
15 settembre 2008
"Salvo che si usi il termine terrorismo come un generico insulto, l’omicidio di Calabresi non può passare, nella versione che ne hanno dato imputazioni processi e sentenze, per un atto di terrorismo. Questa è la formulazione giudiziaria, questa è la mia ferma opinione. Che la si intenda come una “giustificazione” o è un frutto di pregiudizio e di malanimo, o di un grossolano fraintendimento. E’ superfluo dire che ci sono omicidi abominevoli, che non hanno niente a che fare con il terrorismo, e nemmeno con qualunque inclinazione politica, e non diventano per questo più giustificabili. Nel libro curato dalla Presidenza della Repubblica in memoria delle “vittime del terrorismo nell’Italia repubblicana” viene commemorato Luigi Calabresi. Non viene citato Pino Pinelli. Io ho un’opinione diversa. Penso a Pinelli come a una vittima del terrorismo di stato, l’ultima vittima della strage di Piazza Fontana. Penso a Calabresi come alla vittima di una violenza politica omicida, che, salvo prova contraria, non aveva a che fare con un intento terrorista. Il che non tocca affatto la questione della giustificazione, tanto meno della giustificazione di trentasei anni dopo. Ma impedisce, così come impedì l’addebito giudiziario, di assimilare quell’attentato al sequestro e alla strage di bambini di Beslan. Questa è la mia opinione. Attribuirla a un mio spregevole malanimo verso Mario Calabresi e la sua famiglia è del tutto infondato. Vorrei dire ad Arrigo Levi, la cui interpretazione delle mie parole è troppo lontana dal segno, che, quando ho detto che non c’era una guerra, ma alcuni di noi si sentivano in guerra, intendevo salvaguardare le proporzioni, rispetto a chi parla alla leggera di “guerra civile” degli anni Settanta, ma anche ricordare che il primo a “sentirsi in guerra” e a chiedere ai suoi uomini di comportarsi di conseguenza fu lo stato italiano di piazza Fontana".
di Adriano Sofri
"Salvo che si usi il termine terrorismo come un generico insulto, l’omicidio di Calabresi non può passare, nella versione che ne hanno dato imputazioni processi e sentenze, per un atto di terrorismo. Questa è la formulazione giudiziaria, questa è la mia ferma opinione. Che la si intenda come una “giustificazione” o è un frutto di pregiudizio e di malanimo, o di un grossolano fraintendimento. E’ superfluo dire che ci sono omicidi abominevoli, che non hanno niente a che fare con il terrorismo, e nemmeno con qualunque inclinazione politica, e non diventano per questo più giustificabili. Nel libro curato dalla Presidenza della Repubblica in memoria delle “vittime del terrorismo nell’Italia repubblicana” viene commemorato Luigi Calabresi. Non viene citato Pino Pinelli. Io ho un’opinione diversa. Penso a Pinelli come a una vittima del terrorismo di stato, l’ultima vittima della strage di Piazza Fontana. Penso a Calabresi come alla vittima di una violenza politica omicida, che, salvo prova contraria, non aveva a che fare con un intento terrorista. Il che non tocca affatto la questione della giustificazione, tanto meno della giustificazione di trentasei anni dopo. Ma impedisce, così come impedì l’addebito giudiziario, di assimilare quell’attentato al sequestro e alla strage di bambini di Beslan. Questa è la mia opinione. Attribuirla a un mio spregevole malanimo verso Mario Calabresi e la sua famiglia è del tutto infondato. Vorrei dire ad Arrigo Levi, la cui interpretazione delle mie parole è troppo lontana dal segno, che, quando ho detto che non c’era una guerra, ma alcuni di noi si sentivano in guerra, intendevo salvaguardare le proporzioni, rispetto a chi parla alla leggera di “guerra civile” degli anni Settanta, ma anche ricordare che il primo a “sentirsi in guerra” e a chiedere ai suoi uomini di comportarsi di conseguenza fu lo stato italiano di piazza Fontana".
di Adriano Sofri
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