martedì 15 dicembre 2009

Elisir d'amore per ........una democrazia senza violenze.


Splendido pezzo di Cristiano Reboldi che condivido e pubblico!La violenza è sempre una scelta che va rifiutata culturalmente sia come mezzo che come fine in politica come nei rapporti umani tout court.Fermo restando in democrazia il diritto-dovere di rilevare tutte le forme di violenza che l'uomo sa mettere in opera nei suoi comportamenti pubblici e privati evitando di stabilire gerachie di tutto qualità e quantità. A conclusione mi piace citare un pezzo di Tucidide sulla democrazia ad Atene:".....Ad Atene noi rettamente riflettiamo e apertamente giudichiamo sugli affari privati e pubblici, convinti che i discorsi non nuocciono all'operare, ma ad esso nuoce piuttosto il passare ai fatti, prima di aver chiarite nei discorsi le idee. Poiché noi abbiamo questo pregio singolare, di essere insieme al sommo ardimentosi e riflessivi in tutto quanto intraprendiamo; diversi perciò dagli altri nei quali l'ignoranza genera audacia e la ponderazione lentezza".




....Il gesto è rapido: un fendere l’aria quasi impercettibile, talmente veloce da eludere la ripresa televisiva.
Sfugge al vorace occhio della telecamera, quella pronta a cogliere ogni dettaglio di quella “surrealtà” che ha sostituito la “vita che si vive davvero”, fissa sul piano medio della fluorescenza televisiva per lucidarne la patina, amplificarne l’apparenza sovrapponendo i fragili fogli della finzione per dargli spessore, per farne sostanza.
Ma il gesto non visto, improvviso, colpisce nel segno.
L’uomo colpito porta le mani al volto, indietreggia, barcolla fino a che mani energiche lo sostengono, lo raccolgono prima che si accartocci e lo mettono in salvo, nascondendolo, seguendo una innata pietà alla vergogna che dà la vista del dolore fisico.
Intorno, l’urlo della folla rompe il freddo e s’aggroviglia in corpi tesi nel lanciarsi verso il punto in cui sembra inghiottirsi l’aggressore.
Lo spettacolo, per un istante, sembra finito.
Ma non è così.
Una telecamera riprende il volto ferito dell’uomo, oltre il finestrino dell’auto. Attraversa il riflesso del vetro e indugia sullo smarrimento cereo di quel viso stravolto. Sembra non alberghi alcun pensiero oltre quel vetro ma questa, forse, è solo un’illusione.
Ci si aspetta che l’auto parta e sfrecci via ora che anche il “terrorista” è stato bloccato.
Ma non è così.
La portiera dell’auto si riapre e l’uomo si aggrappa e si solleva, rivolgendo il suo sguardo alla folla.
Non sorride, non urla, non aizza il “suo” popolo.
Semplicemente rimane lì a guardare e a lasciarsi guardare. C’è qualcosa di solenne in questo mostrarsi. O forse c’è qualcosa di inquietante in questa esibizione?
Il volto pallido è coperto da una maschera di sangue; traspare l’incredulità e il dolore ma non si muove, come non volesse privare la “surrealtà” di quel fotogramma sofferente.
Niente esiste davvero se non si vede; l’ha detto lui.
L’inquadratura stringe il campo quasi assecondando il desiderio del suo mentore e riconsegna il ritratto di un guerrigliero colpito in battaglia che annuncia il proprio martirio. Nessuno in quel momento ricorda quale battaglia, combattuta con quali mezzi e per quali fini. Vede solo il guerrigliero.
Ma non è così.
È un’immagine forte e anche se gli occhi faticano a guardarlo, non sanno staccarsi da quella trasfigurazione mediatica.
Per quanto forte però, non c’entra niente con le parole dette sino a poco prima, con i fatti, gli interessi, gli obiettivi … nel senso che non cambia niente, quel volto sfigurato.
Il gesto folle di un folle è il gesto folle di un folle.
Non c’è odio. È altro che si respira. Si respira fatica, disperazione, disorientamento, impotenza e casomai rabbia e non odio. E la rabbia è una cosa diversa dall’odio: è la reazione alla propria impotenza, al proprio grido inascoltato, all’indifferenza verso ogni diritto che si sente negato.
Il fatto che lo si chiami odio è perché non si è capaci, o non si vuole ascoltare quella rabbia.
Non cambia niente, quel volto sfigurato.
Tranne che chi dileggia il confronto civile, il rispetto delle regole, la libertà di esprimere il proprio pensiero (senza essere considerati nemici o criminali) rischia di pagarne per primo il prezzo; magari proprio nel momento in cui intende esercitare il diritto di dirlo, il proprio pensiero.
Non cambia niente, quel volto sfigurato.
Tranne il senso di disorientamento che provoca ogni gesto di violenza e il senso di solidarietà che provo verso ogni uomo vittima di una violenza. È bene ricordare che dietro quella maschera patetica, insopportabile e talvolta odiosa c’è un uomo che pensa il contrario di quello che penso ma lo deve poter dire ed io potergli ribattere con tutta la mia forza il mio no.
Io me lo sono ricordato …
Che se lo ricordi anche lui.
Cristiano

Nessun commento: