Scopo di questo scritto è tracciare le linee culturali essenziali che hanno portato alla creazione della “forma chiusa” canzone napoletana classica, o più precisamente “popolaresca” per differenziarla dalla “popolare”.In senso molto lato può chiarire un retro pensiero che sta nelle nostre discussioni sul tema della “paesologia” e la “paesonologia”. Facendo i necessari distinguo la “paesologia” sta al “popolare” come “la paesonologia” sta al “popolaresco”.
Ritorniamo alla “canzone napoletana”…..
Una problema preliminare è stabilire che Napoli è stata una capitale di un Regno da circa tre secoli. E un altro aspetto importante è stabilire che tutte le dinastie regnanti , e i Borboni in ultimo, erano sempre stati in piena sintonia con il popolo napoletano e non solo per furbizia o demagogia o per “populismo”. Il Re è col popolo mentre i Borghesi essendo “rivoluzionari” avevano privilegiato le ‘èlites’ a discapito del popolo. Dalla cultura sia della Rivoluzione francese che dei “moti insurrezionali “ del Risorgimento italiano si evince questa dicotomia o allontanamento dal popolo anche a Napoli da parte della borghesia economica e politica.
Questa città ,magnifica e straordinaria ha avuto sempre una forza centripeta particolarissima. Ha sempre aggregato tutto il “contado”. Napoli è sempre stata una “nazione” non chiusa in se stessa. Ha saputo mettere insieme ,aggregare, mischiare , contaminare tutto quello che gli stava intono o vicino attraverso quel fenomeno sociologico e culturale che è sintetizzabile nella “categoria “ della “napoletanità”.
Ma fatto unico e peculiare: c’è una interpretazione del “popolare” e del “colto” nella canzone, nella musica e nella scrittura che forma un “tutt’uno”. C’è una perfetta identità tra popolo e “regime”, nel senso di chi comanda lo fa non solo dal punto di vista politico ma soprattutto psicologico e culturale. Fenomeno che non si verificherà nel resto d’Italia. Facciamo un esempio banalissimo : i Gonzaga a Mantova o gli Estensi a Ferrara. C’una sostanziale differenza tra la canzone, le serenate ,gli strambotti, i racconti che nascono nel popolo e quelli che nascono per e nella Corte scritte da e per letterati e cortigiani. A Napoli già la sua prima forma di espressione musicale,“la villanella”( che poi si svilupperà in tutto il mondo) sarà già una canzone essenzialmente espressione di “cultura “ e di “natura” con un connubio straordinario tra cultura “bassa” e “alta” o “ colta
Perché avviene questo? Perché Napoli ha una canzone “nazional-popolare “già dal 1500. De Mauro ,che è un grandissimo cultore e conoscitore della musica e della canzone italiana, la definisce “canzone di scambio”. Sono due i tipi di melodie, di canzoni, di “racconti in musica”, che nascono nella storia d’Italia. La “canzone d’uso” e “la canzone di scambio”. La “canzone d’uso” è quella che nasce in un posto definito e si canta solo in quel posto particolare. Una “canzone d’uso” è per esempio “la taranta” che nasce nella penisola sorrentina ed ivi resta perché rispecchia in pieno quel particolare territorio e quelle determinate tradizioni antropologiche e culturali. Diventava impensabile che una tale “accezione culturale” avesse rilevanza e si trasmettesse in altri territori anche vicini , nemmeno in Abruzzo o nelle Marche. La canzone napoletana, invece, nasce già con una vocazione universale come “canzone di scambio” Perché già con la “villanella napoletana” si parte dai sentimenti più elementari, naturali e cosmici che possono esistere e che sono di tutt’Italia e non solo dei napoletani.
La canzone napoletana è la perfetta rappresentazione a livello naturale, personale , politico ,popolare di quelli che sono i rapporti più originali e più universali ed eterni tra un uomo e una donna. Per fare una esempio, nella canzone medioevale ,pur importante, dei “trovatori” ,questo non c’è. La canzone dei “trovatori” è una canzone colta, coltissima. Il rapporto tra uomo e donna è di grande “stilnovismo”, di attenzione idealistica all’amore per la donna. Non c’è niente di fisico, tutto è centrato su un sentimento quasi religioso che esenta dal poter anche solo osar pensare di toccare ,sfiorare o solo guardare una “madonna”. Nella canzone del medioevo, quella colta e quella popolare, o c’è la rabbia popolarreggiante, rozza e laida o il rimando continuo ad una donna eterna, angelica da mettere sul piedistallo. Nella canzone napoletana si scende dal piedistallo e si esce dal laido. Si rappresenta la vita quale realmente è, nei vicoli ,nei posti quotidiani della vita normale, nei quartieri popolari, dove le occasioni di incontro tra un ragazzo e una ragazza erano rari e difficili.
La canzone prima è naturale poi diventa popolare infine popolaresca. La canzone popolare mette le parole alla musica naturale usando le parole primarie dell’esistenza e della vita. La fatica per il lavoro, il pensiero della donna che ti fa soffrire, il pensiero del cibo che non c’è, la lontananza e la nostalgia delle persone amate. Perché cantiamo e non parliamo o scriviamo soltanto? Ma cantare è molto di più, perchè ci dà una certezza che il nostro dolore urlato con rabbia così forte che o qualcosa nella natura o perfino un Dio ci ascolteranno. Più la gridiamo e la ripetiamo più c’è possibilità di un ascolto.
Ma il nodo è nel momento in cui la canzone naturale diventa popolare .Quindi è necessario chiarire il passaggio fondamentale da popolare a popolaresca che è il processo che rende la canzone napoletana unica nel suo genere. La canzone popolaresca è l’imitazione della canzone popolare. Quando la canzone popolaresca imita in profondità ,senza perderne i valori ,la canzone popolare fa una operazione culturale di grande importanza. Quello che hanno fatto Ferdinando Russo e Salvatore Di Giacomo nella canzone napoletana dopo la crisi dell’unità d’Italia risanando finalmente il rapporto tra borghesia e popolo in quella meravigliosa festa che è “Piedigrotta”. E’ praticamente un “festival” di un popolo e di una nazione che si riuniva intorno ad una grotta in una festa di origine pagana. Cosa succedeva che ognuno scriveva una canzone per questa occasione e gli autori ( artigiani e popolani ma napoletani ) le offrivano ai musicisti per partecipare a questa gara in rappresentanza di un quartiere .Nascevano quindi come canzoni popolaresche prima dal testo e poi dalla melodia. Da questa esperienza di festa popolare e religiosa si capisce allora che cos’è la canzone napoletana. E’ una liberazione , un esorcismo, uno sfrenato buttar fuori tutto quello che hai dentro in cui corrisponde agli altri perfettamente: E’ la natura e la cultura che si mischia perfettamente. E’ come una festa psicanalitica, ma a livello popolare. I napoletani dopo questa sbronza, questa sbornia di canzoni, che non erano parole sole ma canzoni, si sentivano felici. Queste canzoni parlavano di “sé stessi”, delle loro paure ,insicurezze, delle gioie straordinarie.
Purtroppo quando la canzone popolaresca napoletana imiterà sé stessa e non la popolare, entrerà in crisi. La più grande canzone napoletana è quando si realizza il connubio ,che non vale solo per la canzone ma anche per la vita, tra il naturale e l’intelligenza culturale. La cultura è fatta di tante cose ma per traslato dalle piccole e particolari interessi assumono un sentimento generale che rispecchia i valori profondi e universali della vita di ognuno di noi.
mauro orlando