Dalla scoperta della radura, uno spiazzo illuminato, aperto
nella foresta, fuga  dal mondo immagine
esistenziale della libertà e possibilità umana di vivere la solitudine nella
luce…La luce può cadere infatti nella “radura”, nel suo spazio aperto, e
lasciarvi avvenire il gioco di chiaro e scuro. Ma giammai è la luce a creare
per prima la radura, bensì quella, la luce, presuppone questa, la radura…..cinismo
raffinato  e pensiero poetante! Scriveva  La Rochefoucauld “  chi vive senza  follie ,non è così savio quanto crede”.
Sacrosanta  verità per demarcare un
confine tra  vita  normale subita   e vita impegnata per scelta  a saper   
affrontare  “venti fortissimi  e nevicate”. Un lento e inconsapevole   morire 
per un “un cuore gelato sotto il cappotto”  parla di noi 
quando accettiamo 
supinamente  di  smarrire  
il gusto e il senso  di una
esperienza comunitaria  rassegnati  alla insensibilità del senso comune, alla
rassegnazione del “così va il mondo”, alla connivenza con l’insensatezza della
banalità, alla ingenua o consapevole disponibilità a farsi complice  di qualunque cosa a qualunque prezzo. Uno
spettro inquietante  si aggira come un
“venticello” per le nostre terre sopraffacendo 
la nobilitata e  propulsiva “ipocondria”
dei tempi delle “crisi e riproduzione tecnica della creatività artistica” : il
cinismo. Il cinico  contemporaneo non ha
come punto di arrivo la classica botte di Diogene ma una ordinata e
riconosciuta carriera e successo  fatti
di “classifiche…auditel…mi piace…etc.” spesso segnati da frustrazione, rassegnazione
e avvilimento morale. Il ‘cinicus’ antico era una forma estrema di affermazione
della dignità, una riproposizione coerente 
di  distanza dalle pochezze umane  e dai pressappochismi  e interessi 
pratici, della  cura  di una estrema padronanza e sovranità  su se stesso e i propri difetti pubblici  e attivazione del  governo dei 
propri demoni  interiori  negativi come la “razionale auriga”
platonica. Il neocinico cura  e ostenta
una “falsa coscienza illuminata” con un discreto vocabolario polimorfo  e una forma malcelata  di “disincanto” che li rende molto efficienti
e accettati  sul piano pratico. Qualcuno
autorevolmente in modo cattivo  ha
scritto che il neocinico è “ un caso limite di melanconico che riesce a
controllare i suoi sintomi depressivi conservando una certa capacità di
lavorare”  che mal sopporta  “avvisi ai naviganti”  disinteressati  o venati 
di ironia e  peggio di benevole
commiserazione perché “intellettuali  e
…quindi inutili”. In letteratura esiste un  “cinismo classico “ ( va da Kafka a
Proust  passando per Pessoa e Borghes )
che ci  regala  una morale con sottofondi  carsici 
fatti di libertà ed autonomia 
e  non semplici  “coperte di linus” come alibi
pseudopsicologici ma soprattutto con il compito “etico”  di 
riscaldare  quotidianamente, profondamente  e 
continuamente la nostra  mente
infreddolita, liquida  e debole. Nella
“pòlis” greca il primo atto cinico 
contro la costruzione di “una comunità” libera e consapevole,
avvenne   con un atto violento
formalmente e simbolicamente reale e tragico .La  restaurata democrazia ateniese aveva bisogno
della  condanna a morte di Socrate  nel 399 a.c. e la promozione sul campo  degli “Antistene,Diogene di Sinope,Cratete e
Ipparchia” come fatto consequenziale , illuminante e normalizzante. Con
quell’atto si condannava  la ragione, il
sogno, il sentimento,la fantasia,la democrazia  
che presume farsi  “comunità” di
un  sapere non commerciale e
commerciabile  che ha solo il compito di  difendersi 
per smascherare, responsabilità, inadempienze ,  ostilità, rancori  latenti e combattere quelle palesi  e praticate. Le ragioni del cuore  non possono mai  entrare 
in un orizzonte limitato che gli è estraneo per statuto. Non vive di
pensieri corti, di rapporti di  forza,
della pratica  o l’ aspirazione dei
poteri  a tutti i livelli. Ritornando in
metafora : “sbagliare strada” affrontare un ”vento fortissimo e una nevicata” è
ancora  parte  possibile e integrante  del vivere 
umano. Ma  evitare sempre e
comunque  ”Il cuore gelato sotto il
cappotto”  che è il vero e tragico morire
sia  personale che pubblico   anche della limitata   vita ….umana troppo umana …..
Mauro Orlando
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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