Io personalmente penso che le parole e sentimenti sul morire e la morte, se non di circostanza e formali ,non sono mai puro esercizio letterario di rituali “consolationes” con frasi e espressioni che potessero essere mezzi di elaborazioni di un lutto. Per me anche le parole funebri , in privato e in pubblico,devono essere strettamente e intimamente collegate ad uno stile di vita e di pensiero che cerca ,a costo di equivoci, di coniugare sempre una etica delle convinzioni ad una etica della responsabilità.
La perdita di una persona cara in particolare ci segna e ci tocca così intimamente e profondamente, che l’inadeguatezza e il limite delle parole riscontrano il suo massimo di scarto a confronto con il senso profondamente drammatico e sacro della vita umana in rapporto al suo esaurimento materiale e biologico: la morte. E allora anche la ritualità sacra e religiosa si riempie di senso,sentimento e valore.
Nei miei ozi filosofici e senili irpini e cilentani – dopo una salutare e forzata scelta di stacco da un impegno politico e sociale nella ricca e sradicata padania....che si faceva sempre più oltraggioso ed equivoco della stima e del rispetto umano e personale per i suoi abitanti .... l’occasione di un lutto profondo, se pur maturato nel tempo,mi ha cotretto se non altro a ridare ordine alla mia anima divisa e a ristabilire nei sentimenti e nelle idee gerarchie più consone al nostro alto e profondo senso della vita e della dignità umana che abbiamo coltivato e maturato anche nel nostro ripetuto impegno civile e politico nella storia tribolata e offesa nostra cara Italia. Anche il canto doloroso edolorante di antica donna sarda ci può riportare alla dimensione sacra di un vivere comunitario e pubblico anche dei sentimenti più intimi e....personali.
mauro orlando
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