domenica 31 agosto 2008

"Vento forte .........." ritorno dall'Irpinia.

Le parole di un 'amico' irpino,viatico un pò triste per un ritorno difficile sul Lago di Garda.




" Per vivere in un paese devi dismettere ogni arroganza. Non importa se la nascondi o la fai fluire. L’arroganza si sente, agisce come un acido che corrode i tuoi legami con gli altri. Il paese è una creatura che ti chiede misericordia. Devi sentirti come un cane bastonato. Non deve sentirti uno che ha qualcosa da insegnare, uno che vuole cambiare la sua vita e quella degli altri. Il paese ti chiede di amare quello che sei e quello il paese è. Non devi fare altro.
Sono infinitamente stupidi i cittadini che quando vengono in un paese fanno sempre la solita domanda: ma qui di cosa si vive? È la domanda di chi pensa di essere in piedi, in sella al cavallo del mondo e di poter andare alla conquista di chissà che. Il paese, se accogli la sua lingua, ti dice che sei un cane, che deve dismettere l’arroganza di chi pensa di essere il padrone della terra. Per vivere nel paese devi capire che una frase come “cogito ergo sum” non ha alcun valore. È una frase da ubriachi, ubriachi del proprio io. Il paese è una creatura che sgretola qualunque narcisismo:per questo le vetrine nei paesi sono sempre un po’ fuori posto (il paese è una creatura intimamente puberale e se gli metti il doppiopetto diventa ridicolo).
Parlavo di queste cose stamattina col mio amico Andrea di Consoli. Parlavamo del mio libro e della sua postura. L’uomo che va in giro per i paesi, il paesologo, in realtà è un cane, ha il punto di vista del cane. Il mio non è un libro di uno scrittore che porta avanti il feticcio del suo stile o della sua poetica. La mia è una scrittura sgretolata, ha la postura accasciata di chi è stato colpito da un male fraternamente incurabile. Io viaggio nei paesi a quattro zampe. Ho un piede rotto e il collo che non tiene. Pur volendo non potrei stare in piedi. Il mio libro è un congedo dalla letteratura come prova titanica di un autore che pretende di infilzare il mondo e di mostrarlo agli altri come si mostra un capriolo dopo una battuta di caccia. Il mio paese, i paesi in cui viaggio, issano la bandiera bianca. Non ci si arrende solo rispetto all’idea di inseguire il mito dello sviluppo, ci si arrende all’idea di essere qualcosa o qualcuno. La società dell’autismo corale ci chiede posture nuove, ci chiede la rottamazione degli scheletri eretti. Gli uomini ci hanno messo molto ad assumere questa delirante postura. Adesso è il tempo di tornare a una fisiologia meno velleitaria, a un quieto vagabondare nel mondo che gira, nell’aria che non sta mai ferma. L’osservazione del territorio è fatta da un animale affratellato ai suoi pericoli, al suo sgomento. La morte mia o dei miei paesi non più come agguato da parare, ma come compagnia per passare il tempo. Siamo naufraghi che non finiamo mai di asciugarci. È sempre stato così, ma adesso abbiamo la grazia di un tempo sfinito in cui non ci sono promesse credibili né per questo mondo, né per l’aldilà.
La bandiera bianca non è quella dei piccoli paesi, ma è la bandiera dell’universo, la bandiera di una cieca bufera di polvere in cui luccichiamo ad occhi aperti insieme al sole e alle altre stelle. Appartengo a questa vicenda non nella forma ormai ridicola di un possessore di anima e di fini, ma nell’affanno di un corpo senza padroni. Il libro che ho scritto è tutto un inno silenzioso alla volontà di dimenticarsi, di dimenticare i grandi feticci dell’umano: questo silenzio conta, non il rumore che magari ancora fanno i miei residui vaneggiamenti egotici.
Non ho grandi idee da spacciare, non ho sentimenti eccezionali. Racconto uno sfinimento che contiene miserie e nobiltà, lietezza e malumore. La paesologia è più vicina all’etologia che alla sociologia. Non è una scienza umana, è la scienza per uscire dall’umano, cioè per essere nel luogo in cui già siamo. Si parla sempre più spesso di decrescita come alternativa al modello capitalistico. Il mio libro parla della decrescita dal punto di vista psicologico. Tornare o restare inermi, immaturi, lasciare agli adulti i miraggi della vita riuscita, aggirarsi nelle proprie rovine e in quelle degli altri con la grazia di un amore che non si posa da nessuna parte."

armin
Franco Arminio, Vento forte tra Lacedonia e Candela, Editore Laterza.

Thomas Hardy, I Dinasti


Traduzione di Simone Saglia , pp 420
Il dramma epico di T. Hardy, I Dinasti, è considerato una delle opere più importanti della letteratura inglese. Per la prima volta è tradotto integralmente in italiano.
Ne I Dinasti rivive il conflitto tra Napoleone e le altre poetenze europee (il duello tra i belligeranti, l'apogeo della Francia napoleonica e la catastrofe di Napoleone).
La guerra è vista non come fonte di eroismo, ma come tragica conseguenza del potere di oligarchie.
Il drama storico è anche dramma filosofico. Assistono agli avvenimenti spettatori soprannaturali che il poeta chiama "intelligences" o "spirits", creature di pura fantasia le quali permettono all'autore di guardare la storia da diversi punti di vista e di vederla come parte di un processo cosmico. La "Immanent Will" rappresenta la forza inconscia che muove il mondo secondo il meccanismo del caso e della necessità. Hardy comprese che la grande novità scientifica del suo tempo (vera rivoluzione di tipo copernicano) era la scoperta darwiniana della evoluzione naturale.
Alla fine della grandiosa vicenda in Hardy nasce la speranza che la Volontà Immanente riesca gradatamente a sviluppare in sè una coscienza e gli uomini possano foggiare i propri destini secondo libertà e giustizia.
L'opera è pubblicata tramite il Gruppo Editoriale L'Espresso.
E' in vendita sul sito cliccando: ilmiolibro. Euro 20.
Il traduttore
Simone Saglia è autore di vari saggi storici. Specializzato pure in linguistica, si è dedicato a traduzioni. Di queste ricordiamo la traduzione di due capolavori della letteratura inglese, il Don Giovanni di Lord Byron (Zanetti Editore, Montichiari 1987) e L'Anello eil libro di Robert Browning (Zanetti Editore, Montichiari 1994). Qeste due imprese di impegnata filologia furono accolte assai favorevolmente dalla critica specialistica. Nel 2007 Saglia pubblicò una raccolta di poesie di Hardy scritte dall'autore inglese in occasione delle guerre anglo-boere (1881-1902) e in ricordo delle guerre napoleoniche (T. Hardy, Sulla guerra-poesie, Editore Dipende, Desenzano 2007).

venerdì 29 agosto 2008

Due voci "nomadi"........ in Irpinia.

Un dialogo possibile.........

ho un piede d’argilla
e il collo di ghisa,
notte e giorno lavora nell’amaro
il corpo da cui ogni giorno mi separo
e poi c’è l’irpinia
e la scrittura
con cui rovisto
nell’era degli uomini sfiniti.
fino a un certo punto mi sono salvato con la paura della morte
e poi con la storia della morte
dei paesi.
adesso, col piede d’argilla

guardo la mia anima
da me stesso uccisa.
franco arminio


No! Caro franco,tu non puoi uccidere la tua anima ! La tua anima è cosi “buona e bella” (kalòs kai agathòs) come dicevano i greci che ti sopraviverà e ti batterà in forza e tempo.Non lo puoi anche perchè oramai non ti appartiene del tutto.Io l’ho sentita alitare al Formicoso tra le tante persone che ballava ,cantava e parlava , l’ho risentita poi la Goleto in una serata magica e sacra.E i queste occasioni la mia povera anima desolata e mortificata per lungo tempo nella concretissima e materialistica terra bresciana.Ilmio ritorno rituale in Irpinia ha subito uno scossone dai tuoi scritti e dai vostri detti.Negli ultimi anni avevo scelto il silenzio come rimedio ,un dolorante silenzio.Con vpi sul Formicoso ho ricominciato a cantare ,ballare, parlare , comunicare eanche a gridare!Gridare, con voi…..una pienezza garruladi futuro, accendere insieme a voi una emozionata, carsica fantasia umiliata per troppo tempo dagli uomini della finzione e del comando. Ho ripreso ,ti confesso senza pudori ipocriti da uomo razionale, a piangere.E piango,da solo,uno strozzato grido delle idee offese“in nome del popolo italiano”oppresso” da sottili catene da moderni e superficiali fumi catodici, sofisticate armi biologiche nei labirinti cinici e omologati della “docile gregaria mediocrità”,affascinatadagli specchi del ghignante “ piccolo narciso”,paranoico del buon senso e della volgare modernità nella perenne “corrida” di dilettanti allo sbaraglio dello spirito pubblico italiano,europeo e mondiale e anche dalla complessa e schizofrenica pigrizia postmodernaattrezzata ad una coscienza umiliata ,livida ed impersonale.E tu pensi di poter sfuggire a te stesso ,alla tua anima che ci dà ancora una speranza non di palingenesi individuale o separatezza aristocratica. E che con profonda umiltà ci dice che si può continuare il viaggio e che il viaggio è più importante della meta o delle mete.Io mi sento fortunato di averti incontrata in questa radura del bosco che chiamiamo Irpinia, che per nostra fortuna i nostri padre ce l’hanno preparata e coservata bella e pulita:Nonostante i tanti corvi e avvoltoi che hanno e cercano ancora di stravolgere e contaminare.con stima e sopratutto affetto
mauro orlando

lunedì 25 agosto 2008

Una voce "di festa"..........in Irpinia


Il 'Festone' a Grottaminarda

“ Nella mia prima età,quando s’aspetta
bramosamente il dì festivo,or poscia
ch’egli era spento, io doloroso, in veglia
premea le piume; ed alla tarda notte
un canto che s’udia per li sentieri
lontanando morire a poco a poco
già similmente mi stringea il core…”



Il disperato e stuggente canto del Leopardi e un ‘divertissement’ mio scritto in occasione di un mio viaggio a Boston,in versi sciolti e con l’uso letterario di un dialetto,il “grottese” foneticamente ricco di sfumature,doppi sensi, allusioni e di umori difficilmente trascrivibili ,possono aiutare a capire l’ntensità e la profondità del sentimento di radicamento e di nostalgia ( il ‘nòstos’ di Ulisse) che ogni uomo e il ‘grottese’ in particolare ,nomade per scelta o per necessità, conserva e coltiva nel suo animo e nella sua mente comunque ‘turbata’ o condizionata dal distacco e dalla lontananza.
Sono tanti i temi del ricordo e della memoria : un primo ed unico amore segreto , incoffessato e ineffabile ; gli odori e sapori forti e naturali di una cucina contadina costruita nella semplicità e genuinità degli ingredienti ma ricca di una delicatezza direi ‘classica’; i luoghi magici e fantastici della infanzia, del sogno e della speranza; i miti atletici e sportivi della esuberanza giovanile nella capacità e tradizione calcistica e campanilistica ; i riti pagani e religiosi di una socialità capace di generare nella intera comunità ,per sincretismo , fenomeni di ricchissima creatività espressiva, caratterizzata da fisionomie diverse, ma insieme di identità precise; l’etica di una umana solidarietà e reciprocità fatta di piccoli gesti , di saluti disinteressati , di salaci canzonature creatrice di “macchiette” occasionali sul palcoscenico di una piazza comunque libera e cinica ma nella sostanza umanamente rispettosa.
Grotta è comunque un microcosmo vivo ,ricco ed originale alimentato da una sua felice e naturale collocazione geografica al centro del raccordo linguistico e culturale delle vivaci civiltà mediterranee del Tirreno ad ovest e dell’Adriatico ad est.
A differenza degli altri centri urbani è stata sempre presente e attiva una cultura contadina estremamente vitale, che solo da poco tempo sembra avviata alla dissoluzione o alla omologazione o peggio alla dimenticanza.
Ovviamente , qui non interessa che fornire solo una traccia di processsi storico-sociali, e solo nella misura in cui essi possono permettere di interpretare e rilevare le cause di quei processi di trasformazione e di assimilazione che caratterizzano una specifica ed originale espressività e caratterizzazione “grottese”.
E’ infatti il continuo contatto ,se pur in un conflitto carsico e sottocutaneo tra realtà urbana e realtà contadina in un paese contrassegnate da antiche tradizioni e cambiamenti, a determinare la singolarità e la specificità di una cultura comunque composita,eclettica ma pur sempre collegata a radici etniche e comunitarie condivise, che , seppure stilizzate o storicizzate in modi ,espressioni e personalità diverse, le hanno garantite il mantenimento di una identità ben riconoscibile e gelosamente conservata e protetta.
E’ proprio la presenza culturale ed economica contadina nell’area urbana grottese che ha permesso il mantenimento e il rafforzamento degli spazi e delle occasioni delle ritualità collettive , sacre e profane.
Spazio e contenitore simbolico di una sorta di palcoscenico di sincretismo emotivo, culturale, sacro e religioso è proprio : il “FESTONE”.
E’ talmente ricco di sedimentazioni sentimentali, di attese ingigantite, di magie incoffessate, di gestualità incontrollate, di ritualità acriticamente accettate ed esibite che con difficoltà si può ingabbiare nei paradigmi e nelle categorie classiche della sociologia e della antropologia occidentale.
Il “festone” va vissuto ,forse può essere raccontato o esibito, sicuramente non può essere compiutamente e profondamente spiegato o analizzato.
Come spiegare’razionalmente’ il ricordo del sapore e del profumo del ‘pulièie’ o della ‘ciabuttella , l’odore forte e pervasivo dell’agnello arrostito e dei ‘peparule à la cumposta’ o del ragu’tirato’ della festa , le armonie acustiche della Banda che ti tira fuori di primo mattino dai letti ancora caldi, dai balconi o dalle finestre , ti viene incontro gradatamente e poi ti lascia …. invitandoti ad un rapporto più esclusivo e attento per la sera intorno all’Orchestra ,cuore pulsante della festa con la discussione partecipata e critica alla elaborazione del programma musicale e della sua esecuzione che lascia sempre e comunque sul campo strascici di polemiche sopite e metabolizzate poi nel corso della diverse serate, il risveglio violento e masochisticamente piacevole dei primi ‘colpe scure’ sul far dell’alba quando si è ancora insonnoliti e stanchi per l’ora tarda o le “passerelle” della serata precedente, l’incontro affettuoso , i saluti curiosi e i convenevoli rituali di tutti quelli che vivono oramai lontani in Italia, in Europa o Oltreoceano che si ritrovano gravati negli anni e appagati nella nostalgia alla presenza di mogli e figli dalle espressione stupite per questi rapporti così naturali e diversi, la lunga e coinvolgente processione dei ‘Santi’ Tommaso,Antonio e Rocco (citati rigorosamente per ordine di uscita), vestiti preziosamente a festa dai grottesi di tutte le età , che rinnova il rapporto di affetto e di fede nello scambio tutto umano quasi di un patto sacro e civile, rinnovato anche attraverso l’offerta pecuniaria per la loro e la nostra festa, concedendo a ogni capo famiglia , povero o ricco, di pretendere con un gesto devozionale e mercantile che i Santi si fermino davanti alla sua casa con umiltà e riconoscenza reciproca, le facce ricche di rughe della fatica ,delle passioni e delle storie anche di questo rapporto fatto di tradizione e rinnovamento che dignitose e silenziose ci passano davanti sui marciapiedi cittadini come in un fiume di persone che formano il variegato corteo della processione come in una sequenza di un vecchio film del cuore,momentaneamente dimenticato ma radicato nel profondo più intimo della memoria individuale o una biografia visiva dell’intera comunità, la serata del “cantante famoso” più rilassata e meno intensa e partecipata , vissuta non tanta come esperienza o fruizione personale ma in orgogliosa e ostentata competizione con i paesi vicini e con lo stesso capoluogo di provincia e…… infine i fuochi d’artificio che fanno storia a sé, nell’attesa rilassata e faticosa del dopo festa come preludio dei nuovi distacchi ed addii e nella preparazione culinaria dei vari gruppi amicali e familiari sul prato nella notte stellata ,rotta magicamente dalla fantasia e ricchezza dei colori,delle forme cromatiche raccordate con maestria e creatività alla armonia del tempo e allo spazio delle composizioni , con le immancabili , stanche polemiche e divisioni nei giudizi della premiazione.
Rito e mito che ogni anno è diverso e uguale ma che magicamente per un sortilegio tutto umano o per un incanto ‘religioso’ ti coinvolge , si rinnova e ti impegna nella promessa di un ritorno anch’esso sempre uguale e diverso che, se pur problematico per l’avanzare della età e per l’affievolirsi dell’affetto e dei sentimenti, ti attrae e coinvolge.
Perché? Perché ,parodiando un altro slogan felice e famoso,”il festone è il festone ”. E’ la metafora della nostra vita o della vita “tout court” . Torniamo tutti, nessuno esluso, per la festa e nella festa sempre con la voglia e la speranza di ritrovare il tempo perduto della nostra felice e spensierata fanciullezza insieme al bagaglio di una nostra saggia vecchiezza e con il desiderio di ritrovarne la gaiezza e il sorriso, ma soprattutto perché siamo consapevoli che il “festone” in fondo siamo “noi” ,comparse,vecchie e nuove, vive di pensieri e sentimenti che con le nostre facce vere ,non maschere….. di gioie, , dolori, amori, sofferenze , arrabbiature,risate, speranze, illusioni ,utopie e sogni alimentiamo e realizziamo i progetti e il sogno di un intero anno nell’intenso e eventuale programma di quatto giorni di “festone”,sapendo che da quel sogno ne usciremo forse un po’ stanchi e tristi ,ma normalmente e umanamente felici.

Mauro Orlando


venerdì 22 agosto 2008

Una voce "stanca" ma "viva"......in Irpinia.

il giorno dopo

Pubblicato su a Autori Comunitari by comunitaprovvisoria su Agosto 22nd, 2008

Ieri sera sono arrivato nel previsto ritardo al convegno al Goleto dopo aver presentato “vento forte” a Capriglia. Due luoghi diversi dello stesso amore. Da una parte un paese che prova a raccogliere le sue membra sparse, dall’altro, in un’abbazia mirabilmente restaurata, un bel gruppo di intellettuali che sanno intrecciare il filo delle parole con quello della terra in cui vivono. Appena sono entrato in sala ho sentito un’energia positiva, la stessa che scorreva a Capriglia. Il problema in questi casi è sempre il giorno dopo. Sono anni che partecipo a serate in cui spira una bell’aria, ma poi questo clima si dissolve in poche ore. È come se non riuscissimo a stare dietro alle cose che noi stessi diciamo. Intanto adesso ho un grande mal di testa. Spero che mi passi nel mio viaggio pomeridiano verso Monteverde per il libro e poi più tardi ad Andretta per un altro grande concerto.

Armin

A Franco , che vive "l'immaginazione"per amicizia voglio dedicare questo 'chicco di grano' di J. Lennon, che ci ha confortato in altri tempi magnifici ma difficili.

Ancora una voce 'lirica'......in Irpinia.

Paesi ad oltranza

Immaginate la mattina presto
l'uomo,la donna e il mulo
che vanno lenti verso la campagna
a scorticare la terra con le unghie
per piantarvi un seme.
Imaginate noicon le famiglie
nelle nostre case gremite
di beni poco rari.
Noi che senza esporci a niente
continuamente cerchiamo ripari.


Ancora un pretesto per citare il bel libro di Franco Arminio "Vento forte tra Lacedonia e Candela" Editori Laterza







La voce del "silenzio"........in una magica Irpinia.

Ma allora perché si vende casa e si va via ?


Il tema che sottostà alla domanda che viene posta è molto ampia e complessa sia sociologicamente che politicamente.La politica nel suo senso piu ampio,profondo e più vero. Cioè la capacità tutta umana di costruzione ,di uso e di cura delle cose che ritroviamo in natura e di quelle che ‘costruiamo’ con la nostra intelleigenza e manualità. La politica ( non solo quella moderna) non è solo la capacità analitica e razionale di evidenziare o smascherare le contraddizioni e le ambiguità delle azioni umane in rapporto alle loro strutturali valenze economiche o di potere .Il saggio 'classico'di Engels ‘Sulle abitazioni” ha determinato la costruzione delle categorie mentali e politiche di una intera generazione che ci hanno portato ad una lettura ideologica della vita umana e sociale che spesso ci ha costretti ad una marginalità se pur nobile ed eticamente coerente.Avevamo coltivato l'assillo del cambiamento oltre quello della comprensione. Mi è parso cogliere che lo spirito di questo incontro è radicalmente e profondamente diverso . Uno 'spirito' sicuramente da parrofondire ,da ricostruire ma necessariamente l’unica strada da imboccare e percorrere. Partire dalla nostra personale percezione e cura delle case che ci sono date in uso nella terra delle nostre radici ,dei nostri affetti , delle nostre storie familiari.Non è il semplice ritorno al privato che è anche politico.Le nostre case che sembrerebbero vuote ed abbadonate in nostra temporale assenza, sono piene delle storie personali ed individuali che si sono costruite e vissute tra le loro mura. Non voglio richiamare la 'religio' dei Lari di classica memoria.Ognuno,oggi, ha i suoi 'Lari' nella mente ,nel cuore .Ma sono le nostre case segni concreti che ci sono stati lasciati in eredità che vanno recuperati o scoperti e fatti rivivere attraverso la nostra vita solo d’estate nelle 'vacanze della memoria' o per tutto l’anno se siamo ancora nel ciclo produttivo del vivere sociale.E' una occasione conoscitiva e filosofica per affinare le nostre sensibilità e intelligenze a saper leggere queste realtà naturali ed umane con un occhio meno superficiale e materiale.Lo spirito che sento ed ho sentito circolare tra le persone della Comunità provvisoria e non solo che hanno riempito di voce, sentimento e idee "il silenzio" dell Abazia del Goleto, mi sembra suggerire questo nuovo modo di guardare,pensare e vivere i luoghi e le architetture naturali , artificiali ed umani della nostra Irpinia e dell'Italia dei piccoli microcosmi abitatativi .E questo non solo mi incuriosice ma mi mette in una prospettiva di ascolto, di attesa,di fiducia o speranza e di impegno per capire e ,sopratutto , per cambiare o rinnovare le mie vecchie 'masserizie ideologiche' e acquisire e attivare le nuove categorie mentali e…politiche.

martedì 19 agosto 2008

La voce delle "ferite architettoniche".....in Irpinia.



L'abazia del Goleto




…il Goleto è un luogo di “accoglienza del profondo”; … le pietre parlano se le sai ascoltare per poi “restaurare” il mistero che vi è racchiuso dentro, come in un’urna; … bisogna restaurare primariamente il Silenzio che c’è dentro le rovine, le ferite architettoniche: questo il punto chiave per un giudizio sulla qualità dell’opera in corso; restaurare con amore l’immateriale, il mistero, la cui radice greca è appunto “silenzio”.Non posso scassinare la parola di Dio ma posso mettermi umilmente in un percorso di ascolto. … Più che apparire forse bisogna “Esserci”; essere ogni giorno umilmente sul cantiere, discutere di piccole cose che fanno le grandi cose, un modo di Essere…. Fratel Wilfrid Krieger in un intervista di Eduardo Alamaro su PresS/Tletter n°17_2007




SVILUPPO SOSTENIBILE e CENTRI MINORI

ABBAZIA del GOLETO - 21 agosto 2008 - ore 19.30

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Architettura naturale / Microcosmi eccellenti /

E’ possibile un’ecologia del costruire ?

conferenza di GIANCARLO ALLEN _ segretario ANAB


(continua…)

Taggato con:anab, angelo verderosa, architettura, bioecologia, centri minori, comunicato stampa, conferenza, convegno, dario bavaro, ecosostenibilità, enzo luongo, federico verderosa, franco archidiacono, franco arminio, giancarlo allen, gianni fiorentino, goleto, m.antonietta sbordone

Una voce "festosa"....in Irpinia



ll romanzo del Formicoso è arrivato al capitolo Capossela. Il grande artista dell’Irpinia d’oriente(madre di Andretta, padre di Calitri) appartiene a questa terra più di tanti altri politicanti che hanno rappresentato l’Irpinia in maniera non sempre felice. Caposella ha vissuto poco in queste zone ma porta già nell’andatura il dna di questa terra. Da lontano si guarda a questi posti come luoghi arretrati. Il guaio è che anche molti politici locali hanno un’idea piccola di questi posti, assumendo il pensiero che altri hanno di noi. Capossela è l’emblema di un sud internazionale, meridiano e balcanico. Un sud che porta le tracce della lunga domininazione bizantina. Un sud contadino, pensoso, riflessivo, ma anche istrionico, teatrale, una teatralità ben diversa da quella impersonata dal presidente spazzino. Difendere il Formicoso dalla discarica per me non significa solo evitare i rifiuti, significa evitare la completa omologazione di questo paesaggio all’italia dei capannoni e delle officina, l’Italia imbrattata dalle merci, dal mito di una crescita che affrancandoci dalla miseria materiale ci ha messo dentro una brutale miseria spirituale. Non so come andrà il romanzo del Formicoso, ma è un romanzo collettivo e questo è già importante nell’era autismo corale. Viviamo in un momento in cui è difficile destinarsi a qualcuno, a qualcosa. Per me l’oltraggio alla mia terra costuisce l’occasione per stare vicino a una comunità che sembra portare la sventura come stemma araldico. Ed ecco che dopo la lunga ferita dell’emigrazione si è passati alla ferita della ricostruzione ed ora in questa pensosa staffetta arriva la prospettiva della discarica, una prospettiva che dura da quindici anni. Siamo di fronte ad un vero e proprio caso di mobbing. Personalmente ho speso migliaia di ore della mia vita in assemblee e manifestazioni varie. Ho visto passare commissari, ministri, assessori, ma noi siamo sempre qui. Non difendiamo un campanile, ma un’idea del sud e dell’Italia, difendiamo un idea del mondo. Difendiamo il silenzio e la luce, la gloria degli spazi aperti, la gloria di stare sulla terra sapendo che non ci sono altri luoghi. Trovo culturalmente meschina l’dea di ubicare le discariche nei luoghi incontaminati. Invece di una radicale messa in discussione di un modello esistenziale che ci porta ad accumulare una mostruosa quantità d’immondizia, i nostri governanti nazionali e regionali danno vita a scelte ubicate nella logica degli interessi personali o di qualle amico potente. Siamo alla solita storia di un sud che aspetta dall’esterno la soluzione dei suoi problemi. Non è il caso qui di entrare nello specifico delle alternative alla gestione dei rifiuti che noi proponiamo. Il nostro è prima di tutto un esercizio di salute civile. Vogliamo affermare nell’appennino, nel midollo dell’Italia scorre ancora una linfa, anche se drenata, prosciugata da decenni in cui la cultura urbana ha imposto a tutto il paese le suce scelte. La Regione Campania deve uscire dall’emergenza rifiuti senza scaricare le contraddizioni di tutto un sistema sui più deboli. I paesini dell’interno non sono cestini vuoti da riempire, ma luoghi in cui per millenni si è costruita una civiltà povera ma dignitosa. Possiamo anche pulire i marciapiedi cittadini dall’immondizia, ma c’è sporicizia più grande che quella della illegalità diffusa. La mia terra e la terra di Capossela vuole restare in Campania solo se in una regione come la nostra è ancora possibile credere alla poesia e alla bellezza. Noi non pensiamo che questi luoghi sono retrovia del mondo e ci battiamo ogni giorno contro chi, qui altrove, ci vuole incorniciare nel ruolo di chi deve inseguire le corse degli altri. Vogliamo camminare col nostro passo. E se la ferita ci fa zoppicare allora vorrà dire che è il caso di volare.
armin

domenica 17 agosto 2008

tutti gli irpini al Formicoso per continuare la propria storia

La storia siamo noi con le nostre partecipazioni mentali, sentimentali, umorali. Tutto dipende da come noi volontariamente e liberamente ci collochiamo all’interno di questo orologio naturale. Abbiamo un improcrastinabile impegno e amore con le cose,il territorio , le persone , la vita e .......non ci è dato nasconderci. La storia è fatta di cose semplici “piatto di grano”, vento tra le pale, fiori di campo,odore di terra sudata e gravida di vita,giovani innamorati o in cerca di amori, anziani intristiti dagli anni e le fatiche che continuano a sognare per noi, bambini sorridenti a caracolle di padri giovani e fiduciosi e bambini assonnati nei passeggini guidati da mani premurose e materne e tante ,tante facce segnate dalle rughe profonde della fatica del vivere e del lavoro, tutte vestite a festa con i sorrisi dell'occasione dispensati per un giorno di "passione e di amore", esibiti con esagerata vitalità da bocche troppe giovani per parlare o gridare solo e ancora la cattiveria , la arroganza e pressapochezza del potere senza/o/sulle persone in carne ed ossa...........non “bombe atomiche”, “nazionalismi”, “imperialismi”, “guerre" politiche, economiche e di religioni”, Pil e bilanci ,ordine pubblico delle paure create ad arte e consumo e poi..............
discariche e termovalorizzatori ecc. ecc.



Un'altra grande 'piazza s. Giovanni' naturale e maestosa, vitale e piena di cittadini liberi,consapevoli,attivi e.....belli!



Da oggi ognuno di noi può dire con orgoglio e passione rinnovata:

" IO C'ERO "!

Mozart...una voce "classica"......per l'Irpinia

"laudate Dominum"............per il FORMICOSO.


Mozart: Vesperae solemnes de Confessore K 339.

sabato 16 agosto 2008

......con il "FORMICOSO" nella testa , nella bocca e nel cuore.

“Guardala , la terra è più tenera

del cielo.

Non restare tutta la vita

Con le unghia conficcate

Nella tua anima o in quella degli altri.

Porta il tuo paese in testa come si porta

l’immagine dell’amata.”


COMUNITA’ PROVVISORIA, il blog dei paesi e delle montagne
FORMICOSO Festival / comunicato stampa

Pubblicato su z Petizioni, Segnalazioni, Stampa by comunitaprovvisoria su Agosto 16th, 2008



NO ALLA MEGADISCARICA REGIONALE
SI AL PARCO DELL’IRPINIA D’ORIENTE

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Lunedì 18 agosto 2008
ALTOPIANO del FORMICOSO - ANDRETTA (AV)
Giornata di sensibilizzazione nazionale dell’opinione pubblica contro la costruzione di una nuova discarica sull’Altopiano del Formicoso, nel cuore dell’Alta Irpinia.
Interverranno VINICIO CAPOSSELA , FRANCO ARMINIO , LA BANDA MUSICALE CITTA’ DI CALITRI, PASQUALE E PAOLO INNARELLA, CATERINA PONTRANDOLFO, JAMBASSA+KETAMO, MOLOTOV, SIMONE CAROTENUTO E TAMMURIATI DEL VESUVIO, FOLSKA e altri cantori locali e paesani.
(continua…)
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14 commenti

mercoledì 13 agosto 2008

La "voce" .....dell'Irpinia.

« ...preferisco rimanere un'impressione, preferisco le impressioni. Le impressioni emozionano. È inutile conoscere: molto meglio supporre. »
V. Caposele






al FORMICOSO,

il 18 agosto, a partire dalle ore 18, manifestazione popolare contro la discarica e maratona musicale con artisti provenienti da varie parti.
finale con VINICIO CAPOSSELA e il suo gruppo

Una voce "di ritorno".......in Irpinia.



La ‘nuova Irpinia ‘ dentro di noi.

Oggi tra gli analisti del territorio in modo tradizionale o tra i “paesologhi” in modo paradossale si parla di “non luoghi”riferendosi a spazi metropolitani privi di identità e di memoria ma soprattutto scarsi di relazioni.Dove vive una “collettività senza festa” e si soffre la “solitudine senza l’isolamento”. Si vive in un epoca del “tempo veloce, accelerato”.Il futuro è sempre più alle nostre spalle, in soggezione ad un presente che ci sommerge e ci virtualizza .E persino la storia è diventata un fatto mediatico.Il futuro non solo sembra senza senso e fine ma ci carica sopratutto di ‘paure’ e nel suo orizzonte esclude le categorie di ‘progetto’ e ‘speranza’.Paure economiche, sociali,ecologiche e perfino ‘metafisiche’ dove le Chiese si limitano a cercare convertibili o arruolabili alle giuste o ideologiche cause.L’avvenire è rubato soprattutto ai più giovani. Con la fine delle ideologie che pure ci rassicuravano, oltre che impigrirci intellettualemte ci viene imposto prepotentemente ancora una volta una nuova e complessa concezione di individuo e della sua libertà.Le diseguaglianze economiche ,la precarizzazione del lavoro, l’aumento dei costi e dei bisogni ci sta portando drammaticamente alla società postborghese senza passare da una “rivoluzione proletaria”( di cui non si sente la necessità) o semplicemente umanistica. Una nuova rivoluzione scientifica e tecnologica toglie potere e crea esclusione in quelli che non si ritrovano in questi poli.La rivoluzione informatica aiuta e favorisce i meglio tecnologizzati e i già informati o i ‘giàformati’.
All’interno di questro quadro analitico e concettuale con originalità e profondità si pongono le proposte e le provocazioni culturali di Franco Armino e il suo già citato libro “Vento forte tra Lacedonia e Candela” (Ed Laterza).Era necessario ritornarci dopo una lettura più meditata e analitica non per una ulteriore recensione ma per rilevare la sua originalità di proporre categorie conoscitive, antropologiche e politche che ci possono essere utili non solo per capire il nostro territorio irpino ,ma sopratutto noi e per un possibile e necessario.progetto di cambiamento di noi e delle nostre comunità.
Il nostro “io” occidentale e moderno è costretto a cimentarsi con i pieni dei poteri economici e culturali a cui ci eravamo abituati dall’Illuminismo in poi. La sua ragione si fa “luce” e si fà ‘compassionevole’ e ‘fraterna’ in un colloquio doloroso e difficile con le “ombre”, con l’assenza, col mistero, con il sacro, con gli esclusi , gli sconfitti con i luoghi abbandonati o lontani. Il suo compito precipuo e costruttivo è non solo capire e dare un nome alle cose e alle persone ma di suggerire altro.Creare aspettative e possibilità è già costruire presente e precostituire futuro.Ripropone una caratura politica molto complicata,complessa e sottile che va al di là del sociologismo astratto e il meridionalismo di maniera se pur nobile. Scrivendo ciò io non penso alle “sufficienti spallucce” o alle comode pigrizie di una certa intellettualità meridionale, cittadina o periferica, ma anche ai circoli sociologici e intellettuali,a destra come a sinistra, che imperversano nel “profondo Nord” arrovellati sul nuovo primato della “questione settentrionale” che fanno tabula rasa con spocchia e leggerezza anche del possibile “bambino insieme all’acqua sporca”.Tuttavia non è il suo “stile” se pur nuovo e personale che mi interessa rilevare all’nterno di una moderna e possibile collocazione o riscrittura del quadro letterario del Novecento italiano ed europeo con riferimento alla letteratura antiretorica ,alla cultura ‘flaneur’, o quella ‘vociana’ dei ‘frammnti’ più che a quella ‘crepuscolare’ o ‘afuturista’ o ‘simbolista’ .Insomma mi interessa questo superamento ,filosofico direi, dell’Illuminismo non ideologico e dottrinale dove il rifiuto delle “magnifiche sorti e progressive”, delle utopie astratte e delle speranze nel futuro ci impone una idea più che di recupero o di salvezza delle persone ,delle cose e della natura, di amore di esse ma non più per il loro possibile futuro ma per il loro presente reale e per il passato che non passa e non ritorna.Puntando soprattutto a far crescere una capacità personale di guardare le cose e amarle disinteressatamente in sè stesse e per sé stesse.Una riproposizione vitale della’modernità’ non necessariamente contrapposta alla ‘antichità’ ma nella sua capacità intelletuuale ed umana di vivere l’antico,il tradizionale, il periferico,l’emarginato, l’escluso.l’altro da sé insomma.Curando una massima consonanza,intimità con i luoghi, le cose e le persone insieme alla massima lontananza e alterità. E se tutto ciò vi sembra poco, irrilevante e inutile per un vero e nuovo “inizio” non solo per l’Irpinia con i suoi atavici e nuovi problemi e tabu ma anche per cominciare a definire nuove categorie mentali per una nuova agenda culturale e politca dell’intera ’intera comunità nazionale , fate a meno di leggere questo prezioso libretto.Ma poi per piacere non continuate a flagellarvi e meno che meno a lamentarvi della solita corrotta e inadeguata masnada dei politici locali e nazionali.

Mauro Orlando

http://www.mauroorlando.it/

Pubblicato in Buongiornoirpinia del 15 agosto'08

martedì 12 agosto 2008

Una voce "pasoliniana" ......in Irpinia.

Lucciole nei Barattoli”
“Faccio parte di quella generazione nata tra gli anni 70 e 80. Quella che non ha fatto la guerra e che non ha assistito allo sbarco sulla luna. La nostra memoria storica comincia con i Mondiali di Italia 90. Siamo l’ultima generazione che ha imparato a giocare a biglie, a un-due-tre-stella, e allo stesso tempo i primi ad aver giocato con i videogiochi o aver visto cartoni animati a colori.
Abbiamo indossato pantaloni a campana, a sigaretta a zampa di elefante e con la cucitura storta. La nostra prima tuta è stata blu con bande bianche sulle maniche e le nostre prime scarpe di ginnastica di marca le abbiamo avute dopo i dieci anni.
Siamo la generazione di Bim Bum Bam , abbiamo imparato la mitologia greca con Pollon e ci chiediamo ancora se Mila e Shiro alla fine vanno insieme. Ci siamo emozionati con Supercar, A.Team, Magnum P.I., Holly e Benji, l’incredibile Hulk, Lamù e Kiss me Licia.
Siamo stati anche gli ultimi ad usare i gettoni del telefono. Ci ricordano sempre fatti accaduti prima che nascessimo, come se non avessimo vissuto nessun avvenimento storico. Abbiamo imparato cos’è il terrorismo , abbiamo visto cadere il muro di Berlino e Clinton avere relazioni improprie con la segretaria nella Stanza Ovale.
Però abbiamo avuto la fortuna di crescere come bambini , le estati passate tra scorribande, pedalate, sciabolate d’ortiche, salti dei fossi e lucciole nei barattoli come lanterne magiche.
Ancora me le ricordo quelle sere d’estate. Bande di ragazzini ad ogni angolo e il chiacchiericci davanti agli usci delle case. E allora mi chiedo: perché non torniamo a chiudere lucciole nei barattoli ?
Torniamo ad animare le nostre strade, i nostri paesi.”
Ai visto caro Franco “….finché c’è piega c’è speranza!” ….sul Formicoso credo, le ho viste, ci sono ancora le lucciole, e sono un segno di un ambiente sano….. invitiamo tutta la gente a metterle nei barattoli (al posto della merda! sic).
Uacc Uaa
Nanosecondo

Una voce "affabulatrice" ........in Irpinia.




“E così avvenne il sacco di Roma, avvertito dai suoi cittadini come evento epocale, segno della prossima fine del mondo o della punizione che Dio infliggeva alla capitale del paganesimo.”Cala il sipario e termina lo spettacolo nell’anfiteatro ma il narratore rimane ancora lì, immobile, e attende il verdetto del pubblico; il suo corpo è chinato, i suoi occhi volgono a terra, verso il mosaico, le sue mani, raccolte dietro la schiena, tremano. Il segnale dalla platea tarda ad arrivare e gravato sul capo dal peso di tanto turbamento, affronta la risalita con la schiena a pezzi. Le scale sono vuote: non applaudono, non esultano, non si emozionano. Preso da tanta angoscia, ritorna dov’è il leggio, riapre il libro e controlla il finale dell’opera per sincerarsi di non aver trascurato nulla o per lo meno di trovare il bianco dopo la nota dei ringraziamenti. Ripercorre la storia da lui narrata: il re Alarico, i Visigoti nelle mura di Roma assediata, le malattie infettive che mietevano vittime. Tutto quadrava, eccetto l’assenza tombale del pubblico. Ripone la maschera teatrale sul viso: la vergogna lo surclassa.
Roberto Romano, S. Angelo dei Lombardi
(continua…)

Una voce " vitale"......in Irpinia.



......per me prima persone e luoghi erano legati tra loro…associavo la specialità o il ricordo di un luogo a quelli di una persona…spesso è ancora così…ma dopo le letture arminiane un luogo è un luogo, uno spazio è uno spazio…anche vuoto di persone, soprattutto vuoto mi appare nella sua unicità e nella sua storia…e mi parla…timidamente mi racconta nel silenzio più di quello che gli chiedo e tanto tanto di più di quello che mi aspetto…domani verrò a bisaccia ........nel contempo desidererei “guardare” bisaccia, ho voglia di respirare la sua aria, ho voglia di ascoltare il paese bisaccia con i suoi rumori e con i suoi silenzi, ho voglia di camminare e stare…e aspettare che mi parli.

monica

Una voce "poetante"....in Irpinia.

Sarebbe auspicabile un ritorno
alle origini anche del linguaggio
quando le parole erano cose
pietra era la pietra cervo il cervo.

Fare giustizia di tutte le metafore
create dal potere per addolcire il fiele.
Il Re Sole che non brilla
La libertà che opprime
Le Rivoluzioni che conservano
’ambiguità della Democrazia
Le giornate di lotta senza lotta.
Da : Tonino Capaldo.Il quartiere.

Una voce "visionaria".....in Irpinia.

angelo verderosa


parco regionale dell'irpinia d'oriente (Set)



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Una voce "ritmica"........in Irpinia

Tony Abruzzese ( 'grottese' di nascita, romano di adozione) alla batteria di un gruppo datato.Una espressione quasi naturale di musicalità mediterranee ,popolari e raffinate assieme.La musica come richiamo e senso di appartenenza alle proprie radici e la necessità impellente alla forza della "contaminazione" delle migliori espressioni mondiali della musica sperimentale e colta ,ma comunque sempre "popolare" nel senso profondo del termine.

THE SKY DIVE Live at music inn

lunedì 11 agosto 2008

Una voce dolente......in Irpinia.



COMA MORALE
Pubblicato su a Franco Arminio by comunitaprovvisoria su Agosto 10th, 2008
In Italia c’è la dittatura, ma non pensate al riccone vanitoso. Non è lui che governa. La dittatura che c’è in Italia si chiama autismo corale. È la dittatura che ha ridotto la società a una palude senza fondo. In questa palude i partiti sono moscerini, alghe, rospi, fauna in cui scorre una linfa cieca e fangosa. L’Italia è spenta e gli italiani sono fantasmi gonfi di cibi e di miseria dello spirito. Un popolo di individui in guerra tra di loro. Le amicizie, gli amori, la poesia, la bellezza, la dignità, la libertà sono cose che stanno sui lembi. Il centro della tovaglia è dei furbi e dei meschini. È degli individui che elevano il proprio coma morale a misura di tutte le cose. La dittatura presente ha abolito senza fare ricorso a purghe la possibilità di far circolare il pensiero. Tutti parlano, tutti hanno opinioni su tutto. Il risultato è che le parole procurano solo affanni a chi le pronuncia. Dall’altra parte non c’è un orecchio che accoglie, ma un altro che sta in agguato con le sue parole in bocca. La cosiddetta politica è uno squallido canile, dove la regola è abbaiare per nascondere il silenzio penoso di un mondo marcito, di una vita che non gode più di alcun prestigio agli occhi di chi la vive.
(continua…)

sabato 9 agosto 2008

Dal 'garda' al........'formicoso'.

“Senza temere il discredito in cui versa la meticolosità siamo anzi propensi a credere che soltanto ciò che va in profondità riesce a divertireT. MANN

" Il vecchio alfabeto del paese ha perso ogni lettera.Dalla a di asino al z di zappa,passando per la m di mulo, per la p di pecora, per la c di contadino. Il nuovo alfabeto sembra cominciare dalla lettera d, della desolazione" F. Arminio.


Come viatico musicale a questo annuale ritorno in Irpinia ,per la sua capacità di evocare la nostalgia intima e attiva della propria terra nativa nella esperienza e nel fascino della "modernità" del "nuovo mondo, vi propongo l'ascolto de' :

La nona di Dvořák: una sinfonia multiculturale e multisensibile.

Durante il suo soggiorno in America, dal 1892 al 1895, Antonin Dvořák era rimasto particolarmente colpito dalla musica popolare che ebbe modo di ascoltare, arrivando a dire:


Sono convinto che il futuro della musica in questo paese debba essere basato su quelle che vengono chiamate "melodie negre". Queste possono essere le fondamenta per una scuola di composizione originale e seria. Questi temi belli e vari sono il prodotto della terra, sono le canzoni popolari dell'America, e i vostri compositori devono basarsi su di esse.

giovedì 7 agosto 2008

Ipocrisia di Stato



Meriterebbe senz'altro entrare nei libri di storia patria, la vicenda ridicola e goffa del Tiepolo censurato in quel Palazzo Ghigi attualmente occupato dal più grande spacciatore di tette del mondo dopo Hugh Hefner. Meriterebbe di entrarci come sunto perfetto di questo nostro scorcio d'epoca, nel quale l'Italia si è italianizzata all'ennesima potenza: moralista e reazionaria in politica, puttaniera e consumista nel privato. L'evo pubblicitario e mediatico è riuscito a conformare il paese assai meglio, e più in profondità, di quanto aveva provato a fare il fascismo a suon di maganellate e olio di ricino. Il berlusconismo è riuscito a chiudere mirabilmente il cerchio: ecco il Paese cattolico e moralista che non riconosce le convivenze civili e copre i seni "istituzionali" e al tempo stesso mostra il culo in televisione e annaffia di sesso e carnazza (cito un classico: gli Skiantos) ogni spot, ogni fotogramma della sua affannata baldoria. Il paese in cui anche i bigami si prostano al Papa, e le favorite dei potenti che la danno per una fiction nelle interviste elogiano la famiglia tradizionale. Non è neanche ipocrisia. E' una lampante schizofrenia,un mix senza vergogna tra moralismo e immoralità, ciascuno dei due campi complementari all'altro, il moralismo per occultare le tette di Stato, l'immoralità per trafugare le tette e portarsele a casa per sempre.

M. Serra

martedì 5 agosto 2008

La solita "ministrina" dalla penna rosso-blu.

Il bisogno della ministra Gelmini di costringere gli studenti italiani ad indossare un grembiule disegnato (magari ) da uno stilista di Stato.... ricorda molto quelle donne che pensano di eliminare il cattivo odore con gli spruzzi di Chanel invece che lavandosi le ascelle.....
F.Merlo

lunedì 4 agosto 2008

In Irpinia .....siamo ambiziosi.


“Guardala , la terra è più tenera

del cielo.

Non restare tutta la vita

Con le unghia conficcate

Nella tua anima o in quella degli altri.

Porta il tuo paese in testa come si porta

l’immagine dell’amata.”










RELAZIONE

Il parco dell’Irpinia d’ Oriente si costruisce con progetti che usano la gomma più che la matita. Dobbiamo togliere e non mettere. Dobbiamo cucire in una nuova alleanza il vuoto e il silenzio e la luce e il cibo e il pensiero e l’arte di trascorrere il tempo. Dobbiamo cucire fabbriche nuove, come quella del vento, a fabbriche antiche, come quella del pane.
Il parco già c’è, bisogna solo usarlo. E’ un piccolo angolo di quel grande parco che dovrebbe chiamarsi “parco mondiale della terra tonda”.
Alla luce dei pericoli che corre il nostro pianeta, che esiste da quattro miliardi di anni, è chiaro che bisognerebbe dichiararlo per intero “area protetta”. Gli uomini stanno in giro da tre milioni di anni. Tempo infimo, ma buono per sterminare i nostri compagni di avventura. Del miliardo di specie vegetali e animali che la terra tonda ha partorito, ne è rimasto solo l’uno per cento.
Siamo troppi: tre nuovi nati ogni secondo, 26.000 al giorno, 95 milioni all’anno. Nel 1800 eravamo un miliardo, 1910 quattro miliardi, nel 2000 sei miliardi. Continuando di questo passo, nel giro di un secolo non ci sarà spazio neppure per muovere un passo. C’è un modo di usare il mondo, che sinteticamente potremmo definire”ipercapitalista”, a cui noi ci opponiamo radicalmente.
Nel nostro parco non c’è spazio per il mito dello sviluppo. Non diremo mai che il nostro parco è un’ occasione per lo sviluppo. Abbiamo avuto l’ardire di usare questa parola perfino dopo il terremoto. Abbiamo concepito la ricostruzione come occasione di sviluppo e abbiamo visto com’è andata.











Noi siamo ambiziosi: chiediamo all’umanità di correggere la propria traiettoria. E cominciamo da qui, dai nostri luoghi, dai nostri incontri.
Lo spazio è limitato e una crescita continua può solo lacerare il delicato involucro che ci contiene.
Il nostro è il parco della decrescita. Il nostro è un granello per inceppare il meccanismo infernale a cui ogni giorno lavorano le oligarchie politiche ed economiche.
Abbiamo capito che abitare un territorio sano è la condizione per poter abitare in maniera sana anche la parti malate, anche gli altri luoghi in cui scegliamo o siamo costretti ad andare. Il nostro non è un recinto.
Siamo per l’andare e il venire. E la nostra è una frontiera fra il basso occidente e l’alto oriente.
Il nostro non è un parco contemplativo, ma lievemente insurrezionale. Qui se si fanno passeggiate sono passeggiate intimamente rivoluzionarie. Non camminiamo nel giorno di festa per riposarci dagli imbrogli dei giorni feriali. Camminiamo come forma d’ amore urgente.




di Franco Arminio
Corriere del Mezzogiorno
Sabato 3 maggio 2008