giovedì 13 novembre 2008

"Conversazioni notturne a Gerusalemmme"....per una "conversione" della Chiesa Cattolica.

Nel nuovo libro «Conversazioni notturne a Gerusalemme» l‘ex arcivescovo di Milano risponde alle domande di un gesuita e affronta i temi della fede e della Chiesa. Con qualche risposta scomoda sulle difficoltà del Cattolicesimo e la morale sessuale.
«Conversazioni notturne a Gerusalemme» (Mondadori, in libreria dal 28 ottobre) è il titolo del volume che raccoglie il confronto sui temi del Cattolicesimo e della Chiesa fra il cardinale Carlo Maria Martini , ex arcivescovo di Milano e studioso della Bibbia di fama mondiale, e il gesuita Georg Sporschill.
Un dialogo franco, senza reticenze, in pagine che possono essere interpretate come il testamento spirituale di Martini
Mi preoccupa non poco (da laico che accetta “la sfida cognitiva” con le culture religiose in generale e quella catttolica italiana) l’acquiescenza acritica e un pò farisaica di S Magister su un giornale autorevole cattolico alle scelte delle gerarchie nel merito…”In privato, ai gradi alti della gerarchia, le critiche all’autore del libro sono severe e preoccupate. Ma in pubblico la regola è di tacere. Il timore è che contestare pubblicamente le tesi di questo libro aggiunga danno a danno”. “Mala tempora currunt” anche per i fedeli ossequienti e proni alle prescrizioni delle gerarchie!Mi piace a tale proposito citare un pezzo dell’intervista di Martini sul problema di Dio e della fede in lui.“Chi è per me Dio? Fin da ragazzo mi è sempre piaciuta l’invocazione, che mi pare sia di San Francesco d’Assisi, «mio Dio è mio tutto». Mi piaceva perché con Dio intendevo in qualche modo una totalità, una realtà in cui tutto si riassume e tutto trova ragione di essere. Cercavo così di esprimere il mistero ineffabile, a cui nulla si sottrae. Ma vedevo anche Dio più concretamente come il padre di Gesù Cristo, quel Dio che si rende vicino a noi in Gesù nell’eucarestia. Dunque c’era una serie di immagini che in qualche maniera si accavallavano o si sostituivano l’una con l’altra: l’una più misteriosa, attinente a colui che è l’inconoscibile, l’altra più precisa e concreta, che passava per la figura di Gesù. Mi sono reso conto ben presto che parlare di Dio voleva dire affrontare una duplicità, come una contraddizione quasi insuperabile. Quella cioè di pensare a una Realtà sacra inaccessibile, a un Essere profondamente distante, di cui non si può dire il nome, di cui non si sa quasi nulla: e tutto ciò nella certezza che questo Essere è vicino a noi, ci ama, ci cerca, ci vuole, si rivolge a noi con amore compassionevole e perdonante. Tenere insieme queste due cose sembra un po’ impossibile, come del resto tenere insieme la giustizia rigorosa e la misericordia infinita di Dio. Noi non scegliamo tra l’una e l’altra, viviamo in bilico (…). Come dice il catechismo della Chiesa cattolica, la dichiarazione «io credo in Dio» è la più importante, la fonte di tutte le altre verità sull’uomo, sul mondo e di tutta la vita di ogni credente in lui. D’altra parte il fatto stesso che si parli di «credere » e non di riconoscere semplicemente la sua esistenza, significa che si tratta concretamente di un atto che non è di semplice conoscenza deduttiva, ma che coinvolge tutto l’uomo in una dedizione personale. Su questo punto, come su tanti altri relativi alla conoscenza di Dio, c’è stata, c’è e ci sarà sempre grande discussione. Per alcuni la realtà di Dio si conosce mediante un semplice ragionamento, per altri sono necessarie anche molte disposizioni del cuore e della persona (…).Un confronto e un interesse rispettoso di un tale modo di credere è ancora possibile …per il resto come consiglia un amico filosofo “delle cose che non si coinoscono è meglio tacere”

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