giovedì 13 agosto 2009

Elisir d'amore per .......la "Comunità provvisoria".

di franco arminio

Sui giornali nazionali si parla di Sud. Parlano del Sud quelli che lo hanno ferito e quelli che lo vorrebbero morto. E intanto noi siamo qui, in questa terra sfrangiata, manomessa e comunque ancora incantata. Abbiamo poche parole intorno a cui raccoglierci, ma quelle che abbiamo ci possono bastare, almeno per ora. Penso, in questo caso, all’esperienza che stiamo vivendo ormai da due anni con un particolarissimo laboratorio che abbiamo chiamato Comunità Provvisoria.Si procede dall’intuizione che certe baracche non servono più a niente. Sono baracche i bar dei paesi, i partiti, le chiese dei mestieranti della fede. Non bisogna cedere di un centimetro neppure ai professionisti dell’intrallazzo, a quelli che hanno un occhio alle “amicizie” e un altro al portafogli. Questa è un’epoca in cui non ci sono binari e caselli obbligati. Bisogna inventarsi la giornata. La nostra giornata può essere insieme poetica e politica, imbronciata e affettuosa. Non ci sono solitudini e compagnie precostituite. Un tempo e un luogo in cui si attraversano le ore per incantarsi, per farsi prendere da indignazioni e meraviglie.Ho trovato persone bellissime in questa comunità. Donne e uomini che stanno fuori da ogni nicchia, persone che hanno slanci generosi. È già un nuovo Sud questo, un Sud enorme, inimmaginabile da uno come Bossi, ma anche dai sordi e miopi politicanti delle nostre contrade. È il Sud che ha reso sacro il Formicoso, che ha trasformato la rupe di Cairano in un trampolino da cui tuffarsi nel futuro. Questo non è fumo, sono prove quotidiane per vivere fuori dalle logiche dei finanziamenti pubblici, dal pessimismo di Stato alimentato da chi pensa che i paesi possano vivere solo di elemosine. Non ci interessano gli intellettualismi generici, il questionare animoso e inconcludente. Crediamo alla via della decrescita e non ai miraggi del progresso ingabbiato nella galera del consumare e del produrre. Portiamo affetto ai luoghi più affranti e sperduti, alle persone che sono rimaste sole in mezzo ai paesi, a chi si dedica a imprese di lunga lena, a chi non ha paura di pensare a Dio, alla morte, alla poesia. Non cerchiamo raccomandazioni, ma racconti. Sappiamo esprimere ammirazione e sdegno. Ammiriamo i contadini che lavorano la terra nella sagra quotidiana del sudore e non chi organizza le sagre della nostalgia. Crediamo a chi crede alle persone che fanno belle cose in questi luoghi senza il bisogno che questa bellezza sia prima riconosciuta altrove, nelle sedi a cui ancora si attribuisce un’autorità di pensiero ormai perduta.Questo Sud è tutto da nominare. Si chiama Mario Festa, Elda Martino, Salvatore D’Angelo, Mauro Orlando, Donato Salzarulo, Angelo Verderosa, Luca Battista, Pietrantonio Arminio, Monica Rosapane, Michele Ciasullo, Agostino Della Gatta, Antonio Luongo, Vittorio Iannino. Queste sono solo alcune delle persone straordinarie che danno vita al tentativo di essere radicati nei propri luoghi senza farsene imprigionare. La lista sarebbe troppo lunga. Confido nella clemenza e nell’intelligenza degli amici che qui non ho nominato.Il Sud che abbiamo vicino a noi è anche Franco Dragone e Vinicio Capossela. Il talento, il senso bizantino della teatralità uniti alla scrupolosità della cultura nordica. Scrupolo e utopia. Sogno e ragione. Delirio e lavoro. Da qui dobbiamo partire, anzi siamo già partiti. È un viaggio provvisorio, non conta quanti chilometri faremo ma le persone che incroceremo per strada. Ne abbiamo incrociate già tante. Sono venuti a trovare questo nostro Sud persone come Mario Dondero, Antonella Andedda, Andrea Gobetti e tanti altri. Sono incontri e bellezze da custodire. A loro guardiamo e non ai vecchi rancori o alle recriminazioni in cui siamo stati allevati.Da questo punto di vista siamo dei traditori. Non vogliamo restare conficcati nello spirito velenoso delle nostre piazze. Per questo siamo saliti sulla Rupe, per questo a Trevico andiamo sulla cima e a Greci andiamo sul Breggo. Ci mettiamo a occhi spalancati davanti al paesaggio. La Comunità Provvisoria è viva pure quando si è soli o in compagnia di pochi. È viva quando andiamo a vedere, a sentire come soffrono e come guariscono le persone e le cose.Questa è grande vita, questo è Sud. Altro che le gabbie salariali e i vecchi e nuovi assistenzialismi, altro che la penosa melina di chi per stare nei paesi si è tarpato le ali. È la lobby degli zoppi che fingono di camminare. Forse siamo malati anche noi, ma almeno stiamo provando a volare.

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