giovedì 23 ottobre 2008

Un dialogo appena iniziato con la mia terra e suoi migliori abitanti.


di Franco Arminio / La posizione del morto



Oggi è uno di quei giorni in cui sotto sotto spero che mi venga un ictus o un infarto. Buttarmi dal balcone o impiccarmi sono imprese al momento fuori dalla mia portata.
Se scrivi una cosa come questa e la mandi via mail a qualcuno con cui non hai molta confidenza puoi dire tranquillamente di aver fatto una cazzata.
Eppure io sono attratto dalle confidenze che maturano all’improvviso, che maturano per salti, per gesti avventati, per comunicazioni assurde.
Uno che vive nel delirio di essere continuamente in punto di morte e ha pure la pretesa di raccontarlo questo delirio, non può non suscitare irritazione negli esseri che si ritengono portatori di condotte esistenziali esemplari. Io non so che farmene di una bella vita e di belle comunicazioni. Io sono morto. La mia vita è un’eco in via di spegnimento. Il boato è avvenuto con la nascita. Quando parlo agli altri penso di farlo a partire da una condizione che gli altri condividono e invece spesso mi ritrovo a parlare con persone che si ritengono vive e vegete e perfino portatrici di grande rigore e moralità. Bene, ognuno si creda quel vuole. Ma se c’è una verità è nella posizione del morto e non del vivo.
Io sono un morto che sbaglia, solo in questo differisco dai morti che stanno al cimitero. Il mio rigore, la mia calma assoluta ancora non sono entrate in funzione. Adesso sto qui a pasticciare con le mie ceneri. Le impasto con le parole e posso perfino trarne fuori abbracci, sorrisi.


Mi ha confortato leggere nella discussione seguita a questo scritto :“è un pezzo scritto un pò di tempo fa.adesso non sarebbe alla mia portata….” da parte del suoautore Franco Arminio. Lo dico non per esorcizzare o allontanare il timore ma solo perchè in questo momento non ho il coraggio di sopportare altro dolore per le persone a cui voglio bene e anche a quelle che comincio avoler bene.Io so che le parole sono la stessa storia delle persone che le esprimono o scrivono. Quelle del tempo passato appartengono al linguaggio e alle persone dell’anno o del tempo passatoe le parole dell’anno prossimo attendono un’altra voce e altre circostanze per venir fuori ed esprimersi anche se dette dalla stessa (!?) persona.Sarebbe facile giocare sull’etimologia della parola persona: ‘maschera’.Negli studi noi pivilegiamo sempre e sviluppiamo le facoltà espressive e rappresentative, mai le facoltà intuitive legate all’esistenziale unico ,molteplice e mutevole come il fiume di Eraclito e non come la perfetta rotondità universale dell’Essere di Parmenide.“ Il pensiero della sofferenza non è discorsivo….Scrive S. Weil…. Il pensiero urta cotro il dolore fisico, contro la sventura, come la mosca contro il vetro, senza potere progredire in alcun modo né scoprirvi nulla di nuovo, e senza potersi impedire di tornarvi.Così si esercita e si sviluppa la facoltà intuitiva. Eschilo mediante la sofferenza, arriva alla conoscenza. Fare della sofferenza un’offerta è una consolazione, e quindi un velo gettato sulla realtà della sofferenza. Ma lo è anche considerare la sofferenza come una punizione.La sofferenza non ha significato. E’ questa l’essenza stessa della sua realtà. Occorre amarla nella sua realtà, che è assenza di significato.” Questo scritto non mi convince del tutto ma nei riguardi del tuo dolore e della tua soffrenza mi aiuta se non altro a rimandarlo,esorcizzarlo senza ricorrere ad aiuti metafisici emeno che meno religiosi.Per la metafisica ho accumulato opinioni,concetti o idee che me la ridimensionano .Per la religione non mi sento ancora pronto ad arrendermi.Con stima sicura e con affetto sperato.

mauro orlando



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