venerdì 5 settembre 2008

Anche la mia Grottaminarda è.......Irpinia!





GROTTAMINARDA (Av): La Fratta, un rione scomparso.
Identità e ricordo



L’identità e il ricordo sono le sole due “cose” che possono sopravvivere alla morte di un individuo e di una collettività, a condizione che forti ed emblematici siano i “segni” lasciati e viva sia stata la volontà degli “attori” di affermarsi e di durare nel tempo.Ma tutto questo potrebbe non bastare. Da un lato, infatti, per preservare le “cose” bisogna amarle, rispettarle nella loro integrità, prendersene cura sottraendole all’usura del tempo, alla “furia” degli uomini e delle forze naturali; dall’altro canto, per dar vita alle persone, una volta scomparse, bisogna rievocarle, pensare alle loro “storie” (fatte di ansie, speranze, piccoli e grandi problemi) ed, eventualmente, alla loro “esemplarità”. E’ necessario, inoltre, che “testimoni” diretti mettano insieme e cerchino di dare ordine a tanti “fotogrammi” (sensazioni, esperienze), contestualizzandoli, per quanto è ancora possibile fare, prima che si disperdano nella nebbia e riaffiorino, poi, dalla memoria in frammenti sparsi, sfocati, privi di pur minime connotazioni spazio-temporali e socio-culturali.In altri termini, finire per sempre nel nulla potrebbe essere la sorte definitiva, oltre che di noi uomini, anche di tanti altri piccoli “mondi” come il Rione Fratta, cancellati non solo dalla faccia della terra, ma scomparsi perfino dalla memoria. Certamente è una pretesa assurda voler far rivivere cose e persone morte; ma consentire, e accettare, che esse siano distrutte del tutto e per sempre sarebbe ancora più assurdo.Da tali motivazioni è nato questo intervento su un pezzo del nostro patrimonio storico - culturale, che si va ad aggiungere a quelli che hanno animato tante iniziative intraprese nel corso degli anni, sorretti (in una inadeguatezza di mezzi e avversità di circostanze) quasi esclusivamente da una forte volontà ( e convinzione) di fare qualcosa di utile e costruttivo . Forse nemmeno questo tentativo servirà a operare “resurrezioni” impossibili, ma, almeno, cercherà di fissare alcuni punti da “consegnare ai giovani e alle future generazioni”.Chiariti, così, alcuni aspetti preliminari del problema in questione, tanti altri, purtroppo, sono destinati a restare irrisolti.Innanzitutto, di fronte a “casi” così emblematici, riscontrabili senza dubbio in tutte le epoche e sotto tutte le latitudini, sorgono imperiose alcune domande:1. Come è possibile che una comunità si disgreghi e perda la sua identità?2. Come è possibile che un intero quartiere scompaia per sempre anche nelle sue forme costruttive/abitative caratteristiche?3. E’ possibile che tutto sia successo perché doveva succedere e che non si poteva fare nulla per impedirlo?Interrogativi destinati a restare senza risposte, in quanto le dinamiche degli eventi in causa implicano molteplici fattori interdipendenti, non sempre prevedibili e controllabili.Altrettanto inutile e inconcludente sarebbe cercare cause e responsabilità o passare in rassegna i cosiddetti Piani di Recupero del “Centro Storico” di Grottaminarda, ideati dalle Amministrazioni di tutte le aree, succedutesi negli ultimi 15-20 anni nella gestione della “cosa pubblica”, restati sulla carta e nel mondo delle pie e confuse intenzioni.Né meritano gli onori della cronaca, attuale e postuma, gli autori dell’ultimo atto, meglio conosciuto come “Piano di Ristrutturazione Urbanistica”, che, nella formulazione e nei fatti, rappresenta la “soluzione finale” di quel poco di significativo che ancora restava dell’antico Rione Fratta.* * *Dalla disgregazione del tessuto sociale alla ”soluzione finale”Numerosi “fatti ed eventi”, manifestatisi nel volgere di pochi anni, sconvolsero radicalmente la composizione sociale, l’assetto, la fisionomia di tanti piccoli “mondi” contadini, borghi e quartieri sparsi in ogni angolo dell’Italia del sud.Basti ricordare, tra l’altro: Il terremoto dell’agosto 1962 (con conseguente sviluppo urbanistico, edilizio, occupazionale), il boom economico (giunto in ritardo nelle nostre zone), il migliore tenore di vita dovuto all’aumento medio del reddito, l’istituzione della Scuola Media Statale obbligatoria (1963), il diffondersi della televisione e dei beni di consumo durevoli (frigoriferi, automobili, ecc.) insieme con nuovi “valori” (modelli comportamentali, gusti, abitudini), l’affermarsi dei partiti di massa (riforme, conquiste sociali, nuovi spazi di partecipazione), la costruzione delle autostrade (nel nostro caso dell’A16 Napoli-Bari)… Anche il Rione Fratta e i suoi abitanti non riuscirono a sottrarsi alla forza ineluttabile delle cose e vissero tutte queste trasformazioni/innovazioni non sempre in modo graduale e indolore, andando inconsapevolmente verso una inesorabile fine.La scomparsa del Rione si consuma attraverso due sequenze interdipendenti.In una prima fase, gli sbocchi occupazionali (apertisi prima nell’edilizia, poi nell’industria e nei servizi, con redditi più sicuri ed elevati), la corsa verso il “nuovo”, la giusta aspirazione a condizioni di vita più dignitose e confortevoli provocarono, nel giro di uno/due decenni, insieme con la “rimozione” di disagi, privazioni, ingiustizie, anche la “disgregazione” dell’identità culturale ed umana che, fino ad allora, nel bene e nel male, aveva caratterizzato quella piccola comunità.D’altronde, per chi era vissuto in misere abitazioni affacciantisi direttamente sul vicolo e costituite da un unico locale (massimo due, al tempo stesso: cucina, camera da letto, bottega, ecc.) senza servizi (luce, acqua, bagno) potersi trasferire in un appartamento, anche condominiale, con più stanze e servizi, significava il sogno e l’occasione di tutta una vita per uscire da una situazione di inferiorità sociale.Per questi motivi, l’abbandono in massa del vecchio Rione si configura non come “tradimento”, bensì come “rifiuto” inconscio, “fuga-liberazione” (umanamente comprensibile) da condizioni di vita disagiate e umilianti. Di pari passo, in un contesto generale (paese, territorio, provincia) privo di referenti politici e intellettuali all’altezza dei tempi e delle situazioni, andarono frantumate e disperse, altresì, anche nuove energie, intelligenze, potenzialità. Nella seconda (e ultima) fase, la “soluzione finale” matura attraverso una fitta ragnatela di altri fatti, eventi , circostanze: Il terremoto del 1980; il riemergere, anche a livello locale, di gruppi di potere (economici e politici) animati da sempre da una smodata, insaziabile fame di carriere, affari, profitti; le iniziative encomiabili, ma spesso ingenue e velleitarie, di singoli cittadini, associazioni o élites per il recupero e la salvaguardia dei beni culturali e ambientali; l’assenza di una diffusa “coscienza collettiva” del proprio patrimonio storico; la mancanza di “progetti”, “idee”, “volontà”, capacità di coinvolgimento democratico, coerenza , controllo e trasparenza di quanti hanno tenuto in mano le leve del comando negli ultimi 15-20 anni…Tutti questi fattori, messi insieme, hanno dato realmente il colpo di grazia a una “creatura” da tempo moribonda, distruggendone anche i pochi residui aspetti urbanistici/abitativi.Queste e altre concause, non sempre prevedibili e controllabili, hanno interagito fra di loro, generando una rete complessa e inestricabile di danni ed errori, in cui, però, quelli ascrivibili alla componente umana hanno avuto senz’altro un peso determinante.

tonino capaldo




1 commento:

Anonimo ha detto...

Una Volta tanto tempo fa cera anche io li nella Fratta.