sabato 30 ottobre 2010

Elisir d'amore per .....le "cartoline dei morti" di F. Arminio

Si dice che l’ora piú frequente in cui si muore è prima dell’alba. Io per anni mi sono svegliato alle quattro del mattino e ho aspettato in piedi che passasse l’ora brutta. Mi mettevo a leggere o guardavo la televisione. Qualche volta uscivo in strada. Sono morto alle sette di sera e non è stata una cosa cosí speciale.... Quel vago fastidio che era sempre stato il mondo, quel vago fastidio di essere al mondo è finito all’improvviso.


"Pensare e scrivere la morte" non può essere lasciata ai mistici , ai filosofi , ai religiosi...Forse i poeti sono quelli meglio attrezzati a raccontarci della morte o meglio del 'morire' perchè visionari e folli a racconatarci questo attimo assillante e sospeso nel vuoto di un attimo impensabile ma concreto.Noi mortali non conosciamo questa esperienza se non nella dolorante mancanza di tutti quelli che nel tempo ci hanno lasciato senza un racconto adeguato ed istruttivo per noi.

lunedì 25 ottobre 2010

Elisir d'amore per la .......bellezza.

Sul fondo e dall’alto
è così importante apparire?
anche la persona più insospettabile, con un microfono in mano, o una tastiera e un blog, è capace di lanciarsi in lunghissime dissertazioni piene di certezze, di dogmi.
il risultato è che non siamo in grado di riconoscere la grandezza altrui, lo splendore silenzioso di cose piccolissime o grandissime e di inchinarci di fronte a loro.
forse abbiamo tutti paura, paura di scomparire, di non essere “nessuno” di apparire gregari, accompagnatori, gregge.
ma questa paura è tipica di chi non nutre vera passione per gli altri, per la vita, per il mondo, non solo quello umano.
lunedì mattina, prima di andare via, ho raccolto a cairano un cane randagio quasi moribondo, me lo sono portato via per provare a salvarlo, perché per me equivaleva a fare un po’ di bene, di bene vero, immediato.
rivolgersi a un paese a un paesaggio è operazione che ha bisogno di grande mitezza, di gesti semplici, di menti pulite, poche parole, pochissimi concetti, molti, moltissimi dubbi.
è il dubbio, la frammentarietà, la crepa ad alimentare la nostra vita se vogliamo ancora dirci umani.non dovremmo mai dimenticare di essere il frutto di un caso, e non dovremmo dare al lògos più importanza di quanta non ne abbia.
cosa ce ne dobbiamo fare ancora dei profeti del “cosìsifa”, non abbiamo già subito, nel corso di trecentomila e più anni, già troppe colonizzazioni, troppi percorsi obbligati stabiliti da altri?
io da diverso tempo sto provando a percorrere altre strade. è un po’ come se, per andare a cairano o a monteverde, si sceglie di fare le strade interne invece che l’autostrada o l’ofantina…ma vuoi mettere?
quanti di noi lo fanno?pochi, pochissimi, perché molti sostengono di “non avere tempo”.
io a chi mi dice di non avere tempo non credo più, così come a chi cede troppo spesso alle lusinghe dell’esposizione fine a se stessa.
invece credo sempre di più ai generosi, ai puri di spirito, ai semplici, ai miti, ai furenti e ai folli.
il mio parere è, per dirla con pasolini, quello di cercare molto in alto o molto in basso. solo lì si può ancora trovare il vero splendore.
il tempo della mediaetas non funziona più, non a queste latitudini, non con queste temperature.
il nostro mondo è sfinito, sta morendo. non c’è spazio per galleggiare, bisogna andare a fondo, bisogna tirare un bel respiro e provare a scendere, oppure bisogna iniziare a volare.
elda martino

domenica 24 ottobre 2010

Elisir d'amore per .......la democrazia liberata.....




non ci resta il classico dilemma .....essere o non essere ...il solito fiero e rassicurante moralista di sinistra che flagella col sol riso o il sarcasmo la corruzione diffusa tra i suoi contemporanei e i pericoli per una degenerata democrazia in demagogia e aligarchia.

Consapevole che nell’Italia di oggi sia impossibile recitare la parte del grande artista o intellettuale ,o uomo politico, senza riprodurre in sé le contraddizioni di un’epoca la quale sperimenta per la prima volta che cosa significasse di nuova una guerra combattuta in nome di opposte nuove ideologie, la lotta per il potere tra i partiti, le tentazioni del cesarismo o di nuove forme di autoritarismo economico o mediatico, la tensione crescente tra nuova cultura e tradizione, fra lusso e povertà,autenticità e superficialità.

Ribadire il criterio di Hegel che ci permette di liberare il giudizio storico da quello morale solo a patto di non necessariamente esprimere giudizi ma solo un racconto liberatorio e civile.
La libertà in fondo spinta al suo eccesso può capovolgersi sempre quando non rispetta alcun limite e quindi diventa eslege,diventa o degenera in licenza .....dal basso come anrachia dall'alto come tirannia.
La "città ideale" deve essere realizzata prima di tutto nella propria testa e nel prorio cuore armonizzando le idee e i sentimenti.
" Forse il modello di questa "città" si trova nel cielo a disposizione di chi desidera contemplarlo e , contemplandolo, fissare in esso la proria dimora.Non ha quindi importanza che questa città attualmente non esista e possa esistere
in futuro, perchè comunque egli potrebbe occuparsi di questa "città" interiore e non di un'altra" Platone, Repubblica.
mauro orlando

sabato 23 ottobre 2010

Elisir d'amore per .......Le cartoline dei morti

Qui la fine della primavera e la fine dell’inverno sono piú o meno la stessa cosa. Il segnale sono le prime rose. Ne ho vista una mentre mi portavano nell’ambulanza. Ho chiuso gli occhi pensando a questa rosa mentre davanti l’autista e l’infermiera parlavano di un ristorante nuovo dove ti fanno abbuffare e si spende pochissimo.

di franco arminio

Elisir d'amore per ......"un amore interrotto"

.....quando finisce un 'amore'.....


prendo in prestito alcune parole e sentimenti
di Alda Merini
…..avevo bisogno di sentimenti,di parole,
di parole scelte sapientemente
di fiori detti pensieri
di rose dette presenze
di sogni che abitano gli alberi
piccoli paesi e grandi uomini
di canzoni semplici che fanno danzare le statue
di stelle che mormorino all’orecchio degli amanti
e di brezze che sconvolgono le teste
di quelli che amano amare…
avevo bisogno di poesia
…..la magia che brucia la pesantezza
ed i cattivi umori
la freddezza
delle parole che sanno diventare cattive
nell’offesa
e la tristezza e la solitudine degli uomini
che potesse risvegliare le emozioni
e dare colori,odori e sapori nuovi
alle cose,alle idee,ai sentimenti e alle passioni
ma sopratutto agli uomini
….mi avevo sopravvalutato impoverendomi
dei saperi personali
pensando che bastasse
dichiararli ‘comunitari e provvisori’
avevo puntato tutto
sull’umano,troppo umano
a rischio
in nome dell’amicizia …
….ora ho paura anche delle parole
sopratutto quando hanno ancora voglia
di raccontare i sogni e le speranze
di una terra e di uomini che amo
con “abundantiam cordis….. donec ac cadaver”
e non mi basta neanche dare retta ad Eschilo che scrive:
“…io parlo per coloro che sanno
e taccio per coloro che non sanno…”
non parlo e basta!
…ma sono felice della vostra felicità
Se per felicità si intede “eudaimonia”
…..armonia dei ‘demoni’ che ci hanno sopraffatto
negli utimi tempi!
Sappiate comunque che vi voglio ‘bene’
e che voglio il vostro bene!
… in fondo una anno non è ……per sempre!
mauro orlando

elisir d'amore per ......"i sogni".....



per fare una poesia
c’è sempre da scrivere un’altra cosa,
quella che abbiamo visto
non è mai la rosa.

per fare una poesia
il mondo ti deve cadere in bocca,
la lingua lo rovista e non lo tocca.

per fare una poesia
devi sentirti come un’anguilla
sull’autostrada, non è la letteratura
e le sue trame, è il lampo di luce
che la distingue dal catrame.

per fare una poesia
devi mirare
il centro della terra,
lì dove non potrà mai arrivare
il colpo di un fucile,
la carta di una caramella.

per fare una poesia
non ci vuole niente
ma proprio niente,
nessuna idea
nessuno sforzo,
basta che abbiate un corpo
uno solo, ma che non sia vostro.



Franco Arminio da IL PRIMO AMORE


mercoledì 20 ottobre 2010

Elisir damore per .......un "arrivederci comunitario"!

Caro amici irpini , comunitari e provvisori.

Nel prescrivermi un “anno sabbatico” di distinzione e di distanza dalla esperienza nella “Comunità provvisoria” della ‘prima…seconda e terza ora’…..prima di tutto voglio esternarvi il mio naturale ed umano “affetto” maturato nei tanti incontri che abbiamo avuto e insieme il “rispetto” per il vostro impegno nelle iniziative ristrette ,allargate e pubbliche pensate e praticate per “abundantiam cordis” (per eccesso d’amore) per la nostra bella e cara terra d’Irpinia.Sono non a caso due sentimenti distinti ma essenziali nella originale esperienza culturale politica che abbiamo intrapresa nella nostra ,ainoi , non più giovane età e vita sentimentale,mentale e politica. E’ stato il “sentimento” ,non necessariamente contrapposto alla “ragione”, la peculiarità e l’anima di questa nuova esigenza di cultura politica che ci ha piacevolmente trascinato in questa straordinaria esperienza esistenziale,culturale e sociale .

Ognuno di noi ha dovuto fare delle scelte esigenti rispetto alla propria vita privata, intellettuale e professionale .Abbiamo dovuto correggere convinzioni inossidabili ,tradizioni di pensiero ,sintassi sgangherate e vocabolari inadeguati ,psicologie autistiche o altruistiche. Abbiamo dovuto fare “tabula rasa ” delle nostre sintassi e grammatiche, perché sentivamo che questa esperienza aveva una necessità ,impellenza, novità e originalità che obbligava a mettere in discussione prima di tutto noi stessi, le nostre accomodanti e pacificate pigrizie conoscitive , psicologiche e ontologiche. Abbiamo dovuto anche fare ameno delle nostre storie personali,affettive e identitarie e locali attenti anche a tenere a bada come l’auriga platonica i facili abbagli della ricerca identitaria di “radici” culturali che potessero diventare “etnicamente fondamentaliste e isolazionista ”. Le nostre care e vecchie categorie filosofiche e politiche si sono manifestate nella loro insufficienza sia per la comprensione del fenomeno culturale,sociale e politico che ci investiva e ci provocava ma soprattutto per interpretarne il senso e definirne la sua rappresentazione e la possibile pratica realizzativa. Educati ad una salutare diffidenza ( o sospetto) culturale e politica dell’individualismo moderno se pur filosoficamente profondo (Cartesio, Locke,Kant, Stuart Mill) e una predilezione per il pensiero che si faceva sogno,speranza ,utopia senza perdere il contatto con la terra e il mondo umano ,questa nuova esperienza culturale e sociale ci ha riaperto un quadro analitico meno assoluto,dottrinario e ideologico e più aperto al confronto e dialogicamente critico. Abbiamo scoperto la ricchezza di un individualismo “riflessivo” ,progressivo e attivo finalizzato a stimolare e consentire agli individui prima di tutto, di fare libere e critiche scelte per quanto riguarda la loro vita privata e pubblica per una cittadinanza attiva ,riflessiva e responsabile e la povertà pericolosa e reazionaria di un individualismo pigro ,regressivo e gregario. Ma questo per esperienza non ci bastava se il tutto non venisse coniugato con la categoria di “comunità” che avevamo accompagnato all’aggettivo ‘ provvisorio’ per evitare derive oggettivamente assolute, solide e autoritarie e prescrittive.Si è detto spesso anche tra di noi che le emozioni, le passioni, i sogni non possono costruire nuove identità collettive e nello stesso tempo in nome della ‘pratica’ si diffidava della stessa ‘razionalità’ marchiata da ‘intellettualismo’ tout court. L’esperienza di Cairano per praticare una intuizione ,una idea ,una esigenza , insieme la “paesologia” e la “comunità” come la risposta concreta a una psicologia ,cultura o politologia viziata da un errato privilegio esclusivo di una certa “razionalità” o di una astratta “tradizione”. Una sorta di astratta ed idealistica razionalità mista a un realismo opprimente o un pragmatismo vuoto e senz’anima rischia di fare dei brutti scherzi non solo ai nostri detrattori ma anche ad intelligenti analisti e praticanti presenti nella nostra esperienza esistenziale più che etica. Avevamo bisogno di una modestia e curiosità intellettuale e un orgoglio culturale che partisse da un risultato al di là e al di sopra delle nostre personali capacità e previsioni. Oggi sono costretto a scegliere di applicare una sorta di “esercizio del silenzio” o una sorta di salutare “presa di distanza” e attivo allontanamento dalla mischia, non per mancanza di argomentazioni o convinzioni , in rapporto allo sviluppo delle esigenze, non sempre legittime e rispettose, manifestatosi nell’arcipelago ,geograficamente e psicologicamente distinto, delle tante esperienze che generosamente continuano a cercare di animare una terra che sembra ricaduta in una sorta di maledizione divina . Comunque per il passato non ho fatto mancare la mia presenza umanamente e convivialmente attiva a tutti gli incontri e gli spazi delle comunità cittadine. Oggi pur contrariato e disamorato non voglio rinunciare alle tante e ricche esperienze umane che in taluni casi ha avuto risvolti amicali profondi e veri. Allo stesso modo con grande senso di unità concreta e responsabilità non ho mai fatto mancare l’espressione chiara e concreta delle nostre convinzioni nelle sedi deputate dei nostri incontri ,anche a rischio di qualche malevole incomprensione o di ingenerose accuse di “pedanteria e eccessi verbali’.Avevo ingenuamente cercato il senso della continuità delle nostre passate e future esperienze in una possibile esperienza anche di cittadinanza attiva e di radicamento nel territorio al di là delle espressioni e letture più immediate e politicista delle azioni ed esperienze pregresse ,miopi e dai “pensieri corti” delle società politica e dei suoi gruppi dirigenti passati ed attuali rifiutandoci comunque di accoccolarci silenziosi e fedeli sotto “le tavole imbandite” dai potenti di turno.Forse poteva essere anche l’occasione per mettere in discussione un nostro modo di pensare alla sinistra o un pensiero progressista “Abituata a guidare il popolo,scrive la Spinelli, la sinistra sembra essere incapace di mettersi in suo ascolto, ed è il motivo per cui ne è regolarmente sconcertata”Io ero e sono convinto che l’esperienza paesologica e comunitaria ” non è nata solo per essere compresa razionalmente o per essere vissuta e diretta se pur con competenza e intelligenza ma soprattutto per essere vissuti e praticata democraticamente in prima persona in modo critico, riflessivo, attivo,partecipato e responsabile.Non stanchiamoci di ricordare agli altri , ma anche a noi stessi, che non nasciamo o vogliamo essere, intellettualmenete astratti , ma neanche concretamente praticamente svuotati e come al solito supini e gregari alle scelte e alle agende dettate dai soliti noti. Pensavamo di essere carichi di originali stimoli e sane provocazioni intellettuali e istintive alle pigrizie della “cultura”tradizionale e alla pervicacia inamovibile dei tanti e diversificati ’poteri locali ‘ che pensano e praticano la “politica” sia quando, ingessata e autoreferenziale , smarrisce il senso dei suoi fondamenti e finalità alte e valoriali ,sia quando si fa pratica praticata e politicante o ‘potere’ , sia quando si fa ideologia, mito, metafisica o dottrina, dimenticando di essere soprattutto ricerca critica, scienza o attività dell’uomo e per l’uomo.E’ per questo che ho scelto di esternare questo mio sentimento di disaffezione e di limitazione dell’impegno e di presa di distanza da una esperienza che pure mi ha dato tanto umanamente ed intellettualemente.Avevo una speranza che anche in Irpinia col vento di nuove e antiche speranze si potesse pensare e praticare soprattutto le categorie moderne del pensiero democratico e la centralità della “ciitadinanza” insieme alla esigenza di ‘comunità’.“..La parola “cittadini” sta recuperando da qualche tempo una valenza che era andata smarrita. Camerati, compagni, amici, signore e signori, avevano sostituito un appellativo che si richiamava direttamente e semplicemente alla sovranità popolare senza distinzioni e appartenenze di classe, di censo di ideologie. Cittadini vuol dire abitanti della stessa città, ed estensivamente dello stesso paese, della stessa comunità; diritti e doveri di cittadinanza sono le leggi che tutti siamo tenuti a rispettare e tutti abbiamo titolo di formulare. Infine cittadino è colui che fa parte e si dà carico della ‘res publica’, delle sue costumanze, delle sue magistrature”.E. Scalfari.

Non viviamo di nostalgie regressive e consolatorie ma confidavamo nella nostra capacità e intelligenza di ricordare a noi e agli altri “ciò che non siamo e ciò che non vogliamo”

Con affetto e stima



mauro orlando

domenica 10 ottobre 2010

Elisir d'amore per ......la consapevolezza ...comunitaria e provvisoria


ALTRI COME NOI

il giorno in cui moriremo
il vento come sempre passerà
in mezzo a questa casa che si chiama mondo.
altri dopo di noi
saranno allegri, tristi, moribondi,
altri come noi,
ombre illuminate da un cerino,
cerini dell’ombra. F.Arminio.



Comunità o della “consapevolezza”…..provvisoria.

Una persona in modo eccezionale e non per abitudine osserva le proprie emozioni e processi mentali ed elabora il senso dell’io…autentico e profondo. Non sempre in modo consapevole mentre vive il suo io storico, sociale e personale in modo attivo. In scienza si suole distinguere tra una consapevolezza primaria e una di ordine più elevato, cosciente e motivato: la prima è soprattutto percettiva, mentre la seconda è una nozione concettuale del proprio io. Gli animali possiedono la consapevolezza percettiva ad esempio. Ad un uomo razionale non basta saper inventare e creare spazi di discussione (piazze virtuali o reali) costruire comunità (pòlis o associazioni) ed essere solo in grado di percepirle e dotarle di senso e coerenza e neanche solo come spazio ed occasione dove meramente reagire a semplici stimoli emotivi o emozionali . Considero la creazione di occasioni comunicative o di esercizio agonistico e la costruzione di comunità esistenziali la caratteristica fondamentale di una consapevolezza primaria ancora delle comunità primitive .

Tuttavia l’uomo fa uno scatto di senso nel momento che può e sa pensare a se stesso come soggetto e oggetto di conoscenza e assieme capacità di stare assieme …..che meraviglia e che potere! Ma più di tutto può avere desiderio e piacere della vita e, in parte, la consapevolezza della morte, che nessun animale possiede. La morte …. del mondo che inconsapevolmente ci siamo costruiti intorno, ma consapevoli che …..” il mondo è morto molto prima, quando la logica ha preso il sopravvento in maniera strisciante e subdola sull’istinto. quando in nome della nostra presunta superiorità di specie, abbiamo iniziato ad allevare e ad uccidere, quando abbiamo deciso di costruire mura intorno alle città, insediamenti puzzolenti di merda e di piscio dove ogni spazio delimitava una solitudine, una casa abitata da altri morti che litigavano con i vicini per il confine, per le pecore, per la proprietà. la morte è un evento definitivo, e noi abbiamo bisogno solo di eventi definitivi, unici, senza scampo” E. Martino. In più ,e in parte,abbiamo coltivato la capacità di ricordare o vedere la propria vita come un tutto; la capacità di immaginare altre prospettive o altri stati mentali; di pensare ipoteticamente in modo soggettivo o teoricamente in modo oggettivo, di affrancarsi dal qui e ora , di sognare o sperare un futuro anche di eternità in piena libertà e senza essere costretti a una riconoscenza a qualche Dio ma non rinunciando a coltivare l’esigenza e il senso della sacralità e della religiosità ! Riusciamo anche a sospettare o distinguere tra la consapevolezza del mondo e la consapevolezza di essere consapevoli. Fino a pensare che la consapevolezza del proprio io sia una caratteristica che solo noi umani possediamo, e che sia una componente necessaria della nostra consapevolezza. ‘L’autoconsapevolezza’ è una componente determinante. Gli animali non arrossiscono. Forse perché a differenza dell’uomo non sono molto consapevoli di potersi osservare e di essere osservati…Narciso non poteva essere un animale! Altra peculiare caratteristica è che noi abbiamo la percezione e la capacità delle parole,delle cose,delle persone e del mondo nella loro profondità non solo in termini spaziali e temporali. Possiamo migliorare la superficie tecnica del nostro linguaggio e ricercare assieme la profondità delle parole ,dei concetti e delle idee come scoperta di verità ( alètheia…non nascosto). Idea è parola del greco ‘eidon’…..il saper guardare in profondità. E poi abbiamo imparato a mettere assieme parole per raccontare il nostro “io” quando ‘sente’, ‘pensa’, ‘agisce’ e a costruire sapere ‘oggettivo’non solido,rigido ma basato su sentimento,pensiero ed azione…’soggettiva’ e …provvisoria. E poi abbiamo la fantasia e la voglia di inventare sogni ed avventure. Henry James una volta disse che le avventure accadono solo a coloro che sono in grado di raccontarle. Il più bello degli uccelli non può raccontare la bellezza e la leggerezza del volo! Quindi, per una mente creatrice di avventure, queste ultime accadono; il mondo, in realtà, consiste in larga misura di avventure e sogni. Creiamo uno spazio interiore in cui possiamo muoverci in modo relativamente facile con l’immaginazione e il sentimento. Esiste una notevole libertà di azione… Anche se, quando si è depressi, tristi,addolorati si perde tale libera volontà e si ha la sensazione che nessuno la possieda. Esiste un bel passaggio, nelle ‘Meditazioni’ del cogitante Cartesio, in cui egli guarda fuori dalla finestra e, vedendo le persone sotto di lui, afferma: “Sembra che esse abbiano volontà e libertà di scelta, ma come posso sapere se non sono ingegnosi burattini o parti del meccanismo di un orologio?”. La volontà è essenziale per definire o progettare un organismo e la consapevolezza per difendere la sua libertà. E poi ,non solo per gioco o per necessità, quando non ci bastavano i miti che noi stessi avevamo costruito e che alcuni utilizzano con ‘malizia’ come forme di potere personale o istituzionale (Governi, Chiese …..) abbiamo cominciato a fare domande e ad abbozzare risposte umane o troppo umane, e poi metafisiche o assolute . Ma sempre tornavamo alla domanda iniziale. Questa coscienza è qualcosa che si impara o è innata? Wittgenstein parlava di ‘ decenza’, cioè , si era esseri umani decenti solo nel pensare e definire capacità conoscitive e difetti comportamentali ed etici dell’essere umano. Non vedo come si può dire se una cosa come questa è appresa o innata, perché la gente, a parte i ragazzi-lupo-selvaggi (da Hobbes,Rousseau a…. Trouffaut) e cose simili, subisce sin dall’inizio sempre e comunque l’influenza del mondo della cultura come espressione consapevole o indotta dell’uomo. È difficile parlare della “natura umana” in quanto tale, perché siamo sempre sotto l’influenza della cultura. Questa è una delle ragioni per cui i ragazzi-lupo-selvaggi sono così affascinanti e strumentali: per questa idea secondo cui potremmo vedere in essi la natura umana allo stato primitivo o puro per essere autorizzati a intervenire d’autorità con la scienza o con la politica. Altra cosa è lo stato originale che richiede la conoscenza propulsiva delle proprie radici storico-antropologiche .Più delicato e rischioso quando dalla coscienza di sé e della conoscenza delle proprie radici storico-culturali si pretende di passare alla risposta tutta politica sulla ‘identità’antropologica individuale o peggio etnico-raziale di un ‘popolo basata sulla paura e sull’egoismo. L’’uomo occidentale dopo aver consumato sino in fondo l’ipertrofia del proprio “io” nella esperienza apicale del “moderno” con Cartesio ,Kant ,Hegel ha raschiato il fondo delle sue possibilità e capacità di conoscenze delle conoscenze e di senso della sua tragedia. Ci affascina e mortifica ancora l’esercizio radicale del relativismo e del nihilismo della follia di Nietzsche,nella ricerca e difesa della sua estrema libertà ‘umana,troppo umana’ che lo costringeva a tagliarsi così i ponti possibili del comunicare e autoimmunizzare gli alibi per inventare nuovi miti,riti per scongiurare le costruzioni di nuovi labirinti mentali o torri di babele sociali che, per timore e paura, alla fine ti costringono a rispolverare il bisogno dell’afono ed unico Dio dei monoteismi ideologici vecchi e nuovi. E allora abbiamo scoperto e rivalutato i momenti e i viaggi , di fuga , di sogni, utopie fuori di noi e tentare di costruire “Comunità provvisorie” individuali e plurali in cui poter essere più autenticamente liberi e più sensibili, in cui poter esercitare anche il proprio intuito e sentimento non “in interiore homini” ma ‘in exteriore homini’ in spazi più vasti e profondi fuori di noi. Usando uno dei più antichi e naturali poteri dell’arte che è quello di rendere più grande e profonda, in modi diversi, la consapevolezza di una persona in un territorio determinato senza steccati ,’enclusures’ o peggio ‘enclavi’ etnici e riconquistando e riimparando a vivere i “piccoli paesi dalla grande vita” con una consapevolezza estetica,poetica , morale , mistica o politica e non solo sociologica ed economica. E abbiamo recuperato una funzione leggera e liquida anche della scienza,dell’antropologia e della filosofia nel favorire forme di visioni, conoscenze, sentimenti , idee nuove insieme a una consapevolezza intellettuale più ampia e profonda. Una persona ha e vive degli stati d’animo, o degli umori, nei quali la consapevolezza sembra espandersi e farsi più comprensiva, accogliente, generosa, sensibile e anche particolareggiata, mentre in altre occasioni sembra restringersi,intristirsi, ingrigire . E allora abbiamo azzardato a pensare che anche l’educazione, la ‘paideia’ antica e sapienziale dei greci andrebbe declinata e riconsiderata come educazione alla consapevolezza anche nella ‘poliedricità labirintica e tecnica della “modernità”, e non solo come insegnamento o creazione delle gerarchie delle varie professioni tecniche e nell’utilizzo democratico e plurale delle molteplici nuove tecniche e tecnologie informatiche. Esistono dei momenti particolarmente emotivi ,densi di passioni calde e pesino di esaltazioni. Come diceva Flaubert? “Anche la mente ha le sue erezioni”. William James pensava che le droghe, compreso l’alcool, erano mistagogiche, e certamente l’espressione “espansione di consapevolezza” che era molto in voga e abusata negli anni sessanta non più perseguibile o usabile oggi . Almeno abbiamo sperimentato la ‘immunitas’ culturalmente sana in nome e in vista della ‘comunitas’ possibile . Anche la perdita di persone care e di identità culturali e storiche del proprio territorio e il dolore e la rabbia per la superficialità,arroganza e la trascuratezza degli ‘addetti politici ai lavori’, preposti alla sua difesa ,protezione e cura possono per paradosso espandere la consapevolezza per molti o pochi altri. Noi abbiamo invitato con cortesia e gentilezza alcuni vecchi e nuovi amici a passeggiare con noi nei ‘nostri sentieri interrotti’ non solo per ‘decriptare’ eventuali ‘segnavie’ ma sopratutto per scoprire che una persona che non conosce il luogo in cui stiamo camminando può aiutare anche noi a sperimentare e scoprire (alètheia) quel luogo come fosse nuovo,immacolato,autentico. Vivendo e sperimentando nella pratica che ogni contatto umano ha il potenziale di cambiare la consapevolezza di sé proprio quando ci si imbatte in una concezione e una costruzione del mondo diverse dalla propria. Una educazione alla ‘diversità’ come stimolo di conoscenza e come promozione di cultura e identità vera. Anche questo fa parte della esperienza che abbiamo chiamato “paesologia”. E’ la cultura delle montagne …il nuovo “umanesimo delle montagne” “….. dovrebbe avere come cuore pulsante la richiesta di un modello economico basato sulla decrescita e di un modello culturale basato su un nuovo umanesimo, l’umanesimo delle montagne. Non più l’uomo come ingordo produttore e consumatore, schiavo insonne nella piramide capitalista, ma essere che si muove tra le cose sapendo che siamo qui per passare il tempo e spesso per non venire a capo di nulla, siamo qui per immaginare, per emanciparci dalla nostra psiche ristretta e avara e accasarci in una mente più grande, più generosa, più accogliente: i nostri impulsi intrecciati al moto delle nuvole e al grano che cresce, al fiuto delle volpi, al richiamo dei falchi, insomma una nuova alleanza con la natura”F. Arminio. “La paesologia”non ha la pretesa e lo statuto per essere una scienza eidetica o una estetica,non vuole essere un’etica e non è una dottrina prescrittiva,sacrale ed eteronoma . E’ un modo di essere individualmente autonomi nell’individuare uno stile di vita , un criterio per guardare , sentire se stessi e il mondo esterno in ‘koinonia’ e in modo più mite, leggero,profondo e generoso. E’ anche un modo di sentirsi bene tra contraddizioni e ritardi, sentire la stessa sensazione di un germoglio che sta sbocciando: questa sensazione, questa immagine biologica, metaforicamente può rappresentare l’immagine della consapevolezza e della coscienza come anima della paesologia. Non è assolutamente un’immagine meccanica e fisiologica . Imparare a sentire che all’interno di ognuno ,di una cosa,un albero,un paese c’è qualcosa di simile a un’identità unica e autonoma, inaccessibile alla consapevolezza, protetta da interventi o interferenze nei modi più comuni che si possono individuare negli atteggiamenti della “paesanologia” e di tutti luoghi comuni che insidiano un recupero autentico ed originale dello stile di vita,del ‘genius loci’ in un piccolo paese per quello che è senza condannarlo in contumacia ad esser solo spugna delle influenze negative o superficiali delle enormi quantità di informazioni commerciali,sociali e politiche o luogo-rifugio protetto e difeso con mura ideologiche o confini innaturali dagli intrusi di turno. Curando maggiormente di essere più sensibili al mondo della natura nei suoi cicli e misteri senza trascurare il momento consapevole e cosciente della cultura e degli uomini. Che si tratti del cielo stellato sopra di noi , dei boschi intriganti intorno a noi , del mondo morale dentro di noi o delle visioni o degli ascolti delle albe tra le nebbie sottili delle colline e dei tramonti infiniti sul mare , dell’ imparare il senso e il sapore delle parole di una preghiera umana o divina o la vitalità di un respiro….nel silenzio dell’aria. Sento che queste esperienze espandono comunque “ la consapevolezza” solo se possono essere declinate con gli uomini e nelle ‘pòlis’, comunità ,’koinonie’,’eterie o thiasi’ o istituzioni ,possibilmente libere,aperte e liquide che gli uomini hanno pensato e prodotte per gli uomini per sentirsi in ‘comuni’ nella individualità. Senza modestia,però, ma con la “consapevolezza” di vivere e promuovere una vera “rivoluzione”…..” una rivoluzione che metta al centro la resa. Più che barricate si tratta di organizzare ritirate. Più che l’esposizione al mondo, quello che immagino basata su un vivere nascosto, un rimanere sui margini, sui confini. Non c’è un centro da abbattere o da conquistare, ma un orlo che sia fatto di sfilacciature riammagliate che mai prima si erano incrociate. È una rivoluzione artigianale, fatta sui gesti che ognuno sa produrre, senza slogans che valgano per tutti. Ulteriore paradosso: un movimento collettivo che esalta il dettaglio, l’eccezione, il singolare. Quando nevica nessun fiocco è simile a un altro e (la nostra rivoluzione) deve essere così: un movimento che si accende e si spegne, che avanza e si ritira, che si apre e si chiude, un movimento fatto anche di timidezze, di affanni, di ritrosie, di debolezze, di esposizione, di furie. Una rivolta concepita come sistema di depurazione, come tentativo di accogliere con lo stesso amore il rigore, il furore e la desolazione” F. Arminio.
mauro orlando

venerdì 8 ottobre 2010

elisir d'amore per ....le parole che hanno senso e danno senso


....ci sono momenti della propria vita individuale e sociale in cui le parole finalmente acquistano densità e senso......politica,comunità, amicizia, bellezza, silenzio, leggerezza, amore , koinonia, identità,terra,cura,dolore, sentimento,passione e ...........




APPUNTI PER UN SESSANTOTTO DELLE MONTAGNE
di franco arminio

Io sono un maestro elementare, ma invece delle aule scolastiche, da qualche settimana, frequento il tetto di un ospedale. Mi sono messo in aspettativa non retribuita con lo scopo di partecipare liberamente alla battaglia per reclamare quello che non abbiamo mai avuto: una sanità decente.
Dovrei fare il paesologo, girare per i miei amati paesi e invece sto qui su questo tetto a vagheggiare la nascita di un sessantotto delle montagne. Sono io che deliro o è veramente possibile scuotere la polvere e la miseria spirituale partendo proprio dai luoghi marginali e dalle cause perse? Non so che pensare, un giorno mi sembra che l’esercizio della lotta si vada allargando, il giorno dopo mi sembra di vivere nella solita democrazia sempre più anginosa, dove perfino la lotta è una fiction e nessuno crede veramente all’idea di cambiare il mondo.
Questa è l’epoca delle oscillazioni. Nello stesso giorno si intrecciano pulsioni autistiche e pulsioni comunitarie. Immunitas e communitas non stanno su due fronti contrapposti, convivono in noi in adiacenza nuziale.
Il sessantotto delle montagne dovrebbe avere come cuore pulsante la richiesta di un modello economico basato sulla decrescita e di un modello culturale basato su un nuovo umanesimo, l’umanesimo delle montagne. Non più l’uomo come ingordo produttore e consumatore, schiavo insonne nella piramide capitalista, ma essere che si muove tra le cose sapendo che siamo qui per passare il tempo e spesso per non venire a capo di nulla, siamo qui per immaginare, per emanciparci dalla nostra psiche ristretta e avara e accasarci in una mente più grande, più generosa, più accogliente: i nostri impulsi intrecciati al moto delle nuvole e al grano che cresce, al fiuto delle volpi, al richiamo dei falchi, insomma una nuova alleanza con la natura.
Questo nuovo movimento può nascere solo nelle zone dove l’umano è più fragile e dove il mito della potenza è stato dismesso a favore di sentimenti più arresi, più umili. È questo il paradosso della rivoluzione che mi piace evocare, una rivoluzione che metta al centro la resa. Più che barricate si tratta di organizzare ritirate. Più che l’esposizione al mondo, quello che immagino è un sessantotto basato su un vivere nascosto, un rimanere sui margini, sui confini. Non c’è un centro da abbattere o da conquistare, ma un orlo che sia fatto di sfilacciature riammagliate che mai prima si erano incrociate. È una rivoluzione artigianale, fatta sui gesti che ognuno sa produrre, senza slogans che valgano per tutti. Ulteriore paradosso: un movimento collettivo che esalta il dettaglio, l’eccezione, il singolare. Quando nevica nessun fiocco è simile a un altro e il nostro sessantotto deve essere così: un movimento che si accende e si spegne, che avanza e si ritira, che si apre e si chiude, un movimento fatto anche di timidezze, di affanni, di ritrosie, di debolezze, di esposizione, di furie. Una rivolta concepita come sistema di depurazione, come tentativo di accogliere con lo stesso amore il rigore, il furore e la desolazione.
Il sessantotto delle montagne non può che essere silenzioso, frugale. Oggi le cose vere quando arrivano alla ribalta mutano segno, un po’ si perdono. E allora avanti, con pazienza e a testa china: essere in pochi è il nostro successo, produrre perplessità è la nostra missione, non abbiamo un vangelo da sostituire agli altri, non viviamo quest’epoca in attesa che ne arrivi un’altra. Siamo qui, provvisoriamente felici, provvisoriamente perplessi.

martedì 5 ottobre 2010

Elisir d'amore per la "poesia"


l’astro incappucciato


non è possibile
che sia questa la vita che riusciamo a fare.
la vita è fuori, è sgomento e avventura
non è appendere i coglioni alle grate
di questa clausura.

bisogna esplodere
per toccare il nodo, l’unghia di vetro il cane nero,
la melma fossile, la caldaia, il pozzo profondo,
l’incendio che può bruciare in un attimo
la paglia delle parole,
la paglia della mente e del mondo.

bisogna esplodere
perché il nostro corpo è già una fiamma,
una succursale del sole,
un piccolo astro incappucciato.

armin...... per gli amici comunitari….





Lettera ad Orazio.

“ma tu non sei mai stato un visionario.eccentrico, imprevedibile, sì- ma non un visionario.....voi poeti latini, nell’insieme, eravate più bravi nella riflessione e nella ruminazione che nella congettura. Per il buon motivo che l’Impero era già vasto quanto bastava per mettere a dura prova l’immaginazione “


Elisir d'amore per ......i giovani del liceo di sant'angelo (av)




“E ti diranno parole
rosse come il sangue, nere come la notte;
ma non è vero, ragazzo,
che la ragione sta sempre col più forte; io conosco poeti
che spostano i fiumi con il pensiero,
e naviganti infiniti
che sanno parlare con il cielo.
Chiudi gli occhi, ragazzo,
e credi solo a quel che vedi dentro;
stringi i pugni, ragazzo,
non lasciargliela vinta neanche un momento;
copri l’amore, ragazzo,
ma non nasconderlo sotto il mantello;
a volte passa qualcuno,
a volte c’è qualcuno che deve vederlo” R. Vecchioni.

Sono in tanti tra di voi che sembrano condurre una vita senza senso ad inseguire un sapere come riscatto o come possibilità di ribaltare i meccanismi dei poteri o di poterli reinterpretare a proprio vantaggio. Sembrate mezzo addormentati,disorientati anche quando siete occupati a fare ciò che ritenete importante. Questo perché molte sono gli stimoli e le occasioni per stare dietro a cose sbagliate , superficiali all’apparenza. Si può arricchire di significato la propria vita primaditutto disponendosi ad amare gli altri, dedicandosi alla comunità che ci vive intorno e impegnandosi a creare qualcosa che gli/e/ ci dia uno scopo, un senso. Vi affacciate alla vita sociale e pubblica dietro allo stimolo e alla necessità di dovere difendere e ribadire un “diritto”: il diritto alla salute e alla cura di sé e degli altri. Viviamo una terra bellissima e ricca di storie di impegno civile e culturali importanti e profonde ,ma oggi non ci basta. Un semplice impegno pubblico oggi richiede a voi sentimento,passione ma soprattutto ragione che alimenti nuova vita mentale e strumenti per affrontare l’esperienza fondamentale di un uomo in quanto uomo:la politica .Noi oggi normalmente pensiamo che la politica copre un ambito molto ristretto della nostra vita. Tanto ristretto che uno potrebbe non incontrarla mai e non fare mai nulla di politico nella sua vita senza rimorso e sofferenza. Non gli è proibito da nessuno. E qualche volta ,invece, ai più è concesso accedere alla politica in un attimo ,in un istante, cioè nel momento in cui va a votare. E’ un breve attimo, è un segno e poi la sua vita rientra di nuovo in un ambito non-politico, privato. Ecco come stanno le cose oggi anche in Irpinia.La politica copre di fatto un settore molto parziale e non esaltante della nostra vita. Infatti a ciò che propriamente e comunemente costituisce il politico (cioè lo Stato,le istituzioni, i partiti….) si contrappone una sfera vastissima, molto più ampia ,ricca e vitale che è la “società civile” che comunemente non è considerata ( e forse non lo è) politica. Ma io voglio dirvi che le cose non stanno propriamente così. La Politica ha una dimensione più vasta e assolutamente diversa dalla politica praticata e professionale come puro o distorto esercizio del potere che noi quotidianamente subiamo o accettiamo criticamente. Anche la scienza politica moderna è cieca e colpevole rispetto alla vita politica e lascia gli uomini indifesi anche rispetto alle perversioni più aberranti,drammatiche e violente (totalitarismi ideologici e fondamentalisti).Non è bastato a M. Weber scrivere “ La scienza e la politica come professione” per dare un senso possibile all’impegno politico nelle contraddizioni della modernità e a voler giustificare razionalmente un qualsiasi atteggiamento pratico.(governare un comune, una regione …un ospedale).

La politica attiva, pratica,concreta nelle migliori sue interpretazioni o manifestazioni tende a non considerare la vita degli uomini e la cura di essi quando viene meno la sua salute, prigioniera di ragionieristiche camice di forza della burocrazia o del bilancio. La stessa medicina come scienza e come pratica scientifica non si pone la domanda se la vita è degna di essere vissuta ma nel migliore dei casi quando o per quando la vita deve essere vissuta. La medicina al massimo ha come suo scopo la salute e la vita del paziente. E noi non le possiamo chiedere se invece essa è desiderabile e perché continuare a vivere. Questo significa che purtroppo ogni scienza ,la più utile e più nobile, oggi risulta cieca rispetta al proprio fine e a i propri valori. La stessa scienza politica non ci può dire :se la democrazia è desiderabile o più desiderabile di altre forme di governo. Ci può raccontare ,descrivere quante e quali sono le forme di democrazia o le forme contrastanti con la democrazia. Ci può aiutare a capire o rilevare criticamente quando funzionano male o distorte istituzionalmente diverse organizzazioni e pratiche del potere e delle organizzazioni politiche. La scienza politica ,purtroppo, si prefigge di presentarsi imparziale, neutrale, a-valutativa. Il campo politico a sua volta , per come lo vediamo e lo sperimentiamo quotidianamente e concretamente ,nei momenti di crisi si rivela essenzialmente come il campo e l’ambito del potere . La politica è lotta per il potere. E quindi per entrare in quell’ambito bisogna organizzarsi e pensare in un certo modo per entrare nelle ‘macchine del e per la lotta per il potere,per la distribuzione ,per la spartizione del potere ’ che sono i Partiti. Oppure nel caso della necessità di vivere la Politica come valore o etica si rischia di produrre capi carismatici o radici etniche o fondamentalistiche che spostano in altri o nel passato il senso e le modalità di un impegno pubblico sul proprio territorio,non in modo proattivo ma reattivo La nostra esperienza “paesologica” nella Comunità provvisoria è e vuole essere filosofica e politica ma non nel senso della ‘scienza filosofica e politica’ ma esitenziale e umanistica.Noi ci domandiamo e chiediamo non la ‘natura dell’uomo’ universale e necessario ma quali sono le condizioni ,in determinato territorio e tempo, con la sua storia culturale etnicamente determinata e che rende possibile l’uomo in quanto uomo , non l’uomo irpino rispetto al napoletano o del nord. Certo con questo atteggiamento concreto e critico e con queste domande mostriamo di essere ,quantomeno avversi o sospettosi di una certa deriva della “modernità” senza cadere nei fondamentalismi etnici con esiti fobici o razzisti. Dopo Cartesio noi coltiviamo il sospetto e il dubbio che l’uomo, inteso come soggetto unicamente conoscente, rischia di sentirsi incondizionato, cioè come colui che non accetta nessuna condizione, ma pone lui le sue condizioni alle cose, al mondo esterno e algi latri uomini diversi da sè .Preferiamo che la nostra Comunità sia provvisoria e non definita su fondamenta solide e immobili che ti costringono a vivere beatamente con le spalle rivolte al passato ( sia esso celtico,nordeuropeo o semitico-ebraico.grco-romano). Per noi gli uomini e le cose sono realtà finite ,limitate a cui la politica cerca di dare senso ,volta per volta, a questa finitezza e limitatezza. Sappiamo cha anche i diritti sanciti dalle varie carte costituzionali o dalle lotte sociali del passato vanno rivitalizzati e riportati alla unicità e identità comunitaria di ogni essere umano. Noi non chiediamo solo di ripristinare o mantenere un diritto o uno spazio di cura dei singoli malati indipendentemente dal fatto di essere momentaneamente malato. La salute è un bene che non lo stabilisce solamente la medicina o la politica sanitaria. La questione per noi è di sapere e evidenziare ciò che è per noi desiderabile, sul Formicoso o a Bisaccia o a s.Angelo, se anche lo vogliamo veramente. E questa è propriamente una questione politica. La politica per noi non è un settore determinato e limitato( e stabilito o imposto dagli altri) della nostra esistenza di cui possiamo fare anche a meno, se vogliamo; o che incrociamo molto raramente, se vogliamo;o che incrociamo più intensamente ,se vogliamo. Ma la politica riguarda proprio l’uomo in quanto tale. Per noi è politico rieducare lo sguardo per vedere il bello dei nostri territori (paesologia), utilizzare in modo essenziale e non solo utilitario o in diritto gli strumenti della tecnica e della medicina per giocare politicamente nelle articolazioni provvisorie delle attività propriamente umane…lavorare,fabbicare e agire( ponein,poiein,prattein…come dicevano i greci che io preferisco ai celti!!!!). Esse sono qualità superiori alla contemplazione e al fare teoria o ideologia. Rovesciare gli ordini tradizionali di pensare e agire partendo dalla finitudine umana e dalla sua provvisorietà e possibilità di realizzare se stesso nella propria individualità e alterità comunitaria. Una comunità è appunto questo: è una struttura permanente e provvisoria (ossimoro) che vuole rendere quotidiano e possibile lo straordinario e il profondamente autentico e prima di tutto rende possibile a ciascuno di essere sé stesso al cospetto e nel confronto con gli altri. La Comunità è soprattutto la condizione e l’esercizio della libertà individuale e concreta. La libertà è da intendere esattamente come il potere o dovere mettersi in contatto con gli altri a partire da se stesso, e per se stesso; e tenendo, in qualche modo, e sfidando anche il ricordo e le memorie, cioè proponendo le proprie azioni, pensieri,sentimenti,passioni,sogni,speranze come degne di ricordo e memoria. Solo in questo , nel proporre e presentare le proprie azioni ed idee come degne di ricordo, l’uomo compie azioni veramente politiche, altrimenti retrocede a livello della specie. La vita diventa sacra e degna di essere vissuta solo attraverso la continua capacità di produrre idee e azioni. La politica è lo spazio pubblico, un grande palcoscenico, in cui tutti gli uomini possono entrare ed uscire a propria volontà e libertà, cercando di starci anche in modo non permanente,stabile, solido ma….provvisorio.

mauro orlando

venerdì 1 ottobre 2010

Elisir d'amore per .....la "communitas"




Costruire “communitas” non “immunitas”
La democrazia in cui viviamo è un sistema costruito secondo una logica "immunitaria", che rende cioè immuni i suoi membri dal pericolo di contaminarsi con tutto ciò che vi è di esterno, di estraneo? Siamo tutti, per natura, lanciati in una corsa all'affermazione di sé che vive il rapporto con l'altro come un ostacolo o, al più, come uno strumento?Domande queste fondamentali per poter continuare a pensare e praticare la nostra esperienza nella/ e/ per la Comunità provvisoria.Discorso preliminare è quello di evitare ‘pensieri deboli’,’praticismi agnostici ’,’antintellettualismo strapaesano’, ‘pigrizie e parassitismi mentali”, “sagre del luogo comune” ecc. Per tornare a noi ,la nostra esperienza ha la necessità di affermare l'originarietà della relazione, della comunità, scardinando l'immagine che abbiamo di noi stessi come individui che si costruiscono prima ed indipendentemente dalla relazione con l'altro. Agiscono immunitariamente – scrive il filosofo Roberto Esposito-“ da una parte …. tutti gli apparati istituzionali, a partire dallo Stato, dalle forme giuridiche. Dall'altro, tutte le organizzazioni territoriali, le comunità etniche identificate da un elemento comune, sia esso il territorio, la lingua, la religione, la cultura. Questi gruppi, culturalmente o territorialmente definiti, tendono a chiudersi, ad immunizzarsi rispetto all'esterno”.
Il problema quindi non nasce insieme allo scontro locale-globale ma le categorie mentali della nostra cultura occidentale sin dalla polis greca ad oggi si è accresciuta la paura dell'altro e con essa l'esigenza di sicurezza, la spinta a proteggersi da pericoli reali o apparenti. Oggi la paura è paura dell’emigrato come “specchio scomodo” del nostro sentici sradicati, periferici, esuli,incompresi …scomodi.
Scrive ancora Esposito: “ Si instaura una dialettica speculare tra sé e l'altro, dove l'altro assume i caratteri del sé e dunque ci rispecchia, e ci ricorda la nostra stessa alterità. Il sè, infatti, porta dentro questo carattere di perenne sradicamento, come diceva Simon Weil, che nella modernità ha cercato di cancellare con una dialettica distruttiva di sè e dell'altro.
L’esperienza comunitaria diventa in questo caso importante teoreticamente importante a livello individuale come rieducazione dello sguardo,della mente e del cuore aperti verso l’altro come persona e come territorio (paesologia) e socialmente e politicamente pensando alla “comunità” come lo spazio e l’occasione della “ relazione come origine” che non deve scomparire ma essere praticata. Si tratta di tornare ad essere consapevoli della necessità di rafforzare e praticare tale natura comunitaria contro tutti quelli che vogliono iniettarci il veleno dell’immunità ricreandoci ‘ nobili radici’ improbabili a copertura delle nostre paure probabili. Credo sia necessaria continuare nell’esperienza e nel tentativo di una svolta culturale dove “i morti seppelliscono i morti” e curare a fatica un sentimento e una idea di identità non con la faccia rivolta al passato non più come realtà chiuso dentro un recinto di una ‘pòlis’ che ci impone fondamenti di ‘stanzialità’ ma che ci costringa all’apertura .alla socialità di una ‘motilità’ difficile ma ricca emotivamente e socialmente nella cifra della molteplicità e delle differenze. Si tratta di partire da una ridefinizione e una pratica del soggetto, dell'identità, del corpo individuale e comunitario. In realtà noi siamo un costrutto che si evolve continuamente nel rapporto con l'ambiente, e non esiste dunque una autentica identità bloccata in sé né dalle radici e nemmanco dal suo sviluppo storico .E in questo modo che ci mettiamo sulla strada anche di una idea e pratica della libertà propulsiva (altruista e plurale nella insicurezza) e non reazionaria ( auto padrona e auto protetta nella sicurezza).E’ la relazione l’origine dell’esitenza e della molteplicità e pluralità di ciò che cresce in comune
“L'antitesi che la modernità ha costruito tra libertà e comunità- scrive Esposito- è il segno dell'immunizzazione di un'idea che era all'origine dotata di un senso molto più ampio. La libertà è nel comune” …….o è altro che non deve interessarci. . Ben al di là della contingente polemica politica con tutte le forme di ‘leghismo strapaesano’, chiarire che non ci interessa il vero obiettivo dei conservatori e reazionari ruspanti o di allevamento: riconoscere in ciò che è diverso, per il solo fatto di essere tale, una minaccia di contaminazione, dalla quale occorra proteggersi preventivamente.
mauro orlando

Elisir d'amore per ......"formicoso"!

ma ......nessuno tocchi il "formicoso"!!!!!!!!!




C’è bisogno di politica, mai come adesso. La vita sociale deperisce a vista d’occhio. Senza politica perfino gli amori deperiscono. E non c’è carriera che possa servire a qualcosa. Il mondo ha bisogno di grande politica. Penso, per cominciare, a quella che si fa parlando con altre persone. Ci si sente meno soli se si riflette insieme sul fatto che oggi il mondo sembra morto e tutti noi sembriamo morti. Non serve neppure la letteratura senza la politica, non servono i viaggi, non serve il silenzio, il ritirarsi. È arrivata un’epoca irrimediabilmente politica e chi non lo capisce è destinato a una pena muta.
Ovviamente dopo aver definito la necessità della politica rimane il problema di come farla. La prima cosa da escludere sono i partiti che ci sono e anche l’idea di crearne altri. Quello che si può fare è mettersi insieme per costruire conflitti. Ci si lamenta di tutto, ma non si costruiscono conflitti. Un’eccezione a ciò che sto dicendo può essere la battaglia di Bisaccia per una sanità migliore. Un esempio di conflitto da istituire potrebbe essere nell’ambito dello sfruttamento dell’energia eolica. I cittadini potrebbero organizzarsi e chiedere che vengano rinegoziati i contratti tra i comuni e le imprese. Tanti conflitti potrebbero essere istituiti dai cittadini verso i loro sindaci e questi a loro volta potrebbero dar vita a un conflitto con la Regione o con lo Stato per reclamare politiche più attente alle esigenze dei Comuni.
Se vogliamo ritrovare un filo di umanità che l’invadenza della tecnica ha spezzato dobbiamo costruire un nuovo spirito comunitario basato sulla grande politica. Essa è l’unico antidoto all’autismo corale come fase terminale del nichilismo tecnologico in cui siamo sempre più immersi. La politica a cui penso inizia con ogni minima forma di attenzione a ciò che c’è fuori. Politica è tutto ciò che non è psicologia. È la grande poesia, è come organizzare il lavoro in un ufficio ma è anche il pensare a Dio. Abbiamo bisogno di spezzare questa tensione spasmodica verso noi stessi. È abbastanza chiaro che la felicità è nell’incontro e nello scontro con ciò che sta fuori di noi. La psicologia è un grande imbroglio. Bisogna partire dal corpo, dal nostro corpo e occuparcene allo stesso modo di come ci si occupa del corpo più grande che chiamiamo mondo. Fare conflitti, fare compagnia, questi sono i nostri compiti. Legare ogni attimo a un altro, tenere insieme grandi sogni e grandi paure, tutto questo adesso è il vero lavoro politico che dobbiamo e possiamo fare. Non bisogna farsi scoraggiare dall’aria che tira. È penosissima, ma in un mondo di finzioni anche questa pena in fondo è apparenza. L’unico modo di non portare il broncio alla propria epoca è attraversarla con un furore politico. Ammirare e obiettare con coraggio, senza riserve, senza piste supplementari. Non c’è un modello di vita e di società da raggiungere. Il mondo in fondo è già bene accordato, siamo noi che stoniamo quando pretendiamo di guidarlo chissà dove.
franco arminio