Una lettura "paesologica" e una "lirica" delle bellezza edi Venezia .....
mi stimola un’impellenza tutta ‘irpina’ di “esercizi di esodo” non per approdare a forme di afasia politica o a semplici racconti estetizzanti ,ma per ripensare seriamente la distizione filosofica tra “i luoghi comuni ” e “i luoghi speciali” non solo nei discorsi e la portata etica del “futuro anteriore”.Sarà l’età che avanza ma io sento sempre più la necessità di un pensiero critico che possa contare su una idea di “tradizione” tutt’altro che estenuata o residuale.La tradizione di cui parlo non può essere maldetramente e incautamente contrapposta in modo manicheo e ideologico al una modernità senza progresso. E’ quello sia Vecchioni che Arminio cantano e raccontano in modo sempre chiaro e diretto…..”La verità delle cose è nella letizia e nella lotta per dare luce alle capitali dello sconforto, ai luoghi dismessi, agli spiriti sconvolti, più che allinearsi alla gigantesca impresa di pompe funebri a cui si riduce la civiltà degli adusi al consumo e all’autoconsumo, irretiti dal miraggio di salvarsi ognuno per sé (e in questo sforzo non ci lasciano sogni, compassione ed alcunché)”.Io mi aggrappo alle eredità avendo verificato nel cosro della vita attiva e pensante che ” Notre hèritage n’è precedè d’aucun testament”. Non ci sono notai coscenziosi….forse qualche poeta….. che ce la notificheranno con un atto formale.E’ dispersa, frammista a ogni sorta di materiali spuri ,antinomici e contraddittoriche vengono non solo dai riti,miti del passato ma anche da quelli del futuro tecnologico senza anima. La poesia e solo la poesia può oggi insegnare a porci di fronte a questa cassaforte di cose e di persone con occhio ed orecchio originale raccontandoci la combinazione per aprirla…..certo a volte ci consiglia anche di scassinarla ma il più delle volte ci incita con dolcezza a curare gli occhhi,le orecchie e sopratutto lo spirito della compassione,del sogno ,del cuore.
Rispettare una tradizione non è darsi delle arie….è un gesto di modestia. Certo una tradizione situa e ,perciò stesso, circoscrive e condizione ma non chiude.Orienta la vista e le orecchie per selezionare domande mai da “ultimo grido di dolore che arriva da tante parti….” cercando con modestia e intransigenza solo di indicare una direzione lungo la quale vale la pena di esprsi e massimamente rischiare. Questa è la mia Comunità provvisoria è questa è la “paesologia” o la "lirica" che ho sentito nei racconti di Grottaminarada e nelle canzone di Roberto. Mi preme oggi curare un pensiero nè interstiziale,retorico nè rancoroso ma capace di un “oltrepassamento” non condizionato dalle sirene di un postmodrnismo acritico senza……gratitudine e ,peggio, …..devozione ad idee e persone.Le idee come le persone si rispettano confutandole e cambandole non cotruendogli altari o cattedrali.
mauro orlando
L’altro ieri camminavo per Venezia. La città era un fuoco morto, a parte la scintilla ferma del commercio. Dalla stazione a San Marco, in tanti fanno questa via aspettando che la spenta meraviglia si ravvivi. Intanto è tutto un negozietto da cui entrare e uscire fino a quando la piazza ti accoglie come una camera ardente dove i piccioni beccano la carne del turista nel suo inutile vagare in questo tempo maciullato.Io mi chiedevo mentre camminavo se è ancora qui che si deve venire oppure c’è da andare altrove. Penso a Mastralessio, alla prua della desolazione conficcata tra le zolle della Daunia, penso al luogo indenne dalla peste degli sguardi fatui, luogo edificato da chi vive altrove e ha lasciato a sentinelle i vecchi, gli zoppi, i cani. Non so spiegare come sia lì la mia Venezia, come ogni città sia sprofondata, sciolta nel niente del suo voler sembrare attiva, divertente. I luoghi di cui scrivo non hanno ragioni né torti, sono come una refurtiva abbandonata, un referto sintetico della vasta malattia allegata alla terra tonda. Allora io non giro per svagarmi e forse neppure per vedere. Quello che faccio è leggere la carne non morsa dai cannibali, la terra scampata alla tabula rasa del progresso che rende in apparenza Mastralessio scorza o guscio vuoto. La verità delle cose è nella letizia e nella lotta per dare luce alle capitali dello sconforto, ai luoghi dismessi, agli spiriti sconvolti, più che allinearsi alla gigantesca impresa di pompe funebri a cui si riduce la civiltà degli adusi al consumo e all’autoconsumo, irretiti dal miraggio di salvarsi ognuno per sé (e in questo sforzo non ci lasciano sogni, compassione ed alcunché).
franco arminio, dal paese della cicuta, 19-01-2010
mi stimola un’impellenza tutta ‘irpina’ di “esercizi di esodo” non per approdare a forme di afasia politica o a semplici racconti estetizzanti ,ma per ripensare seriamente la distizione filosofica tra “i luoghi comuni ” e “i luoghi speciali” non solo nei discorsi e la portata etica del “futuro anteriore”.Sarà l’età che avanza ma io sento sempre più la necessità di un pensiero critico che possa contare su una idea di “tradizione” tutt’altro che estenuata o residuale.La tradizione di cui parlo non può essere maldetramente e incautamente contrapposta in modo manicheo e ideologico al una modernità senza progresso. E’ quello sia Vecchioni che Arminio cantano e raccontano in modo sempre chiaro e diretto…..”La verità delle cose è nella letizia e nella lotta per dare luce alle capitali dello sconforto, ai luoghi dismessi, agli spiriti sconvolti, più che allinearsi alla gigantesca impresa di pompe funebri a cui si riduce la civiltà degli adusi al consumo e all’autoconsumo, irretiti dal miraggio di salvarsi ognuno per sé (e in questo sforzo non ci lasciano sogni, compassione ed alcunché)”.Io mi aggrappo alle eredità avendo verificato nel cosro della vita attiva e pensante che ” Notre hèritage n’è precedè d’aucun testament”. Non ci sono notai coscenziosi….forse qualche poeta….. che ce la notificheranno con un atto formale.E’ dispersa, frammista a ogni sorta di materiali spuri ,antinomici e contraddittoriche vengono non solo dai riti,miti del passato ma anche da quelli del futuro tecnologico senza anima. La poesia e solo la poesia può oggi insegnare a porci di fronte a questa cassaforte di cose e di persone con occhio ed orecchio originale raccontandoci la combinazione per aprirla…..certo a volte ci consiglia anche di scassinarla ma il più delle volte ci incita con dolcezza a curare gli occhhi,le orecchie e sopratutto lo spirito della compassione,del sogno ,del cuore.
Rispettare una tradizione non è darsi delle arie….è un gesto di modestia. Certo una tradizione situa e ,perciò stesso, circoscrive e condizione ma non chiude.Orienta la vista e le orecchie per selezionare domande mai da “ultimo grido di dolore che arriva da tante parti….” cercando con modestia e intransigenza solo di indicare una direzione lungo la quale vale la pena di esprsi e massimamente rischiare. Questa è la mia Comunità provvisoria è questa è la “paesologia” o la "lirica" che ho sentito nei racconti di Grottaminarada e nelle canzone di Roberto. Mi preme oggi curare un pensiero nè interstiziale,retorico nè rancoroso ma capace di un “oltrepassamento” non condizionato dalle sirene di un postmodrnismo acritico senza……gratitudine e ,peggio, …..devozione ad idee e persone.Le idee come le persone si rispettano confutandole e cambandole non cotruendogli altari o cattedrali.
mauro orlando
L’altro ieri camminavo per Venezia. La città era un fuoco morto, a parte la scintilla ferma del commercio. Dalla stazione a San Marco, in tanti fanno questa via aspettando che la spenta meraviglia si ravvivi. Intanto è tutto un negozietto da cui entrare e uscire fino a quando la piazza ti accoglie come una camera ardente dove i piccioni beccano la carne del turista nel suo inutile vagare in questo tempo maciullato.Io mi chiedevo mentre camminavo se è ancora qui che si deve venire oppure c’è da andare altrove. Penso a Mastralessio, alla prua della desolazione conficcata tra le zolle della Daunia, penso al luogo indenne dalla peste degli sguardi fatui, luogo edificato da chi vive altrove e ha lasciato a sentinelle i vecchi, gli zoppi, i cani. Non so spiegare come sia lì la mia Venezia, come ogni città sia sprofondata, sciolta nel niente del suo voler sembrare attiva, divertente. I luoghi di cui scrivo non hanno ragioni né torti, sono come una refurtiva abbandonata, un referto sintetico della vasta malattia allegata alla terra tonda. Allora io non giro per svagarmi e forse neppure per vedere. Quello che faccio è leggere la carne non morsa dai cannibali, la terra scampata alla tabula rasa del progresso che rende in apparenza Mastralessio scorza o guscio vuoto. La verità delle cose è nella letizia e nella lotta per dare luce alle capitali dello sconforto, ai luoghi dismessi, agli spiriti sconvolti, più che allinearsi alla gigantesca impresa di pompe funebri a cui si riduce la civiltà degli adusi al consumo e all’autoconsumo, irretiti dal miraggio di salvarsi ognuno per sé (e in questo sforzo non ci lasciano sogni, compassione ed alcunché).
franco arminio, dal paese della cicuta, 19-01-2010
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