.....il sublime è un rapporto che si stabilisce tra la ragione e l’immaginazione, un rapporto conflittuale: io cerco di capire le idee, ad esempio, la libertà morale o il mio posto nel mondo, ma non riesco a rappresentarmele in maniera precisa; così, ad esempio, distinguendo tra sublime matematico, che riguarda la grandezza - l’immensità dell’universo, quindi dei cieli stellati - e sublime dinamico, che riguarda le forze agenti nell’universo - l’eruzione vucanica, la tempesta nel mare - tutte le volte che io cerco di rappresentarmi questa immagine, quindi di renderla in termini razionali, l’immaginazione mi fugge.
La più bella illustrazione di quanto ora detto è la poesia di Leopardi L’Infinito: la vista è limitata dalla siepe, ma c’è, per così dire, un "buio oltre la siepe" che mi sfugge, che costringe l’immaginazione a inseguire questo al di là; oppure lo stormir di fronde attuali mi fa venire in mente le morte stagioni, in contrasto con la presente e viva stagione. E mi fingo - dice Leopardi - tutto questo scenario nel pensiero, "ove per poco il cor non si spaura". Appunto questa è la caratteristica del sublime: non è la paura allo stato puro, ma è "ove per poco il cuore non si spaura", perché io mi sottraggo, con uno scatto di orgoglio che ricorda lo Pseudo-Longino, a questa perdita di me stesso nel mondo infinito dello spazio e del tempo. E il naufragare, che è dolce in questo mare, dipende dal fatto che l’impossibilità di rappresentare, in forma sensibile, questa potenza infinita delle forze naturali, alla fine mi lascia in uno stato di snervata felicità, in quanto sono sbalzato dalla percezione all’immaginazione, dalla ragione che cerca di fissare le cose all’immaginazione che proteiformemente, cioè continuamente mutando, mi distrugge tutte le costruzioni che faccio.
L’UOMO DI NEVE
Deve avere una mente d’inverno
chi scruta fronde e gelo
di pini incrostati di neve;
e aver sentito il freddo dell’inferno
se fissa ginepri graffiati dal ghiaccio,
abeti aspri nell’ardore assente
del sole di gennaio; e non sente
miseria nella voce del vento,
di sparute foglie,
voce della terra
colma di quel vento
che flagella quella landa vuota
per lui che ascolta, ascolta nella neve,
e -nulla lui stesso- fissa
il nulla presente e il nulla assente.
[Wallace Stevens, The Snow Man]
trad.Damiano Abeni
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