martedì 15 giugno 2010

Elisir d'amore per ......la poesia e le canzoni a Cairano




…….A Cairano non parleremo di Inter ma di poesia e canzone…..

a tale proposito trascrivo alcuni stralci di una “lectio magistralis” sul tema che può essere utile per preparare il nostro incontro di mercoledi 23…..

“Forse il primo canto dell’uomo fu la parola o forse la prima parola dell’uomo fu il canto:comunque, poiché “est autem in dicendo etiam cantus quidam obscurior” (1),in questomisterioso rapporto espressivo tra vocale e suono vi è tutta la magia della natura e dellapersonalità umana.”‘ E l’indoeuropeo stesso a farsi garante di questa analogia semantica, laddove la radice“kal”(giungere con moto curvilineo), sfocia nel sanscrito kal,kalate (contare e suonare), da cuiil latino calo (chiamare), calculo(calcolare), e la ben chiara apofonia cantus\contus dove contus sta sì per “conto numerico”,ma anche per “ racconto” come somma di parole.La manifestazione del suono nell’universo corrisponde con l’apparire della realtà: ovunque equasi senza eccezioni Primitivi e Civiltà antichissime riconnettono la creazione alla voce di dio,alla sua parola ed è un rumore da Lui prodotto direttamente o indirettamente a separare il nulla dall’esistente: Dio non crea toccando, guardando o ascoltando,crea col suono……“Situata tra le tenebre e la luce del giorno, prima la musica si trova tra l’oscurità della vita inconscia e la chiarezza delle rappresentazioni intellettuali e appartiene in gran parte al mondo del sogno.All’inizio della creazione,la musica percorre il linguaggio intellegibile come l’aurora precede il giorno.Ma via via che i suoni si precisano il linguaggio si divide: una parte diventa musica ,canto, ricerca di Dio, un’altra ,più chiara e distinta si fa lingua,parola, e la terza parte,al tramonto, quando gli effetti della luce vivificante sono ormai scarsi ,si trasforma in materia.”


Questo propagarsi di luce sonora è più forte,più vero quando è vicino alla fonte, perde gradualmente il suo potere allontanandosene. Le rocce, le paludi , la notte hanno meno musicalità dei fiumi, del sole, il sole meno dell’uomo. L’uomo anzi era al principio nella musica stessa di Dio e in tale luce volava: poi lentamente perse quella luce e mantenne solo la voce. In lui resta intatta ,frustrante, ossessiva questa nostalgia, questo nostos per una condizione sfiorata e mai posseduta. E canta.Canta per riallacciarsi all’assoluto ,per ritrovare il centro della sua esistenza.Ogni uomo si porta addosso dalla nascita una sua melodia, una sua canzone ,partedell’Assoluto….

Ma come nasce, com’è fatto questo canto umano? Da dove trae origine il rapporto tra suono e significato? Con che criterio l’uomo trae dall’onomatopea naturale una sequenza di suoni logici organizzando le sue emissioni velari, dentali ,vocaliche? La parola, dice bene Cassirer, è il primo mito, è il più grande sforzo imitativo della potenza e spiritualità divina : essa nasce già sacra perché serve da tramite con l’inconoscibile e diventa,come vedremo, frase e formula non con intenti comunicativi quotidiani, profani, ma alti,spirituali : l’uomo avverte in essa una potenza “poietica” e “magica”che userà subito come “carmen” e “incantum”,il cantar dentro, L’incantesimo.

Gli Indoeuropei ,10000 anni prima di Cristo,avevano conferito alle varianti delle emissionivocali di cui siamo in possesso un significato preciso basandosi sul moto e sulle stasi del creato,e in parallelo sulle passioni o le riflessioni dell’animo, L’imitazione del vento, della pioggia, del tuono, del verso degli animali furono essenziali, ma per le vocali e le semivocali si trattòsoprattutto di convenzione e così, ad esempio, la “i”catturò il moto continuo, la “r” quello verso una meta,la “a”l’avvio di un’azione, la “u” la stasi, l’accumulo,la forza, la “e” e la”o”, furono incremento di moto,le nasali il limite e la “k”il moto cosmico ,curvilineo e avvolgente(4).Da qui la radice “ak” sta per “muovere seguendo una curva”,da cui aksa ovvero “ruota” e l’ “asse” intorno a cui gira. O,ancor più interessante “(k)am“,muoversi verso un limite e in seguito“amare”……

Il suono è dunque mito, e come ogni mito è immutabile, unico e per sempre.I primi canti poetici sono invariabilmente inni perché tutto è sacro nei modelli culturali primitivi,tutto è emanazione misteriosa da conservare e trasmettere : non esiste azione che non sia una cerimonia e non esiste cerimonia che non sia accompagnata da formule ossessivamente uguali e ripetitive fino allo spasimo.Ripetere significa conferire più forza, attribuire alla nenia la potenza di sovvertire olasciare immutata la realtà secondo i propri bisogni. Ho ascoltato canti dei Nativi americani composti da solo due o tre parole,perché l’universo,l’Assoluto le ricevessero in tutta la loro chiarezza e semplicità.Gli Indiani Kwati intonano:

“Quando sarò un uomo diventerò cacciatore,o padre

Quando sarò un uomo,diventerò fiociniere,o padre

Quando sarò un uomo, diventerò falegname o padre

Quando sarò un uomo etc etc

Quando etc etc”



Il suono-mito, si sa, esclude il tempo, rende vago lo spazio : il suono-mito omerico, l’ultimo, il supremo ,diventa racconto dove il “terreno”, il “contingente”, acquistano un senso solo se paragonati all’Assoluto : ma è comunque dell’uomo che per la prima volta si canta, se pur astratto, archetipico e fantastico.Calata la tela del sacro numinoso, la tragedia greca ,qualche secolo dopo ,ci mostrerà un’umanità ben diversa in preda al dubbio e alle lacerazioni della coscienza : ma nel frattempo saranno già arrivati i poeti lirici a compiere la rivoluzione dell’”io”, a produrre il primo espressionismo della storia letteraria.

Nell’immaginario greco tutto è stato creato sulla base dell’armonia.Ciò vale a dire che l’uomo,la sua ragione ,i sentimenti ,le cose, l’universo intero sono legati all’esplicarsi misterioso di una melodia che a tutto dona un ritmo costante intellegibile di vita. In tal senso Essi intendevano la Mousikè: non un’arte autonoma, a sé, ma una sorta di ingrediente segreto che impregnava poesia, danza, teatro ,nonché matematica, astronomia ,guerre, riti di passaggio ,sport e celebrazioni civiche di ogni tipo.Un secondo linguaggio, appunto.

Ma i Greci possedevano una mentalità straordinariamente matematica tendente alla misura delle parti, al loro equilibrio nel tutto, per poter meglio dominare natura e spirito come in una sorta di illuminismo ante-litteram : qui sta la loro singolare invenzione: aver calcolato e resa intellegibile l’entità aerea del suono ,scoprendo i misteri della sua apparente irrazionalità : “Musica est aritmetica nescientis se numerare animae “(Leibniz), la musica,cioè,e un’aritmetica dell’anima che non è cosciente di contare.

Già in Omero la correlazione tra parola e musica era strettissima, i Lirici del VII secolo ac, a condizioni storiche ed egemoniche completamente mutate moltiplicarono le possibilità toniche della lettura quantitativa, inventando piedi metrici mai uditi e costruendo una pletora di nomoi musicali (motivi precostruiti) laddove Omero e gli aedi di nomoi ne avevan ben pochi.

….La scomparsa di un punto fermo, l’apparizione di fazioni politiche pubbliche in lotta fra loro per il potere accelera la crescita del pensiero razionale, il tarlo del dubbio e col dubbio l’incertezza, il mistero del rapporto con l’infinito e finalmente con l’altro, con gli altri: il mito si fa storia e l’”io” irrompe finalmente nella storia. In questa tamperie i versi greci si impregnano di amore e di lotta ,introversione ed estroversione a seconda che ,come in Saffo, il mondo schiacci l’”io” o come in Archiloco, avvenga il

contrario.Non a caso son citati questi due poeti, perché da loro parte un processo binario di tematiche (aggressione e autocommiserazione) che influenzerà tutta la lirica mondiale. In essi, come in Alceo, Anacreonte ed altri si configura quella variabilità di scansione metrica (discendente e triste nei dattili e nei trochei,ascendente e vitale nei giambi e negli anapesti) che riprodurrà tonicamente il vario sentire dell’animo umano ; in essi e da essi si applicheranno dei canoni musicali (tetracordo , eptade congiunta e disgiunta) che in una forbice di poche note, ma grazie all’uso persino dei quarti di tono, ricopriranno tutta la gamma delle sensazioni umane.

I lirici cantavano (o rappavano) nota per sillaba, in una rigorosa ,stringente monodia, non mantenendo sempre nell’andamento ritmico gli stessi accenti tonici della parte letteraria : quel che loro premeva era far corrispondere innanzitutto la scansione più larga o più forte (thesis) con l’acme emozionale e sollevare la voce (arsis) negli istanti preparatori.Tutto ciò impone due considerazioni vitali.Primo : i Greci erano ben consci dell’inscindibilitàfra parola poetica e musica, come d’altronde era stato dalla preistoria fino a loro.La lacerazione fra i generi avverrà molto più tardi e soprattutto al codificarsi di lingue colte nazionali, laddoveil popolo continuerà a cantarli , i versi. Secondo: i Greci conoscevano bene il potere e il mistero della poesia .Essi ci hanno trasmesso la comunicazione poetica, la comunicazione in versi come qualcosa di inequiparabile alla comunicazione quotidiana, profana ,perché in questa la parola è messaggio, in quella evocazione. La parola -messaggio non ci trasmette altro cheun’informazione e l’enunciato deve essere chiaro, rispettare le parti logiche ,fluire, esser colto immediatamente dalla ragione. La parola -evocazione trasmette invece sensazioni e per far ciò deve privilegiare la posizione di alcuni termini su altri, scomporre la sintassi , far uso di immagini parallele colte dalla natura (metafore), assecondare la musica con allitterazioni ed eufonie, andare e tornare (chiasmi), ripetere i termini-chiave ,uscire dal tempo.Non solo : la parola messaggio si esaurisce in se stessa, significa quel che dice, la parola -evocazione evoca appunto ,chiama fuori ,rimanda ad altre immagini ad altri concetti ad altre sensazioni.Il canto, a queste condizioni, libera ed esprime dunque uno stato d’animo, scavalcando il concetto astratto della parola e per mezzo di una semplice vocale o consonante, di un termine o di un altro, di un sintagma ,di una proposizione significante, arriva diretto al” terminal”della nostra gioia, del nostro esclusivo dolore. Il verso poetico non si riceve o almeno non del tutto con la mente:volerlo razionalizzare significa schiantarlo, ucciderlo.Come possiamo ad esempio cogliere non dico il finale de “le bateau ivre” di Rimbaud, ma persino quello de “la sera del dì di festa “ di Leopardi, o della stessa Saffo l’esordio “Pari agli dei mi sembra quell’uomo che ti specchia rapito, vicino, e la sua voce soave ti assorbe” se non chiudiamo gli occhi ,e da un posto altrove, fuori di noi e del presente che ci attanaglia di oggetti e scadenze, lasciamo che sia l’anima a sentire ,senza dar ascolto a nessuna logica?

La poesia,il verso poetico ,cantato o no che sia, ha bisogno di una ricezione animale, primitiva e colta insieme : metà bambini e metà intellettuali ,mai abitudinari, comuni, disincantati, pragmatici, estranei.I Greci hanno insegnato al mondo questo “sentire”, ma cos’ha in fondo il sentire poetico di così particolare? Ha che riempie, rinforza, accresce…….

Roberto Vecchioni

Stralci da “LECTIO MAGISTRALIS”

TENUTA A BOLOGNA L’8 NOVEMBRE 2006 AL

CONVEGNO NAZIONALE STUDENTI E DOCENTI DI

SCIENZE DELLE COMUNICAZIONI

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