martedì 28 aprile 2009

Elisir d'amore per .....un ritorno di nostalgia e maliconia.


....è tempo di 'nostalgia'e di 'maliconia' per un ritorno pieno di doni e promesse........

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Io penso che la nostalgia insieme alla maliconia fondamentalmente che sia un sentimento positivo, come sono tutti i sentimenti, perché sono impulsi che ci fanno vivere, che ci spingono in qualche modo nel futuro. Altrimenti saremmo completamente impassibili e sempre immobili. Non ci muoveremmo mai. In più la nostalgia o la malinconia, che è dentro la nostalgia, ha un doppio, una doppia tensione. Da una parte la tensione verso il ritorno a casa, che è quello di Ulisse. Ulisse piange sulla spiaggia di Calipso, l'abbiamo visto, perché vuole tornare a casa. Cosa vuol fare? Vuole tornare alla moglie, all'olivo nel quale ha scavato il letto nuziale. Il fine, il telos, direbbero i Greci, della nostalgia è quello: tornare all'olivo, perché Ulisse lì ha scavato il suo letto di nozze. E l'Odissea finisce, in un certo senso, con il ramo d'ulivo, che, non per niente è il segno di riconoscimento, ricordate, tra Penelope e Ulisse, quando Penelope non riconosce Ulisse. Finché lui non parla di questo, di come ha scavato, intagliato il letto matrimoniale dall'ulivo, Penelope non lo riconosce. Quando lui ha detto questo, a Penelope le si sciolgono le ginocchia e diventa, la similitudine di Omero, diventa come un naufrago che arriva finalmente alla riva. Cioè Penelope diventa come Ulisse, proprio alla fine. Quindi questo è un impulso della nostalgia, quello di tornare a casa, all'ulivo. L'altro impulso invece - nostalgia significa male del ritorno nostos-algos, in greco -, l'altro impulso è quello di andare via, cioè nostalgia verso l'ignoto. Ricordate che nella scena dell'Ade, quella che abbiamo visto prima, quando Ulisse tenta di abbracciare la madre, quando la madre gli parla della morte, eccetera, Tiresia gli profetizza il futuro e gli profetizza questo futuro dicendogli:
"Tu tornerai a casa, ucciderai i pretendenti, ti ricongiungerai con tua moglie - e via di seguito, però non è finita lì. "Poi devi partire per una pena infinita, un ultimo viaggio", dice.
E cosa deve fare Ulisse in questo ultimo viaggio, Ulisse, Deve prendere un remo, se lo deve mettere sulle spalle, e deve viaggiare all'infinito, finché non arriva in un paese, dove non conoscono i remi, che sono "ali alle navi" - Poi Dante riprenderà questa definizione quando dice: "dei remi facemmo ali al folle volo" -; che non conosce i remi, che non conosce il sale, che non conosce il cibo condito col sale, che non conosce il mare. Quindi prendere il remo e andare in un luogo che non conosce il mare. Andare all'infinito, perché per Omero, per il mondo, la cultura di Omero, un mondo che non conosce il mare non esiste. Dov'è? In mezzo all'Africa, al Congo, oppure in Siberia? Il mare, nella civiltà greca è comune, come a Napoli. No? Ecco questi due sono gli impulsi della nostalgia. E uno è il testo omerico, diciamo, un altro è il testo dantesco. Tutte e due riguardano Ulisse. Sembrano due poli opposti, in realtà sono due poli assieme. Se voi prendete, c'è una bellissima lirica scritta in quella, composta in quello che è il Medio Evo, cosiddetto "più buio" della nostra civiltà, cioè tra l'Ottocento e il Novecento dopo Cristo, in Inghilterra, si chiama The shiffer, cioè Il navigante, e adesso ve ne leggo alcuni versi, perché lì il personaggio centrale è un io che parla, potrei essere io di persona. Anzi io che mi identifico molto, come dicevo prima, con questo personaggio, il quale ha paura di andare via, ha paura del mare. Il mare naturalmente è un mare invernale, un mare nordico, come quello di oggi a Santa Maria di Castellabbate, per capirsi, tremendo, vento, tempesta,marosi altissimi eccetera, però nello stesso tempo vuole anche andare via. Ecco il testo, vi leggo l'inizio e poi il pezzo centrale::"Dirò di me stesso un canto vero, i viaggi narrerò. Come in giorni duri spesso ho sofferto tempi di pena, ho sentito nel cuore amara la cura, nelle chiglie trovato dimore di dolore, sulle onde in tumulto dove spesso mi tenne veglia ansiosa di notte, alla prua della nave, che rollava alle rocce. Eran dal gelo i piedi premuti, legati dal ghiaccio in fredde catene, mentre pene soffiavano calde dal cuore e fame strappava lo spirito dentro, stanco del mare. Quell'uomo non sa, cui tocca su terra di vivere bene, come miserando sul gelido oceano, d'inverno ha percorso le vie dell'esilio, privato d'amici, pendevano attorno verghe di ghiaccio. Turbinava la grandine".Questo è il senso veramente dell'assenza, del dover andare via su un mare, su un oceano fondamentalmente ostile. E però lo stesso personaggio, lo stesso poeta, lo stesso narratore dice, poco più tardi, e il paesaggio non cambia, siamo sempre in un paesaggio quasi artico, per così dire, se volete, scozzese, scandinavo, dice::"A notte l'ombre brunivano, nevicava dal nord, sulla terra ghiacciata cadeva la grandine, il più freddo dei grani. I pensieri del cuore mi turbano, ora, che sui mari profondi debba lanciarmi, nei flutti salsi in tumulto. Ogni volta però la voglia del cuore spinge lo spirito a viaggiare lontano, a cercare le terre straniere. Pure al mondo non c'è chi, sì folle di cuore, sì largo di doni, in giovinezza sì forte, sì ardito in imprese, con signore sì amico, sempre non abbia, ansia del viaggio, per il fato che a lui riserva il Signore. Non ha pensiero per l'arpa, per possesso d'anelli, né piacere di donna, né gioia mondana, né cosa alcuna fuorché l'onde rombanti, ma sempre si strugge chi si spinge sul mare, sempre si strugge chi si spinge sul mare".E questo, la parola originale in inglese, anzi in inglese antico è longung, cioè longing, che vuol dire nello stesso tempo desiderio e nostalgia, malinconia. Quindi si traduce struggere, struggimento, proprio perché è questa sofferenza delle due tensioni opposte, che uno vuole andar via e vuole anche tornare, o vuole tornare, ma vuole anche andar via.Questo è il sentimento di attrazione e repulsione tra L'Irpinia e il Lago di Garda in bilico tra malinconia e nostalgia

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