mercoledì 13 febbraio 2019





 Heidegger e  il cinismo della “vita autentica”.




Dalla scoperta della radura, uno spiazzo illuminato, aperto nella foresta, fuga  dal mondo immagine esistenziale della libertà e possibilità umana di vivere la solitudine nella luce…La luce può cadere infatti nella “radura”, nel suo spazio aperto, e lasciarvi avvenire il gioco di chiaro e scuro. Ma giammai è la luce a creare per prima la radura, bensì quella, la luce, presuppone questa, la radura…..cinismo raffinato  e pensiero poetante! Scriveva  La Rochefoucauld “  chi vive senza  follie ,non è così savio quanto crede”. Sacrosanta  verità per demarcare un confine tra  vita  normale subita   e vita impegnata per scelta  a saper    affrontare  “venti fortissimi  e nevicate”. Un lento e inconsapevole   morire  per un “un cuore gelato sotto il cappotto”  parla di noi  quando accettiamo  supinamente  di  smarrire   il gusto e il senso  di una esperienza comunitaria  rassegnati  alla insensibilità del senso comune, alla rassegnazione del “così va il mondo”, alla connivenza con l’insensatezza della banalità, alla ingenua o consapevole disponibilità a farsi complice  di qualunque cosa a qualunque prezzo. Uno spettro inquietante  si aggira come un “venticello” per le nostre terre sopraffacendo  la nobilitata e  propulsiva “ipocondria” dei tempi delle “crisi e riproduzione tecnica della creatività artistica” : il cinismo. Il cinico  contemporaneo non ha come punto di arrivo la classica botte di Diogene ma una ordinata e riconosciuta carriera e successo  fatti di “classifiche…auditel…mi piace…etc.” spesso segnati da frustrazione, rassegnazione e avvilimento morale. Il ‘cinicus’ antico era una forma estrema di affermazione della dignità, una riproposizione coerente  di  distanza dalle pochezze umane  e dai pressappochismi  e interessi  pratici, della  cura  di una estrema padronanza e sovranità  su se stesso e i propri difetti pubblici  e attivazione del  governo dei  propri demoni  interiori  negativi come la “razionale auriga” platonica. Il neocinico cura  e ostenta una “falsa coscienza illuminata” con un discreto vocabolario polimorfo  e una forma malcelata  di “disincanto” che li rende molto efficienti e accettati  sul piano pratico. Qualcuno autorevolmente in modo cattivo  ha scritto che il neocinico è “ un caso limite di melanconico che riesce a controllare i suoi sintomi depressivi conservando una certa capacità di lavorare”  che mal sopporta  “avvisi ai naviganti”  disinteressati  o venati  di ironia e  peggio di benevole commiserazione perché “intellettuali  e …quindi inutili”. In letteratura esiste un  “cinismo classico “ ( va da Kafka a Proust  passando per Pessoa e Borghes ) che ci  regala  una morale con sottofondi  carsici  fatti di libertà ed autonomia  e  non semplici  “coperte di linus” come alibi pseudopsicologici ma soprattutto con il compito “etico”  di  riscaldare  quotidianamente, profondamente  e  continuamente la nostra  mente infreddolita, liquida  e debole. Nella “pòlis” greca il primo atto cinico  contro la costruzione di “una comunità” libera e consapevole, avvenne   con un atto violento formalmente e simbolicamente reale e tragico .La  restaurata democrazia ateniese aveva bisogno della  condanna a morte di Socrate  nel 399 a.c. e la promozione sul campo  degli “Antistene,Diogene di Sinope,Cratete e Ipparchia” come fatto consequenziale , illuminante e normalizzante. Con quell’atto si condannava  la ragione, il sogno, il sentimento,la fantasia,la democrazia   che presume farsi  “comunità” di un  sapere non commerciale e commerciabile  che ha solo il compito di  difendersi  per smascherare, responsabilità, inadempienze ,  ostilità, rancori  latenti e combattere quelle palesi  e praticate. Le ragioni del cuore  non possono mai  entrare  in un orizzonte limitato che gli è estraneo per statuto. Non vive di pensieri corti, di rapporti di  forza, della pratica  o l’ aspirazione dei poteri  a tutti i livelli. Ritornando in metafora : “sbagliare strada” affrontare un ”vento fortissimo e una nevicata” è ancora  parte  possibile e integrante  del vivere  umano. Ma  evitare sempre e comunque  ”Il cuore gelato sotto il cappotto”  che è il vero e tragico morire sia  personale che pubblico   anche della limitata   vita ….umana troppo umana …..
Mauro Orlando

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