lunedì 24 agosto 2009

Elisir d'amore per ..........una Irpinia non rassegnata.

“ho trovato persone bellissime in questa comunità. Donne ed uomini che stanno fuori da ogni nicchia, persone che hanno slanci generosi. E’ gia un nuovo Sud questo, un sud enorme, inimmaginabile da uno come Bossi, ma anche dai sordi e dai miopi politicanti delle nostre contrade. E’ il sud che ha reso sacro il Formicoso che ha trasformato la rupe di Cairano in un trampolino da cui tuffarsi nel futuro.”
franco arminio

L’editoriale chiaro e stimolante di Daniele Moschella ( La stagione della rassegnazione ? ) merita una risposta..Una risposta che per necessità e convinzione deve essere lunga,articolata e molto personale nello stile e nelle argomentazioni. Io , “irpino della diaspora”, vivo di fatto l’equivoco quotidiano della “modernità” dello sviluppo senza progresso sul Lago di garda nella operosa e iperproduttiva provincia bresciana. Attaverso internet e i più continui e approfonditi ritorni nella mia nativa Irpinia ho scoperta una realtà diversa da quella studiata negli anni passati e raccontata in modo ineccepibile e articolato in questo articolo. In questo ultimo anno ho conosciuto l’alta irpinia o Irpinia d’oriente che dir si voglia cercando di recuperare o scoprire la sua anima più profonda che non ritrovavo sulla stampa nazionale e che lo stesso Rumiz a volte sembra di non cogliere nelle sue pur pregevoli descrizioni e cosnsiderazioni giornalistiche. L’ho scoperta “sul campo” e in una esperienza particolare a “Cairano 7x” e negli spazi democratici e originali del Blog “Comunità provvisoria”. L’esperienza è stata “comunitaria” e pertanto anche il mio scritto passa da racconto soggettivo ad un tentativo di recuperare un racconto collettivo di nuovo tipo . Gli spazi comunitari che stiamo raccontando o costruendo non sono né Paradisi perduti , palestra per la nostra nostalgia senile né ‘summa di ogni spirito’ e di ‘fantasticherie’ distorte o malposte. Agiscono come strumenti di semplificazione delle relazioni tra gli uomini diversi ,vari ed eventuali. Mediano e facilitano i rapporti tra di loro circoscrivendo uno spazio in cui si attenuino, senza poterli però esaurire o neutralizzare, i rischi di imprevedibilità connaturati alla multilateralità costitutiva della società e delle nostre esperienze personali di vita e di professione. E lo fanno solo agendo nel solco di un’ulteriore differenziazione. I toni e lo stile dell’Editoriale interessano poco perché personali e legittimi sempre. Interessa la sostanza dell’intervento soprattutto come invito a una precauzione metodologica alla rigidità, alla pesantezza, alla durezza di un possibile confronto vecchio ed abusato ,“sordo e cieco” tra le rassicuranti coppie cuore-cervello ,corpo –anima ,politica buona o cattiva, moderno-antimoderno ecc. Noi “comunitari provvisori” irpini a fatica stiamo rappresentando uno spazio di libertà e di democrazia che cerca di agire come dissolvente delle fissità e delle rigidità; fluidifica i rapporti tra i soggetti senza necessariamente ridefinirli in uno spazio rappresentativo e generale mitico o ideale. Siamo convinti con modestia che l’intelletto sia sempre in ritardo sulla vita. La frammentazione, il dis-ordine, l’antagonismo,il dialogo,il conflitto che quest’ultima esprime può essere ordinato, pensato, solo in forma metonimica,mai prescittiva e assoluta. La stessa necessità del richiamo a un passato, una cultura, un territorio specifico (Irpinia d’oriente) a persone in carne ed ossa , può essere revocata o evocata muovendo dal presupposto che la serie dei possibili viene orientata e «chiusa» solo a partire dal presente (sempre momentaneo e casuale) che lo cristallizza in propria premessa metodologica mai mitica,etnica,reazionaria. Cercare forme liquide di ’autoconservazione non è infatti «rigida mancanza di problemi e immobilità interna», quanto piuttosto «somma di processi immanenti» «difesa di un equilibrio continuamente minacciato», «riconquista di un equilibrio spesso perduto», «consapevole e inconsapevole preparazione di mezzi per lo scopo, mai realizzato di per sé» Il contrasto, il conflitto – in tutta la vasta gamma della loro fenomenologia di passioni apparentemente dissociative (dalla gelosia all’antipatia, dalla concorrenza alla lotta, dall’odio privato all’antagonismo politico) – devono esprimere e rappresentare la correlazione energetica tra istanze dissociative ed istanze associative che ognuno di noi porta dentro il suo dna e le sue ‘accumulazioni culturali’. Il perseguimento di scopi soggettivi non è opposto alla realizzazione di effetti generali ed oggettivi, per il semplice fatto che l’oggettività è sempre un effetto di condensazione del soggettivo. Non cerchiamo di irrigidire in istituzioni o ‘stati’ anche solo mentali attraverso un apparente concretizzazione o formalizzazione dello stato di natura immaginato da Hobbes, essa non richiede alcuna istituzione esteriore che ne neutralizzi gli effetti dirompenti,liberi e conflittuali ma rappresenta di per sé stessa un intreccio di incontri,umori, concetti,opinioni idee per cui i concorrenti in lotta tra loro sono obbligati a focalizzarsi sul volere, sul sentire e sul pensare di altri uomini,piuttosto che al suo ombelico psicologico o culturale. Sempre convinti che il conflitto è cifra dell’intensità dell’unità della relazione sociale e culturale. Tanto più ricca, fluida e conflittuale la vita che lavora dall’interno le sintesi formali come “la comunità provvisora “ o altro, tanto più alta la possibilità che la loro produzione mantenga inalterata la struttura temporale e provvisoria che le caratterizza dall’interno e che il sistema generale dei rapporti individuali , sociali e culturali per così dire, evolva in fluidità e leggerezza. Nessuna «unità superiore» può essere pensata (o concedersi all’immaginazione di essere) definitiva: Il presente, per così dire, non è mai perfettamente contemporaneo a sé stesso. E questo significa che ogni equilibrio è fluido e ogni sintesi aperta. Rispetto a ciò che è, a ciò che è stato, e a ciò che sarà. Un conflitto non come esercizio retorico, di esodo , narcisistico e autoreferenziale che non precede o persegue la sua neutralizzazione, ma che deve essere letto come l’asse principale di temporalizzazione di ogni formalizzazione provvisoria del legame tra gli uomini. Non un “itinerario turistico o folcloristico”, “contrabbando della verità” ecc.ecc. ma neanche “presunzione di verità” ,riproposizione di comode,ingessate e vecchie forme di conflitto (destra-sinistra, Nord-Sud, vecchio-nuovo, moderno-antico ecc) e un richiamo solo formale alla consapevolezza e la libertà sempre e solo propria e non degli altri.Anche questo circola nella parte più profonda degli uomini delle nostre terre e necessita non solo di essere vissuto e pensato ma anche raccontato e discusso.
mauro orlando



Articolo pubblicato su "BuongiornoCampania.

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