Il fascino del modello autoritario Lorenza Carlassare, Costituzionalismo.it, 31-03-2009 | |
Il fascino dei modelli autoritari del’900 è oggi evidente, benché non dichiarato; a parole, anzi, li si sconfessa e se ne prendono le distanze nel momento stesso in cui si propongono soluzioni che li richiamano presentandole come ‘nuove’, attuali, necessarie a svecchiare il modello disegnato dalla Costituzione repubblicana. Nuove non sono, ma soltanto presentate diversamente, in modo più consono agli umori dei tempi : nulla ritorna identico, ma la storia spesso si ripete. |
mercoledì 31 marzo 2010
Elisir d'amore per ...........la Costituzione italiana.
martedì 30 marzo 2010
Elisir d'amore per .........Socrate e la sua filosofia.
Socrate farà comunque opposizione a questo sapere e a questi comportamenti nella ‘pòlis’ sopratutto perchè non ha mai pensato di dovere e potere “cambiare il mondo” o sognari “paradisi perduti” o riempire di parole gli “inverni di un perenne scontento” (nel libro sesto della ‘Repubblica’ Socrate dice che non è il medico a bussare alle porte dei malati, ma viceversa) perchè i più si rivolgeranno sempre a quel sapere o azione che li esenta da ogni fatica o richiesta di autenticità o corenza ai pensieri lunghi,complessi e difficili e sopratutto li ottunde alla consocenza, alla consapevolezza eresponsabilità libera sopratutto nel rispetto di sè stessi.
Nelle nostre “pòlis” si vivono momenti tristi e sconsolanti e il mondo e gli uomini non sempre vanno nel verso dei nostri desideri , aspettative e dei nostri progetti……E allora il momento di ritornare in sè stessi per recuperare le forze perchè il viaggio deve continuare …….Cominciare da sè stessi significa anche andare contro sè stessi per scoprire di essere frutto di rapporti umani,sociali e politici non sempre comprensibili, edificanti e giustificabili. Ogni azione intellettuale o politica ha una funzione sopratutto esitenziale, esortativa e non dimostrativa,affermativa: per chi accoglie l’esortazione c’è la possibilità di trovare la propria strada,per gli altri routine e silenzio……
La scelta di vivere una esperienza comunitaria piuttosto che individualistica ci avverte cheessa non è solo “raccontabile,analizzabile” ma sopratutto”vivibile”e, in un epoca di “tolleranza e di democrazia”, anche “Socrate” non verrebbe più condannato o consiglaito ad uccidersi ma attacato, e marginato o messo al bando mediatico e sociale .Bisogna quindi temere di più il reintegro quando il suo scandalo finisce quando i vari ,vecchi e nuovi corifei dei “piccoli regimi feudali” lo neutralizzano e lo omologano cominciando a scongere o sottolineare o evidenziare in lui una teoria,una dottrina da affrontare “intellettualmente”,teoreticamente o esteticamente…..politicamente . Questo tipo di cultura servile e asservita prima ti espelle e……poi può anche cercare di riassorbirti ammazzandoti una seconda volta e definitivamente.I Menenio agrippa o Cincinnati sono fuori tempo e moda !La storia passata della “intellettualità” mridionale e non soilo….docet!
Biosgna quindi essere consapevoli ,come Socrate, di dover far fronte ai vari attacchi e disrezzi dei propri contemporanei non solo con intelligenza,capacità tecnica ed argomentativa, ma sopratutto di carattere,coerenza e continuità delle proprie azioni anche carsiche… e le idee lunghe e profonde per sostenere lo scontro fino all’ultimo esito, di non fare un passo indietro, di mantenere un atteggiamento costante e convinto…..sempre al “meglio” volando alto dove solo quelli educati ai voli leggeri sanno continuare a respirare e volare assieme.
Socrate non cerca il dialogo con coloro che sono presunti sapienti o che si credono sapienti perchè lui cerca prima di tutto una vita migliore anche nelle “piccole pòlis” con occhi puliti e con cuore fermo per essere “elite” migliore e di eccellenza non nelle cariche pubbliche ma tra gli uomini della città.
La “paesologia” può essere una strada possibile prima di tutto di pensare e realizzare sè stessi e non fornisce una abilità o una capacità di essere venduta su un mercato ancora una volta nel segno del “servo-padrone”.
Per noi non è la pretesa di un amore per un nuovo sapere ma una amore degli uomini divenuti più corenti con la propria vita assieme ai prori concittadini e radicati in modo vitale nel prorio territorio.Noi siamo persone che hanno voglia e ardire di parlare in prima persona …le teorie non hanno nessun valore e non ci danno nulla di più se non provare a vivere le nostre emozioni e idee direttamente e sul campo….Il coraggio oggi si misura con la consapevolezza di un punto di vista maturato sopratutto con lo sforzo totale e quotidiano della propria sapendo oggi le convinzioni sul mercato sono leggere e i cuori deboli.
La nostra barra di riferimento nel nostro Blog e e nelle comunità dei piccoli paesi dalla grande vita è “il meglio” possibile e concreto sapendo che comunque c’è un senso,un fine ,una direzione e un luogo verso cui andare tenendo nel dovuto conto i compagni di viaggio dubbiosi e i tanti consiglieri interessati (intellettuali ,politici e quant’altro) a ostacolare ,deviare o interrompere il nostro lungo, difficile ma entusiasmante viaggio in noi stessi e nei nostri territori.
…solo per questo ci ritrovaimo mercoledì alle ora 18 presso la “radura” del Bar Ciotola a Grottaminarda per un dolcetto….e poi un pizza comunitaria per ripredere forza e detrminazione per
il viaggio verso Cairano……
mauro orlando
sabato 27 marzo 2010
Elisir d'amore per ........Il “pòlemos” è l’anima del comunitarismo paesologico.
Il “pòlemos” è l’anima del comunitarismo paesologico.
Da questa esigenza intransigente e teoretica negli ideali o di limitata coerenza pratica nei comportamenti si può far risalire una sorta di ossessione nella ricerca di una sorta di unità perduta nella notte dei tempi e di una promessa o esigenza di sempre luminosi speranze ordinate di futuro.Forse siamo malati di idealizzazione e siamo poco interessati alla ricerca empiristica di “una cornice comune” anche se provvisoria che forse rischierebbe di ingabbiare la nostra vitalità interrogatrice e critica o la nostra libertà interpretativa al limite del più testardo e incontrollato individualismo ma ci eviterebbe ripetere i vecchi errori e i labirinti mentali che avevamo tragicamente costruiti e praticati con leggerezza nel secolo passato in Irpinia come a Berlino.E’ esistita mai una “comune cornice” delle esperienze culturali e politiche della intellettualità meridionale e nazionale ? Vaccinati delle vecchie categorie dell’ impegno militante,della concordia discors,delle speranze di futuro,delle liberazioni individuali, del pensiero progettuale ci siamo trovati inermi e esposti ,come in un naufragio, a nuotare nel decadimento della politica dopo la caduta delle passioni e delle inadeguatezze della “postdemocrazia”Voler tentare di recuperare il senso profondo ed importante delle passioni intelligenti e individuali come nutrimento e base di ogni azione o pensiero culturale e politico ma in “comunità” ;coltivare e giocare le nostre carte originali fatte di passione e intelliigenza prima di tutto nel individuare e normare il nostro spazio di pensiero ed azione in una tipologia di territorio “piccoli paesi” economicamente ma non esitenzialmente e culturalmente abbandonati non solo con l’alibi di una ricerca di una comparazione o riferimento con una norma di condotta pura, astratta , uniforme…”universale e necessaria”; e cercare di evitare di costruire inconsapevolmente nuove gerarchie mentali o leaderistiche……..vi sembra poco per un viaggio autentico e concreto tra la nostra gente e nei nostri territori senza zavorre ideologiche ,”sacre tavole” da rispettare ma anche senza fini precostituiti siano essi classicamente ideali e utopici o modernamente pragmatici e operativi.Passione ed intelligenza possono caratterizzare la nostra esperienza culturale e politica. Esse per costrutto dividono e separano e non amano le omologazioni pacificatrici o i conflitti di comodo ma soprattutto i gregarismi e le gerarchie. Noi amiamo indirizzare il conflitto non tanto nella forma del reciproco rispetto delle pluralità ma nella forma del diritto alla differenza.Ci rifiutiamo di incagliarcii in una sorta di riproposizione, al nostro interno, al ribasso e al limite del pettegolezzo colto ma condominiale, della coppia amico-nemico spesso per giustificare le nostre pigrizie, ritardi o scelte personali preconcette e astratte o i comodi salotti cittadini .Anche questa intelligente,colta e interessante polemica può diventare una sorta di rito linguistico e retorico a copertura di una inespressa ma sottesa accettazione o presa d’atto di una nostra sconfitta o inadeguatezza politica nella nostra legittima funzione di soggetti o movimenti di rappresentanza e interpretazioni delle esigenze della società civile o cittadinanza individualizzata dei nostri paesi che amiamo anche nei loro difetti oltre che per le loro possibilità e potenzialità.Continuare nel perverso e squalificato gioco di una sorta di “ monopoli politico” ad Avellino o a Desenzano o piuttosto che a Berlino non aiuta o promuove l’arricchimento individuale della nostra cittadinanza politica a Bisaccia , a Varese , a Roma o a Bruxelles per un recupero di un senso alto e responsabile del ceto politico a noi dialetticamente contrapposto nei vari poteri locali , territoriali e nazionali . Il fatto è che la democrazia, pur dettando le sue regole, non presuppone necessariamente l’accordo tra soggetti raziocinanti. “Piuttosto – come ha precisato Held – suggerisce un modo per mettere in relazione i valori l’uno con l’altro, e lasciare la risoluzione dei conflitti che nascono ai partecipanti di un processo pubblico, soggetto soltanto all’osservazione di alcune prescrizioni che hanno il compito di proteggere la forma e la regolarità del processo stesso”, ovvero le condizioni di libertà e di eguaglianza politica di tutti i soggetti.Noi avendo scelta la strada “comunitaria e provvisoria” alla democrazia a discapito di quelle individuale e autoreferenziale , “ i nemici” li individuiamo e evitiamo in noi stessi quando non rispettiamo la coerenza con i nostri sentimenti, passioni e idee con la nostra gente e il nostro territorio.
mauro orlando
martedì 23 marzo 2010
Elisir d'amore per .........il "folletto ...paesologico"
Nelle società sviluppate ed avanzate dell’occidente europeo e nordamericano un nuovo "spettro" o “folletto” si aggira incontrollato in Europa: la paesologia con la sua carica esistenziale, cognitiva e poetica di un sapere intellettualmente personalizzato ma plurale e comunitario nel rispetto e amore per il proprio territorio .
Una rivoluzione , prima di tutto, linguistica che per ora tocca il vocabolario politico e non preoccupa le “cittadelle” consolidate ma affannate dei poteri politici locali e comincia a risistemare i vocabolari dei professionisti della comunicazione, inossidabilmente stabili o a condizionare le loro capacità descrittive o interpretative delle comunità locali,provinciali e regionali sia in senso sociologico ma soprattutto culturale- politico.
Nelle attuali società di massa “affluenti e/o nonsviluppate”, urbane e non , alfabetizzate e culturalizzate, si vanno delineando due diverse forme di "individualismo" uno pigro ,regressivo e gregario, un altro attivo, progressivo, riflessivo e critico .
Per continuare seriamente a confrontarsi con la nostra cultura europea, scriveva acutamente Nicola Matteucci:"Contro l’individualismo, rappresentato da John Locke, Adam Smith,Edmund Burke, Immanuel Kant, Jeremy Bentham e John Stuart Mill, che sosteneva un governo limitato, per consentire agli individui di fare libere scelte per quanto riguardava la loro vita, c’è sempre un progetto "collettivista" che si è incarnato nel tempo in modi diversi". Il collettivismo è stato un miraggio insidioso per la storia tragica del secolo passato…. Mentre il richiamo alla “comunità” conferisce ben altro spessore e senso fuori dagli equivoci e delle ritualità.
L’originalità e la sua pericolosità "nonostante o soprattutto" è la scelta di lambire solo i temi come: la funzione dei partiti e della politica, del Parlamento e dei poteri costituzionali e nello stesso tempo non chiudersi nella “torre d’avorio” della disputa filosofica,politologica e costituzionale astratta ma partire dalle esigenze soggettive della pratica della politica vissuta come fatto esistenziale costruita quotidianamente su sentimento e passione come categorie antiche e pragmaticità e responsabilità come categorie moderne.
Le "vecchie categorie" interpretative non solo si dimostrano non sufficienti alla comprensione del fenomeno in atto ma soprattutto non ne colgono o descrivono il senso vero, profondo, completo e concreto.
E anche nei più avveduti ed intelligenti giornalisti, intellettuali e politici si è fatta e si fa molta fatica a smaltire le zavorre sociologiche e ideologiche per tentare di promuovere una nuova grammatica e soprattutto una sintassi di una tale esperienza.
Non si può parlare del classico “movimento” ecologico e sociale di riscatto o di conservazione come momento storicamente determinato nella dialettica della democrazia rappresentativa tra società politica e società civile né tantomeno una forma permanente e originale di democrazia diretta.
Non si presta al classico richiamo alla "ragione" contro il pericolo delle "emozioni" da parte della politologia più accorta e professionalizzata che fa scrivere a Giuseppe De Rita . "L’emozione populista che si aggira in Europa richiama al dovere di ricordare un’antica banale verità: che un corpo sociale caldo ha bisogno di testa fredda, più precisamente ha bisogno di corrette dinamiche istituzionali"… "le emozioni non possono costruire nuove identità collettive" ma soprattutto viene "il dubbio che il fenomeno non serva al complessivo sviluppo della società".
Il termine Comunità provvisoria pervaso anche da una sua carica creativa, poetica e calvinianamente leggera e ludica non nasce da una sorta di agonismo retorico o contrapposizione dottrinale al vecchio armamentario lessicale della politica, mutuato dalla cultura razionalistico-militare da Machiavelli ed Hobbes in contrapposizione al comunitarismo utopico di Rousseau che s’imbottiglia nell’ illuminismo ideologico della rivoluzione francese fino alle varie declinazioni del rivoluzionarismo radicale, anarchico o marxista.
Parole sconcertanti e semplici : “la paesologia è una disciplina fondata sulla terra e sulla carne. La carne di chi osserva, la terra che è osservata. Una forma d’attenzione fluttuante, in cui l’osservatore e l’oggetto dell’osservazione arrivano spesso a cambiare ruolo. E allora è la terra a guardare la carne, è la terra a indagare gli umori di chi la guarda”.F. Arminio.
Difficili e pericolosi i tentativi di spiegare e incasellare queste parole e soprattutto queste esperienze individuali e comunitarie con le vecchie categorie sociologiche e politiche. Fra non molto necessariamente si cercherà di esorcizzarli, criminalizzarli,personalizzarli, interpretarli o strumentalizzarli per fini non sempre legittimi o degni . Il gioco è già cominciato per ora in qualche retrobottega di qualche redazione provinciale ma continuerà con ben altri e consistenti protagonisti e mezzi.
E dunque di che si tratta?..... di un movimento tutto politico , di semplice esercizio o espressione intellettuale o letterario, di un fenomeno sociale sociologicamente ciclico nella sua fisiologia di “stato nascente” ? Cosa formano ,tutti insieme, quelle donne e quegli uomini che in un certo giorno si incontrano, camminano gli uni accanto agli altri, condividono emozioni simili- rabbia,speranza ,gioia, e infine si lasciano, forse con un nuovo appuntamento? Non credo che si possa parlare di un popolo che cerca uno Stato per un territorio e una storia pregressa, né una parte illuminata della società in cerca di nuove forme rappresentative della politica con proposte pragmatiche ed ideali assieme più nobili e coerenti. Niente di tutto ciò e anche tutto di tutto ciò ….non per amore del paradosso ,delle litote o degli ossimori. Ma quelli innumerevoli ,occasionali e provvisori migliaia di soggetti non costituiscono neanche una "massa"- anzi per certi versi ne sono l’antitesi e il rifiuto. E non è del tutto adeguato, infine il termine di "moltitudine" avendo costruite le prorie sensibilità proprie nella considerazione negativa delle Cattedrali dei “non-luoghi” che la modernità commerciale europea ci sta imponendo come sviluppo e progresso. Proporrei in questo caso di spendere e sottolineare il nome di "comunità…perché nulla più della comunità…rimanda a un "essere singolare plurale" tenuto insieme da un impegno reciproco nei confronti di ciò che non è di nessuno perché è appunto di tutti fuori dagli equivoci economicistici e commerciali. E poi perché tale impegno si dirige precisamente e di fatto contro tutte le forme odiose di "immunità" per coloro che di quella "res comune" pretendono di appropriarsi e rappresentare nei modi più prepotenti, abituali e inamovibili occupando soprattutto istituzioni e poteri.
Questa esperienza esistenziale culturale politica assieme ,tuttavia, non è nata per essere "compresa" o studiata dall’esterno nelle redazioni dei giornali, o nelle Università , in modo razionalmente passivo e immunitario ma per essere vissuta in prima persona in modo istintivamente e responsabilmente attivo. E’ questa la sua originalità, autenticità ,pericolosità e la sua carica dirompente nel rapporto o nel confronto con le altre forme del pensiero e della pratica politica nello sviluppo delle moderne democrazie occidentali ,europee e non solo . Non nasce impolitica ,apolitica o antipartitica ‘a prescindere’ ma è carico di “pensieri lunghi” e di originali stimoli e di sane provocazioni intellettuali ,cognitive ,poetiche,istintive e passionali alla cultura,al sapere e ,perché no, alla politica ingessata nei “pensieri corti” e autoreferenziale che ha perso il senso dei suoi fondamenti sia quando si fa pratica praticata ,politica politicante o peggio ideologia, mito o metafisica e dottrina , dimenticando di essere sopratutto ricerca , scienza o attività dell’uomo e per l’uomo.
Mauro Orlando
domenica 21 marzo 2010
L'Europa del "logos" e l'Irpinia della "psiche"......
Il nostro “io” occidentale , moderno ed europeo è costretto a cimentarsi con i pieni dei poteri economici ee ai sospetti e dubbi culturali a cui ci eravamo abituati dall’Illuminismo in poi.La democrazia sin dalle sue origini greche ha contemplato una necessità di coinvolgere “il popolo delle navi” che dominavano i mari e portavono lustro ,benessere,potere e cultura a sporcarsi le mani e essere coinvolti nel governo della ‘polis’ e alla ‘politeia’.Questa la democrazia degli antichi .La democrazia dei moderni ha gli stessi statuti ‘ethici’ e “etnici’ ma diversi compiti e funzioni.Oggi noi abbiamo il problema anche anche nella esperienza individuale come Comunità provvisoria di dare senso e sentiero a tutti “i nomadi di terra” che le emigrazioni borghesi economiche ed intellettuali hanno disseminato nel mondo e nei cuori pulsanti delle capitali e dei ‘piccoli paesi’ di tutta Europa. Che tipo di Illuminismo ha alimentato le nostre solitudini urbane, le nostre nostalgie vogliose di concretezze e futuro e una razionalità (lògos) che non fosse autoreferenziale e privatistica ma pluralista,socializzata e comunitaria.Abbiamo coltivato una ragione che si fa assieme “luce” e si fà ‘compassionevole’ e ‘fraterna’ in un colloquio doloroso e difficile con le “ombre”, con l’assenza, col mistero, con il sacro, con gli esclusi , gli sconfitti con i luoghi abbandonati o lontani. Abbiamo scoperto illuministicamente (l’ “Aletheia antica”)il suo compito precipuo e costruttivo di non solo capire e dare un nome alle cose e alle persone ma di suggerire altro.Creare aspettative e possibilità è già costruire presente e precostituire futuro.Tutto ciò ripropone una caratura politica molto complicata,complessa e sottile che va al di là del sociologismo astratto ,dell’eropeismo ipostatico e accomodante, il meridionalismo di maniera se pur nobile. Scrivendo ciò io non penso alle “sufficienti spallucce” o alle comode pigrizie di una certa intellettualità meridionale, cittadina o periferica, ma anche ai circoli sociologici e intellettuali,a destra come a sinistra, che imperversano nei vari “profondo Nord” italiani ed europei arrovellati sul nuovo primato della “questione settentrionale”, del ruolo primario o secondrio delle banche mondiali malattia e terapia delle crisi ciclicamente riproposte, che fanno tabula rasa con spocchia e leggerezza anche del possibile “bambino insieme all’acqua sporca”.E allora avendo partecipato alla lettura critica e allo sviluppo assieme della cultura politica europea dall’Illuminismo in poi , ci possiamo permettere il lusso e il dovere di adombrare sospetti e suscitare dubbi in chi per vezzo, omologazione, anticonformismo, diserzione si attarda in modo acritico e salvifico ad una “categoria concettuale” come ipostasi che eviti l’impegno quotidiano,complesso, difficile ……..e su di lì o giù di lì in qualche redazione provinciale.
Non è lo “stile”, gli “umori” se pur ossimoricamente nuovi e antichi che mi interessa rilevare all’interno di una moderna e possibile collocazione o riscrittura in un possibile quadro letterario del Novecento italiano ed europeo con riferimento alla letteratura antiretorica ,alla cultura ‘flaneur’, o quella ‘vociana’ dei ‘frammenti’ , di un “nihilismo all’amatriciana ” o di “un disfattismo o diserzionismo ostentato” più che a quella ‘crepuscolare’ o ‘afuturista’ o ‘simbolista’ o “dadaista”.Insomma mi interessa un possibile superamento ,filosofico direi, dell’Illuminismo ideologico e dottrinale dove il rifiuto delle “magnifice sorti e progressive”, delle utopie astratte e delle speranze nel futuro ci impone una idea più che di recupero o di salvezza delle persone ,delle cose e della natura, di amore e cura ersonale di esse ma non più per il loro possibile futuro di riscatto universal e necessario ma per il loro presente reale e per un passato che non passa e non ritorna. Queste sono le utopie o ”i principi - speranza” concreti e praticabile che vogliono contaminare con una lettura e un vissuto “paesologico e comunitario” per continuare a vivere come nomadi o stanziali i nostri concittadini irpini e le sue bellissime terre . Sì perché dalla cultura e dalla storia europea del novecento noi abbiamo ricostruito una civiltà individuale e plurale assieme che dovesse per necessità coniugare le categorie di “immunitas” e “comunitas” non come chiusura agli altri ma come ricerca di quella “koinè” che da senso all’essere insieme irpino-europeo.mondiale. Puntando soprattutto a far crescere una capacità personale di guardare le cose e amarle disinteressatamente in sè stesse e per sé stesse coltivando “pensieri lunghi” della “politeia”e affrontando criticamente “i pensieri necessariamente corti” della “politikè technè”.”Abbiamo bevuto profondamente alle fonti”…. della migliore cultura europea e pretendiamo il meglio per i nostri pensieri ed azioni in Irpinia come in Europa non in omologazione e adattamento ma in originalità e autenticità.E allora sposiamo o tentiamo una riproposizione vitale della’modernità’ non necessariamente contrapposta alla ‘antichità’ ma nella sua capacità intellettuale ed umana di vivere attivamente l’antico,il tradizionale, il periferico,l’emarginato, l’escluso.l’altro da sé insomma.Curando una massima consonanza,intimità con i luoghi, le cose e le persone insieme alla massima lontananza e alterità. Tutto ciò non è poco, irrilevante e inutile per un vero e nuovo “inizio” possibile non solo per l’Irpinia con i suoi atavici e nuovi problemi e tabu .Ma allora bisogna avere il coraggio e coltivare le capacità cartesiana che per ripensare e ricostruire la “modernità” ha avuto la necessità di fare “tabula rasa” dei miti, riti, gli ‘ethos’, i tic, i vezzi ,i saperi autorefernziali e mettersi in campo per cominciare a definire nuove categorie mentali per una nuova agenda culturale e politica dell’intera ’intera comunità culturale europea.Se questa vi sembra poco …allora dateci addosso .Ma sappiate che conosciamo i vecchi e nuovi giochi della retorica,della logica e della politica …..è stato proprio l’illuminismo autentico che in Europa ci ha insegnato a smascherarli e a decostruirli perché noi siamo gelosi ed orgogliosi del nostro passato perché amiamo attivamente e consapevolment il presente e soprattutto il futuro.
mauro orlando
lunedì 15 marzo 2010
Elisir d'amore per ........il nostro " NOSTOS".
vivere in un paese rotto
Che cosa lo ha indotto principalmente a scrivere questo suo ultimo libro, Nevica e ho le prove? E, inoltre, le chiedo: questo volume va contato a pagine o ad anni?
Per me scrivere è una necessità. Non scrivo per fare un libro, ma per provare a rendere sopportabile il luogo in cui vivo, per avere la sensazione che il mio tempo non passi invano. Scrivo a oltranza e sicuramente questo mio ultimo libro andrebbe contato più ad anni che a pagine. I primi nuclei di scrittura sono della metà degli anni ottanta, gli ultimi li ho scritti durante la correzione delle bozze. Per me scrivere molto spesso è riscrivere, montare e rimontare. Questo libro viene dal fallimento di altri libri che non riuscivano a prendere forma. Un lavoro senza requie, nell’ossessione di cercare una forma nuova, lontana dai format usuali della scrittura da intrattenimento.
Pensa che Bisaccia, il paese in cui vive da sempre, sia una buona metafora dell’Italia o della vita?E, qualunque sia la sua risposta, può precisare il perché?
Io sono un paesologo, non un paesanologo. Guardo i paesi come si guarda una goccia di sangue sotto il vetrino. Non mi interessa tanto appurare la salute o la malattia di un paese. Mi interessa cogliere la salute o la malattia di quel particolare paese che si chiama mondo. Direi che quasi sempre il responso della goccia di sangue induce verso la malattia. Posso chiamarla sfinimento o autismo corale, è sempre comunque il paese a fornirmi la cellula da analizzare, perché in paese le cose si vedono meglio, sono più uniche, più distinte. Ho avuto la fortuna e la sfortuna di nascere in un paese rotto. Ho avuto la forza di restarci dentro, non per viverci, ma per capire la rottura del mondo. Direi che la forza del mio lavoro sta tutta qui, in questa fedeltà al paesaggio, in questa terra-carne che è allo stesso tempo la cosa a cui tendo e la cosa da cui fuggo. Dalla frizione di questi due moti opposti nasce la mia scrittura.
Ha mai pensato di andare a vivere altrove?
No, non ci ho mai pensato. Ultimamente sto spesso lontano dall’Irpinia, ma è solo una lontananza fisica. Il mio paesaggio me lo porto sempre dietro e pure il mio vento. Qualche volta mi dico che a questo punto per me sarebbe tutto più facile andare a vivere altrove, ma il guaio è che questo altrove andrebbe cercato in luoghi in cui il mio lavoro non avrebbe senso. Penso a certi posti dell’America Latina o del Caucaso o dell’Africa. Se invece penso all’Italia e all’Europa non mi viene in mente nessun luogo. Mi pare che il nostro continente e i suoi abitanti siano una cosa sfinita.
E quindi?
E quindi resto in Irpinia, e quindi continuo a girare per questi paesi. La novità rispetto al passato è che non sono più da solo. Questa terra mi ha letteralmente straziato. Non ho mai ricevuto l’affetto a cui ambivo, il vento è stato perennemente contrario, ma questo ha dato una connotazione lievemente epica alle mie giornate. Io dalla vita mi aspetto l’intensità più che le moine. Mi piace capire più che divertirmi. E per questo sono rimasto qui, perché questa terra mi è parso uno straordinario laboratorio per capire come va il mondo. Chi vuole divertirsi, chi vuole dimenticare se stesso, è meglio che vada altrove. Qui deve restare chi è invaghito di sentimenti improduttivi, chi crede alla poesia più che all’efficienza.
Ma l’Irpinia non è tutta come lei la descrive?
È vero, in fondo io vivo in un’ Irpinia immaginaria. Non sono un sociologo, non provo a fare ritratti attendibili. Io scrivo col mio corpo e con gli umori che mi passano nel corpo. Le mie sono visioni di uno spaventato che tende a percepire lo sfregio più che il fregio. Non pretendo di indicare la strada a nessuno. Questo è il lavoro che faccio nei libri, il lavoro di scrittura. Poi c’è la dimensione politica e quella è un’altra storia.
E che storia è?
È la storia, per esempio, della battaglia contro la discarica sul Formicoso. Più di quindici anni di battaglia spesi senza mai abbassare la guardia. Sull’argomento scrissi un articolo già nel 1994. Non spetta a me attribuirmi meriti e demeriti, ma quello che ognuno ha fatto per quella bellissima altura è sotto gli occhi di tutti. Ovviamente la battaglia per il Formicoso non è un caso isolata, si inscrive in un ardore civile che si è sempre intrecciato agli interessi più squisitamente letterari. Ho pubblicato più di mille articoli a partire dall’inizio degli anni ottanta. A fine anno ne raccoglierò una parte in un volume. Li sto scegliendo proprio in questi giorni e sono impressionato dall’ostinazione con cui ho raccontato quello che di volta in volta questa terra mi suggeriva. La nota prevalente è lo sdegno, ma negli ultimi anni compare anche un’apertura alle bellezze dei nostri luoghi e anche un tono più fiducioso. È la fiducia che mi viene da esperienze come quella della Comunità Provvisoria o di Cairano 7x.
Può spiegare brevemente il senso di queste due esperienze?
La Comunità Provvisoria è innanzitutto un blog collettivo. È un’esperienza che ho creato insieme un gruppo di persone contattate una per una e che in molti casi non si conoscevano tra loro. Insomma una vera e propria invenzione. Adesso io sono uno dei tanti, adesso c’è un gruppo molto vasto in una terra di individui da sempre protesi più a dividersi che a unirsi. Facciamo tante cose, ma sicuramente la più importante è proprio Cairano 7x. Abbiamo inventato un evento culturale che non ha uguali in Italia e lo abbiamo fatto grazie a Franco Dragone, un cairanese emigrato in Belgio, sicuramente l’irpino più conosciuto a livello mondiale. Spiegare quel che accadrà a Cairano tra il 20 e il 28 giugno non è facile. Si fa prima a venire e a vedere. Il programma di quest’anno fa tesoro di tutte le cose belle già fatte l’anno scorso e ne aggiunge molte altre. Sarà una settimana ricchissima. Chi ama il cinema, la fotografia, la poesia, chi ama l’archeologia, l’ architettura sostenibile, il cibo, chi ama conversare, chi ama svestirsi dei suoi panni abituali farebbe bene a fare un salto a Cairano.
Sento un Arminio dagli accenti insolitamente entusiasti?
Lei crede che avrei potuto scrivere tutto quello che ho scritto senza una grande provvista di entusiasmo? Io sono un recriminatore, sono uno che si lamenta, ma nel fondo di me conservo la carica di un adolescente che sfida il mondo
Posso farle una domanda sulle prossime elezioni, posso chiederle un parere?
Non sto seguendo nulla. L’unica cosa che vedo sono le facce dei candidati. Mi pare che la politica si sia ridotta a una galleria fotografica. Non ho avuto nessuna esitazione nel rifiutare le proposte di candidatura che mi sono state avanzate. Oggi per me la politica è la Comunità Provvisoria e Cairano 7x. Magari verrà un tempo in cui mi tornerà la voglia di gettarmi nella mischia, ma adesso mi sento più vivo nel fare quello che faccio.
Elisir d'amore per .....il nostro viaggio perenne per Cairano.
di uccelli mancati
perdono il volo
e ciò non è grave"
franco arminio
.........ma il nostro volo verso la Cairano del nostro cuore continua con la speranza di incontrare altri uccelli migratori non in cerca di "nidi" ,"isole" ma sentieri di terra e di cielo per farsi compagnia nel viaggio......
in viaggio verso C A I R A N O con la “carovana nomade”…..
Ognuno di noi che vive lontano dai paesi dell’Irpinia d’oriente sta preparando i suoi “zaini mentali” per il suo viaggio ‘nomade’ verso Cairano che non è un “miraggi0,una utopia,un sognoo una speranza” ma una realtà viva e quotidiana con una storia ,una cultura, una identità.Cairano non è le parole e i racconti che ne facciamo tuttavia ognuno di noi si parto con sè le sue parole,i suoi pensieri,le sue passioni,i suoi sentimenti per vivere quei giorni in quel luogo determinato con leggerezza e immaginazione ma sopratutto con autenticità.
Wittgentein ci dice che quello che sembra una certezza ,è “uno sfondo ereditato” qualcosa che abbiamo imparato.E anche di “noi”,gli oggetti ,le persone non sono realtà inoppugnabili ma spressioni di regole grammaticali ( linguaggio) che abbiamo appreso e che ora ci circondono come una seconda pelle.Come l’acqua per i pesci,come l’aria per noi , la cultura ci forma e ci conforma.Gli idealisti sostenevano che la realtà non è tale ma è una proiezione della mente o le cose devono tornare al loro posto,quello che il senso comune, le certezze intuitive e indiscutibili, assegnano ontologicamente?
Da tempo abbiamo imparato che a una parola corrisponde una parola,, che al racconto di un’azione corrisponde un’azione,ad una espressione del volto un moto dell’animo.Queste sono le nostre regole grammaticali.La grande verità è che “lo sfondo ereditato” è una struttura provvisoria,storica e quindi soggetto agli accidenti della storia o delle storie individuali.Le nostre regole grammaticali e sintattiche,cioè il mondo che ci informa e conforma, è soggetto al continuo cambiamento perché è una costruzione umana e come tale non ha nulla di fondamentale che permane.Va ridiscussa quindi l’intera antropologia.La nostra identità è sì una seconda pelle e la cultura è sì l’orizzonte di senso in cui fiduciosamente ci muoviamo senza farci fin troppe domande, ma anche che essa è un vestito che può essere cambiato e la nostra cultura è un orizzonte che può mutare.Il vestito,cioè l’identità, è indispensabile ma non bisogna prenderlo troppo sul serio.
Quello che conta è non perdere il centro in se stessi.E’ quello che ci permette di continuare a vivere o sopravvivere nel deserto della storia cercando di scoprire “i difficili segnavie” tra le precarie e mutabili rotte dei carovanieri viandanti nella storia o nelle storie.In una realtà che non ha strade segnate,definitive e sicure ( se ne vedi una è sicuramente o possibilmente un “miraggio”,l’uomo è sempre più un nomade o un viandante che è sicuro solo di stare in quel posto in quel preciso momento.Il suo è movimento puntuale , da un punto a quello immediatamente successivo .Il problema è non farsi prendere dalle vertigini dello spazio liscio o dalla paura della solitudine.
Educarsi a vivere senza mappe dal momento che il contesto sociale non è più in grado di dare senso alle nostre azioni.
Siamo come carovane nomadi che si muovono su un terreno liscio, e non dobbiamo lasciarci ingannare dagli orizzonti in movimento, senza enfatizzare il vestito che indossiamo, non lasciarci sopraffare dalla disperazione,quando manca l’acqua o l’oasi non corrispobnde alle indicazione della mappa o delle speranze..Vivere senza mappe è alienante solo per chi è educato a vivere di mappe e finalismi o verità eteronome.Sicuramente è un vivere con un senso di povertà antropologica e può essere faticoso ma è sicuramente meglio dell’iperattivismo dei nuovi mutanti o delle pigrizie immobilizzanti dei soparvvisuti alle mitologie ,alle metafisiche o peggio alle teologie astratte ed autoritarie.
………….è con questo spirito che abbaiamo intrapreso questo viaggio immaginifico e concreto verso C A I R A N O……..
Mauro Orlando
domenica 14 marzo 2010
Elisir d'amore per ......l'amore.
chi a te vicino così dolce
suono ascolta mentre tu parli
e ridi amorosamente. Subito a me
il cuore si agita nel petto
solo che appena ti veda, e la voce
si perde nella lingua inerte.
Un fuoco sottile affiora rapido alla pelle,
e ho buio negli occhi e il rombo
del sangue nelle orecchie.
E tutta in sudore e tremante
come erba patita scoloro:
e morte non pare lontana
a me rapita di mente.
Saffo
Mai come oggi la poesia desidera essere “recitabile e leggibile”, ovvero anche divulgabile e quindi nel recupero della sua essenza "ludica" come nella leggerezza dei giochi d'amore.
La poesia è morta solo nella testa dei critici letterari di professioneche hanno dissipato i propri poeti nella selva di poeti, nessuno sa più dove siano.
Perché sarebbe morta ? Estinzione o assassinio? Se fosse per estinzione, Il Postmoderno ( la causa di tutte le cause) diventerebbe un motivo consolatorio.Ma noi sappiamo che è per assassainio.
Questo paese , il nostro paese, , rimuovendo di fatto la poesia come forza spirituale del senso, perde assieme il suo principio e senso di realtà, esprime quello che sta diventando: la palude di un regime mentale del superfluo,della fiction...del volgare.....
Riporporre oggi il falso problema "poesia non poesia" andrebbe letto nella sua reale finalità di mettere in testa una paura vera del bello e dell'autentico.
Una considerazione selvaggia, nuda, serissima.
Non dobbiamo solo preoccuparci delle sorti della poesia, bisogna provare terrore per la china volgare e cinica delle nostre menti e dei nostri cuori.
sabato 13 marzo 2010
venerdì 12 marzo 2010
Elisir d'amore per..........la "banda Speranza"
nel filone della memoria ......
di franco arminio
nel 1901 michele fede partì per gli stati uniti
con un abito impeccabile che lui stesso aveva cucito.
nel 1929 florindo fede partì per il brasile
con un abito impeccabile che lui stesso aveva cucito.
nel 1947 agostino fede partì per la francia
con un abito impeccabile che lui stesso aveva cucito.
nel 1960 salvatore fede partì per la svizzera
con un abito impeccabile che lui stesso aveva cucito.
oggi al paese nessuno sa più cucire
e l’emigrazione dei sarti è finita.
*
erano undici figli, nati nello stesso letto,
nella stessa stalla. adesso sono tutti in america,
in undici città diverse:
il più grande sta a new york,
gli altri a houston, mesa, tampa, san diego,
cincinnati, syracuse, hartford, denver,
cleveland, rapid city.
*
qui una volta c’era uno che viveva in campagna.
partì dal porto di napoli. c’era un bel cielo
in quel pomeriggio del quarantanove.
la città sembrava felice. ma lui davanti a tanta acqua
e tanto cielo cercava di intravedere i suoi monti,
la sua casa. mentre la nave si avviava lui ancora
guardava verso i monti, pensava alla mucca,
al porco e alle galline che aveva lasciato.
pensava a sua cugina michelina
che gli aveva fatto vedere un seno
proprio mentre lui preparava le valige.
Elisir d'amore per ........la POLITICA
Toccata o fuga dalla “politica” ?
E’ da molti secoli che la filosofia ha sperimentato con insuccesso la sua attrazione o capacità di guidare la politica e di governare la città. La prima vittima fu Platone a Siracusa . Da sempre è ricorrente …la «tentazione di Siracusa» la sindrome ricorrente degli intellettuali di voler modificare la storia, intervenire nel governo della città e consigliare la politica, alternandosi ciclicamente alla sindrome opposta, che potremmo battezzare «tentazione di San Casciano», ovvero la località, denominata 1'«Albergaccio», in cui si rifugiò Machiavelli dopo le scottature della sua esperienza politica. Tutti gli intellettuali delusi dalla politica inseguono un loro Albergaccio in cui vivere, come la fine di un incubo o l'inizio di una sdegnosa solitudine, il loro disincanto politico e magari il loro operoso rientro nell'attività intellettuale.Lo stesso ragionamento si potrebbe fare per un poeta ,un letterato o un intellettuale in genere.
Il dramma del filosofo o del poeta in politica, al servizio della città, aveva del resto dilaniato Platone, facendolo cadere in una insolubile contraddizione: se il fine del vero saggio non è il potere ma la personale realizzazione spirituale (l'eudemonia), perché egli deve volgersi al governo della città? E' possibile governare bene la polis sapendo che ci sono cose superiori che meritano le nostre energie e la nostra attenzione? E' possibile usare con saggezza e mantenere con fermezza il potere, pur non nutrendo alcuna vera passione per il potere, anzi un sottile disprezzo? Si può insomma costringere il saggio a governare la città suo malgrado o perlomeno a consigliare chi governa? Con l'aggravante che, spesso non si tratta nemmeno di governare e di produrre opere per la città ma di spendere le proprie risorse in procedure insensate e avvilenti, dedicando gran parte del proprio tempo e dei propri buoni uffici per pararsi le spalle dai nemici e dagli amici. I mezzi divorano i fini. Un doppio scacco: rinunciare alla filosofia o alla poesia per governare e a governare per sopravvivere politicamente.Noi nella “Comunità provvisoria” stiamo tendando e realizzando un mo do altro di pensare e vivere la filosofia,la poesia ,la cultura in genere e soprattutto la POLITICA.
Abbiamo concretamente sperimentato di persona che la politica può esser in grado di esprimere la nostra ‘individualità’ nella comunità sottraendoci alle appartenenze strumentali, al rifiuto, o al nascondimento , alla visibilità e alla comunicazione con gli altri ,privilegiando e reclamando prima di tutto il rispetto e la non manomissione oligarchica ,autoritaria e personalistica dei diritti fondamentali del nostro agire politico.
Ma tutto non è ancora perso . E allora perché la politica ,ancora una volta, si possa rivelare capace di farci esprimerci nella nostra più intima individualità sociale ,lo si può desumere proprio prendendo in esame e nella giusta e relativa considerazione l’atto politico per eccellenza, l’essenza dell’atto politico : il voto.
Bisogna ammettere che oggi, drammatizzando un po’ il tutto, gran parte della politica fluisce sul voto e rifluisce a partire dal voto. Il voto è nonostante tutto l’elemento fondativo della politica.E’ molte chiacchiere e sofisticherie, agitazione passionale, movimento ancestrale, ma è là , nel voto, che tutto viene ripresentato nella sua forma politica nel segreto della cabina e della propria coscienza politica. Ebbene se questo è vero – e questo è l’unica cosa cui ci metto la mano- allora facciamo che il voto debba o riesca ad esprimere veramente tutto noi stessi , i nostri progetti concreti ,i nostri sogni e le nostre idee democratiche .
Nel seggio elettorale è la politica, o meglio il nostro vero io che la politica, appunto, pretende di esprimere che deve emergere .Nell’atto del voto, si stabilisce un nesso essenziale tra la politica e ciò che ciascuno di noi è al di là dei legami amicali o familistici ma per il bene comune collettivo. Per questo ritorno a dire: la politica esiste per quello che è, con tutta la sua potenza e i suoi limiti, prima di tutto perché mette in gioco noi stessi, sempre e comunque.
Quindi è ciascuno di noi che anche con il suo voto la crea o la ricrea, la fortifica e ogni volta la rilancia e gli dà senso. Anche nella sue forme concrete inadeguate, inattuali o degenerate.
mauro orlando
giovedì 11 marzo 2010
Elisir d'amore per .......la Sardegna
Io personalmente penso che le parole e sentimenti sul morire e la morte, se non di circostanza e formali ,non sono mai puro esercizio letterario di rituali “consolationes” con frasi e espressioni che potessero essere mezzi di elaborazioni di un lutto. Per me anche le parole funebri , in privato e in pubblico,devono essere strettamente e intimamente collegate ad uno stile di vita e di pensiero che cerca ,a costo di equivoci, di coniugare sempre una etica delle convinzioni ad una etica della responsabilità.
La perdita di una persona cara in particolare ci segna e ci tocca così intimamente e profondamente, che l’inadeguatezza e il limite delle parole riscontrano il suo massimo di scarto a confronto con il senso profondamente drammatico e sacro della vita umana in rapporto al suo esaurimento materiale e biologico: la morte. E allora anche la ritualità sacra e religiosa si riempie di senso,sentimento e valore.
Nei miei ozi filosofici e senili irpini e cilentani – dopo una salutare e forzata scelta di stacco da un impegno politico e sociale nella ricca e sradicata padania....che si faceva sempre più oltraggioso ed equivoco della stima e del rispetto umano e personale per i suoi abitanti .... l’occasione di un lutto profondo, se pur maturato nel tempo,mi ha cotretto se non altro a ridare ordine alla mia anima divisa e a ristabilire nei sentimenti e nelle idee gerarchie più consone al nostro alto e profondo senso della vita e della dignità umana che abbiamo coltivato e maturato anche nel nostro ripetuto impegno civile e politico nella storia tribolata e offesa nostra cara Italia. Anche il canto doloroso edolorante di antica donna sarda ci può riportare alla dimensione sacra di un vivere comunitario e pubblico anche dei sentimenti più intimi e....personali.
mauro orlando
mercoledì 10 marzo 2010
Elisir d'amore per ......gli emigranti con nostalgia
qui una volta c’era uno che viveva in campagna.
partì dal porto di napoli. c’era un bel cielo
in quel pomeriggio del quarantanove.
la città sembrava felice. ma lui davanti a tanta acqua
e tanto cielo cercava di intravedere i suoi monti,
la sua casa. mentre la nave si avviava lui ancora
guardava verso i monti, pensava alla mucca,
al porco e alle galline che aveva lasciato.
pensava a sua cugina michelina
che gli aveva fatto vedere un seno
proprio mentre lui preparava le valige.
di franco arminio
La sottrazione dell’uso politico della memoria ha sempre lo scopo inespresso di evitare non solo il deisderio di nostalgia ma sopratutto un possibile ‘mito’ di una comunità o un territorio. L’assimilazione è il mezzo o la srtada per una perdita di identità. Chi non può salvare la sua identità neanche nella solitudine o nella realtà contro il mondo ingiusto deve necessariamente lasciarsi annullare o assimilarsi dal punto di vista del più forte.
L’universale cela sempre il punto di vista del padrone e qualsiasi identità si può custodire e valorizzare solo se si accetta una sorta di destino allo sradicamento facendosi “paria” “servo” “suddito”.
Il paria che diventa cosciente del proprio “posto nel mondo” agisce il paradosso di una soggettivizzazione che muove dal fatto di ‘non averne uno’. Il paria è cosciente a patto che sia sradicato.
lunedì 8 marzo 2010
Elisir d'amore per ...........C A L I T R I ( AV )
Il catalogo delle domande per la drammatica serietà dei "piccoli paesi" dell'Irpinia del dopoterremoto ha bsogno non di risposte immediati e convincenti che non possiamo produrre nè rivolgendoci alla notevole letteratura socilologica,antropologica o politologica del passato illustre nè tanto meno agli auspici,speranze ,intuizioni ,argomentazioni di noi poveri comunitari ….sognatori pratici e provvisori e aspiranti inoperosi .Noi possiamo lavorare sul “fare e pensare” a partire da noi stessi…. dal nostro angolo di visione con grande coraggio ed anche col rischio di dare ulteriori testate contro muri reali , ideologici,abitudinari ,psicologici e culturali.La paesologia è questa voglia di rischio, di umiltà e di presunzione assieme .Il pensiero in genere non fa passi avanti se non ci sono queste due categorie.Io mi immagino i travagli e le paure di Galileo nella sue epoca clericale e tolemaica e il coraggio di Cartesio agli inizi della modernità scentifica e flosofica ad affrontare il rischio di fare ‘tabula rasa’ e ripartire dall’ “io penso dunque sono”.In Irpinia proponiamo un approccio ai nostri problemi economici, sociali,culturali e politici da “un io” comunitario e cosmopolita ….provvisorio , sostenibile e radicato in un territorio definito.Un "io" che non vuole considerarsi periferico e abbandonato ma che ha la preseunzione di sentirsi al centro del mondo e dell'universo e nello stesso tempo nel microcosmo della grande vita dei piccoli paesi.In un processo non lineare ma dialettico dove la dimensione locale e globale non esistono come polarità culturali opposte e inconciliabili ma come possibilità che devono integrarsi e implicarsi reciprocamente.Un processo difficile e complesso che trasforma mentre viene raccontato le coscienze e le identità quotidiane.Le questioni e i problemi di interesse globale diventano parti delle esperienze ,dei dubbi, delle paure e delle sfide delle esperienze e degli stili di vita individuali nelle esperienze locali quotidiane e perfino dei mondi della vita morale e religiosa. Il rischio di “mitizzare” o di “esorcizzare” questi processi nasce sopratutto dai malintesi interessati del ‘globalismo neoliberista’.Questo non può essere lasciato al solo frutto del pensiero desiderante ed utopico ma ha bisogno dell’inconto personale che franco arminio ci racconta o descrive nella quotidianità non entusiasmante dei piccoli paesi.Bisogna che ognuno di noi si attrezzi mentalmente e sentimentalmente a far emergere non la "Verità " sulle cose "le verità" delle cose e delle persone insomma la “grande vita” che esse-i hanno preservato e conservato per poterci noi predisporci all'ascolto o alla visione per poter abbozzare ipotesi e analisi sempre nuove e particolari alle domande di sempre circa il senso e il modo di una vivibilità profonda ed autentica sopratutto nei "piccoli paesi"... di tutte le Irpinie del mondo.
mauro orlando
Siamo stati abituati a pensare che qui non c’è niente. I nostri politici ci hanno sempre parlato di una terra povera, priva di risorse, una terra che offriva solo due prospettive: affidarsi alle loro promesse o andare via. Io, come altri, sono rimasto qui, pensando che anche in un piccolo paese è possibile una grande vita. La notizia che Calitri è stato indicato da una rivista inglese come uno dei nove luoghi del mondo dove andarsi a godere la pensione non mi stupisce e non mi esalta.
Immagino che molti irpini siano rimasti sorpresi nel leggere una notizia del genere. Mi spiace che questo paese non sia entrato nella classifica dei cento borghi più belli d’Italia e non abbia ottenuto la bandiera arancione. Ho visto tanti posti che hanno avuto entrambi i riconoscimenti e che non hanno la bellezza di questa perla dell’Irpinia d’Oriente.
Di Calitri molti conoscono l’immagine da cartolina della visione pittoresca da Santa Lucia, una visione che fa pensare a una sorta di Positano di montagna, un grappolo di case che si danno la mano, logge, loggette, portali, stradine come zampe di gatto. È l’intreccio, la fusione delle parti: un balcone, una scalinata, una casa sull’altra, tutto è vicino e appeso, labirintico e verticale, in questo straordinario mosaico urbanistico dove cui ciascuno ha posto la sua tessera adeguandosi alla tessera del vicino.
Si conosce meno il paesaggio dei dintorni. Penso alla bellissima strada che collega il paese a Bisaccia, al bosco di Zampaglione, alla valle dell’Ofanto. Veramente pochi luoghi possono vantare una tale ricchezza paesaggistica, coniugata a un patrimonio artistico e architettonico notevole.
Quando la Comunità Provvisoria ha proposto il parco dell’Irpinia d’Oriente, il consigliere regionale Angelo Giusto ha presentato un progetto di legge, ma la faccenda non ha avuto altri sviluppi per mancanza di spinta da parte del territorio. Riprenderemo l’argomento nella prossima edizione di Cairano 7x.
È chiaro che quasi tutte le motivazioni che hanno condotto a indicare Calitri sono presenti in molti paesi della provincia di Avellino. Se si escludono poche realtà degradate, la nostra provincia potrebbe essere considerata tutta un grande parco e basare i progetti del futuro sulle sue grandi risorse: il verde e l’acqua.
L’indicazione degli inglesi non deve far perdere di vista le contraddizioni di Calitri e in generale di tutta l’Irpinia. Dalle nostre parti ci sono due ospedali, ma nessuno dei due è in grado di fornire servizi sanitari di qualità. Il castello di Calitri è stato oggetto di un importante restauro, ma come in tutta la provincia, non sembrano esserci idee e mezzi per valorizzare i nostri luoghi più belli. Avete notizia di qualche significativa manifestazione negli spazi ottimamente restaurati intorno all’abbazia del Goleto? Cosa accade nel bellissimo castello di Bisaccia e in quello di Monteverde?
I forestieri sono sedotti dal costo assai basso delle case, ma non sanno che l’area industriale è costata una montagna di soldi e non riesce più a garantire le poche persone assunte in questi anni. Da una parti arrivano pochi inglesi, dall’altra partono tanti calitrani. Non è un caso che ci sia una linea di autobus che arriva fino a Stoccarda. Insomma, Calitri, come tutta l’Irpinia d’oriente, è un luogo che merita nello stesso tempo ammirazione e indignazione. L’ammirazione è riservata al lavoro della natura e degli uomini di tempi remoti. L’indignazione va rivolta alle classi dirigenti di queste zone. Questa non è più la terra dell’osso, non è più terra di passioni civili, rischia di diventare un luogo come tanti, un corpo inerme, buono solo per infilzarci pale da parte degli imprenditori del vento.
Spero che la notizia di questi giorni dia una spinta ai sindaci della zona a uscire dal valium dell’ordinaria amministrazione. La prospettiva che l’Irpinia d’oriente fra cinquant’anni potrebbe diventare un residence ad uso dei pensionati provenienti dalle zone più ricche del continente non mi piace. Prima che luoghi da vendere al miglior offerente, bisogna sforzarsi di credere che i nostri sono luoghi in cui possiamo ancora vivere noi e i nostri figli.
franco arminio,
da il mattino
domenica 7 marzo 2010
Elisir d'amore per .....la "democrazia"......
IL GOVERNO LA FORMA E LA SOSTANZA
BARBARA SPINELLI
Fa una certa impressione rileggere gli articoli che Norberto Bobbio scrisse nelle pagine di questo giornale, tra il 1994 e il 1996, sulla forza politica edificata da Berlusconi a seguito di Tangentopoli: sull’inconsistenza dei club e circoli da lui creati, sulla loro vacuità, sullo spregio delle forme, tanto fieramente vantato.
Sulla violenza protestante della sua ribellione a liturgie e convenzioni della democrazia rappresentativa, vorremmo aggiungere: una violenza di tipo russo, alla Bakunin, che ricorda la vastità informe (la gestaltlose Weite) criticata nel 1923 dal giurista Carl Schmitt.
Fa impressione rivedere quei testi perché molte storture sono le stesse. Non furono curate allora per il semplice fatto che erano ritenute virtù nuove, e adesso la stortura s’è estesa divenendo non solo questione di codice penale ma di riti elettorali prima trasgrediti, poi mal rappezzati con leggi ad hoc. Quel che Bobbio rimproverava ai club era in sostanza questo: il disdegno delle regole, tanto più indispensabili nel regime democratico, che al popolo affida un’amplissima sovranità.
E l’ideazione di una forza non solo dipendente da un’unica persona («Un partito a disciplina militare, anzi aziendale», così Dell’Utri nel novembre ’94), ma priva di statuti, progetti, chiarezza innanzitutto sui finanziamenti.
Bobbio era pienamente consapevole del discredito che la corruzione rivelata da Mani Pulite aveva inflitto ai partiti, annerendoli tutti mortalmente e rendendo ancor più pertinente il termine partitocrazia.
Tuttavia i partiti restavano essenziali per la democrazia, secondo lui, perché senza partiti il potere si fa opaco, arbitrario, imprevedibile. Il non-partito propagandato da Forza Italia minacciava d’essere un’accozzaglia senza storia, una «rete di gruppi semiclandestini»: incompatibile con la «visibilità del potere» che «distingue la democrazia dalle dittature» (Stampa, 3-7-94). La pura negazione (non-partito) non diceva nulla perché infinite sono le possibilità da essa racchiuse: «Se dico “non bianco” comprendo in queste parole tutti i colori possibili e immaginabili (...). La democrazia rifiuta il potere che si nasconde», dirà il filosofo in un’intervista a Giancarlo Bosetti nel 2001. Il non-bianco equivale all’amorfa vastità descritta da Schmitt.
Agli esordi anche i professionisti della politica erano invisi, e lo sono a tutt’oggi: gli uomini che si dedicano alla causa pubblica e ne vivono. Come nel film di Elia Kazan, meglio era scovare un Volto nella Folla, trasformarlo in talentuoso comunicatore, e la fabbrica del consenso partiva. Già nel 1957, Kazan crea il prototipo del manipolatore nichilista delle folle, eterno homo ridens, dandogli il nome di Lonesome Rhodes, il «Solitario» venuto dal nulla o meglio dalla galera. Di uomini così era fatto il non-partito escogitato da Mediaset, e lo è tuttora. Tuttora si avvale dei consigli di Previti, condannato definitivamente per corruzione in atti giudiziari. O di Verdini, indagato per corruzione.
Il politico di professione è considerato da costoro parassita, incapace di fare. La cerchia attorno a Berlusconi è piena di uomini che agiscono al riparo della politica e della legge: imprenditori o avvocati (soprattutto avvocati del Capo). Lo stesso Stato è sospettato, se non li serve: tanto che la sede del governo non è più Palazzo Chigi ma il domicilio del Capo a Palazzo Grazioli. Bobbio dà a questo fantasmatico potere il nome di partito personale di massa, e nel ’94 chiede al suo leader precisazioni: se il suo non è un partito cos’è, esattamente? Come s’è finanziato? Cosa farà per dare al proprio potere visibilità: dunque forme, regole rispettose del codice penale e di procedure elettorali che non avvantaggino i più forti o ricchi? Si vede in questi giorni come i riti, le sequenze formali, le procedure, siano sviliti e lisi.
Il disastro delle liste presentate tardi o malamente nel Lazio e in Lombardia conferma difetti congeniti, non sanati dal partito creato con Alleanza nazionale. All’origine: una politica al tempo stesso autoritaria e informe al punto di smottare di continuo come la terra semovente di Maierato in Calabria. Diciotto anni sono passati da Mani Pulite e i club di Mediaset hanno per questa via privatizzato la politica, screditandola agli occhi degli italiani e convincendo anch’essi che il privato è tutto, il pubblico niente. Si ascolti Verdini, sull’Espresso del 23-5-08. All’obiezione sul conflitto d’interessi replica, ardimentoso: «Il conflitto d’interessi non interessa più a nessuno. Neanche a chi non ha votato il Cavaliere. Diamo cento euro in più nella busta paga, detassiamo gli straordinari, favoriamo i premi aziendali senza tassazione e poi vediamo. Alla fine, la gente fa i conti con la propria famiglia».
La famiglia, l’affare, il favore chiesto per figli, mogli, cognati: son tutte cose che vengono prima, e se farsi strada affatica ci si serve della politica come di una scatola d’utensili cui si attinge per proteggersi dalla legge e aggirarla. Dell’Utri lo ammette: «A me della politica non frega niente, io mi sono candidato per non finire in galera» (intervista a Beatrice Borromeo, Il Fatto 10-2. La dichiarazione non è stata smentita né ha fatto rumore).
Bobbio disse ancora che il berlusconismo è «una sorta di autobiografia della nazione». Autobiografia non solo collettiva ma di ciascuno di noi: cittadini evasori, onesti, non per ultimo cittadini-giornalisti. Un giorno o l’altro dovremo domandarci ad esempio, nelle redazioni, come mai inondiamo i lettori di pagine di intercettazioni che nulla c’entrano con reati penalmente perseguibili. Come mai riceviamo dai giudici 20.000 pagine di telefonate, solo in parte cruciali. Se davvero si difende il diritto degli inquirenti a tutte le intercettazioni utili, per render visibili crimini e poteri nascosti, vale la meta mettere un muro fra le intercettazioni rilevanti e quelle concernenti il privato come le scelte sessuali, a meno che le prestazioni non avvengano in cambio di favori illeciti. Anche questo innalzare muri era pensiero dominante, in Bobbio. Citando Michael Walzer ripeteva: «Il liberalismo è un universo di “mura”, ciascuna delle quali crea una nuova libertà». Il lettore non capisce più nulla, alle prese con faldoni di intercettazioni, e rischia una nausea senza più indignazione.
Il disprezzo delle forme e delle leggi caratterizza ieri come oggi il berlusconismo (con l’eccezione di Fini, da qualche tempo) e sempre ha generato regimi carismatici autoritari. Fu l’estrema destra francese, negli Anni 30, ad anteporre il «Paese reale» (o sostanziale) al «Paese legale».
Anch’essa formò Leghe, non partiti. Il partito è una parte, non rappresenta un’interezza, per natura si dà un limite. Nella stessa trappola dell’informe cade oggi il governo, e il vecchio istinto del non-partito fa ritorno. Con disinvoltura ineguagliata Schifani, di fronte all’intrico delle liste, si augura «che venga garantito il diritto di voto a tutti e che la sostanza prevalga sulla forma». Augurio comprensibile il primo, pernicioso il secondo.
Il rigetto delle forme va di pari passo con il rifiuto della legalità, con il primato dato ai diritti privati o corporativi sugli obblighi comuni, con la separazione dei poteri. Si combina alla sfrontatezza con cui l’homo ridens di Kazan, sicuro com’è del proprio talento, si sente legibus solutus, sciolto dai vincoli delle leggi. Talmente sciolto che Berlusconi non esita a dichiarare, nel novembre 1994: «Chi è scelto dalla gente è come unto dal Signore». La Chiesa non ebbe mai alcunché da dire. Anche questa domanda, che Bobbio pose al Vaticano, resta senza risposta.
Tanta sicurezza può dare alla testa. Se ce ne fosse un po’ di meno, se non continuasse la pratica dei «gruppi semiclandestini», si potrebbe chiedere semplicemente scusa agli italiani e alle istituzioni, per la cialtrona gestione delle liste. Aiuterebbe. Ma forse, come scrive Gian Enrico Rusconi sulla Stampa, sognare non ci è dato.
Primo Piano
Politica
"Una corruzione della legge che viola uguaglianza e imparzialità"
(leggi tutto)
L. Milella intervista G. Zagrebelsky, la Repubblica
Non critica Napolitano, dissente da Di Pietro, benedice le proteste, boccia un decreto inconcepibile in uno Stato di diritto. Gustavo Zagrebelsky inizia citando un episodio che, «nel suo piccolo», indica lo stravolgimento dell´informazione. Al Tg1 di...
sabato 6 marzo 2010
Elisir d'amore per ........chi è contro i "venditori di fumo".
Er gatto entrò in cucina e rubbò un pollo,
er Coco se n’accorse e , detto fatto,
je corse appresso e l’agguantò p’er collo.
- Ma questa è incomprensione ! –disse er Gatto-
Nun hai visto che porto
La collarina nera con un bollo,
E chi cià questa qui, nun ha mai torto?
E tengo pè de più , la protezzione
D’un pezzo grosso de li più potenti
Ca invano nun se po’ nomà ,
che me le manna tutte quante bone….-
E poi in cento giorni ho ridotto li topi
Der duecetocinquanta per cento
E co na sola legge ho fatto rientrare,
da un esilio forzato
volpi ,jene e scaraffaggi,
e…. sguatteri e servi di cucina
libberamente parlavano di principi morali,
giustizia ggiusta,logica e matematica
in nome der libbero pensiero ,
der fumo e de la democrazzia
der povero gatto “mariuolo”
perseguitato da cochi
magistrati e comunisti.
Er Coco che capì la situazione,
pe nu tradì la patria tradizione
d’er detto di saggezza popolare
“francia o spagna purchè se magna”,
se mise su l’attenti:
e pe rispetto de la dignità d’er coco
ammise amaramente pe decoro
“Conosco ar monno più d’un gatto ch’è disposto
a vender fumo per magnà l’arrosto”
Siamo passati dalla chiacchiera,alla omertà fino alla omologazione ......“La totale infondatezza della chiacchiera non è un impedimento per la sua diffusione pubblica ma un fattore determinante: la chiacchiera è la possibilità di comprendere tutto senza alcuna appropriazione preliminare della cosa da comprendere. La chiacchiera garantisce già in partenza dal pericolo di fallire in questa appropriazione. La chiacchiera, che è alla portata di tutti, non solo esime da una comprensione autentica, ma diffonde una comprensione indifferente,, per la quale non esiste più nulla di incerto.
M. Heidegger, Essere e e tempo
mercoledì 3 marzo 2010
Elisir d'amore per .......il "tramonto"
Mercuzio e Nanosecondo, una volta compresa la triste ma autentica nuda essenza dell’esistenza,si rifugiano nel "buen retiro" di S:Maria di Castellabate ad ascoltare il mare che gioca con la luce del tramonto e parlano .....parlano....parlano fino allo sfinimento e poi
proseguendo il cammino decidono " cavalieri dalla triste figura "con aria picaresca di arrivare ad un minino di decisione filosofica per una convenienza di un’accettazione della vita nella sua intera totalità, arrivando
ad intendere la vita come casualità - leggerezza perché per caso si nasce, per caso si nasce proprio qui e per puro caso viviamo - che va non solo accettata, ma amata in ogni sua sfaccettatura.Uno dei due ogni tanto da segni di impaziente assenza .... Si fermano a meditare e a volte volgono le spalle al tramonto quasi a p cercare nella natura generosa ancora qualche spiraglio di futuro.
nomi da dare al dolore, quello stesso dolore consustanziale alla vita che, nella nostra
interpretazione, è la base di partenza della aspirazione teoretico-filosofica dei due . Tuttavia, i due stanchi e annoiati interlocutori non occasionali ammetteranno giocoforza di amare a tal punto questa vita e questa esistenza da
trovarle mille modi per renderla e vederla più bella e piacevole : il ridere, la danza, la
poesia, ecc., cioè le maschere e le illusioni, altri nomi ed altre sfaccettature per dare al corso
della vita seguente al riconoscimento della nuda verità un’accezione positivo-edonistica-creativa.
Mercuzio , il guitto-filosofo che rasenta e impersona 'donec ac cadaver'pericolosamente il ciglio del “niente” e del dolore e della morte , in compagnia di Nanosecondo , il profeta della risata, della danza e della leggerezza , del “SI” alla vita con ironia e sarcasmo mediterraneo e pungente dell'eterno 'Pulecenelle' ?
Elisir d'amore per ........."Il vuoto"
Sandra Bonsanti
Non si può che esprimere soddisfazione e riconoscenza a Ernesto Galli della Loggia per il suo articolo finalmente apparso sul Corriere di oggi.
Soddisfazione: è abbastanza chiaro che il professore ha letto attentamente e meditato il manifesto “Il vuoto”...
03 marzo 2010
martedì 2 marzo 2010
Elisir d'amore per .....la terra.
Un 'nomos' o una 'filia' della terra scaturisce dalla favolosa ed inattesa scoperta di un mondo nuovo e antico come un evento irripetibile e magico.Nasce sopratutto da fatto che noi siamo perennemente alla ricerca del regno e del senso della terra.
È agli spiriti pacifici e ai sognatori pratici che è promesso il regno della terra. E solo a loro si dischiuderà un possibile nuovo 'nomos' o rinnovata 'filia' della terra.
La riverenza del pane
di andrea di consoli
a Michele Ciasullo
Mangiare è mangiare larghe fette di pane,
è un’oscura forza dei padri che non si spegne,
una riverenza, una devota sensazione di colpa.
Anche immobili nelle case nuove,
si mangia come si dovesse uccidere un bove,
o un grasso maiale all’alba.
Un uomo così anticamente compromesso
si mette ogni sera al sicuro dalla carestia,
ormai ridotta a fantasia.
A vederlo è brutto: più che un asceta è un disceta.
I ricchi invece mangiano poco, assaggiano molliche.
Dopo cena, sazio, si butta sul letto, e uccide il bove con la mente,
ma è immobile, perso nel grande mare del cervello.
Si nutre come un soldato o un macellaio, e invece riposa,
è stanco, e aspetta la guerra, e sogna di uccidere un animale all’alba.
E il sangue che gli esce dai denti odora di pane.