“ Vorrei
vivere per l’arte alla quale appartiene il mio cuore, e invece debbo faticare
tra gli uomini, tanto che spesso sono assai stanco di vivere…non sarei il primo
che naufraga; molti, nati per essere poeti, ne sono periti. Non viviamo nel
clima della poesia” Horderlin
"poiesis" vs "sophia".
Poesia e filosofia….un antico primato discusso che si
riproduce carsicamente anche nella mia esperienza “paesologica”. Intorno alla
questione del primato della poesia ovvero della filosofia si sono spesi non solo fiumi di inchiostro. Già Platone ,in
un certo modo equivocato, aveva posto il
problema non come una semplice domanda
ma come una convinzione.Oggi il problema si pone non solo in una prospettiva eremeneutica ma
“esitenzial-politica” . Siccome la
esperienza paesologica ha scelto come
sua lingua ufficiale quella della
“poesia” tale rapporto dovrà essere d’ora in poi reimpostato e compreso.Nella
modernità con la drammatizzazione avvenuta nel periodo del romanticismo si
ripropone il nodo di fondo duro come marmo imposto al rapporto che Platone stabilisce tra la
verità del poiesis e la verità del logos rappresentando l’arte in genere sostanzialmente
come una “imitazione” della natura, che
a sua volta costituisce un’“imitazione” del mondo reale.Il tema in questione era quello centrale
della “bellezza” perseguita dalla poesia
e dalla stessa filosofia. La bellezza poetica intesa come espressione
linguistica della verità del logos. La bellezza, dice Platone, brilla tra le
idee divine,ma a noi è dato contemplarla solo nelle sue imitazioni sensibili,
in nessuna delle quali splende la sua forma originaria, sebbene tutto ciò che è
bello suscita in noi “le ali dell’anima”, ovvero l’amore (Eros) verso quella bellezza
divina che traluce in tutto ciò che è bello, ma che può essere raggiunta solo
dall’ascesa e dalla trasfigurazione dialettica del logos. Il cammino duro e
conflittuale della Filosofia con il 900
ha scoperto la “debolezza e liquidità” del logos e la sua incapacità a
percorrere tutta la via della verità, soprattutto per le questioni più importanti
dell’esistenza, quali il destino ultraterreno delle anime, il
ricorso al mito (e quindi alla poesia), fino a sostenere nel
Fedone che “è bello correre il rischio del mito”, e che è bene “protrarre il
suo incantesimo” quando vengano meno gli strumenti della dialettica
razionale nella ricerca della verità. Ma
è particolarmente nella sua esperienza esistenziale la “paesologia”
come “sapere arreso” per una
“vita nascosta e activa-politica”
che privilegia e sceglie la lingua
della “poiesis” non per ragioni estetico-letterarie ma come modo essenziale e profondo di guardare il
mondo e raccontarlo “nell’età della riproduzione tecnica. Possiamo far riferimento
anche a Platone quando nel Fedro scrive
:”Per quanto riguarda la bellezza essa
splendeva fra le realtà di lassù come Essere. E noi, venuti quaggiù, l’abbiamo
colta con la più chiara delle nostre sensazioni, in quanto essa splende in modo
luminosissimo. Infatti, per noi la vista è la più acuta delle sensazioni che
riceviamo mediante il corpo. Ma con essa non si vede la Saggezza, perché,
giungendo alla vista, essa susciterebbe terribili amori se offrisse una qualche
immagine di sé, né si vedono tutte le altre realtà che sono degne d’amore. Ora,
invece, solo la Bellezza ricevette questa sorte di essere ciò che è più
manifesto e più amabile” Il “bello ” come discriminante di una vita
che non vuole essere contemplativa e mimetica ma dinamica e attiva per ritrovare
assieme il “ buono” e il “giusto” di una vita etica e politica assieme.
M.Heidegger , per primo si è riposto il problema non capovolgendo
semplicemente il primato a favore della
“poesia” scrivendo che “Hölderlin canta l’essenza della
poesia...in quanto Hölderlin fonda di nuovo l’essenza della poesia » e “determina
un nuovo tempo”, “il tempo degli Dei fuggiti e del Dio che viene”, e la sua parola
poetica rivela e manifesta l’essenza del nostro “tempo povero”, che è il tempo
del “non-più degli Dei fuggiti e del non-ancora del Dio che viene”.
Anche questa rivalutazione ultima non sta bene alla
esperienza paesologica che dopo Nietzsche ha rinunciato alla ricerca o al ritorno degli
“dei scappati” dalla “modernità incivile secolarizzata e dissacrata”.Così gli
uomini in quanto uomini necessitano di vivere la proria individualità in rapporto agli altri, al mondo - il mondo
di cui gli uomini parlano e in cui si parlano
soprattutto nel rispetto e nell’amore per la lingua stessa come in un
intreccio che non può essere disfatto, un intreccio che è sempre nella certezza
della sua inscindibile unità relazionale, sociale e politica. Questo è il senso
che la “esperienza paesologica” nei
“piccoli paesi dalla grande vita” vuol
dare alla “vita” stessa come “modello e fine”. Il mondo della vita, come fondamento
dei significati non solo delle intuizioni eidetiche e percettive , ma del
linguaggio poetico come dimensione
vitale, esistenziale e precategoriale dei concetti e delle parole; la comunità
umana come essenzialmente una comunità linguistica, perché fondata sulla
coscienza e sulla interazione delle coscienze tra di loro; l’orizzonte del
“mondo”, inteso nella sua accezione vitale ed esistenziale e non in quella
naturalistica come l’orizzonte di un vivere individuale e comunitario in un
intreccio vitale di connessioni, associazioni, relazioni e implicazioni
esistenziali, a quell’orizzonte di mondo su cui esso si costituisce e che ne
rappresenta l’orizzonte di significazione, di comprensione e di
interpretazione.
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