«Nel 1915 un violento terremoto aveva distrutto buona parte del nostro circondario e in 30 secondi circa ucciso circa 30 mila persone. Quel che più mi sorprese fu di osservare con quanta naturalezza i paesani accettarono la tremenda catastrofe. In una contrada come la nostra, in cui tante ingiustizie rimanevano impunite, la frequenza dei terremoti appariva un fatto talmente plausibile da non richiedere ulteriori spiegazioni. [...] Nel terremoto la natura realizzava quello che la legge a parole prometteva e nei fatti non manteneva: l’uguaglianza. Uguaglianza effimera. Passata la paura, la disgrazia collettiva si trasformava in occasione di più larghe ingiustizie. [...] La maggior parte dei morti giaceva ancora sotto le macerie. I soccorsi stentavano a mettersi in opera. Gli atterriti superstiti vivevano nelle vicinanze delle case distrutte, in rifugi provvisori. Si era in pieno inverno, quell’anno particolarmente rigido. Nuove scosse di terremoto e bufere di neve ci minacciavano.»
Ignazio Silone, Uscita di sicurezza (1949)
C’è un quadro di Klee che s’intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta.
Walter Benjamin, Angelus Novus. Saggi e frammenti
Nessun commento:
Posta un commento