oh dolce cume lu mele!
nun la vidite stamane,
cum’è turnata crudele?
Amandula inzuccherata
occhie amare come fele.
nun la vidite stamane,
cum’è turnata crudele?
Amandula inzuccherata
occhie amare come fele.
(lamento di una madre còrsa di Pietra della Verde sulla figlia morta)
Nella bara bianca i confetti erano sparsi sul crespo balletto dei veli di Nina r Scatòzza[1] con gli occhi di due anni chiusi, nel vicolo sopra casa, affossati da un mistero.
Seguii il suo corteo fino al lamento delle ghirlande di zinco dipinto posate sulla terra zappata, vibrate e percosse dal vento.
Sui piccoli morti era incredibile tutto quel bianco: il volto, i veli, la bara. Incredibile era quell’acerba e segreta bellezza. Incredibile quella porzione di nozze, quelle salme innanzitempo mature per quei cofanetti. Incredibile era quel rivestimento di zucchero, quei confetti intorno al dolore. La loro patina bianca rendeva forse più dolce l’acidula aurora del distacco interiore.
Allora i confetti li chiamavamo c’cciarùc, termine composto da cicc -propriamente ‘chicco, grano’- e aròc, il sapore dolce.
Seguii il suo corteo fino al lamento delle ghirlande di zinco dipinto posate sulla terra zappata, vibrate e percosse dal vento.
Sui piccoli morti era incredibile tutto quel bianco: il volto, i veli, la bara. Incredibile era quell’acerba e segreta bellezza. Incredibile quella porzione di nozze, quelle salme innanzitempo mature per quei cofanetti. Incredibile era quel rivestimento di zucchero, quei confetti intorno al dolore. La loro patina bianca rendeva forse più dolce l’acidula aurora del distacco interiore.
Allora i confetti li chiamavamo c’cciarùc, termine composto da cicc -propriamente ‘chicco, grano’- e aròc, il sapore dolce.
di alfonso nannariello
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