lunedì 4 febbraio 2019


Vorrei vivere per l’arte alla quale appartiene il mio cuore, e invece debbo faticare tra gli uomini, tanto che spesso sono assai stanco di vivere…non sarei il primo che naufraga; molti, nati per essere poeti, ne sono periti. Non viviamo nel clima della poesia” Horderlin

"poiesis" vs  "sophia".

Poesia e filosofia….un antico primato discusso che si riproduce carsicamente anche nella mia esperienza “paesologica”. Intorno alla questione del primato della poesia ovvero della filosofia si sono spesi  non solo fiumi di inchiostro. Già Platone ,in un certo modo equivocato, aveva  posto il problema non come  una semplice domanda ma come una convinzione.Oggi il problema si pone  non solo in una prospettiva eremeneutica ma “esitenzial-politica” . Siccome  la esperienza paesologica  ha scelto come sua lingua ufficiale  quella della “poesia” tale rapporto dovrà essere d’ora in poi reimpostato e compreso.Nella modernità con la drammatizzazione avvenuta nel periodo del romanticismo si ripropone il nodo di fondo duro come marmo imposto  al rapporto che Platone stabilisce tra la verità del poiesis e la verità del logos  rappresentando l’arte in genere sostanzialmente  come una “imitazione” della natura, che a sua volta costituisce un’“imitazione” del  mondo reale.Il tema in questione era quello centrale della “bellezza” perseguita dalla poesia  e dalla stessa filosofia. La bellezza poetica intesa come espressione linguistica della verità del logos. La bellezza, dice Platone, brilla tra le idee divine,ma a noi è dato contemplarla solo nelle sue imitazioni sensibili, in nessuna delle quali splende la sua forma originaria, sebbene tutto ciò che è bello suscita in noi “le ali dell’anima”, ovvero l’amore (Eros) verso quella bellezza divina che traluce in tutto ciò che è bello, ma che può essere raggiunta solo dall’ascesa e dalla trasfigurazione dialettica del logos. Il cammino duro e conflittuale della Filosofia  con il 900 ha scoperto la “debolezza e liquidità” del logos e la sua incapacità a percorrere tutta la via della verità, soprattutto per le questioni più importanti dell’esistenza, quali il destino ultraterreno delle anime, il
ricorso al mito (e quindi alla poesia), fino a sostenere nel Fedone che “è bello correre il rischio del mito”, e che è bene “protrarre il suo incantesimo” quando vengano meno gli strumenti della dialettica razionale  nella ricerca della verità. Ma è particolarmente  nella sua  esperienza esistenziale la “paesologia” come  “sapere arreso”  per una  “vita nascosta  e activa-politica” che privilegia e sceglie   la lingua della “poiesis” non per ragioni estetico-letterarie ma come  modo essenziale e profondo di guardare il mondo e raccontarlo “nell’età della riproduzione tecnica. Possiamo far riferimento anche a Platone quando nel Fedro  scrive :”Per quanto riguarda la bellezza  essa splendeva fra le realtà di lassù come Essere. E noi, venuti quaggiù, l’abbiamo colta con la più chiara delle nostre sensazioni, in quanto essa splende in modo luminosissimo. Infatti, per noi la vista è la più acuta delle sensazioni che riceviamo mediante il corpo. Ma con essa non si vede la Saggezza, perché, giungendo alla vista, essa susciterebbe terribili amori se offrisse una qualche immagine di sé, né si vedono tutte le altre realtà che sono degne d’amore. Ora, invece, solo la Bellezza ricevette questa sorte di essere ciò che è più manifesto e più amabile” Il “bello ” come discriminante  di una vita  che non vuole essere contemplativa e mimetica  ma dinamica e attiva  per ritrovare  assieme il “ buono” e il “giusto” di una vita etica e politica assieme. M.Heidegger , per primo si è riposto il problema non capovolgendo semplicemente  il primato a favore della “poesia”  scrivendo   che “Hölderlin canta l’essenza della poesia...in quanto Hölderlin fonda di nuovo l’essenza della poesia » e “determina un nuovo tempo”, “il tempo degli Dei fuggiti e del Dio che viene”, e la sua parola poetica rivela e manifesta l’essenza del nostro “tempo povero”, che è il tempo del “non-più degli Dei fuggiti e del non-ancora del Dio che viene”.
Anche questa rivalutazione ultima non sta bene alla esperienza paesologica  che  dopo Nietzsche  ha rinunciato alla ricerca o al ritorno degli “dei scappati” dalla “modernità incivile secolarizzata e dissacrata”.Così gli uomini in quanto uomini necessitano di vivere la proria individualità  in rapporto agli altri, al mondo - il mondo di cui gli uomini parlano e in cui si parlano  soprattutto nel rispetto e nell’amore per la lingua stessa come in un intreccio che non può essere disfatto, un intreccio che è sempre nella certezza della sua inscindibile unità relazionale, sociale e politica. Questo è il senso che la “esperienza paesologica”  nei “piccoli paesi dalla grande vita”  vuol dare alla “vita” stessa come “modello e fine”. Il mondo della vita, come fondamento dei significati non solo delle intuizioni eidetiche e percettive , ma del linguaggio poetico come  dimensione vitale, esistenziale e precategoriale dei concetti e delle parole; la comunità umana come essenzialmente una comunità linguistica, perché fondata sulla coscienza e sulla interazione delle coscienze tra di loro; l’orizzonte del “mondo”, inteso nella sua accezione vitale ed esistenziale e non in quella naturalistica come l’orizzonte di un vivere individuale e comunitario in un intreccio vitale di connessioni, associazioni, relazioni e implicazioni esistenziali, a quell’orizzonte di mondo su cui esso si costituisce e che ne rappresenta l’orizzonte di significazione, di comprensione e di interpretazione.

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