lunedì 25 maggio 2009

Elisir d'amore per ..........il radicamento e la politica.



R A D I C A M E N T O e P O L I T I C A

“ Se ormai ogni politica ha per scopo di rendere la vita tollerabile al maggior di uomini possibile, bisogna lasciare che essi determinano anche che cosa intendano per vita tollerabile” Nietzsche

Che brutta campagna elettorale che ci avviamo a vivere . La politica è mortificata se non assente …il resto è cicalare e ‘ciarpame’ vario ed eventuale. Si potrebbe chiedere o individuare responsabilità e limiti ma sarebbe un gioco troppo facile .E’ il classico inutile sparare sulla Croce Rossa !
E noi ci sottraiamo a questo gioco perverso perché abbiamo troppo rispetto per noi stessi e soprattutto per la Politica. E continuiamo ad elevare una “vox clamans in deserto” nella speranza che ci siano ancora orecchie che intendono.
Oggi più che mai sentiamo un bisogno di radicamento “ il bisogno più importante e misconosciuto dell’anima umana, e tra i più difficili a definire” (S. Weil) a cui non corrisponde un bisogno dialetticamente contrario. C’è bisogno di identità , di comunità. Un sentimento diffuso anche se represso . C’è difficoltà definirlo per il grado elevato di sradicamento a cui la società contemporanea ci ha costretto o convinti a subirlo come uno stato quasi naturale.
C’è una sorta di sradicamento geografico,culturale e sociale cominciato con la sostituzione della idea di nazione a quella di territorio, della città capoluogo prima e poi i piccoli paesi e le comunità periferiche fagocitate e inglobate burocraticamente nelle Regioni. Si sono rivelati la malattia del nostro tempo sradicato.Ben altro discorso,di ben più profondo spessore e contingenze il discorso di Napoli capitale di un Regno secolare nel suo rapporto col territorio periferico e le sue cittadinanze.
La distruzione di un rapporto pieno con il tempo e lo spazio reale , vale adire con la propria storia, il proprio ambiente naturale.Di qui il sentimento di discontinuità, frammentazione, estraneità, e in definitiva la riduzione della vita sociale e politica a pura esteriorità o addirittura ‘fiction’.
Il radicamento oggi diventa di fatto e per necessità crisi radicale dei modelli attuali sociali,politici perfino antropologici. , tendenzialmente autoritari e totalitari. Fenomeno che relega in secondo piano la vita relazionale e sociale, non più fitta e plurale trama di rapporti tra individui, che si riconoscono reciprocamente in quanto tali e in rapporto con il proprio territorio, ambiente storico e naturale. Se pur in una situazione di libertà formali quando la cultura come fenomeno anche politico pratico non predispone ogni suo elemento in una relazione significante con gli altri e le altre culture è destinata a privilegiarne uno : la politica, l’economia, la scienza o persino la religione, costringendo il pensiero alla sterilità o peggio al conformismo e alla sudditanza.
La politica oggi non può mangiarsi l’esistenza degli individui. L’esistenza non può deflagrare nella politica, non può coincidere con essa, non può essere declinata interamente con le sue categorie, con la sua sintassi, con il suo lessico.
Antipolitico e catastrofismo culturale che , per il passato hanno rappresentato la tendenza al disimpegno sociale e al silenzioso ripiegamento egoistico verso la cura del proprio appetito “particulare” non devono diventare “un urlo maliconico di disperazione”.
L’odierna antipolitica ,in alcuni casi per fortuna , interpreta confusamente, talvolta populisticamente o subdolamente anche questa estrema disperazione. Disperazione alimentata dalla visione di politica assoluta praticata dal nostro ceto politico e non solo. La politica “assoluta” è sempre piu insofferente a trattenersi entro i suoi costitutivi ed invalicabili limiti- i soli che le conferirebbero una reale “effettualità” ,avrebbe detto Machiavelli. Quella limitata tecnica che tende pazientemente a ritessere e riorientare i molteplici e spesso conflittuali interessi particulari della ‘polis’ verso un Bene comune.
Alle grida sommesse o disperanti di una certa inossidabile politica politicante o una interessato presbitismo giornalistico,se mai si dovrebbe chiedere chi ha allevato il lupo dell’antipolitica e non limitarsi a ripetere l’inutile grido di allarme per la sua sopravvenuta attualità nel nostro inconscio prepolitico questuante fuori del Palazzo.
La politica tra paure e monomanie, sembra condannata nella innaturale forbice di un pragmatismo amministrativo “senz’anima” o di lucide, deliranti e ossessionate tentazioni ,mai del tutto sopite o digerite da passate stagioni palingenetiche e salvifiche . Politica e antipolitica convergono paradossalmente anche nella nostra storia recente nella effettiva spoliticizzazione o dissocializzazione della società civile e dell’individuo assumendo nel suo statuto una funzione assoluta e totalizzante.
Per i pochi eletti- come sempre- c’è l’aristocratica via di fuga dell’impolitico: un buen ritiro dalla politica o verso una dimensione ascetica, alternativa o verso una sorta di critica mistica della politica.
E per noi, donne e uomini – i più– che abbiamo rimesso umilmente ma profondamente in campo nelle nostre comunità violentate e provvisorie le nostre storie passate e la nostra esistenza presente – la carne e il sangue, le ansie e le speranze- non ci resta che continuare a ribadire la volontà determinata sia di non confondere troppo la vita con la politica con il rischio di esserne completamente risucchiati sia di evitare l’eccesso opposto in cui la politica sembra sia sfuggita inesorabilmente via dalla vita e dalla ricerca e dalla pratica di una cittadinanza consapevole e quotidiana in difesa dei diritti oltraggiati o negati. Comunque munirsi e usare le cere per sottrarre le nostre orecchie dagli ingannevoli e ruffiani canti delle eterne sirene che vogliono farci sacerdoti o fedeli ossequienti e supini non più nella liturgica mediazione dei partiti ma di una politica come “tècne o sofisma” intellettualmente accattivante ma comunque onnicomprensiva, autoreferenziale e spoliticizzante o semplicemente di “potere”.
Una sola cosa possiamo e vogliamo dire “ciò che non siamo e ciò che non vogliamo”. Non siamo antipolitica e non vogliamo finire nel disincanto ,nell’indiffrenza o nell’esplicita ostilità verso la politica.

Mauro Orlando



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