
Il problema di Arminio è quello di fare libro, di questa sua scrittura straordinaria. Nella bella collana «Contromano» di Laterza questo piccolo miracolo è avvenuto. Ma non chiamatela «scrittura di viaggio», non chiamatela «reportage». Dall’epicentro della sua Bisaccia, a brevissimo raggio le escursioni «paesologiche» di Arminio durano una mattina, blocnotes o telecamera alla mano. E dopo non c’è nulla da raccontare, nessun arcano da svelare, nessuno scempio da denunciare. È l’«Italia che non si vede mai alla televisione» perché in essa effettivamente non c’è nulla. O, altrimenti detto, c’è il nulla: tangibile e vivido, in tutto il suo splendore d’assenza («Sono venuto qui proprio per le cose che non ci sono»). Arminio evoca altri grandi cantori del Nulla, da Cioran a Manganelli, ma non gli convengono compiacimenti né ironie. La sua cifra è perfetta quando è più se stesso: quando la paura e la disperazione le scopre nelle cose e nelle persone che incontra. Quando Arminio riesce a mostrarci La vita incomprensibile (così s’intitola il suo brano più bello) davvero si spinge a toccare quel Reale che va ogni realismo: traumatico appunto perché impossibile da capire, da analizzare, da osservare con distacco. Perché quel Reale, quel Vuoto, siamo noi.
di andrea cortellessa
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