giovedì 14 luglio 2016





Io amo le propensioni ad essere esposto
Che orrendo se la vita e il mondo fossero un viaggio in un bosco privo di sentieri,segnavie o radure !

La mia coscienza indecisa mi porta a costruire mentalmente ipostasi di coscienze definite,composte,
ordinate,unitarie a cui aggrappare il mio immaginario intellettuale senza viaggio e senza meta.
Oggi il mio orologio non è né avanti né indietro.E sono disorientato.
mercuzio
....un vecchio scritto
di franco arminio
Questa è un’epoca che ha disperatamente bisogno del nostro amore, della nostra speranza, ma anche del coraggio di opporsi, di lottare contro la meschinità imperante. Il segreto per una giornata lietamente rivoluzionaria è vedere che le montagne sono ancora piene di alberi e ci sono cuori clementi agli angoli delle strade e ci sono albe e tramonti e c’è il grano che cresce e c’è l’acqua del mare. Questa affezione per il mondo va sempre incrociata con una fortissima allergia al compromesso, all’intrallazzo. Bisogna unire la capacità di percepire la bellezza del mondo e di lottare contro chi ogni giorno impoverisce questa bellezza. È ora di tenere insieme la tensione politica e quella poetica, la contemplazione e il conflitto. I luminari del rancore ci vorrebbero rassegnati alle misere finzioni della vita sociale oppure chiusi nei loculi del nostro io. Invece questa è un’epoca da attraversare ad occhi aperti, con sguardi spericolati, mossi in ogni direzione. Il rancore alla lunga rende sterili, ci allena alla conservazione di ciò che non abbiamo. I rancorosi non conoscono la cordialità, la mitezza, non conoscono la clemenza. Sono tutti infervorati nelle loro accidie, nelle loro pretese. Hanno interiorizzato il disagio, la disaffezione. La loro postura è fatta per claudicare, non per il passo spedito, il gesto aperto. Sono obliqui, ruvidi, rugosi. La loro giornata è tutta trapuntata di inadempienze, di incomprensioni. Ognuno è scambiato per un altro, e in genere lo scambio avviene al ribasso. La vita dei rancorosi consiste in una perenne edificazioni di muri, di cancelli. La loro poetica è stare lontani dagli stati estremi, accucciati a scambiarsi una pappina psichica che non serve a niente. Hanno realizzato un sistema per immunizzarsi da se stessi e dal mondo. Vivono non per vivere, ma per tenersi al riparo dalla vita. Non credono al futuro e neppure alla forza del passato. Rimangono contratti, sospettosi, come se l’universo fosse un cane che li punta e sta per morderli da un momento all’altro. L’imperativo è vivere al piccolo trotto, in un traccheggio prolungato. Prevalgono le posizioni difensive, gli slanci millimetrati. Spendere il proprio tempo per gli altri è considerato quasi un segno di malattia. L’importante è stare dove stanno tutti, in uno spogliatoio di lamentosi che passano il tempo senza mai salire sul campo di gioco. Si lamentano per conformismo, per appartenere al gregge e pure per fingersi pastori. Il sud cambierà se saprà mettere questa gente con le spalle al muro, se saprà amare i bizzarri, gli inventori, gli estrosi, i poeti e i cuori affamati di amore.



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