lunedì 8 settembre 2008

La Temporalità è il Tutto di T.Hardy



Nella fiorente giovane età
mutamento e caso
mi posero di giorno in giorno accanto
persone da me non scelte
e, benché fossimo diversi,
ci fecero simili in nodi d’amicizia fusi.
“Posso tener caro questo amico
finché quello vero si faccia avanti.
Venga chi soddisfi del tutto le mie attese;
ampia è ancora la vita e illimitate le possibilità”,
così meditavo.
Lungo la mia via, affollata di desideri,
vidi vagare una giovane donna,
bella, ma non tanto da eclissare tutte le altre.
“Incontra donne”, mi dicevo, “ finché appaia
la meraviglia che sogno”.
Per lungo tempo intensamente
desiderai vita solitaria di contemplazione.
In povera dimora m’accontentai di vivere:
“Abiterò per breve tempo qui, in questa casa”, pensavo,
“ma presto avrò stanze più decorose.
Nobile lavoro sarà allora ragione per me di vita:
mostrerò Verità e Luce.
Nell’attesa che maturino i tempi
obiettivi intermedi sono sufficienti al grande scopo”.
Così io ... ... ahimè!
Donne, amici, luoghi, mete, ch’erano da migliorare subito,
il Fato non ha mai migliorato né l’opera della mia mano.
Lungo la mia traccia terrena
solo successione d’eventi non mai trascesi.


(trad. Simone Saglia)

The Temporary the All

In The Temporary the All, poesia collocata all’inizio di tutta la raccolta dei Wessex Poems, vi sono temi che ricorrono spesso nella lirica di Hardy. In essa si afferma che le promesse sono disattese quando il futuro diviene presente. A questo significato se ne aggiunge un altro: la nostra esistenza dipende dalla assoluta casualità connessa con il divenire (change and chancefulness).
Accanto alla constatazione che le attese naufragano e nessun miglioramento sperato si verifica né per l’intervento del Fato né per opera dell’uomo, v’è la riflessione sull’assoluta transitorietà del momento di vita: è il tema dominante che percorre gli Wessex Poems riecheggiante il lamento del Qohelet: “ Un immenso vuoto - dice Qohelet - / un immenso vuoto, tutto è vuoto! ”.
David Hume scrive: “Noi non siamo altro che fasci o collezioni di differenti percezioni che si susseguono con una inconcepibile rapidità, in un perpetuo flusso e movimento ”(David Hume, Trattato sulla natura umana, I, IV, 6 in Id., Opere filosofiche, Laterza, Bari 1987, I, pag. 264).
Nella traduzione del titolo, la parola temporalità (che traduce letteralmente l’inglese temporary), potrebbe essere sostituita dai sinonimi transitorietà o impermanenza. Questi termini si collegano al principio buddista della anicca che significa appunto impermanenza/transitorietà, principio che è alla base della concezione buddista secondo cui la realtà nostra quotidiana e tutta la vita cosmica è un continuo divenire e la distinzione tra eternità e divenire non esiste, perché l’eternità è il fluire infinito dei tempi. Già Eraclito aveva còlto il principio del divenire: “Il sole è nuovo ogni giorno.” (Eraclito, Frammenti e testimonianze, pag. 25, framm. 43, Mondadori-Valla, Milano 1980)
Possiamo trovare nella tradizione filosofica occidentale espresso il principio della permanenza. Nell’antichità classica già Eraclito disse:
“Morte delle anime è diventare acqua, morte dell’acqua diventare terra: ed è dalla terra che si fa l’acqua e dall’acqua l’anima”.
E Montale scrisse:
Oh allora sballottati / come l’osso di seppia dalle ondate / svanire a poco a poco; / diventare / un albero rugoso od una pietra / levigata dal mare; nei colori / fondersi dei tramonti; sparir carne / per spicciare sorgente ebbra di sole, / dal sole divorata … (Riviere, in Ossi di seppia).
Troviamo la sistemazione filosofica più alta della temporalità ne La fenomenologia dello Spirito di Hegel secondo cui lo Spirito s’invera nella storia in un processo dialettico ternario (tesi/antitesi/sintesi). Nel paragrafo 250 dell’Enciclopedia Hegel scrive:
Le dimensioni del tempo, il presente, il futuro e il passato, sono il divenire come tale dell’esteriorità, e la risoluzione di quel divenire è nelle differenze dell’essere, che da un lato è trapasso in nulla, dall’altro è trapasso in essere. Lo sparire immediato di queste differenze nella individualità è il presente, come “ora” (“questo istante”), il quale, essendo, come individualità, insieme esclusivo e affatto continuo negli altri momenti, non è altro che questo trapasso del suo essere in niente e del niente nel suo essere”
(Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, pp.218-19, Laterza, Bari 1951).
Anche in Bergson, un autore in cui si trovano tematiche buddiste e al quale Hardy si ispira, leggiamo:
Non esistono cose fatte, ma solo cose che si fanno; non stati che si conservano, ma solo stati che mutano (H. Bergson, Introduzione alla metafisica, p. 81, Bari, Laterza, 1987)
Giangiorgio Pasqualotto in Illuminismo e illuminazione – La ragione occidentale e gli insegnamenti del Budda, pp. 59-60 (Donzelli editore, Roma 1997) scrive:
L’osservatore della corrente della vita non è sulla riva del fiume, ma egli stesso dentro questa corrente. Ciò non significa che egli scorra in modo identico a tutti gli altri elementi che si trovano nella corrente: sarà più veloce di alcuni, più lento di altri. A questo punto però si potrebbe chiedere; ammesso che scorra anche l’osservatore della corrente, la misura delle diverse velocità di scorrimento non deve necessariamente riferirsi a qualcosa di fisso come, per esempio, le rive del fiume? Certamente, ma – continuando il gioco metaforico – si deve aggiungere che anche le rive divengono … perché si può rintracciare sempre un criterio fisso in base al quale misurare la loro mobilità. Tuttavia – in base alla teoria dell’anicca – si dovrà sempre constatare che anche tale criterio è fisso solo provvisoriamente: è vero infatti che si può sempre trovare qualcosa di permanente che ci metta in grado di cogliere l’impermanenza di qualcos’altro, ma si deve ammettere che tale elemento o parametro, assunto come permanente, è a sua volta suscettibile di diventare impermanente. Anche le cosiddette stelle fisse in realtà fisse non sono, sia perché, come sono sorte, così spariranno, sia perché sono dotate di un moto proprio.”

Nella poesia (The Temporary The All) secondo i commentatori, si possono rintracciare riferimenti alla biografia di Hardy.
L’amico “non scelto” può essere Henry Robert Bastow col quale Hardy si trovò a lavorare nello studio dell’architetto Hicks. Bastow incoraggiò Hardy nello studio del greco e del latino e forse lo stimolò ad affrontare problemi riguardanti la religione. Poi Bastow se ne andò in Tasmania e scrisse lettere a Hardy, ma queste erano così piene di considerazioni banali sulla religione che suscitarono in Hardy un rifiuto ad accettare un dialogo con l’amico. Bastow rimproverò Hardy di non rispondere alla sue lettere. Le “desolate dimore” ( “tenements uncouth” ) possono essere “Westbourne Park Villas” a Londra dove Hardy visse quando lavorava per l’architetto Blomfield. Il “visioned hermitage” probabilmente è il vicariato cui Hardy per un certo tempo aspirò.

Nota curata da Simone Saglia


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