mercoledì 27 maggio 2009

Eisir d'amore per ..........i sentimenti.

........franco arminio

cosa sono i sentimenti?
una cosa che appoggiamo sul corpo
o un disegno che facciamo con il corpo?
cosa siamo noi
in mezzo alla vita, cosa ci facciamo
in mezzo a tanti morti?
cosa sono i vivi e cosa sono i morti?
non so, non sappiamo nulla.
sapevo però ieri sera che il sonno
questa notte si sarebbe rotto,
sapevo che il buio a un certo punto
mi avrebbe aperto come un coltello apre
la pancia di un agnello.
forse scrivere è mettere le proprie viscere
sul tavolo e poi subito rimangiarsele
prima che muoiano.
parlare di sé senza squarciarsi
non serve a niente
scrivere senza squarciarsi
non serve a niente.
squaciarsi e poi richiudersi
perchè non si può lasciare sul tavolo
la carne. l’amico è un lettore
il lettore è un amico
se gli basta il gesto, questo scucire
e ricucire il nostro corpo davanti all’altro.
scrivere è amare
leggere è amare
se siamo esposti, rotti, scomposti,
se siamo instabili, smarriti
se non sappiamo cosa stiamo per dire
se siamo grati a tutti,
a chi si dà
e a chi si astiene
(e così il sangue gli gira inutilmente
nelle vene).



La lingua della poesia non può essere morta e convenzionale, ma viva densa e sempre sorprendente anche quando evoca e ricorda.
La lingua della poesia è sempre classica o antica.Capire la lingua classica o antica è una propensione all’attenzione o una educazione all’attenzione come diceva Simone Weil. Curiosità onnivora.
Nella suadente liricità e nella sua sensibilità si possono riconoscere una grande costellazione ,i cui astri sono, Saffo,Catullo,Pessoa,Kafka,Merini ecc.
Sentire,leggere capire la poesia necessita di essere educato per musicalità e cultura a una capacità altissima ad avvertire il suono falso delle persone e delle cose quel suono sgradevole e gridato da cui siamo accerchiati anche attraverso quell’oggetto che invade con violenza le nostre case ,che non basta demonizzare con il sarcasmo o rifiutare con snobismo.
La parola deve conservare la pregnanza simbolica ed evocativa del Natale e non la discorsività espressa della epifania. E non la tragedia intima della quaresima anche con la possibile rinascita della Pasqua.
Curare infine la ricerca quasi ossessiva del senso intimo e di grazia ,quasi teologico ed epifanico,delle parole evocative di sentimenti ma caratterizzanti l’”io” in una sorta di,’paradossale disumano sconsiderato oblio del ‘noi’, per tutti quei danni che fino al novecento hanno alimentato tutte le culture totalitarie e razziste.
Più delle idee mi interessano le parole,anche quelle inusuali e colte ma non le loro significazione e forma ma nella loro identità e profonda autenticità.

mauro orlando

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