico Alba facoltativa 22 agosto Di mattina presto ricognizioni percettive con Fabio Nigro un filosofo in panchina: conversazioni uno a uno con Mauro Orlando Casa della paesologia conferenze di ignoti senza pubblico Dalle dieci all’una Lezioni alla casa della paesologia Isaia Sales Gianfranco Viesti di pomeriggio La passeggiata nei calanchi: con Mariangela Gualtieri, i Fratelli Mancuso, Peppe Voltarelli, Paola Bianchi e Ivan Fantini, Vito La Forgia,, Margaret Ianuario e Daniele Barone, Amalia franco, Carmine ioanna, Vincenzo Mastropirro, Daniel Cundari, Antonio Dambrosio, Massimiliano di Carlo e Veronika Otto Dalle dieci di sera alle sette del mattino in Piazzetta Panevino Peppe Voltarelli in concerto Mariangela Gualtieri: Rito Sonoro Rino Lo Cantore e Ragnatela folk Max di Carlo e Veronika Otto: Hora Longa Guido Ianni e Davide Olori Mediterranean ensemble Vito La forgia Poeti meridiani a duello: Vincenzo Mastropirro, Daniel Cundari (e altri da definire) alle percussioni Antonio Dambrosio Odio le ragioniere, concerto poetico di poesiainazione con Claudia Fofi, Livio Arminio e Silvana Kuhtz Brainstorming delle pensate confuse Interviste agli anonimi nel salotto di paglia Planning improvvisato per passare la prossima mezz’ora Alba consigliata 23 agosto Di mattina presto Ricognizioni percettive con Fabio Nigro un filosofo in panchina: conversazioni uno a uno con Mauro Orlando Accidia meeting Casa della Paesologia Dopo le dieci Casa della paesologia: Roberto Mancini Goffredo Fofi presenta Occhi di Vetro dei Fratello Mancuso ( edizioni orecchio acerbo) dal primo pomeriggio parlamenti comunitari Vito Teti, Giuseppe Savino, Emily mignanelli, Alex Giordano, Marco Esposito, Annibale D’Elia, Francesco escalona, Angelo Mastrandrea, Adam victor, Adele Fusco,Tiziana Collutto, Grazia Coppola, Mimmo Nicoletti, Pasquale Persico, Michele Ciasullo, Tiziana Collutto, Paride Leporace, Sergio Blasi, Vincenzo Moretti, Peppe Zullo, Gerardo Cardillo, Giovanni Rinaldi, Ivan Stomeo, Giuseppe Messina, Alessandro Cannavale, Silvana Kuhtz, Vincenza Pellegrini, Paolo Jedlowski ( altri da definire) Verso le sette Auditorium dei calanchi: Montedoro Un film di Antonello Faretta Dalle dieci di sera alle sette del mattino in Piazzetta Panevino I fratelli Mancuso Carmine ioanna e Claudia D’amico : c’era una volta il Sud Incontro con Davide Ferrario e Edoardo Winspeare La notte dei poeti: Annalisa Teodorani Maria Grazia Calandrone Gianni Valentino Alice Bologna Michelangelo Zizzi e la scuola Pound Tiziana Cera Rosco Rossella Renzi Nicola D’altri Remembering the future e il Il tesoro di San Gennaro, Salvio Vassallo I Verlaine Mauro Leuce recita Il sogno di un uomo ridicolo, di Fedor Dostoevskij Maritchka Connection Introduzione all’alba Roberto Gagliardi e Daniele Dell’Anna Coma bereniçes Passeggiata al cimitero Letture incrociate: Franco Arminio e Adelelmo Ruggieri Alba necessaria 24 agosto Di mattina presto ricognizioni percettive con Fabio Nigro un filosofo in panchina: conversazioni uno a uno con Mauro Orlando Casa della Paesologia: brainstorming delle pensate confuse rituali pre-cristiani fatti con persone di adesso verso le dieci Casa della paesologia Incontro con Filippo La Porta Verso le undci Album di famiglia alianese, a cura Mario Bruno Liccese Intervengono: Luigi De Lorenzo, Donatella Mecca, Pietro Varuolo Poco dopo mezzogiorno “Memorie del futuro, quel che resta del progresso” Paolo Jedlowski disucte con Franco Arminio e Vincenza Pellegrino dal primo pomeriggio A occhi aperti, un’antologia di 20 autori contemporanei (intervengono Andrea Cortellessa, Antonella Anedda, Franco Arminio, Orfeo Pagnani, Paolo Morelli) Presentazione dell’università della paesologia con sede a Trevico verso le cinque e mezza Paolo Rumiz nell’auditorium dei calanchi Proiezione del documentario Il cammino dell’ Appia Antica In Piazzeta Panevino Verso le sette Giuseppe Semeraro e Gigi Gherzi: A cosa serve la poesia, canto per la vita quotidiana Verso le otto In giro per il paese la Compagnia provvisoria della Luna Mette in scena il Bar di Manomozza di Domenico Ciruzzi (Antonella Stefanucci, Ulderico Pesce, Caterina Pontrandolfo, Cristiana Liguori, etc..) Dalle dieci di sera alle sette del mattino in Piazzetta Panevino Storie e suoni: Rocco Papaleo e Franco Arminio I dalì in Sconcerto Le loup garou goes flat Rosapaeda trio Accipiter Le mujeres creando Voci di sbandati, di e con Marco Cardetta, musiche Roberto Salahaddin Re David Valerio Daniele e i desuonatori Alba necessaria nei calanchi: Le ultime atlantidi, Daniela Ippolito, la Kalanki Philharmoniker diretta da Giggio Borriello ** Azioni Paesologiche: Altri-menti: esplorazioni del possibile a partire dalle perifierie del Sud corso breve di sociologia, a cura di Vincenza Pellegrino e Silvana Kuhtz con Paolo Jedlowski, Mauro Di Meglio e altri docenti Presentazione della strategia nazionale delle aree interne, progetto pilota della Montagna Materana Lucania interiore, ragionamenti intorno allo sviluppo locale Lettere di carta, Elena Marsico Il circo dei calanchi, Nanosecondo Campa cavallo - cucina narrativa, Nicola Difino Costruzione di fischietti in argilla, a cura di Macrohabitat Le ultime Atlantidi, a cura di Caterina Pontrandolfo Scuola di tamburi a cornice, Lello Campanelli Costruzione di strumenti musicali, Enzo Fina e Claudia Tegas Tammurriata giuglianese, Margaret Ianuario Recitazione comunicativa, a cura di Mauro Leuce Prove di abbandono: Ivan fantini e Paola Bianchi Apparizioni, Amalia Franco Fiaba, Francesca Genti Munnu era, dall’eversione della feudalità alla seconda repubblica – Nicozazo Patria invisibile, installazione ambientale e azioni poetiche di Guendalina Salini e Mario Dal Mare Darsi alla macchia (mediterranea), la cameriera di poesia, riciclaggio poerico del denaro: Claudia Fabris Proiezioni e visioni d’argilla, Andreas Zampella Chi cerca trova, Silvana Kuhtz La mostre delle voci, Claudia Fofi Cupa cupa dawn session Confessioni all’alba La controra delle arti: letture, monologhi, musiche dal primo pomeriggio nelle case di Aliano L’ospedale della lingua, Anna Palumbo L’Erasmus paesologico Pronto soccorso antropologico, Mauro Minervino Hegel, un barbiere ambulante Per una mappa dell’Italia interna Passi, Maria Cristina Ballestracci Per voce, per vocazione, Alessandra Battaglia e Claudio Cirillo Per farla finita con gli scoraggiatori militanti, dialoghi sparsi a cura della Casa della Paesologia Lettura e interpretazione del quadro astrologico, Giggio Borriello Sinestesia e poesia sentita Tecniche del rinascisenso, Mario Dal Mare Feldenkrais, Emanuele Enria Canto dai balconi, Yoo Sung Sul manifesto di Trevico Yoga sparso Harmonium d’argilla, Roberto Gagliardi Default poetici Meditazioni sull’autismo corale La donna calanco (se è ancora in forma) Incontri ad orari imprevisti nella Casa dell’Americano La stanza della memoria, a cura di Silvia La Ferrara Cerimonie dei sensi, a cura delle donne Alianesi Cinemadolescente, a cura di Francesca Catarci Panevino social network Eventi enomusicali alle quattro del mattino Nella stanza della consapevolezza: Elvira Frak: dalla fascinazione all’autoritratto Cristina Dim: cura del corpo e trattamenti shiatsu Installazioni: Pietrantonio Arminio Cyop & Kaf Giulia Plebani Francesca Pastore Stamperia Nicozazo Patrizia Affattato Franco Lancio Salvatore Di Vilio Claudia Fabris Rocco Scattino Maria Di Gennaro Franco Arminio Giulio Rimondi Anna Petrungaro Il cinema della festa Omaggio a Abbas Kiarostami: Sotto gli ulivi Il sapore della ciliegia Il vento ci porterà via Chiftelì, un doc del Centro sperimentale di Cinematografia di Palermo Mondonuovo, di Davide ferrario Strada provinciale delle anime, di Gianni Celati Viaggio in Irpinia d’Oriente, di Paolo Muran Elegie dall’inizio del mondo, di Francesco Don Giovanni La tomba del tuffatore, di Federico Francioni e Yan Cheng The sound of nature, di luca liccione Il freddo, il silenzio, le cose nuove, Entroterra film I lavori di Luigi Di Gianni: Magia Lucana Nascita e morte nel Meridione Il male di San Donato La madonna di Pierno Donne di Bagnara

martedì 19 luglio 2016


....tribù e comunità.. 

di mauro orlando 

 Irresistibilmente, le società moderne si trasformano e noi con loro .Fenomeni come …. la polverizzazione del corpo sociale, inaridimento delle istituzioni, crollo delle ideologie, trasmutazione dei valori sono quasi all’ordine della cronaca quotidiana. Non vogliamo scomodare “la storia” per eccesso di modestia e di lungimiranza.Comunque al di là della società di massa, che a lungo ha definito una delle forme della modernità, si profilano ormai le nuove figure di una socialità esuberante e polimorfa di cui Michel Maffesoli , sociologo e guru della contemporaneità tribale viandante ,delinea nei suoi tanti libri e interventi , i contorni, i confini, le prospettive. "Il tempo delle tribù" è anche un'analisi ragionata delle società di oggi, un'esplorazione metodica delle loro metamorfosi, per cui agli ideali della “Ragione” dell’illuminismo usurato e consumato dal “giacobinismo rivoluzionario” si sostituiscono i sentimenti e le emozioni, alla logica dell'identità la logica dell'affetto. Siamo entrati nell'era delle "tribù", delle reti, dei piccoli gruppi, di aggregazioni effimere ed effervescenti. Una analisi che traccia i percorsi di un'autentica sociologia del presente non solo come griglia sociologica ma come agenda articolata per un nuovo modo di impegno civile e politico.La sfida cognitiva e politica tra pensiero e azione “tribale” e cultura e esperienza “comunitaria” è un nostro intento per stabilire modalità e forme per la nostra esperienza di “comunità provvisorie”.Una rilettura non solo critica ma sopratutta esistenziale della “modernità” nel suo esito “incivile” è lo spazio comune della ricerca e del confronto.Cosa sta accadendo ai baluardi del moderno? Allo stesso modo della sua declinazione architettonica, la postmodernità è quindi una costruzione plurale fatta di "pezzi" differenti. Il tema scelto non per puro esercizio analitico ma come tentativo di chiarire le caratteristiche di questo mosaico insistendo su alcuni aspetti: la critica della doxa individualista; l'importanza del ludico e della funzione archetipale; la necessità di mettere in gioco, contro il razionalismo dominante, la "ragione sensibile e percettiva",”la poesia ragionante o ragioni poetanti”; l'aspetto essenziale dello spazio, ovvero il fatto che, in misura sempre maggiore, il luogo è il legame …..e del “tempo” verticale e non orizzontale …slancio vitale e vita nascosta di un “io” lirico e non “epico”"Si dice che siano i sogni a far crescere i bambini. Non solo quelli del resto. Di certo i miti, cristallizzazione dei sogni collettivi, permettono a una società di essere quel che è". Certamente Maffessoli , il fondatore della "sociologia del quotidiano", il teorico del neo-tribalismo, asserisce un nuovo modo di guardare ai lati banali, locali, semplici di quella che una volta si chiamava cultura di massa: "lo sviluppo tecnologico sta dando vita a una fruttuosa sinergia, con il ritorno all'arcaico, con l'esplosione dell'immaginario". Vale a dire che, attraverso la Rete, la comunicazione globale entro cui il cittadino attuale annega senza fondo, riaffiorano le “icone” dal remoto sostrato del tempo, gli idoli, le immagini archetipiche, e tornano nel loro ruolo riformulato di tenere assieme orizzontalmente i gruppi sociali (le tribù o comunità provvisorie), scacciando tutte le narrazioni razionali con cui la modernità pretendeva sostituirli. Si torna dunque a scrutare i Miti d'oggi, in questo carosello, in questa sarabanda barocca di figure simboliche fluttuanti dalla televisione, da internet, dalle persone virtuali dell'informazione spettacolo. Ma come il Novecento lo faceva per demistificarli, per raschiare la vernice a mostrare dietro il vuoto, qui s'intende svelarne il pieno: i miti oggi, spiega Maffesoli, senza essere "lumi", sono "scintillamenti" che indicano un cammino, individuale e collettivo. Anche della "parte in ombra dell'essere umano". Verso il reincanto del mondo.Oggi dobbiamo cercare di dare “un senso” non unico e autoritario alla categoria della “crisi” come una sorta di “finis histroriae” ….l’epoca apocalittica del “post”….posstoria,postdemocrazia,pospolitca e quant’altro dove solo “il mercato” diventa cartina di tornasole e decalogo per una nuova civiltà.L'apocalisse o la crisi non sono l'epilogo, ma lo svelarsi della società a se stessa. Uno svelarsi che porta alla luce ciò che prima era stato sottratto alla vista. L'apocalisse e la crisi sono allora metafora di una trasformazione epocale, che per Maffesoli segna il passaggio alla socialità postmoderna. Ci sono infatti segnali indiscutibili del radicamento di una nuova socialità, ma nello stesso tempo, c'è una difficoltà profonda a trovare le parole adatte a svelare l'approdo alla postmodernità. La grande crisi delle bolle finanziarie rappresentano dunque un processo fondativo di nuove esperienze politiche e un nuovo universo simbolico e culturale, contrassegnato dal riemergere dello spirito dionisiaco che si insinua profondamente nelle trame del sociale. Si tratta - in sostanza - di una tendenza al reincanto del mondo che abbandona progressivamente lo spirito serioso del produttivismo moderno per lasciare spazio a un ambiente più ludico e più creativo. Per questo motivo le analisi di Maffessoli e le nostre esperienze “paesologiche”suggeriscono l'idea di abbandonare l'inutile prospettiva della crisi della società, per entrare nell'ottica di una società che possa acquisire la capacità di riscoprire se stessa, lasciandosi alle spalle i segni di una civilizzazione che forse non le appartengono più. L’anilisi e le pratiche paesologiche di fatto e non per scelta affrontano teoreticamente e attivamente il rapporto tra modernità e post-modernità a partire dalle diverse declinazioni della ragione che entrambe le epoche hanno articolato. Da una parte, la ragione astratta dei moderni: classificatoria totalizzante separata. Dall'altra, quella organicistica e vitalistica dei post-moderni. In mezzo sta l'originale lettura di Maffesoli, la posizione speculativa di Simmel o Nietzsche che ne fa, oltre che pensatore della crisi della modernità, il pensatore della transizione "verso quell'altra cosa che, in mancanza di meglio, si può chiamare la postmodernità". Temi collegati ma essenziali sono la categoria de “ l'emergenza” che la la sociologia del quotidiano maffesoliano e delle “crisi” finanziarie di un neoliberismo cinico e baro sono non solo utili ma indispensabili e necessari .Altro tema riguarda la funzione della triada “io-corpo-noi” nell'orizzonte del crollo del Soggetto moderno, individualista e economicista, deve accettare un confronto non solo critico ed analitico con il pensiero maffesoliano, teso ad evidenziarne fratture e inaspettate continuità.



....amo i poeti.....
di mauro orlando


Amo nei poeti Il talento bizzarro, volatile, non catturabile ….. poeta e antipoeta, antinarratore da romanzo ma narratore per flasch quasi aforistici. Un poeta paesologico è , in modo ossimorico, “atopico”, “fuori luogo” e poco localizzabile e nello stesso tempo “incarnato” “ con le mani conficcate “ in una terra , con l’occhio della rana in un paesaggio non come incrostazione topografica ma con lo sguardo del cane randagio con anima leggera che educa l’occhio velato dalla inconsistenza effimera dei tanti…troppi prodotti letterari e fotografici. Un poeta deve saper essere crepuscolare e futurista per gioco , ironico e sarcastico non per cinismo ma per amore delle cosa e degli uomini senza prudenze e metodi. Un istinto letterario naturale che di fatto congiunge la leggerezza di Palazzeschi (futurista per gioco ma alquanto crepuscolare) e quella di Calvino (umoristico per prudenza e con metodo). Su analogie e differenze che si sanno coniugare in provvisori atti creativi che sanno essere nel contempo “ inno alla vita” e “difesa e tutela dal frastuono della vita” Una vita che la “modernità incivile,indebolita e nihilista” rende confusa e dispersiva dispersione, come caos che non riesce a farsi mito ma solo icona di un tempo volatile e inafferrabile.Una leggerezza che è equilibrio …. eros e danza come due donne dionisiache irrefrenabili nel gioco dei corpi in una tarantelle cilentana..Una leggerezza che sappia essere trasgressiva e rivoluzionaria e pacificatrice con la terra e con gli uomini che sono esclusi e emarginati dal flusso caotico di una storia antiumanistica.Una leggerezza che è stanchezza e piacere di vivere, cinica per amore delle debolezze umane e lirica speranza e la fiducia in un mondo migliore fuori dai panegirici dell’epica.. Si è dentro ed oltre il gioco postmoderno come nella ricerca nei sentieri del bosco della vita i suoi “chiaro scuri” crepuscolari più che “ i segnavie”filosofici pur scetticismo o criticismo della ragione. Il poeta lirico paesologico coltiva il tragico disincanto di chi osserva con sgomento la vertigine per gioco avverte 'il senso di un mondo precario, in bilico, in frantumi', mentre lampeggiano improvvisi bagliori 'd'un mondo pericolante' e insensato. Si potrebbe provvisoriamente concludere che “il sapere arreso” della paesologia ama destrutturare e criticare la società borghese in nome della vita fingendo di sorridere pur fiutando una fine d’epoca non inseguendo vecchi ideali e utope irrisolte ripartendo dalla ricerca concreta della “grande vita nei piccoli paesi” dei terremoti, degli abbandoni , delle crepe, dei dirupi , dei margini come terreno solido e creativo per far ripartire la vita come “comunitas” …”cum munis-dono”……e “immunizzarsi” dagli scoraggiatoti militanti, i piromani del rancore, i luminari della sfiducia che hanno avuto fin troppe occasioni in questi anni per rafforzare la loro egemonia morale sui territori dell'italia interna.Quelli che carlo levi chiamava i luigini ….. arruolati in ogni paese e girano con il lucchetto in mano per chiudere ogni spiraglio di novità” Una poesia militante e paesologica come ….” bisogno di una spinta rivoluzionaria e …. Casa aperta e libera della paeosologia, per avere un luogo dove ci possa essere una militanza felice, una militanza nuziale di politica e poesia”.F. Arminio.

giovedì 14 luglio 2016





Io amo le propensioni ad essere esposto
Che orrendo se la vita e il mondo fossero un viaggio in un bosco privo di sentieri,segnavie o radure !

La mia coscienza indecisa mi porta a costruire mentalmente ipostasi di coscienze definite,composte,
ordinate,unitarie a cui aggrappare il mio immaginario intellettuale senza viaggio e senza meta.
Oggi il mio orologio non è né avanti né indietro.E sono disorientato.
mercuzio
....un vecchio scritto
di franco arminio
Questa è un’epoca che ha disperatamente bisogno del nostro amore, della nostra speranza, ma anche del coraggio di opporsi, di lottare contro la meschinità imperante. Il segreto per una giornata lietamente rivoluzionaria è vedere che le montagne sono ancora piene di alberi e ci sono cuori clementi agli angoli delle strade e ci sono albe e tramonti e c’è il grano che cresce e c’è l’acqua del mare. Questa affezione per il mondo va sempre incrociata con una fortissima allergia al compromesso, all’intrallazzo. Bisogna unire la capacità di percepire la bellezza del mondo e di lottare contro chi ogni giorno impoverisce questa bellezza. È ora di tenere insieme la tensione politica e quella poetica, la contemplazione e il conflitto. I luminari del rancore ci vorrebbero rassegnati alle misere finzioni della vita sociale oppure chiusi nei loculi del nostro io. Invece questa è un’epoca da attraversare ad occhi aperti, con sguardi spericolati, mossi in ogni direzione. Il rancore alla lunga rende sterili, ci allena alla conservazione di ciò che non abbiamo. I rancorosi non conoscono la cordialità, la mitezza, non conoscono la clemenza. Sono tutti infervorati nelle loro accidie, nelle loro pretese. Hanno interiorizzato il disagio, la disaffezione. La loro postura è fatta per claudicare, non per il passo spedito, il gesto aperto. Sono obliqui, ruvidi, rugosi. La loro giornata è tutta trapuntata di inadempienze, di incomprensioni. Ognuno è scambiato per un altro, e in genere lo scambio avviene al ribasso. La vita dei rancorosi consiste in una perenne edificazioni di muri, di cancelli. La loro poetica è stare lontani dagli stati estremi, accucciati a scambiarsi una pappina psichica che non serve a niente. Hanno realizzato un sistema per immunizzarsi da se stessi e dal mondo. Vivono non per vivere, ma per tenersi al riparo dalla vita. Non credono al futuro e neppure alla forza del passato. Rimangono contratti, sospettosi, come se l’universo fosse un cane che li punta e sta per morderli da un momento all’altro. L’imperativo è vivere al piccolo trotto, in un traccheggio prolungato. Prevalgono le posizioni difensive, gli slanci millimetrati. Spendere il proprio tempo per gli altri è considerato quasi un segno di malattia. L’importante è stare dove stanno tutti, in uno spogliatoio di lamentosi che passano il tempo senza mai salire sul campo di gioco. Si lamentano per conformismo, per appartenere al gregge e pure per fingersi pastori. Il sud cambierà se saprà mettere questa gente con le spalle al muro, se saprà amare i bizzarri, gli inventori, gli estrosi, i poeti e i cuori affamati di amore.



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