 Io  so che non avrei nessuna  voglia di parlare di uno’scrittore o poeta’.in carne ,ossa,spirito e sangue della mia ricca terra d’Irpinia . Non mi piace  e non ne ho i titoli  e capacità. Ma se questo scrittore o poeta è la stessa terra che mi dato i natali ,che mi ha fatto da sostrato naturale  per i miei primi passi su questo mondo terreno, che mi ha fornito l’ossigeno puro che ha alimentato i miei polmoni ,il mio sangue e il mio tenero cervello, voi potete capire il piacere di leggere e vivere emotivamente  l’ultimo libro di Franco Arminio,” Nevica e ne ho le prove”. Ogni parola ,ogni concetto, ogni sensazione, ogni sentimento o idea espressa mi costringevano in corso di lettura a  guardare in profondità e nelle pieghe più nascoste della mia anima.A scoprire con curiosità e meraviglia  il senso della ‘carne e della terra’ senza necessariamente dover pensare a un loro ‘nomos’ o a un loro ‘logos’ ma solo  una loro reciprocità di funzioni e di esistenza. Sono ritornato insieme  al fascino evocativo delle  parole  a  riscoprire il senso autentico  e profondo delle parole stesse. A ripensare ai miei ricordi infantili e minimi  del mio piccolo paese irpino cambiando le categorie di tempo e spazio  che la filosofia moderna  mi aveva prescritto come forme a priori della conoscenza dove anche i ricordi,i sentimenti e le passioni dovevano sottostare a questa griglia tirannica della razionalità. Nelle contraddizioni ,conflitti, sofferenze e dolori  dell’”io narrante” ho rivalutato l’onestà intellettuale  di esprimere amore e interesse per la propria terra, i suoi abitanti e il suo territori  anche con una spietatezza di sguardo e di racconto al limite di un cinismo e una cattiveria formale e teatrale di oraziana memoria.Per continuare questo viaggio a ritroso nella mia coscienza  scissa , esule e viandante ho avuto la necessità teoretica e conoscitiva di mutare prospettiva allo  sguardo sia quando indagava  che quando analizzava .Sono stato costretto via facendo ad inventarmi radure  per ossigenare il mio cervello e far sedimentare i sentimenti  intorcigliati che mi avvinghiavano  il cuore come le ‘matasse’ gaddiane  .Tornare indietro nella lettura    per verificare come Orfeo  che la mia Euridice ideale che mi stavo costruendo,  fosse reale e non solo una immagine  che esteticamente mi ero costruito in questo viaggio di ritorno. Sono stato costretto  a cambiare radicalemnte il mio ‘ego cartesiano, rassicurante nella sua classicità e universalità.Lavoro imbrobo ,faticoso e per niente facile in occidente, in Italia e in Irpinia oggi.. Dopo Nietzsche viviamo con grande difficoltà i problemi di senso e di responsabilità messi radicalemnete in questione insieme alla nozione di soggetto,singolarità,persona ,linguaggio, conoscenza,morale, politica e quant’altro.Oramai non siamo più’una fortezza’ ma una ‘debolezza’ che aspirerebbe a vivere con dignità e coraggio anche gli ’spifferi’ dell’infanzia,del thanatos …. che vengono dal basso’ .Io personalemnte in questo libro che letteralmente mi ha sopraffatto e fagocitato  ho   approfittato degli insidiosi silenzi dei sentimenti di malinconia e nostalgia per interpretare un senso della vita interiore che non porti necessariamnte allo snobismo dell’estetismo e del nichilismo di maniera o all’aristocratico isolamento dell’ascesi o del misticismo.La riscoperta della irpinia che avevo nel cuore,nel sogno e nella memoria  e dell’irpinia dei piccoli paesi abbandonati  dai poteri locali e nazionali  e conservati nella loro energetica ed immacolata forza di bellezza e di futuro possibile mi sono stati raccontati con la sofferenza  e la schiettezza  di chi ama questa terra  benedetta nella sua maledizione  storica  e nella sua ricchezza culturale  e la sua incontaminata bellezza naturale. Questo libro è stato occasione e stimolo  di un inizio di un nuovo viaggio possibile e necessario di questa terra e dei suoi abitanti anche  al di là e al disopra della sua ricca storia culturale,sociale  ed ideologica. L’”io narrante e vivente” la chiama ‘paesologia’  questa sua proposta di “weltanshaung” e ne spiega non didatticamente ma esitenzialmente  il senso con grande semplicità e profondità nel racconto della sua vita e quella suoi concittadini dell’accidia,dell’ipocondria,del rancore   e del rimorso. Ci ricorda poeticamente  “ciò che non siamo e ciò che non vogliamo” o non dobbiamo più essere .Non ci offre  pannoncelli caldi  e rassicuranti o  “ricette per curare”, “regole e questionari da riempire”,”un formulario da approntare”, “un programma di salvezza dei paesi,”tutela dei campanili”,”i dialetti”, “le manfrine del rancore”,”la fregola delle confidenze e dello stare vicini”.Ma ci fa intravedere  anche ciò che siamo o vorremmo essere :”materia esposta alle intemperie”, “vista dilatata dall’ansia,dal tremore di stare nel cratere del proprio corpo”, “una forma di attenzione verso il fuori,intensa perchè provvisoria”,”inermi e non arresi”. Nel raccontare  questi stati d’animo  di persone non rappacificate con sé stessi  e con i propri simili  “allinea dettagli,avanza, indietreggia ,inciampa”, con ”filo d’ardore e di mestizia”, ma sempre in compagnia di ”credenti della bellezza “ e del “silenzio” lontano dei rumori del mondo.Ho bevuto  profondamente a questa sua “sperduta fontanella del respiro” perchè convinto della dolorosa necessità nostalgica del nostro “nostos” irpino  per intraprendere  un nuovo  viaggio duro, dolorante lungo,difficile,originale e ricco nel nostro “io” e nella nostra terra .Sapendo che non basta solo cambiare senso alle parole ,alle sintassi,  ai pensieri ed ai sentimenti di appartenenza  ma intraprendere un nuovo speranzoso viaggio sicuramente  ricco   di sentieri interrotti e abusati ma anche di piacevoli e gioiose radure. Non abbiamo mete o isole da raggiungere ma territori e persone,alberi,cani randagi,gatti,panchine rotte ,vecchine che girano per strada con una busta in mano, da vivere anche senza parlare .Questo  ci racconta questo prezioso libro e  di sé stesso lo scrivente  parlandoci della sua ‘carne’ e del suo modo di vivere e di guardare ed essere guardato dalla ‘terra’ con sofferenza ma anche con un senso sacro  della  ‘gloria di stare al mondo’.sapendo che è molto bello, profondo e affascinante ma è anche duro,difficile e faticoso raccontare un originale modo di pensare e fare politica culturale  nella nostra bella e buona terra d’Irpinia  come “comunità provvisoria”  ma ‘piena’ di speranza e di futuro.
 Io  so che non avrei nessuna  voglia di parlare di uno’scrittore o poeta’.in carne ,ossa,spirito e sangue della mia ricca terra d’Irpinia . Non mi piace  e non ne ho i titoli  e capacità. Ma se questo scrittore o poeta è la stessa terra che mi dato i natali ,che mi ha fatto da sostrato naturale  per i miei primi passi su questo mondo terreno, che mi ha fornito l’ossigeno puro che ha alimentato i miei polmoni ,il mio sangue e il mio tenero cervello, voi potete capire il piacere di leggere e vivere emotivamente  l’ultimo libro di Franco Arminio,” Nevica e ne ho le prove”. Ogni parola ,ogni concetto, ogni sensazione, ogni sentimento o idea espressa mi costringevano in corso di lettura a  guardare in profondità e nelle pieghe più nascoste della mia anima.A scoprire con curiosità e meraviglia  il senso della ‘carne e della terra’ senza necessariamente dover pensare a un loro ‘nomos’ o a un loro ‘logos’ ma solo  una loro reciprocità di funzioni e di esistenza. Sono ritornato insieme  al fascino evocativo delle  parole  a  riscoprire il senso autentico  e profondo delle parole stesse. A ripensare ai miei ricordi infantili e minimi  del mio piccolo paese irpino cambiando le categorie di tempo e spazio  che la filosofia moderna  mi aveva prescritto come forme a priori della conoscenza dove anche i ricordi,i sentimenti e le passioni dovevano sottostare a questa griglia tirannica della razionalità. Nelle contraddizioni ,conflitti, sofferenze e dolori  dell’”io narrante” ho rivalutato l’onestà intellettuale  di esprimere amore e interesse per la propria terra, i suoi abitanti e il suo territori  anche con una spietatezza di sguardo e di racconto al limite di un cinismo e una cattiveria formale e teatrale di oraziana memoria.Per continuare questo viaggio a ritroso nella mia coscienza  scissa , esule e viandante ho avuto la necessità teoretica e conoscitiva di mutare prospettiva allo  sguardo sia quando indagava  che quando analizzava .Sono stato costretto via facendo ad inventarmi radure  per ossigenare il mio cervello e far sedimentare i sentimenti  intorcigliati che mi avvinghiavano  il cuore come le ‘matasse’ gaddiane  .Tornare indietro nella lettura    per verificare come Orfeo  che la mia Euridice ideale che mi stavo costruendo,  fosse reale e non solo una immagine  che esteticamente mi ero costruito in questo viaggio di ritorno. Sono stato costretto  a cambiare radicalemnte il mio ‘ego cartesiano, rassicurante nella sua classicità e universalità.Lavoro imbrobo ,faticoso e per niente facile in occidente, in Italia e in Irpinia oggi.. Dopo Nietzsche viviamo con grande difficoltà i problemi di senso e di responsabilità messi radicalemnete in questione insieme alla nozione di soggetto,singolarità,persona ,linguaggio, conoscenza,morale, politica e quant’altro.Oramai non siamo più’una fortezza’ ma una ‘debolezza’ che aspirerebbe a vivere con dignità e coraggio anche gli ’spifferi’ dell’infanzia,del thanatos …. che vengono dal basso’ .Io personalemnte in questo libro che letteralmente mi ha sopraffatto e fagocitato  ho   approfittato degli insidiosi silenzi dei sentimenti di malinconia e nostalgia per interpretare un senso della vita interiore che non porti necessariamnte allo snobismo dell’estetismo e del nichilismo di maniera o all’aristocratico isolamento dell’ascesi o del misticismo.La riscoperta della irpinia che avevo nel cuore,nel sogno e nella memoria  e dell’irpinia dei piccoli paesi abbandonati  dai poteri locali e nazionali  e conservati nella loro energetica ed immacolata forza di bellezza e di futuro possibile mi sono stati raccontati con la sofferenza  e la schiettezza  di chi ama questa terra  benedetta nella sua maledizione  storica  e nella sua ricchezza culturale  e la sua incontaminata bellezza naturale. Questo libro è stato occasione e stimolo  di un inizio di un nuovo viaggio possibile e necessario di questa terra e dei suoi abitanti anche  al di là e al disopra della sua ricca storia culturale,sociale  ed ideologica. L’”io narrante e vivente” la chiama ‘paesologia’  questa sua proposta di “weltanshaung” e ne spiega non didatticamente ma esitenzialmente  il senso con grande semplicità e profondità nel racconto della sua vita e quella suoi concittadini dell’accidia,dell’ipocondria,del rancore   e del rimorso. Ci ricorda poeticamente  “ciò che non siamo e ciò che non vogliamo” o non dobbiamo più essere .Non ci offre  pannoncelli caldi  e rassicuranti o  “ricette per curare”, “regole e questionari da riempire”,”un formulario da approntare”, “un programma di salvezza dei paesi,”tutela dei campanili”,”i dialetti”, “le manfrine del rancore”,”la fregola delle confidenze e dello stare vicini”.Ma ci fa intravedere  anche ciò che siamo o vorremmo essere :”materia esposta alle intemperie”, “vista dilatata dall’ansia,dal tremore di stare nel cratere del proprio corpo”, “una forma di attenzione verso il fuori,intensa perchè provvisoria”,”inermi e non arresi”. Nel raccontare  questi stati d’animo  di persone non rappacificate con sé stessi  e con i propri simili  “allinea dettagli,avanza, indietreggia ,inciampa”, con ”filo d’ardore e di mestizia”, ma sempre in compagnia di ”credenti della bellezza “ e del “silenzio” lontano dei rumori del mondo.Ho bevuto  profondamente a questa sua “sperduta fontanella del respiro” perchè convinto della dolorosa necessità nostalgica del nostro “nostos” irpino  per intraprendere  un nuovo  viaggio duro, dolorante lungo,difficile,originale e ricco nel nostro “io” e nella nostra terra .Sapendo che non basta solo cambiare senso alle parole ,alle sintassi,  ai pensieri ed ai sentimenti di appartenenza  ma intraprendere un nuovo speranzoso viaggio sicuramente  ricco   di sentieri interrotti e abusati ma anche di piacevoli e gioiose radure. Non abbiamo mete o isole da raggiungere ma territori e persone,alberi,cani randagi,gatti,panchine rotte ,vecchine che girano per strada con una busta in mano, da vivere anche senza parlare .Questo  ci racconta questo prezioso libro e  di sé stesso lo scrivente  parlandoci della sua ‘carne’ e del suo modo di vivere e di guardare ed essere guardato dalla ‘terra’ con sofferenza ma anche con un senso sacro  della  ‘gloria di stare al mondo’.sapendo che è molto bello, profondo e affascinante ma è anche duro,difficile e faticoso raccontare un originale modo di pensare e fare politica culturale  nella nostra bella e buona terra d’Irpinia  come “comunità provvisoria”  ma ‘piena’ di speranza e di futuro.mauro orlando
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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