Della morte si può parlare per affetto come dolore e con ragione come senso ,modo e possibilità.Gli uomini compirono il primo passo decisivo verso la comprensione di se stessi, quando si posero per la prima volta il problema della loro essenza; ciò comportava il dar risposta a diversi problemi e, soprattutto, a quello della creazione dell’uomo, della morte e della vita dopo la morte.
All’uomo fu inculcato il concetto di caducità della sua natura, dell’inesorabilità della morte. Seneca scrittore latino, colto e ottimo parlatore, nel “De Brevitate Vitae” scrisse così: “non riceviamo una vita breve, ma tale la rendiamo; e non siamo poveri quanto alla vita ma la sprechiamo con prodigalità”. La vita ci sembra breve soltanto perché noi perdiamo quasi tutto il nostro tempo a disposizione, vivendo sempre nella fiducia inconscia di poter eternamente fruire della vita.
Il prepararsi alla morte non implica la rinuncia al vivere. E’ da stolti temere la morte, poiché è la fine d’ogni sofferenza per l’uomo.
L’evoluzione storica, con la conseguente messa a punto ed emancipazione di scienza e medicina, ha reso la morte un fantasma diabolico, uno spettro malefico da temere e celare.
L’uomo moderno cerca di allontanare sempre di più il momento della morte, tanto da desiderare che esso sia sconfitto, ottenendo così l’immortalità.
La morte è vissuta come momento di fine della vita, di dubbio, incognita, dolore e la vita stessa diventa un “vivere per la morte”, un’esistenza minacciata dalla paura del nulla.
L’unica morte pensabile è la morte delle nostre facoltà intellettive.
Dopo la morte il nostro corpo continuerà a vivere, poiché le cellule del nostro corpo sono formate da atomi simili a quelli che esistono fin da quando fu originato l’universo, i quali sono riciclati continuamente, quindi ciò che oggi forma il nostro corpo sarà un albero, una roccia o, perché no, un’altra persona.
La morte è solo l’inizio e il viaggio che ognuno di noi intraprende dalla nascita alla morte, è solo una parte di un processo più ampio.
mauro orlando
Roberto Vecchioni . La viola d'inverno.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi-
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla
Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.
Cesare Pavese
domenica 2 novembre 2008
NELL'ERA DELLA MORTE di Franco Arminio
Forse la morte non è più un evento. Per tanto tempo era qualcosa che veniva nella vita come una faina arrivava nel pollaio. Questa faina ha contribuito a produrre tutto l’assortimento delle religioni con annessi paradisi e speranze di salvezza. Adesso la morte ha cambiato faccia, è diventata l’aria che si respira, la scena madre della vita, il riassunto delle nostre giornate. È sempre bene in vista dentro gli amori, dentro la politica, dentro le cene tra amici. Non deve arrivare da nessun parte, è già qui. Si mette in mezzo tra l’anima e il corpo e ci scinde. Si mette in mezzo tra noi e gli altri e ci divide.
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1 commento:
... ogni volta che la canta mi fa sempre piangere.
bellissima song.
alice
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