martedì 29 dicembre 2009

Elisir d'amore per ........la democrazia contro la tirannia e il dispotismo

In senso generale la politica è sempre realistica,perché il suo oggetto,il suo problema, il materiale delle sue riflessioni, è la complessità della vita associata. Sotto il profilo pratico la politica, nei suoi interventi ,nelle sue costruzioni non può mai prescindere da elementi di sagacia e di astuzia, di prudente accortezza, e di attento governo dei conflitti, di verosimile calcolo dei rapporti di forza. Parlare di "un partito dell'amore" e del regalo natalizio di una tessera di partito è invece la "banalità" della politica ad esclusivo uso personale che può portare al dispotismo mediatico o ad una moderna tirannia della maggiornaza..........



.....Dalla mentalità docile, o meglio servile, prende le mosse anche la storia del dispotismo che si svolge parallela a quella della tirannia. Aristotele definisce infatti il dispotismo come una forma di monarchia in cui il monarca governa per il suo interesse su popoli schiavi per natura che "sottostanno al dominio dispotico senza ritrosia". A differenza della tirannide, il dispotismo è dunque legittimo e non è vissuto come governo oppressivo o violento.
Esso ha inoltre una caratteristica geografica destinata a diventare nei secoli parte integrante del concetto: mentre la tirannia è un male sopportato dai Greci, il dispotismo è proprio dei barbari e dell'Oriente.
Machiavelli parlando della monarchia in cui uno è signore e "li altri sono sua servi" cita quale esempio "la monarchia del Turco".
Montesquieu, dopo aver definito dispotico quel governo in cui uno solo, senza legge e senza regola, trascina tutto secondo la sua volontà e il suo capriccio, senza divisione dei poteri e con il sostegno della religione, cita anch'egli la monarchia dei turchi. Fondato sull'ansia ossia il senso d'insicurezza; o sul terrore, l'angoscia violenta e paralizzante, il dispotismo vive se non è costretto a sottoporsi a regole e limiti.
Ma fin quando si conserva nella sua forma tipica esso fa di un popolo una moltitudine di schiavi politici simili agli schiavi domestici. Sulla scia di Montesquieu il dispotismo diventa nel pensiero politico del Settecento l'antitesi della libertà perché presuppone e incoraggia la mentalità servile e dunque distrugge, con lo strumento della paura, la stessa radice morale e interiore del vivere libero.
Con l'eccezione, gravida di conseguenze, dell'idea giacobina di un dispotismo della libertà che Marat formula su Le Moniteur del 6 aprile 1793: "è con la violenza che bisogna realizzare la libertà, ed è giunto il momento di organizzare il dispotismo temporaneo della libertà per distruggere il dispotismo del re".
Paradossalmente, con l'affermazione dei regimi politici liberali e democratici che avrebbe dovuto rappresentare la vittoria sul dispotismo, la storia del concetto si arricchisce di contributi nuovi e inquietanti: Benjamin Constant mette in guardia contro "il dispotismo dei moderni" che prende forma di un potere oppressivo esercitato questa volta "con l'autorità e a nome di tutti"; Alexis de Tocqueville individua nella società democratica un dispotismo "di nuova specie", un "potere immenso e tutelare" che "avvilisce gli uomini senza tormentarli"; John Stuart Mill denuncia il dispotismo dell'opinione pubblica che manipola le idee e, diversamente dalla tirannia, non opera solo sulle azioni ma anche sulla mente.
Nonostante la sua indubbia novità nella storia dei regimi politici, il totalitarismo che ha dominato la scena del Novecento ha in comune con il dispotismo la capacità di estendere il dominio fino alla coscienza: il suddito docile è tale non perché non può ribellarsi ma perché non vuole ribellarsi e addirittura si identifica nel capo.
C'è da chiedersi perché tirannia e dispotismo non sono più parole chiave del nostro linguaggio politico, vista la continuità storica che i due studi mettono in evidenza. Fra le varie risposte possibili la più inquietante è che le forme contemporanee della tirannide e del dispotismo del nostro tempo sono diventate talmente scaltre da cancellare i nomi che le descrivono e al tempo stesso le condannano senza appello quali modi perversi di dominio.

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