mercoledì 15 ottobre 2008

Arminio: uno sguardo poetico e umano su una terra di miti antichi.



Solo i poeti ,purtroppo, osano e sanno raccontare la mia terra d'Irpinia e la sua gente.Ho letto per caso in questi giorni di sofferenza e violenza della terra del Formicoso da parte dei potenti di turno,una lettera che Cesare Pavese scrive da Santo Stefano Belbo a Fernanda Pivano, in cui esprime con lieve meraviglia una sorprendente e del tutto inaspettata scoperta. Il maturo poeta delle Langhe piemontesi proprio nell’estate del 1942 descrive, il desiderio che, nella sua aurorale verginità poetica, covava il giovanissimo Pasolini nel suo «esteso mondo» friulano la sua terra natale.Nel leggere queste parole ho pensato a un mio nuovo amico (spero!) irpino,poeta e 'paesologo'.Pavese scriveva : “(...) so che il mio mestiere è di trasformare tutto in «poesia». Il che non è facile. (...) Quanto ho scritto finora erano sciocche cose, tracciate secondo schemi allotrî, che non hanno nessun sapore dell’albero, della casa, del sentiero, ecc. come li conosco. (...) Ben altre parole, ben altri echi, ben altra fantasia sono necessari. Che insomma ci vuole un mito. Ci vogliono miti (...), per esprimere a fondo e indimenticabilmente quest’esperienza che è il mio posto nel mondo. (...) Descrivere paesaggi è cretino. Bisogna che i paesaggi - meglio, i luoghi, cioè l’albero, la casa, la vite, il sentiero, il burrone - vivano come persone come contadini, e cioè siano mitici. (...) Ho capito le Georgiche. Le quali non sono belle perché descrivono con sentimento la vita dei campi, (...), ma bensì perché irridono tutta la campagna in segrete realtà mitiche, vanno al di là della parvenza, mostrano anche nel gesto di studiare il tempo o affilare una falce, la dileguata presenza di un dio che l’ha fatto o insegnato”. L’urgenza di Pavese sembra essere la stessa di Pasolini e di Arminio, l’urgenza di spiegare attraverso il mito l’origine di una terra ma soprattutto l’origine, il significato del proprio esserci nel mondo; dunque, il senso del suo posto nel mondo non può essere una mera e sentimentale descrizione paesaggistica, come dirà più tardi attaccando la ottocentesca poetica zoruttiana, ma “il poetare” che «nomina il sacro» , il far affiorare attraverso il suo canto la sacra presenza di padri e madri, di una generazione insomma, che ha modellato i suoi campi ed ha insegnato a farlo.“(...) uno sguardo umano rivolto a quell’imperturbato orizzonte ha fatto nascere la storia di questa regione”. Dunque, il mito come storia, non come qualcosa di asettico: il mito come accadimento dell’origine dell’essere.

mauro orlando

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