venerdì 5 aprile 2013

Elisir d'amore per ......il radicamento

Bello,intrigante e pieno di fascino  un  racconto di storie  arcaiche  al limite del mitico. Ho  sempre coltivato con le mie nipotine  la loro fantasia e curiosità non con le pesantezze e rigidità  dei concetti e delle idee  che pure  servono  a usare “il lògos” come  mezzo per non perdersi nella variabilità delle parole ,dei fatti …delle cose    ma la loro immaginazione  volava  con i racconti  delle vecchie favole che da bambino una  “vecchia affabulatrice  di cunti”….’zi carpe nella…… ci raccontava con   le storie di banditi sanguinari  e di eroi vendicatori delle nostre terre  irpine, di padroni cattivi  e  contadini coraggiosi che lottavano per la giustizia contro i soprusi  e il cinismo dei ricchi……e leggevo nei loro scintillanti occhi interesse e coinvolgimento….curiosità e sospetto. Quindi nessuna pregiudiziale  o pregiudizio verso le storie,  “li cunti”  sui nostri progenitori  vicini e lontani. Ma il mio interesse  e attenzione  rispetto alle storie locali  , dei  territori  e degli uomini  che li abitano  si basa soprattutto sul problema del “radicamento” più che delle “radici”. Il radicamento come scrive S. Weil  è “ il bisogno più importante e misconosciuto dell’animo umano, e tra i più difficili a definire”. Problema  conoscitivo  importantissimo  proprio perché viviamo  un processo  della sua  negazione o  dissolvimento attraverso una vera propria “malattia dello sradicamento” subito quasi come uno stato naturale e non come un fatto culturale e storicamente determinabile. Lo sradicamento contadino, lo sradicamento geografico,determinato dalla sostituzione moderna  di  Nazione  a quella del territorio. Perdita di senso e di appartenenza  quando ci si deve ricostruire una identità sulla categoria della ragion di  Stato che indebolisce  il rapporto pieno  ed autentico  con il tempo e lo spazio .legati alla propria storia e al proprio territorio nelle sue specificità e caratteristiche culturali e storiche. Oggi io ritengo problema preponderante  costruire  un senso completamente nuovo  di essere comunità  non popolo. Dare senso alla politica per bonificare  il terreno culturale  per  recuperare e radicare radici per portarle a nuovi frutti. Non mi interessano “radici”culturali e storiche che possano alla lunga rivelarsi  “corazze ideologiche” di tipo totalitarie  con una concezione sociale  non in senso eminentemente relazionale  ma che  ci portano direttamente nella morsa delle categorie antipolitiche  di “amico-nemico” e non come “sfida conoscitiva  e politica , vissuta precipuamente come  come fitta  trama  di rapporti anche conflittuali e differenziati tra individui, che si riconoscano reciprocamente in quanto tali se pur  nel proprio ambiente  storico e naturale  in una concezione della cultura antropologica e storica , il cui fine e senso  è di entrare  in una relazione significante,consapevole,attiva ed aperta   con gli altri  sia essi  individui che popoli. Condannando così anche il pensiero e la cultura alla sterilità o peggio  alla conflittualità escludente  (“immunitas”) e non includente (“communitas”).
mauro orlando

1 commento:

Anonimo ha detto...

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