venerdì 25 settembre 2009

Elisir d',amore per .......la vita.

Igea (dal greco antico Υγιεία con il significato di salute, rimedio, medicina) è una figura della mitologia greca e successivamente romana. Figlia di Asclepio e di Epione, Igea è la dea della salute e dell'igiene.

Il “testamento biologico”.Quattro premesse di una condivisione possibile.
1) L’accelerazione del dibattito parlamentare su un tema che già nella passata legislatura era stato oggetto di un vivace confronto è avvenuta sull’onda emotiva della vicenda di Eluana Englaro. Il testo votato dal Senato è fortemente segnato e condizionato da questa contingenza. L’art. 1 comma 1 (lettera a) e l’art. 3 comma 1, coerentemente con quanto ci si attende da una legge sul cosiddetto “testamento biologico”, indicano un’eventuale, futura incapacità di intendere e di volere come la condizione in vista della quale il cittadino potrà redigere le sue dichiarazioni anticipate di trattamento. Ma il comma 6 dello stesso art. 3 si riferisce allo stato vegetativo, specificando addirittura che la dichiarazione «assume rilievo nel momento in cui è accertato che il soggetto in stato vegetativo non è più in grado di comprendere le informazioni circa il trattamento sanitario». È del tutto evidente che non esiste una condizione di stato vegetativo nella quale un paziente sia ancora in grado di “comprendere”. Ma anche – e soprattutto – che l’incapacità di intendere e di volere non è in nessun modo sinonimo di stato vegetativo. La prima può riguardare potenzialmente centinaia di migliaia di persone (tipicamente tutti i pazienti in stato avanzato di demenza a causa di malattie come l’Alzheimer). Nel secondo si trovano oggi in Italia non più di tremila persone. Non sappiamo insomma a “chi” si applicherebbe l’intera normativa e un chiarimento su questo punto è preliminare ad ogni serio approfondimento dei suoi singoli aspetti.
2) I conflitti bioetici, proprio perché coinvolgono i modi e il senso del nascere e del morire, hanno conseguenze particolarmente laceranti sui “valori condivisi” più volte richiamati anche dal Capo dello Stato come presupposto e garanzia della convivenza e della solidità delle stesse istituzioni. Per questo è forzata e rischiosa la trasposizione del bipolarismo del sistema politico in un corrispondente bipolarismo bioetico, a sua volta interpretato nei termini della logora contrapposizione fra laici e cattolici. Va respinto ogni tentativo di strumentalizzare ai fini della contesa politica di breve respiro il confronto su temi di questa portata, che ne uscirebbero immiseriti e ostaggio di logiche di potere e di scambio comunque fatali per un serio, credibile impegno sui valori. A maggior ragione quando questo impegno diventa di resistenza alle mode e ai modelli dominanti.
3) Non esiste “il” problema del fine vita, ma un fascio di questioni diversificate e complesse. Non è possibile, di conseguenza, affidarsi ad astratte dichiarazioni di principio sulla disponibilità o indisponibilità della vita. Si tratta, piuttosto, di modulare con ragionevolezza l’equilibrio fra due principi entrambi irrinunciabili dal punto di vista costituzionale: la tutela della vita come “interesse della collettività” e presidio della dignità della persona da una parte e, dall’altra, la libertà con la quale ogni individuo decide il senso, l’orientamento della sua esistenza. Non si discute, in Italia, l’introduzione dell’eutanasia come possibilità per il medico di somministrare al paziente “il farmaco che uccide”. Si discute della possibilità che una persona possa chiedere semplicemente di essere “lasciata andare”, senza che più nulla sia fatto per trattenerla. È comprensibile che su questo punto vi siano opinioni e sensibilità diverse, anche fra gli stessi cattolici. È d’altronde proprio l’art. 53 del Codice deontologico dei medici italiani che vieta loro di «assumere iniziative costrittive» o di «collaborare a manovre coattive di nutrizione artificiale» nei confronti di una persona che, pur se adeguatamente informata «sulle gravi conseguenze che un digiuno protratto può comportare sulle sue condizioni di salute», rifiuta comunque volontariamente di nutrirsi. Si può considerare sufficiente a rovesciare questa conclusione il fatto – ovviamente importante – che la propria volontà non possa essere più confermata “qui ed ora”? Risposte diverse a questa domanda non tolgono il comune impegno a sostenere in tutte le situazioni di sofferenza e disagio le “buone” ragioni della vita. L’alimentazione artificiale di un paziente in stato vegetativo può spaccare un paese. Un detenuto può lasciarsi morire di fame e di sete senza che nessuno ne parli.
4) Occorre evitare che una sovraesposizione di casi-limite e questioni indubbiamente di forte impatto “simbolico” funzioni da strategia elusiva delle responsabilità e delle urgenze più pressanti in tema di difesa della vita. Il diritto alla vita non è lo stesso nei paesi ricchi e nei paesi poveri. Ma anche nei primi rimangono o si accentuano le differenze. L’Italia non fa eccezione, come testimoniano i sempre più frequenti casi di malasanità e la crescente tendenza a “fuggire” dalla propria regione per cercare altrove un’assistenza di qualità. Sentiamo parlare tutti i giorni di “turismo” riproduttivo. Sarebbe bene preoccuparsi di quello al quale è costretto chi cerca soltanto di essere curato. E, più in generale, della necessità di garantire l’equa distribuzione delle risorse indispensabili ad una efficace e “giusta” tutela del diritto alla vita in tutte le fasi e in tutte le condizioni dell’esistenza umana.
Stefano Semplici - Membro del Comitato Scientifico del CEGA e Prof. di Etica sociale nell’Università di Roma Tor Vergata (semplici@lettere.uniroma2.it).
Carmelo Vigna - Presidente del CEGA e Prof. di Filosofia morale nell’Università di Venezia (carmelo.vigna@gmail.com).
Giampaolo Azzoni - Direttore del CEGA e Prof. di Filosofia del diritto nell’Università di Pavia

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